Riassunto del libro Corso di Diritto Parlamentare- Gianniti e Lupo PDF

Title Riassunto del libro Corso di Diritto Parlamentare- Gianniti e Lupo
Course Lab. appl.: Diritto parlamentare e delle assemblee elettive
Institution Università degli Studi di Trento
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Riassunto Libro Corso di diritto parlamentare. ...


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CAPITOLO 1 – LA POLITICA E I SUOI LIMITI: DIRITTO PARLAMENTARE E DIRITTO COSTITUZIONALE 1. Una definizione di diritto parlamentare Con il termine diritto parlamentare si fa riferimento al complesso di norme che disciplinano l’organizzazione interna delle Camere, l’esercizio delle loro funzioni e i rapporti con gli altri organi (costituzionali e di rilevanza costituzionale) e con i soggetti terzi. QUADRO 1.1: L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI PARLAMENTO Con la sentenza n. 106 del 2002, la Corte costituzionale ha annullato una delibera del Consiglio regionale della Liguria, la quale stabiliva che, in tutti gli atti dell’assemblea regionale, alla dizione costituzionalmente prevista “Consiglio regionale della Liguria” fosse affiancata la dizione “Parlamento della Liguria”. La Corte ha ritenuto la dizione di Parlamento non estendibile ai Consigli ragionali, sulla base di due argomenti: 1) in quanto il nomen Parlamento non ha un valore puramente lessicale, ma qualificativa, connotando, con l’organo, la posizione che esso occupa nell’organizzazione costituzionale; 2) perché solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale, la quale imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile. 2. Il diritto parlamentare come avanguardia del diritto costituzionale Nella prospettiva qui utilizzata, il diritto parlamentare deve considerarsi come una branca del diritto pubblico e, più specificamente, del diritto costituzionale. Il legame tra il diritto parlamentare e quello costituzionale è evidente anzitutto se ci si pone in chiave storica. Sin dalla fine del ‘700 la rivendicazione di organi denominati Assemblee elettive o Parlamenti è andata di pari passo con la richiesta di Carte costituzionali: la disciplina di tali Assemblee si configura perciò come un loro contenuto necessario. In assenza delle Assemblee rappresentative, le costituzioni ottocentesche, infatti, sarebbero inidonee a raggiungere i loro principali obiettivi. Viene dunque naturale che tutte le Carte costituzionali ottocentesche fissino, anche con un certo grado di dettaglio, i caratteri strutturali delle Assemblee rappresentative e ne definiscano le funzioni fondamentali. È attraverso tali Assemblee, infatti, che si pongono concretamente in essere quei principi della democrazia rappresentativa che le dottrine politiche avevano teorizzato come l’unica forma di democrazia compatibile con la dimensione dello Stato moderno. Il legame del diritto parlamentare con il diritto costituzionale emerge con altrettanta chiarezza se si guarda ai caratteri contenutistici propri del costituzionalismo e dello Stato di diritto. Se si ritiene infatti che per l’esistenza di una Costituzione occorrano la garanzia dei diritti e la separazione dei poteri, ecco allora che i Parlamenti concorrono sia alla prima, mediante l’esercizio della funzione legislativa, sia alla seconda, ponendosi evidentemente come un limite all’azione del sovrano e del suo esecutivo. Il diritto parlamentare può considerarsi come una sorta di “avanguardia” del diritto costituzionale: una disciplina della quale è talvolta particolarmente arduo cogliere il carattere prescrittivo, ma proprio per questo di grande interesse per misurare fino a che punto si spinge il principio dello Stato di diritto. CAPITOLO 2 – LA STORIA DEI REGOLAMENTI PARLAMENTARI 1. Un’evoluzione nel segno della continuità La caratteristica dominante nella storia del diritto parlamentare è costituita da un'evoluzione nel senso della continuità. La scelta della continuità è in linea con la necessità di assicurare un buon funzionamento dell'Assemblea. La disciplina dei regolamenti va ad incidere, talvolta in modo determinante, sui rapporti tra Governo e Parlamento, in attuazione-integrazione della normativa costituzionale che ne delinea i caratteri fondamentali. Da questo punto di vista, il metodo della continuità determina il rischio di dare origine a testi disorganici, il pericolo di legittimare la permanenza in vigore di regolamenti parlamentari non in sintonia con il quadro delineato dalla costituzione. Esemplare è proprio l'evoluzione del rapporto intercorrente tra i regolamenti parlamentari e lo statuto albertino: è noto infatti che lo statuto albertino delineava una forma di governo costituzionale pura , mentre nella prassi parlamentare si andò progressivamente delineando una forma di governo di tipo parlamentare detta “pseudo-parlamentare”. Durante lo statuto albertino il percorso evolutivo fu molto

faticoso e vide il Governo dibattersi tra una doppia legittimazione: una di tipo monarchico e una di tipo rappresentativo. In questa evoluzione, il diritto parlamentare esercitò a pieno titolo la funzione di fondamentale elemento di sostegno allo sviluppo della forma di governo "oltre", se non "contro" la lettera dello statuto. 2. L'epoca statutaria Nel 1848, all'indomani della concessione dello statuto albertino, la Camera dei deputati e il Senato regio procedettero all'adozione di un regolamento provvisorio non elaborato autonomamente, ma preparato dal Governo presieduto da Cesare Balbo, su modello di quello francese. Si trattò di un lavoro non originale, frutto di una delibera assunta senza discussione. Lo statuto albertino, rivolgeva ampia attenzione alla disciplina strutturale e funzionale del Parlamento e dedicava 32 articoli alle due Camere. Per quanto riguardava la Camera dei deputati, veniva sancito il carattere elettivo e la durata quinquennale, per il Senato del regno c'era l'indicazione analitica delle categorie entro le quali Re poteva nominare i senatori, infine per le disposizioni comuni alle due Camere, emblematica era la previsione sulla obbligatorietà dello scrutinio segreto nella votazione finale delle leggi. Il Senato si diede il suo regolamento definitivo nel 1850, la Camera nel 1863, ma quello definitivo nel 1868. Nell'organizzazione del procedimento legislativo il regolamento della Camera statutaria adottò il "sistema degli uffici" per l'esame delle proposte di legge, a scapito dei modelli alternativi: quello delle 3 letture, nel quale cioè l'Assemblea procede a 3 tipi di esame di ciascun progetto di legge; e quello delle commissioni permanenti specializzate per materia. Con il regolamento del 1868, si registrò un tentativo di introduzione del metodo delle 3 letture ma il tentativo fallì. Nel 1886 fu poi creata alla Camera, come organo permanente, la commissione (poi giunta) per il regolamento , i cui membri, anziché essere estratti a sorte, erano nominati dal Presidente dell'Assemblea. La commissione per il regolamento si fece promotrice, nei due anni successivi, di una serie di modifiche puntuali, note nel loro complesso come riforme "Bonghi". Da qui si assistette a un periodo di < crisi di fine secolo> con un governo di destra che propose una serie di misure di restrittive e si scatenò l'ostruzionismo delle sinistre. Allo scopo di superare queste difficoltà si adottarono misure regolamentari intese a superare il problema del merito e poi del metodo. Tutto ciò portò allo scioglimento anticipato e a nuove elezioni. La nuova Camera ebbe buon gioco nell'azzerare le riforme parlamentari, Villa (presidente) costituì una commissione incaricata di predisporre un nuovo regolamento. Questo stabilì che la commissione per il regolamento sarebbe stata presieduta stabilmente dallo stesso presidente dell'Assemblea e che i membri dell'ufficio di presidenza sarebbero stati eletti con voto limitato, in modo da assicurare la rappresentanza delle minoranze. A soluzioni analoghe giunse anche il Senato. In questo modo, si posero le precondizioni per una fase di relativa stabilità parlamentare e regolamentare, in coincidenza con l'età giolittiana. Nel corso di questa fase va segnalata, nel 1912, l'introduzione dell'indennità parlamentare: questa fu prevista a titolo di rimborso delle spese di corrispondenza, in modo tale da evitare un contrasto con l'art. 50 dello statuto ai sensi del quale le funzioni di senatore e di deputato non potevano dare luogo ad alcuna retribuzione o indennità. Un vero e proprio momento di svolta si ebbe nel primo dopoguerra, subito dopo l'adozione di una legge elettorale di tipo proporzionale , con cui il sistema politico-istituzionale provò a rispondere all'ingresso delle masse nella vita pubblica e allo sviluppo dei partiti politici: si ritenne infatti che all'adozione di un nuovo sistema elettorale proporzionale, e al nuovo ruolo spettante ai partiti, dovesse corrispondere un'organizzazione parlamentare per gruppi e commissioni permanenti, in modo da superare i limiti di un regime parlamentare fondato sull'individualismo e sul legame territoriale e da assicurare un rapporto più stretto con l'esecutivo. La camera approvò nel 1920 dieci nuovi articoli, non inseriti nel corpus del regolamento allora vigente, relativi ai gruppi parlamentari e alle commissioni permanenti. Ciascun deputato era tenuto, sulla base della proprio affiliazione politica, ad iscriversi ad un gruppo, in caso contrario finiva automaticamente in gruppo detto "misto". Ai gruppi era poi affidata la designazione dei propri rappresentanti nelle commissioni permanenti, articolate per materia. Si ritenne di aumentare il numero delle commissioni permanenti e l'obbligo per ogni deputato di far parte di una commissione permanente. Si delineò così il modello organizzativo del "Parlamento dei partiti" che ebbe durata assai breve per effetto dell'avvento del fascismo . Nell'aprile 1924 fu votata una mozione a prima firma di Dino Grandi, con la quale si dispose l'abrogazione delle modifiche parlamentari del 1920-1922 e il ritorno

conseguente al sistema degli uffici. Si manifestò così il disprezzo del fascismo verso la rappresentanza proporzionale e i partiti politici. Questo disprezzo si manifestò poi con la riduzione di quasi tutti i diritti riservati alle minoranze. Si aprì così un periodo di modifiche che segnò pesanti divieti, come il divieto di mettere all'ordine del giorno un argomento che non fosse stato deciso dal capo di governo, l'obbligo per i cittadini di eleggere candidati che si trovavano in un'unica lista composta dal Gran consiglio del fascismo ed infine la sostituzione della Camera dei deputati con la Camera dei fasci e delle corporazioni. Furono create 12 commissioni legislative specializzate per materia e dotate di poteri deliberanti. Ovviamente tutti i membri del nuovo modello istituzionale (camera dei fasci) non venivano eletti ma scelti dal capo di governo. Il Senato invece restò in piedi durante il periodo fascista, sia perché era un organo assai vicino alla monarchia, sia perché il suo carattere non elettivo faceva si che fosse più agevole mantenerne il controllo, anche attraverso la tecnica delle "infornate" di senatori. Fu tolta ai senatori ogni autonomia legislativa e qualsiasi libertà di discussione e di critica. QUADRO 2.1: IL SISTEMA DEGLI UFFICI. Gli uffici erano collegi minori di carattere temporaneo, la cui composizione derivava da un’estrazione a sorte tra i nomi di tutti i parlamentari. Essa, perciò, non rispecchiava la composizione politica dell’Assemblea, né poteva essere in alcun modo proporzionale ai gruppi parlamentari, dal momento che questi nelle Camere statuarie non esistevano. I deputati si articolavano, infatti, secondo aggregazioni di carattere territoriale e personale, e solo genericamente li si poteva ricomprendere all’interno di formazioni dai confini non sempre chiaramente definiti quali le c.d. Destra e Sinistra storica. Una volta presentato, il progetto di legge era inviato a tutti gli uffici, ciascuno di essi procedeva ad una discussione informale, al termine della quale eleggeva un relatore. Tutti i relatori eletti andavano a costituire una commissione, la quale esaminava ed emendava il progetto di legge e lo presentava all’Assemblea. 3. LA FASE TRANSITORIA E L'AVVIO ( CON I REGOLAMENTI VECCHI) DEL PARLAMENTO REPUBBLICANO. Nel "periodo costituzionale transitorio" , in quello cioè, in cui si ricostruì l'assetto istituzionale italiano all'indomani della fine del fascismo e che si concluse con l'entrata in vigore della Costituzione, si guardò subito al sistema parlamentare come lo si era lasciato prima del fascismo. Fu istituita la Consulta nazionale, composta da 400 membri su designazione dei partiti del comitato di liberazione nazionale, dotato di poteri consultivi. Essa dedicò una parte rilevante del suo lavoro alla stesura del suo regolamento interno. L'Assemblea Costituente invece non creò un nuovo regolamento interno, ma adottò solo modifiche a quello previgente, poiché riteneva più urgente dedicarsi all'elaborazione della nuova Costituzione. In conformità con l'art.64 della Costituzione la Camera dei deputati lasciò in vigore il regolamento del 1922. Solo nel 1949 fu approvato un significativo insieme di modifiche al regolamento, un intervento diretto essenzialmente ad abolire i procedimenti delle 3 letture e degli uffici; ad adeguare la dizione di alcuni articoli alle nuove istituzioni (sostituzione della parola re con quella di presidente della Repubblica); e ad inserire nel regolamento talune disposizioni della Costituzione che si riferiscono direttamente al funzionamento delle Camere. Per il Senato invece la situazione fu differente, quest'organo attraverso il lavoro della giunta per il regolamento elaborò un nuovo testo che fu approvato con voto quasi plebiscitario (1 solo voto contrario). Le differenze rispetto alla Camera erano consistenti: diversa disciplina del voto segreto e delle modalità di revisione regolamentare; l'articolazione in giunte e commissioni. Il regolamento del Senato prestò maggior attenzione alle disposizioni della Costituzione, dedicando attenzione ai procedimenti speciali appena introdotti. Ulteriori differenze si notano soprattutto per le successive modifiche, durante la prima legislatura la Camera adottò profonde riforme regolamentari incisive, relative a: programmazione dei lavori (istituzione della conferenza dei presidenti -oggi dei capigruppo); procedimento legislativo (con la disciplina della sede redigente); la procedura di revisione costituzionale e le prerogative parlamentari. Al Senato si preferì lasciare inalterato il testo del 1948. Il coordinamento più efficace, ancorché mai integrale, tra i due rami del Parlamento si registrò con riferimento alle procedure finanziarie.

QUADRO 2.2: LA CONTINUITA’ REGOLAMENTARE COME RAGIONE DI FORZA DEL PARLAMENTO REPUBBLICANO O COME SCELTA CATASTROFICA? Sulle ragioni e sugli effetti della scelta in senso continuista, compiuta dalla Camera e, in modo minore, anche dal Senato, le opinioni di due studisi sono radicalmente contrapposte: 1) Paolo Ungari ritiene che il metodo dei cauti e progressivi innesti sul tronco del regolamento del 1900 abbia prodotto fertili frutti e abbia dato origine ad una ricca e autorevole tradizione parlamentare. Le norme del regolamento ben si prestavano ad assicurare ai partiti esclusi dall’area di governo una posizione in Parlamento che li mettesse a riparo da un’ulteriore emarginazione; 2) Andrea Manzella giudica molto severamente la scelta di riadattare, nel ’49, come se nel frattempo non fosse successo quasi niente, i vecchi regolamenti parlamentari del ’22, che sottovaluta la rilevanza dei gruppi e delle dinamiche tra maggioranza e opposizione. Manzella qualifica come catastrofica quella decisione, ricordando che proprio l’assetto normativo parlamentare era stato tra le cause di quella debolezza istituzionale dei Governi, a cui era anche dovuto l’avvento del fascismo, definendo il periodo tra il ’48 e il ’71 come retroguardia del diritto costituzionale. 4. I NUOVI REGOLAMENTI DEL 1971 E LE LORO SUCCESSIVE MODIFICHE E' solo nel 1971 che si giunse alla redazione dei regolamenti parlamentari integralmente nuovi e maggiormente coerenti. La riforma fu preparata da elaborazioni svolte sia dalle forze politiche,sia dai funzionari parlamentari, sia dalla dottrina costituzionalistica. Queste riflessioni agevolarono il coordinamento delle iniziative assunte, con un'operazione senza precendenti nel diritto parlamentare italiano,sotto il forte stimolo dei due presidente: Pertini alla Camera e Fanfani al Senato.I nuovi regolamenti comportarono un deciso processo di modernizzazione, facendo leva sulla dimensione del gruppo parlamentare e valorizzando il valore delle commissioni permanenti e al tempo stesso fu proposto di aprire il Parlamento nei confronti della società , superando il tradizionale principio dell'esclusività del rapporto con il Governo. L'azione di aggiornamento dei regolamenti approvati nel 1971, pur soggetti a molte critiche, se viste nel loro complesso sicuramente hanno apportato notevoli cambiamenti in positivo accentuando la capacità decisionale dell'istituzione parlamentare. I ritmi e le modalità sono stati differenti nei due rami: al Senato, il grosso delle innovazioni è stato apportato con un unico intervento riformatore operato nel 1988 , sotto la presidenza Spadolini, con il quale furono novellati 46 articoli: tra questi la revisione delle modalità di votazione in nome della prevalenza del voto palese e la generalizzazione del contingentamento dei tempi. Altre successive modifiche hanno riguardato il sindacato ispettivo , le procedure finanziarie e comunitarie e la composizione del consiglio di presidenza. Alla Camera invece il percorso è stato più travagliato. Le modifiche apportate nel corso deglia anni '80 riguardano: l programmazione dei lavori,la durata degli interventi, la limitazione dei poteri dei presidenti dei gruppi minori, la mozione di sfiducia individuale e gli effetti dei pareri delle commissioni.Nel 1988 si realizzò il passaggio dall'obbligo di votazione finale dei progetti di legge a scrutinio segreto a favore del voto palese. Ultimo intervento riformatore,realizzato in coincidenza con lo svolgimento dei lavori della commissione bicamerale per le riforme costituzionali presieduta da D'Alema, appare di peculiare importanza, in quanto costituisce oggi il principale tentativo di adeguamento dei regolamenti parlamentari all'evoluzione in senso maggioritario e bipolare della forma di governo italiana. A questo scopo, si propose da un lato di prevedere e si valorizzò ,all'altro lato , l'istruttoria delle commissioni parlamentari e le funzioni di controllo, anche mediante il riconoscimento di significativi diritti alle opposizioni e di specifici doveri del Governo nei confronti delle richieste di informazione e di dati, formulate anche dalle minoranze. Se la riforma ha conseguito i suoi effetti nell'assicurare una maggior efficienza alla "macchina" parlamentare, garantendo anche alla Camera l'effettivo rispetto della programmazione dei lavori,si è assistito invece al fallimento dell'istruttoria legislativa delle commissioni parlamentare e la scarsa tenuta degli obblighi posti nei confronti del Governo. CAPITOLO 3 – LE FONTI DEL DIRITTO PARLAMENTARE 1. La Costituzione (e le leggi costituzionali)

In un ordinamento a Costituzione rigida, la “fonte delle fonti” è naturalmente rappresentata dalla Carta fondamentale. Per cui da essa si deve muovere quando si tratta di individuare le fonti del diritto di ogni branca del sapere giuridico. In altre parole, posto che le fonti (di produzione) del diritto sono quegli atti e quei fatti a cui l’ordinamento riconnette la capacità di porre in essere norme giuridiche, è anzitutto nella Carta costituzionale che occorre cercare tali fonti sulla produzione. La Costituzione contiene sia i principi fondamentali di ciascuna branca del diritto, sia i criteri attraverso cui altre fonti normative sono abilitate a sviluppare tali principi. La Costituzione italiana, similmente a quanto faceva già lo Statuto albertino, contiene numerose disposizioni di diritto parlamentare. Al Parlamento essa dedica il titolo I della parte seconda della Carta fondamentale, ripartito a sua volta in due sezioni: una, rubricata Le Camere, nella quale è disciplinato l’aspetto strutturale; e l’altra, rubricata La formazione delle leggi, che ha di mira il profilo funzionale. Tuttavia, sarebbe errato ritenere che, ai fini del diritto parlamentare, vengano in rilievo solo tali articoli della Carta costituzionale. Il passaggio dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana ha comportato due novità, che hanno avuto importanti riflessi anche sul sistema delle fonti di diritto parlamentare, nel loro rapporto con la Carta costituzionale: a) La prima consiste nella rig...


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