Riassunto di \"Il primo voto - elettrici ed elette\" PDF

Title Riassunto di \"Il primo voto - elettrici ed elette\"
Course Storia di genere
Institution Università degli Studi di Siena
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“Il primo voto: elettrici ed elette” di Patrizia Gabrielli Relazione di Storia di Genere Corso di Laurea Magistrale in Scienze per la Formazione e la Consulenza Pedagogica nelle Organizzazioni Lisa Vannuccini - Matricola 069238 A.A. 2016/2017

Il 1946 è un anno di rilevante cambiamento per la storia e dell’Italia e delle donne. È l’anno in cui viene sancita la Repubblica attraverso il referendum, ma anche quello che vede per la prima volta esercitare il suffragio universale femminile. Il percorso fino a questo avvenimento è però tortuoso: per capire l’importanza di questo momento storico è necessario considerare le implicazioni dello svolgersi della Seconda Guerra Mondiale. “Il primo voto: elettrici ed elette” è uno sguardo alla partecipazione e al ruolo femminili negli anni che precedettero la Repubblica. Per trattare gli avvenimenti che riguardano il 2 giugno 1946 è fondamentale considerare il contesto storico, culturale e politico che porta alla politicizzazione delle donne. Le dinamiche innescate dalla guerra giocano un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità femminile. La principale costruzione di genere vedeva due dimensioni a caratterizzare la società: quella pubblica di dominio maschile, che voleva gli uomini occupati nelle attività produttive, nella guerra, nella politica e quella privata di dominio femminile, che voleva le donne occupate nella maternità, nel lavoro di cura, nella famiglia. La guerra totale portò alla destabilizzazione di questa costruzione e sconvolse gli abituali ruoli di genere maschile e femminile. Pensando alla condizione degli uomini in guerra, la terribile e impietosa realtà portò alla stregua i soldati del fronte che si videro indebolire notevolmente. Il ruolo degli uomini si era sempre basato sul prendere parte alla società, sull’esercitare la propria virilità e sul rivestimento del ruolo di breadwinner, ma con le atrocità consumate durante la guerra il genere maschile vide disgregare la propria identità. Riflettendo invece sulla situazione nelle città e nelle campagne si incontra un altro tipo di guerra: la lotta quotidiana delle donne, che vivevano condizioni difficili sul piano morale e materiale. Il lavoro domestico era aggravato dalla difficoltà di reperire approvvigionamenti, dalle responsabilità nei confronti della famiglia, in particolare anziani e bambini, dal sostituire gli uomini nei lavori, infine dal far fronte alle sofferenze per gli affetti lontani. In questo clima le donne sentirono vacillare il proprio ruolo di madri, non riuscendo a prendersi cura adeguatamente dei loro figli, e di conseguenza la loro identità; erano sfiduciate nel governo e progressivamente iniziarono a lamentarsi in pubblico e a dar vita ai primi atti di ribellione. La descrizione di questo panorama di incertezza fa ben intendere come le donne compirono un passaggio dallo spazio privato a quello pubblico che non fu dettato da una volontà di emancipazione, ma da bisogni privati che le portarono a scoprire nuove competenze generate dalla necessità di misurarsi in ambiti che erano sempre stati di dominio maschile. Di fatto assunsero loro il ruolo di breadwinner; così facendo, involontariamente, misero in discussione il tipico ruolo di donna e madre che doveva stare in casa. Questo, in combinazione con gli effetti che il fronte provocò sull’identità maschile, creò uno spostamento degli equilibri di genere irreversibile. Dopo l’8 settembre 1943 la situazione assume implicazioni ancora peggiori per certi aspetti. Le donne si impegnarono in un’opera di cura nei confronti dei soldati, e questo aveva radici nei ruoli tradizionali, ma acquistò un nuovo significato di valore civile poiché gli ambiti pubblico e privato si fusero e intersecarono maggiormente: il protagonismo femminile diviene visibile, le donne attivarono più forme di impegno, diedero luce ad un panorama articolato in cui resistenza civile e armata si fusero, mosse da molteplici ragioni non sempre politiche ma che avevano come base comune la lotta contro il fascismo. È in questo clima che le donne compirono il passaggio dalla necessità alla scelta: prendono parte attiva alla Resistenza, rompono con la tradizione e con il modello femminile fascista che mirava ad

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escluderle dalla sfera pubblica. La sfera privata si misura nel territorio pubblico, il lavoro di cura si estende, alcune donne fanno il loro ingresso nella lotta partigiana dopo anni di clandestinità antifascista, altre invece sono prive di ogni esperienza politica. È importante riflettere sulle difficoltà che questo implicò poiché le donne che decisero di entrare nella resistenza lo fecero al costo di alti sacrifici e rischi. Un aspetto importante che influì sui meccanismi che portarono al suffragio fu altresì la nascita dei partiti di massa. Tra il 1944 e il 1945, nell’Italia liberata, voto e partecipazione sociale e politica femminile entrano nella progettazione dei partiti e poi nelle associazioni femminili. Il Partito Comunista Italiano di Togliatti, la Democrazia Cristiana di De Gasperi e la Chiesa di Pio XII ebbero ruoli fondamentali nel contesto dell’epoca. Fu proprio il PCI di Togliatti a sollecitare la creazione dei Gruppi di Difesa della Donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà, con lo scopo di riunire la spontanea mobilitazione femminile; si sviluppò una resistenza di tipo organizzato a cui presero parte alcune donne dei movimenti antifascisti. L’intento era quello di creare un’organizzazione eterogenea a cui potessero partecipare donne di ogni ceto sociale e fede religiosa, anche se questo risultò difficile date le riserve delle cattoliche nei confronti delle comuniste. I GDD si ordinarono con un programma a breve termine che aveva lo scopo di pianificare e strutturare in maniera capillare la presenza delle donne nella resistenza e con un programma a lungo termine, progettato diversamente, che guardava al futuro, alla tipologia di Stato che le donne avrebbero voluto; si discussero i temi dell’emancipazione, della maternità, dei diritti del lavoro e dell’infanzia e del suffragio. È una considerazione rilevante che nonostante ci fosse un cospicuo numero di suffragiste fra i partiti antifascisti, la posizione sull’esercizio di questo diritto non fosse coesa e unanime. I GDD giocarono un ruolo rilevante nell’opera di sensibilizzazione delle donne nella vita sociale e politica mettendo in risalto i loro specifici bisogni. Nel 1944 nacquero due associazioni di donne: l’Unione Donne Italiane di matrice laica e il Centro Italiano Femminile di ispirazione cattolica. L’UDI nasce incentivata da Togliatti, che aveva dato all’elettorato femminile molta importanza ritenendo il suffragio femminile indispensabile per il progresso della democrazia. L’UDI aveva l’intento di essere un’associazione composita, aperta a tutti i principi antifascisti, che raccogliesse l’esperienza dei GDD. L’obiettivo di eterogeneità riuscì solo in parte: l’UDI si compose di donne esponenti dei partiti comunista, socialista, d’azione, liberale; non ci fu armonia con le cattoliche, le quali riunirono una serie di associazioni dando vita appunto al CIF. Il CIF era supportato da De Gasperi, che considerava il ruolo civile e politico delle donne un fattore di crescita della loro coscienza religiosa e morale, oltre al fatto che considerava l’incentivazione del suffragio femminile come strumento per sottrarre parte dell’elettorato alla sinistra, e da Papa Pio XII che si pronunciò a favore del voto femminile, essenziale in quanto le donne erano anche madri e mogli che esercitandolo avrebbero protetto il nucleo familiare, segnando quindi un primato per la Chiesa. In un panorama così articolato e complesso si devono considerare le azioni di UDI e CIF in un rapporto né condizionato né indipendente dai partiti politici. Il rapporto con questi risultò infatti altalenante: la coesione con il PCI non impedì all’UDI di immettere in politica tematiche a cui il partito non aveva mai pensato, proprie della condizione femminile, si pensi al divorzio, e analogo il legame tra CIF e DC. Sarebbe altrettanto errato credere che tutti i partiti fossero a favore del diritto di voto alle donne: i socialisti e i liberal democratici manifestarono il timore che le donne non fossero preparate al voto e che questo avrebbe agevolato soprattutto la DC, perché era radicata, con delle eccezioni, la credenza

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che le donne avrebbero votato secondo il volere del clero, evidente pregiudizio di genere che voleva le donne non capaci di esercitare una propria autonomia. Anche all’interno dei partiti di massa non si deve pensare che le dirigenze e tutti i militanti fossero a favore del suffragio, anzi, ci furono molti conflitti interni e servì l’autorevolezza dei due leader per mettere d’accordo e convincere i propri partiti, avendo loro compreso che la società era mutata e che non sarebbe stato più possibile pensare e progettare lo Stato senza prestare attenzione alle donne. Togliatti e De Gasperi erano consapevoli sia che fare un passo indietro rispetto ai cambiamenti portati dalla Seconda Guerra Mondiale non era più plausibile, sia della necessità di ottenere il più largo consenso possibile. Le questioni comuni ad UDI e CIF erano il diritto al voto, la formazione delle elettrici alla politica e alla cittadinanza, la difesa delle lavoratrici, gli aspetti relativi alla maternità, ma fin dall’inizio le due associazioni manifestarono significative lontananze sia ideali che politiche, sarebbe quindi inesatto parlare di un’alleanza fra tutte le donne animata dal bisogno di rispondere ad una chiamata tutta femminile, perché la forza delle donne protagoniste di quelle vicende fu anche quella di impegnarsi a mantenere un dialogo sempre aperto, pur consapevoli delle lontananze di pensiero, per lavorare ad un punto di accordo necessario per conquistare finalmente i diritti che spettavano loro. Lo sviluppo dell’azione per l’ottenimento del diritto di voto, così come la nascita delle associazioni femminili fecero sì che la donna maturasse e sviluppasse una propria coscienza civica. Quello descritto è lo scenario in cui si situa la campagna suffragista, una stagione in cui impegno e intervento femminile per l’ottenimento del voto furono accurati e scrupolosi, diventando una vera e propria scuola politica attraverso cui le donne guadagnarono sempre più consapevolezza sia a livello personale sia civico. Le azioni intraprese si snodarono in due direzioni: una verso la società, attuando un’opera di sensibilizzazione sull’importanza del voto diretta alle donne, e al contrario la seconda verso le istituzioni. La campagna suffragista aveva l’obiettivo di sensibilizzare il maggior numero di donne possibile, si tennero comizi, distribuirono volantini ed opuscoli, si andò nelle piazze: ci fu un vero dialogo da donna a donna in modo da avvicinare nel migliore dei modi la popolazione femminile alla politica. Persistevano comunque ancora molti dubbi, timori e ostilità verso la politica: le associazioni femminili di conseguenza mirarono alla moderazione scegliendo una transizione non traumatica, per cui alle italiane fu chiesto di entrare in politica senza allontanarsi troppo dalla routine. Tra le iniziative di maggiore rilevanza risiedono la creazione del Comitato Pro Voto, comitato unitario che metteva da parte l’appartenenza al partito, la petizione inviata al CNL in cui veniva richiesto il riconoscimento del diritto di voto, legittimato dai sacrifici della guerra e dalle abilità dimostrate nella resistenza, infine la Settimana Pro Voto. Durante la Settimana Pro Voto era stata appena lanciata una petizione al Governo di Liberazione Nazionale quando il 1 febbraio 1945 il governo Bonomi emanò, tempestivamente, un decreto in cui si riconosceva il voto alle donne: questo non menzionava però il suffragio passivo. Non inserire subito il suffragio passivo non fu casuale. Si discusse a lungo sulle ragioni che spinsero il governo ad emanare il decreto in così poco tempo e la risposta si è trovata nel timore che le donne, accedendo alla politica, avrebbero introdotto in questa scena altri e diversi diritti che sarebbero andati a minacciare la stabilità del paese e che per l’appunto poi rivendicheranno. Di conseguenza si optò per la forma del decreto, forma sbrigativa che non prevedeva neanche un dibattito su un cambiamento di portata epocale. Proprio per indebolire la campagna suffragista, il governo preferì concedere dall’alto il diritto di voto piuttosto che lasciare il merito della conquista all’associazionismo femminile e per

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esteso alle donne. Il diritto al suffragio passivo passò nel marzo 1946 con un altro decreto, anche se vennero escluse le prostitute che non esercitavano la professione nei postriboli. In questo contesto era evidente la condivisione del suffrago femminile, ciononostante ci furono episodi di dissenso al riguardo, da parte dei media così come dalla cittadinanza. Si temeva la rottura che il suffragio avrebbe introdotto nel modello societario, inoltre si pensava che le donne fossero per natura inadatte e impreparate alla vita politica. Il diritto al suffragio passivo arrivò nel marzo 1946 con un altro decreto luogotenenziale che stabiliva l’eleggibilità all’Assemblea Costituente dei cittadini e delle cittadine che avessero compiuto venticinque anni di età il giorno delle elezioni. Il 2 giugno votarono 14 milioni di donne per scegliere tra Repubblica e Monarchia ed eleggere i membri dell’Assemblea Costituente. Con 12.718.641 voti la Repubblica vinse. I dati smentirono di netto le previsioni anti suffragiste, non ci fu maggiore astensionismo rispetto agli uomini, inoltre mostrarono un’Italia divisa in due: un centro-nord repubblicano e un sud monarchico. Quel giorno fu immortalato anche dalla stampa che pose particolare attenzione alla presenza delle donne, in particolare all’aspetto fisico, e questo evidenziò forte maschilismo e scarsa condivisione del suffragio. Dallo spoglio dei voti risultò che tra i 556 deputati eletti all’Assemblea Costituente 21 erano donne: Rita Montagnana, Teresa Noce, Adele Bei, Maria Maddalena Rossi, Elettra Pollastrini, Nadia Spano, Nilde (Leonilde) Iotti, Angiola Minella Molinari e Teresa Mattei del Pci; Elisabetta Conci, Angela Maria Guidi Cingolani, Maria Federici, Vittoria Titomanlio, Laura Bianchini, Maria De Unterrichter Jervolino, Angela Gotelli, Maria Nicotra Fiorini e Filomena Delli Castelli della Dc; Angela Merlin e Bianca Bianchi del Psiup ed infine Ottavia Penna Buscemi del partito l’Uomo Qualunque. La più anziana era Angela Merlin, mentre la più giovane Teresa Mattei. Tra loro erano presenti anche le presidenti di UDI (Rossi) e CIF (Federici). Il divario di genere fu enorme e nonostante fosse stato messo in evidenza da alcune amare riflessioni, per la maggiore si ritenne accettabile trattandosi di una novità; rappresentò, però, uno dei segni che indicarono la fatica fatta dalla società italiana nell’affidare alle donne la rappresentanza della nazione, di un ideale politico. Il 25 giugno è il giorno di insediamento dell’Assemblea Costituente e, considerando le diversità delle culture e degli orientamenti, in 19 mesi tra il 1946 e il 1947 vengono scritte le regole della cittadinanza democratica. L’attenzione che la stampa in questo scenario rivolge alle elette non prese in grande considerazione le loro competenze politiche e usò un metro di giudizio diverso da quello usato per gli uomini: si concentrò sulle loro caratteristiche estetiche, diede rilievo a abiti, acconciature, insistette molto anche sui canoni di bellezza e bruttezza, infatti ,era radicata l’idea che l’entrata delle donne in politica le avesse private della loro naturale femminilità, a riprova di questo coloro le quali non rispettavano i canoni di bellezza tipici andavano incontro ad una vera e propria messa in ridicolo dell’aspetto fisico. Il richiamo alla bellezza, l’accento sugli aspetti frivoli del femminile, visti come elegante arredo, in ambito politico erano quindi funzionali a riportare alla stabilità quel disequilibrio che si era creato con il passaggio dal privato al pubblico e che aveva reso la donna politica un pericolo per il potere maschile. Le parole che dalla stampa femminile si elevarono in difesa delle costituenti misero invece l’accento sulle virtù domestiche e materne, anche per rendere meno minacciosa agli occhi della popolazione femminile l’immagine della donna politica così lontana dalla tradizione del quotidiano. Al centro del dibattito dell’Assemblea le donne pongono i diritti sociali e promuovono una rete di servizi, convinte che la partecipazione delle donne alla sfera pubblica

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richiedesse un incremento dello stato del benessere. Loro hanno introdotto nella Costituzione il principio di uguaglianza tra cittadini e cittadine con l’Art. 3, sul principio di uguaglianza dei diritti tra cittadini e cittadine. Non mancarono dibattiti sul diritto al lavoro e l’accesso alle professioni, sulla parità salariale tra uomo e donna e sulle garanzie per quanto riguardava la lavoratrice madre poiché le donne si trovavano a svolgere un doppio ruolo, quello di cura domestico e quello pubblico; c’era l’esigenza di riconoscere quindi una nuova dignità alla madre e al bambino. Nei mesi in cui l’Assemblea Costituente lavorò con motivazione ed entusiasmo Montecitorio fu investito di un profondo senso di responsabilità nei confronti di una Nazione distrutta dalla guerra e dal regime. Le costituenti erano consapevoli dell’importanza del loro compito, un compito complesso che nonostante la stima reciproca fra eletti ed elette le metteva difronte ad alcune resistenze, esempio ne era la vena paternalistica con cui furono accolte dai colleghi e la loro poca sensibilità nei confronti delle tematiche sulla condizione della donna, un compito che seppero affrontare andando oltre le divergenze e i contrasti che ci furono, a volte anche profondi, vista la diversità di idee, dirigendo il confronto verso una convergenza di significato, data anche dalla consapevolezza di essere una minoranza che avrebbe dovuto battersi e difendere i diritti delle donne italiane. All’interno delle Sottocommissioni e in Plenaria tra i temi maggiormente trattati dalle elette ci fu quello del lavoro, dove promossero con comune intento il diritto per le donne all’accesso alle professioni, la parità salariale, le garanzie alla lavoratrice madre. Il tema della famiglia fu il terreno in cui le differenze di opinioni portarono ad ampi dibattiti, proprio perché fu messo in discussione il concetto stesso di famiglia a partire dai ruoli di genere presenti in questa istituzione. I contrasti più profondi in seno al tema della famiglia si ebbero, però, riguardo l’indissolubilità del matrimonio, materia che fece emergere concezioni molto diverse sulla famiglia: la Dc avrebbe voluto che l’indissolubilità diventasse un soggetto presente nella Costituzione, come il riconoscimento della famiglia fondata sul matrimonio come società naturale e quindi antecedente lo Stato, mentre il fronte laico era contrario all’affermazione dell’indissolubilità nella Costituzione ma non vi era presente unanimità per quanto riguarda la concezione di famiglia quale società naturale. Nonostante i tentativi non si riuscì ad arrivare ad un compromesso e, giunti al voto in un clima teso, l’indissolubilità non entrò nella Costituzione per soli tre voti. L’indissolubilità rappresentò una tematica delicata perché direttamente associata al divorzio, che negli anni del dopoguerra veniva considerato un vero e proprio tabù del quale si evitava di parlare; per quanto riguarda il ceto politico femminile le opinioni favorevoli o contrarie spaziavano trasversalmente ai vari partiti e anche coloro le quali erano a favore usavano cautela nel dichiararlo, perché il divorzio minacciava la distruzione del nido domestico che in quel momento storico rappresentava una rassicurazione per il popolo italiano. Altra opposizione che tutto il fronte femminile dovette fronteggiare fu quella nata dal dibattito sull’accesso ai pubblici uffici e alla magistratura, le posizioni di coloro i quali si opponevano all’accesso delle donne a queste cariche furono colme di arbitrari e infondati pregiudizi legati al genere che ancora una volta non permettevano alle donne di prendere pienamente parte alla sfera pubblica essendo nuovamente relegate a quella privata. Gli oppositori si rifaceva...


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