Diritto Commerciale PDF, libro: corso di diritto commerciale di presti e Rescigno PDF

Title Diritto Commerciale PDF, libro: corso di diritto commerciale di presti e Rescigno
Author Giulia Lottini
Course Diritto Commerciale
Institution Università degli Studi di Firenze
Pages 240
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LEZIONE IIL’IMPRENDITOREFonti del diritto commerciale: Costituzione - art. 41,42,43,44,45,47 ma non solo Codice civile e leggi speciali Normativa secondaria Regolamento conosco Provvedimenti banca d’Italia Decreti ministeriali Diritto dell’UE “norme” anche non vincolanti, di varia origine Norme di c...


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DIRITTO COMMERCIALE

LEZIONE II L’IMPRENDITORE Fonti del diritto commerciale: • Costituzione - art. 41,42,43,44,45,47 ma non solo • Codice civile e leggi speciali • Normativa secondaria • Regolamento conosco • Provvedimenti banca d’Italia • Decreti ministeriali • Diritto dell’UE • “norme” anche non vincolanti, di varia origine • Norme di comportamento del collegio sindacale, ecc.. Autoregolamentazione •

2. NOZIONE DI IMPRENDITORE Art. 2082 : “È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di bene o di servizi”. Oggetto della definizione è l’imprenditore ma siccome la sua nozione è determinata in relazione all’attività svolta, allora la norma definisce anche l’impresa. Gli elementi della definizione sono: ATTIVITA - FINALIZZAZIONE ALLA PRODUZIONE E ALLO SCAMBIO DI BENI O SERVIZI ECONOMICITA - PROFESSIONALITA - ORGANIZZAZIONE - LICEITA. 2.1. ATTIVITA DI PRODUZIONE O DI SCAMBIO DI BENI O DI SERVIZI Primo elemento dell’impresa lo svolgimento di un’attività, non quindi di un singolo atto e neanche di più atti non coordinati tra loro (come nel diritto privato), ma di una serie di atti collegati tra loro d’un fine unitario che è rappresentato “dalla produzione dallo scambio di beni o di servizi”. Da qui deduciamo che impresa significhi attività creatrice di nuova ricchezza. ( 1 ) L’ art.2082 non richiede espressamente che l’attività produttiva sia rivolta al mercato e quindi può essere impresa anche la c.d. impresa per conto proprio. Dunque si può ritenere che per l’acquisto della qualità di imprenditore sia sufficiente l’oggettiva riconoscibilità della possibile destinazione al mercato dei beni prodotti, indipendentemente dalle intenzioni del soggetto e dall’effettiva sorte che i beni avranno (infatti tutti gli attributi dell’art.2082 si riferiscono alle caratteristiche oggettive dell’attività svolta e non alle motivazioni del soggetto). 2.2. ECONOMICA Si sostiene che un’attività può essere qualificata come impresa solo se svolta con metodo economico: con una modalità che consenta la copertura dei costi con i ricavi. Le nozioni di lucro oggettivo (= realizzare un avanzo di gestione) e lucro soggettivo (=ripartire l’avanzo in favore dei titolari dell’impresa) non sono necessarie per la definizione giuridica di impresa. Rientrano nella nozione di impresa le seguenti : associazioni, cooperative c.d. “pure”, imprese pubbliche (come quelle di erogazione di servizi pubblici). Inoltre rientrano anche le attività non-profit; il divieto di distribuire utili e inno perseguimento di uno scopo di guadagno non impediscono a questi etnici svolgere attività di impresa.

esempio: il proprietario che utilizza uno stabile di sua proprietà per abitarvi e/o darlo in locazione a terzi non acquista la qualità di imprenditore, al contrario se lo utilizza per gestire un residence, allora diventa imprenditore. 1

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Tra questi rientrano anche le imprese sociali e del terzo settore, le quali sono organizzazioni private senza scopo di lucro che svolgono in via stabile un’attività di impresa, queste hanno come regola di non poter distribuire gli utili ma di doverli reinvestire. NON rientrano nella nozione di impresa : tutte le attività perennemente in perdita (p.e. beneficienza). 2.3. PROFESSIONALE Svolgere professionalmente un’attività significa esercitarla in modo abituale, non occasionale. Non è richiesto che si tratti dell’occupazione esclusiva del soggetto, ma che sia un’attività sistematica e ripetuta nel tempo (anche stagionale). 2.4. ORGANIZZATA Deve essere un’attività svolta in maniera organizzata, ovvero si deve avere un coordinamento dei fattori produttivi. L’imprenditore coordina, in un organismo gerarchico in cui egli rappresenta il vertice, una serie di fattori produttivi. 2.5. LICEITA La qualificazione di una data attività come impresa prescinde dalla sua liceità. È imprenditore, chi esercita un’impresa anche se in violazione di un obbligo. Le conseguenze dell’illiceità non si producono sul piano della qualificazione dell’attività: se cosi fosse, venendo meno la qualità di imprenditore, non si potrebbe applicare la disciplina relativa a questo. Le conseguenze si producono solo sul piano dell’obbligo violato.

3. LE PROFESSIONI INTELLETTUALI L’art. 2238 stabilisce che ai professionisti intellettuali (avvocati, medici, ingegneri etc.) si applichino anche le disposizioni in tema di impresa se “l’esercizio della professione costituisce elementi di un’attività organizzata in forma d’impresa di applicano anche le disposizioni del titolo II”. (titolo II del libro quinto che è quello dedicato agli imprenditori). È imprenditore il chirurgo titolare di una clinica privata nella quale egli stesso opera. Dalla norma si deduce che la libera professione non è impresa, ne consegue che al chirurgo si applica la disciplina dell’imprenditore in quanto titolare della clinica, ma quella del libero professionista per quanto concerne la sua attività medica. Quindi i professionisti intellettuali anche se svolgono un’attività che ha tutte le caratteristiche di un’attività di impresa, non è considerata attività di impresa. L’art 2238 si tratta quindi di una norma di favore per le libere professioni. Anche sei ambito comunitario, in particolare nel settore antitrust, si affermata una nozione di impresa che comprende anche le libere professioni e tale tendenza sta cominciando a prendere piede anche in Italia.

4. L’IMPUTAZIONE DELL’IMPRESA 4.1. IMPRESA E SPENDITA DEL NOME Dopo che abbiamo qualificato un’attività come impresa, si pone il problema dei criteri in base ai quali essa vada imputata ad un determinato soggetto, facendogli acquisire la qualità di imprenditore e assoggettandolo a una certa disciplina. Il criterio generale del diritto privato è quello della spendita del nome, in base al quale un atto è imputato al soggetto in nome del quale è stato compiuto. Se colui che compie un atto non dichiara di agire in nome di un altro, si ritiene che egli abbia agito in nome proprio e l’atto gli è imputato; se invece spende il nome di un altro soggetto, l’atto sarà imputato a quest’ultimo a condizione che l’agente abbia il potere di compiere atti in suo nome. Questo poteremo derivare dalla legge o dalla procura. Il criterio della spendita del nome vale anche in ambito commerciale per quanto concerne l’imputazione non solo di atti specifici, ma anche dell’attività nel suo complesso e dunque ai fini dell’acquisto della

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qualità di imprenditore. Imprenditore è colui che materialmente svolge l’attività qualora non lo faccia in nome altrui, ma quando il soggetto che materialmente svolge l’attività spende, lecitamente e conformemente ai poteri ricevuti, il nome di un altro è quest’ultimo che assume tale qualità. Ci possono essere altri criteri di imputazione dell’attività? Nella pratica sono riscontrabili ulteriori criteri, possono verificarsi ipotesi ove il soggetto nel cui nome l’attività viene svolta non è l’effettivo destinatario dei risultati dell’attività, ma solo un prestanome dietro il quale agisce l’effettivo interessato che, senza apparire formalmente titolare dell’impresa, fornisce i mezzi necessari, dirige l’attività e si appropria dei risultati. Esempio : un’attività di fatto riconducibile ad Aldo venga esercitata da Giovanni in nome proprio, in base al criterio tradizionale della spendita del nome l’impresa è imputata a quest’ultimo benché Aldo sia la persona cui effettivamente l’attività è riconducibile, ne sia cioè il dominus. Il problema si pone, in caso dissesto dell’impresa, fino a quando questa ha un andamento positivo, nessuno (salvo i soggetti ai quali il dominus intende nascondere la sua attività) ha qualcosa da lamentare. Ma quando l’impresa va male, il dominus dopo essersi in passato appropriato dei profitti, avrà la tentazione di eclissarsi e lasciare i creditore alle prese con il prestanome, questi fallirà, ma trattandosi normalmente di soggetto nullatenente o quasi, i creditori atterrano ben poca soddisfazione. In definitiva, il dominus scarica parte del rischio di impresa sui creditori. Vari sono stati in passato i tentativi di configurare un criterio di imputazione sostanziale aggiuntivo rispetto a quello di diritto comune. Si è ad esempio sostenuto che il reale dominus dell’impresa sia da ritenersi l’imprenditore e responsabile delle obbligazioni contratte per il suo esercizio sulla base delle seguenti argomentazioni: • Il collegamento fra potere e responsabilità • Imprenditore occulto, in caso di fallimento di società con soci illimitatamente responsabili estendeva la procedura non solo a carico dei soci noti ma anche di quelli scoperti successivamente (soci occulti). L’imprenditore occulto è quel soggetto per conto del quale opera il “prestanome” che all’esterno appare come l’imprenditore nel cui nome viene svolta l’attività. Il • tentativo di generalizzare l’art. 2208, in base al quale l’imprenditore risponde delle obbligazione assunte dall’institore per atti pertinenti all’esercizio dell’impresa anche se quest’ultimo omette di spenderne il nome. Per quanto riguarda la teoria dell’impresa fiancheggiatrice, spesso i giudici reputano che l’attività svolta dietro le quinte dal dominus sia essa stessa configurabile come impresa: si parla di impresa fiancheggiatrice la cui attività consiste nel finanziamento e nella direzione dell’impresa principale. Il dominus potrà quindi essere dichiarato fallito in caso di insolvenza (non dell’impresa principale a lui in fatto riconducibile, ma) di questa impresa fiancheggiatrice. Al fallimento dell’impresa fiancheggiatrice, infatti, hanno titolo per partecipare solo quei soggetti che abbiano crediti nei confronti del dominus, non quelli che che li abbiano semplicemente verso il prestanome. Il discorso è più complicato quando la veste di prestanome è assunta da una società (società di comodo). Nella società, infatti è fisiologica la scissione tra soggetto nel cui nome l’attività è esercitata e soggetti destinatari finali dei risultati. 4.2. LA CAPACITA PER L’ESERCIZIO DELL’IMPRESA La tematica dell’esercizio dell’impresa da parte di soggetti legalmente incapaci di agire (minorenni e interdetti) oppure con capacità soggetta a limitazioni (inabilitati e minori emancipati) è affrontata dal legislatore solo in relazione all’impresa commerciale. La regola fondamentale è quella per cui, salvo il caso del minore emancipato, non può essere intrapresa una nuova attività, ma può solo continuarsi un’impresa preesistente qualora il tribunale rilasci una specifica autorizzazione. L’attività eventualmente svolta direttamente dal minore, pur se abbia tutte le caratteristiche oggettive, non lo fa diventare imprenditore.

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L’autorizzazione alla continuazione dell’impresa ha una valenza generale, il tutore ovvero il soggetto inabilitato può compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa sia di ordinaria o straordinaria amministrazione. Il minore emancipato, anzi, con l’autorizzazione acquista piena capacità di agire autonomamente anche per gli atti estranei all’esercizio dell’impresa. Nel caso di esercizio autorizzato dell’impresa è il minore che acquista la qualità di imprenditore godendone i vantaggi e subendone le eventuali conseguenze negative sul patrimonio, compreso Il fallimento. Nulla viene detto per l’impresa agricola. Fermo restando che l’incapace non può iniziarne una nuova, deve ritenersi che quella pre esistente possa essere continuata senza bisogno di specifica autorizzazione, ma che il legale rappresentante debba farsi autorizzare per i singoli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. 4.3. INIZIO E FINE DELL’IMPRESA Il momento in cui si acquista e si perde la qualità di imprenditore ha due risposte: I. In base al principio di effettività, si diventa imprenditori con l’effettivo inizio dell’attività e si smette di esserlo con la sua effettiva cessazione; II. In base alla seconda, l’acquisto o la perdita della qualità di imprenditore si collega a dati formali, quali l’iscrizione o la cancellazione del soggetto dal registro delle imprese. Nel nostro ordinamento non vi è un’unica soluzione. INIZIO DELL’IMPRESA: per quanto concerne l’inizio dell’impresa, si utilizza il principio di effettività solo con riguardo alle persone fisiche. Per quanto riguarda le società prevale l’idea che siano imprenditori fin dal momento della costituzione (es. salumiere pag 27). FINE DELL’IMPRESA INDIVIDUALE: la fine coincide con la dissoluzione dell’apparato aziendale, la cessazione quindi coincide con l’effettivo compimento della liquidazione del suo nucleo essenziale. FINE DELL’IMPRESA SOCIETARIA: per le società, non si estinguono con la cancellazione delle stesse dal registro delle impresa, ma rimangono in vita sino a quando rimane un qualsiasi rapporto giuridico facendo capo alla società, quindi anche solo un debito. L’effetto di tale interpretazione, era di non far iniziare mai il decorso del termine annuale per il fallimento dell’impresa cessata, si favorivano così i creditori pigri e ritardatari. Oggi il termine annuale decorre dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.

LEZIONE III 1. L’OGGETTO DELL’IMPRESA: L’IMPRENDITORE AGRICOLO E IMPRENDITORE COMMERCIALE La prima differenziazione all’interno della figura dell’imprenditore riguarda la natura dell’attività esercitata: sei agricola o commerciale. All’imprenditore commerciale si applicava uno statuto speciale (iscrizione nel registro delle imprese, obbligo di tenere le scritture contabili, soggezione alle procedure concorsuali, regole sulla rappresentanza) dal quale era esentato l’imprenditore agricolo. L’evoluzione normativa ha pero ridotto l’ambito di esenzione dallo statuto per l’imprenditore agricolo: adesso egli è soggetto all’iscrizione del registro delle imprese, e alla tenuta delle scritture contabili. Inoltre si è ridotta anche l’esenzione per quanto riguarda le procedure concorsuali.

1.2. IMPRENDITORE AGRICOLO L’art. 2135 definisce l’imprenditore agricolo in base all’elencazione di una serie di attività.rispetto al passato la scelta legislativa ha attenuato il requisito della connessione fra attività agricola e fondo.

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Nell’ambito delle attività agricole bisogna anzitutto distinguere tra quelle essenziali (senza esercitare una delle quali non si può essere imprenditore agricolo) e quelle connesse (attività che, per quanto di per sé non agricole, tuttavia, se ricorrono determinate condizioni, vengono assorbite e non fanno assumere la qualità di imprenditore commerciale). 1.2.1. Attività agricole essenziali Sono attività agricole essenziali: • La coltivazione del fondo • La selvicoltura • L’allevamento di animali La nuova formulazione della norma chiarisce che per attività agricole essenziali si intendono “le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque” (art. 2135). L’impresa è agricola anche quando non ha alcun nesso concreto con il fondo, ma riguardi comunque il ciclo biologico di un animale o di un vegetale. Inoltre, all’imprenditore agricolo è parificato quello ITTICO: cioè quello che svolge l’attività di pesca professionale e di acquacoltura (ovverosia pescatore e chi alleva organismi acquatici). Quest’ultimo non è un vero e proprio imprenditore ma c’è una legge speciale che lo equipara a quello agricolo. 1.2.2. Attività agricole per connessione Si reputano connesse alcune attività che in sé agricole non sono (tanto che, se esercitate autonomamente, fanno acquistare la qualità di imprenditore commerciale), ma che, se svolte da chi esercita un’attività agricola essenziale (il requisito soggettivo) sono giuridicamente assorbite da questa (e perciò non fanno acquisire le qualità di imprenditore commerciale). Fanno eccezione al requisito soggettivo di connessione le cooperative di imprenditore agricoli e i loro consorzi che sono considerati imprenditori agricoli anche se svolgono solo attività connessa qualora utilizzino prevalentemente prodotti conferiti dai soci. Alla connessione soggettiva deve accompagnarsi quella oggettiva. Il codice considera attività oggettivamente connesse quelle dirette: • Alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione di prodotti ottenuti mediante un’attività agricola essenziale; • Alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata. In entrambi i casi si fa riferimento al concetto di prevalenza, nel primo caso deve trattarsi di prevalenza dell’attività agricola essenziale su quella connessa, nel secondo, deve trattarsi di prevalenza, nell’esercizio dell’attività connessa, delle attrezzature e delle risorse che normalmente sono impiegate nell’attività agricola essenziale.

1.3. IMPRENDITORE COMMERCIALE Potremmo dire che sono imprenditori commerciali tutti coloro che non sono imprenditori agricoli. Ma dobbiamo comunque dare delle precisazioni: I. L’aggettivo “commerciale” dipende esclusivamente da ragioni storiche e non restringe la categoria solo a coloro che operano nel commercio; II. Dobbiamo ricordare l’elenco contenuto nell’art. 2195, sono imprenditori coloro che esercitano: 1. Attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi 2. Attività intermediaria nella circolazione dei beni (acquisto e rivendita) 3. Attività di traportò per terra, per acqua e per aria

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4. Attività assicurativa e bancaria 5. Altre attività ausiliari delle precedenti (p.e. le attività di agenzia, di mediazione, di pubblicità) 2. LE DIMENSIONI DELL’IMPRESA: IL PICCOLO IMPRENDITORE 2.1. NOZIONE E FUNZIONE L’art. 2083 definisce piccoli imprenditori “i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. L’individuazione della figura del piccolo imprenditore rappresenta uno degli enigmi più grandi del diritto commerciale, poiché in varie leggi si trovano definizioni diverse. Si identificano le categorie delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese. Si tratta, però, di definizioni non fisse, poiché sia il nostro legislatore che quello comunitario usano stavolta definizioni di micro, piccola e media impresa non coincidenti con quella comunitaria (vedi tabella p. 34). Alla crescita di importanza di queste definizioni dimensionali corrisponde una perdita di rilievo dell’art. 2083, affinché la piccola impresa sia esente dallo statuto dell’impresa commerciale. Inoltre le piccole imprese devono iscriversi nel registro delle imprese e tenere le scritture contabili. Infine l’art. 2083 ha perso la funzione di delimitare il campo di applicazione delle procedure concorsuali. Come vediamo l’art. 2083 allude a 4 figure professionali, ma in realtà le prime 3 sono indicate solo a titolo esemplificativo e in ogni caso l’impresa rientra nel campo delle “piccole imprese” se e solo se rispettano il requisito generale indicato nell’ultima parte della norma, ovvero la prevalenza del lavoro propri e dei propri familiari nello svolgimento dell’attività. Il ruolo svolto dalla definizione (art. 2083) è quello di escludere i soggetti che vi rientrano dall’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Si comprende, quindi, che vi siano all’interno dell’ordinamento altre definizioni di piccola impresa. Basti pensare alla figura dell’artigiano, la cui definizione si trova oggi nella legge quadro dell’artigianato, la quale ci dice che è artigiano chi opera nel settore della lavorazione artistiche, tradizionali e dell’abbigliamento su misura e può avere fino a 40 dipendenti senza perdere la qualifica di artigiano. Questa definizione è molto distante da quella dell’art. 2083. 2.2. PICCOLO IMPRENDITORE E SOCIETA L’adozione della struttura societaria è compatibile con quella della piccola impresa: anche le società possono considerarsi piccole imprese se rispettano i requisiti dell’art. 2083.
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