Riassunto libro Primo Levi PDF

Title Riassunto libro Primo Levi
Course Letteratura italiana contemporanea
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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Riassunto dell'introduzione e dei primi tre capitoli riguardanti i testi del "Sistema periodico", "Se questo è un uomo" e "La tregua". ...


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Riassunto Primo Levi 0. Introduzione Nell’estate del 1942 Primo Levi lascia la sua casa torinese per lavorare a Milano. → “Chiamatemi Ismaele” è il memoriale esordio del romanzo di Melville: la voce narrante ha vissuto un’esperienza prossima alla morte (neardeath experience) e vuole renderne partecipe il lettore. Ismaele è un messaggero, il solo scampato per riferire i mali che hanno colpito la famiglia. → Anche Levi, reduce da un naufragio in cui ha rischiato di finire sommerso, convoca accanto a se il lettore, cittadino ideale di una democrazia della scrittura; come il Vecchio Marinaio di Coleridge è alla disperata ricerca di qualcuno che ascolti la sua testimonianza. Shemà, cioè Ascolta, la poesia che apre il suo libro “Se questo è un uomo”, è un‘apostrofe rivolta a chi legge. Con gli stessi toni, Levi si rivolge al visitatore nel testo del 1980 per l’inaugurazione ad Auschwitz del Memoriale degli italiani caduti nei campi nazisti. Le pagine di Levi non chiedono al lettore solo di ascoltare: lo esortano a meditare, gli pongono domande, gli chiedono di porsi nella stessa condizione di chi ha sofferto. Soprattutto gli forniscono materiali perché possa giudicare ed emettere una sentenza. La scrittura di Levi non è la parola dell’assente che si rivolge all’assente. Assume le forme di un dialogo, è un faccia a faccia come accade nelle narrazioni orali del proprio vissuto che hanno spesso preceduto gli scritti. Marco Belpoliti ha ripreso l’immagine che Walter Benjamin in Angelus Novus proponeva del narratore nato: un personaggio presso il quale il lettore ama rifugiarsi come presso un fratello. Levi desidera condividere la propria e l’altrui esperienza; riceve confidenze perché sa prestare ascolto. Come Mendel, il partigiano ebreo di Se non ora, quando?, Levi interroga e si interroga; spesso le sue domande sono le stesse di quella filosofia da cui il suo spirito positivo lo teneva distante; l’ambigua natura umana, l’enigma del male, la responsabilità verso gli altri e verso la natura, i temibili benefici della tecnica. Cesare Cases osservava che Levi appare linguisticamente un classico: nelle sue pagine si manifesta un paesaggio verbale inconsueto nella prosa contemporanea. Nei trent’anni trascorsi dalla sua morte, è cresciuta

l’attenzione dedicata a Levi, rivelandone i molteplici profili, non più solo quello di massimo testimone di dell’orrore dei campi di sterminio, ma anche dell’indagatore dei cammini della fantascienza, l’osservatore dell’universo dei misteri, l’erudito vagabondo nei territori che si aprono fra cultura umanistica e scientifica, l’esploratore delle speranze e delle paure scatenate dalla tecnica, l’etnologo/ etologo che si rivolge al mondo animale per comprendere le forme della vita umana, e il custode della ricchezza della tradizione ebraica. 1. Il sistema periodico: la formazione di un chimico 1.1 La radice ebraica Quando, il 26 febbraio 1944, scende dal vagone che insieme ad altri 650 ebrei italiani lo ha condotto ad Auschwitz, Primo Levi non ha ancora compiuto 25 anni. Suo padre, Cesare, ingegnere che aveva lavorato anche all’estero, aveva sposato nel 1917 Ester Luzzati, come lui appartenente alla comunità ebraica torinese, comunità fortemente integrata nel tessuto economico e sociale e gratificata dal dono dell’alfabetismo. → In Il sistema periodico (1975), che trae dagli elementi chimici titoli dei suoi capitoli, il primo, Argon, è dedicato agli antenati sefarditi, giunti dalla Spagna verso il 1500. Levi li paragona a quei gas inerti che portano nomi curiosi, Neon (nuovo), Cripton (nascosto), Xenon (straniero) e Argon (l’inoperoso). Levi narra con umorismo partecipe le disavventure amorose o economiche, le stranezze e le debolezze di quei parenti, i cui aneddoti sono parte della memoria familiare. Gli episodi sapidi e dolenti della ricerca delle radici domestiche si alternano all’indagine di altre radici, quelle linguistiche. Quel piccolo popolo parlava un gergo ibrido, dove l’ebraico si era fuso con desinenze e flessioni piemontesi: yiddish parlato da zie e zii, avi che infarcivano il dialetto di termini ebraici storpiati, anche per non farsi capire dai cristiani, i gojim. E’ un linguaggio carico di una mirabile forza comica. E’ il contrasto proprio all’ebraismo della Diaspora, in bilico fra vocazione e miseria quotidiana. Non era però l’appartenenza all’etnia ebraica a essere avvertita come determinante nell’identità del giovane Primo. In famiglia si era conservata la tradizione dei riti principali, si andava alla sinagoga in occasione delle feste più importanti, ma a dominare era uno spirito laico, tipico della borghesia delle professioni dell’età post-risorgimentale. E’ l’Italia la sua patria, Torino e il Piemonte sono la sua Heimat, la sua terra materna. Fino all’adozione nel ’38

delle leggi razziali da parte del regime fascista, l’origine ebraica costituiva un fattore trascurabile. → essere ebreo, ribadirà Levi nella prefazione all’edizione scolastica di La tregua (1965), significava consapevolezza di appartenere a un popolo con una lunghissima storia alle spalle, una benevola incredulità nei confronti della religione. 1.2 L’interesse per le scienze Fra i libri della biblioteca paterna molti erano di divulgazione scientifica, espressione di quella cultura tardo- positivistica, influenzata fortemente dal darwinismo e, a Torino, anche dall’insegnamento di Cesare Lombroso. Primo sogna di diventare un astronomo o un linguista: la passione per le parole conferma con complicità tra la forma mentis del chimico e quella dell’enigmista. Nel ’34 Levi entra nel prestigioso Liceo classico d’Azeglio, ormai quasi del tutto fascistizzato e allineato alla riforma promossa nel ’23 dal ministro della Pubblica istruzione, il filosofo neoidealista Giovanni Gentile. La riforma attribuiva una funzione formativa al Liceo classico, in quanto solo la cultura umanistica, storico- filosofica e letteraria, dava espressione al progredire dello Spirito. Gli pseudoconcetti delle scienze possiedono solo valore informativo e strumentale. → nel Dialogo con il fisico Tullio Regge, Levi parlerà della curiosa sensazione che ci fosse una congiura ai suoi danni, la congiura gentiliana, come se le fonti del sapere scientifico fossero pericolose per l’indottrinamento voluto dal regime. Gli anni del Liceo indirizzano gli interessi di Levi verso la chimica, avvertita come un sapere del concreto, finalmente positivo nel senso di Comte, fattuale e controllabile: essa consente il contatto diretto con la materia, costituisce il ponte fra il mondo delle carte e il mondo delle cose. Rispetto al sapere libresco impartito dalla scuola, la chimica è una pratica che pone le ipotesi teoriche alla prova dell’esperimento, e in questo modo costringe a mettere alla prova anche sé stessi. 1.3 Il laboratorio Nel 1937 Levi è una delle ottanta matricole dell’istituto chimico della facoltà di Scienze dell’Università torinese. Alla fase delle lezioni teoriche segue l’ingresso nel laboratorio di Preparazioni, un ingresso che assume le forme di una moderna versione dei rituali selvaggi di iniziazione. Si finiva anche per avere un segno di riconoscimento, una cicatrice nel cavo della mano, frutto della ferita provocata dal tubo di vetro piegato a gomito che si rompeva spesso (Il segno del chimico). La prima esperienza di laboratorio, narrata nel

secondo capitolo di Il sistema periodico, Idrogeno, aveva avuto esiti deludenti; è nel laboratorio dell’università che scocca l’ora dell’appuntamento con la Materia: il confronto/ scontro con la realtà materiale produce il vero apprendimento, non il mero imparare ma l’imparare a fare grazie all’utilizzo delle mani. Se l’uomo è artefice, lo è perché ha appreso a servirsi della mano, ed è questo il momento culminante dell’ominizzazione: a suggerirlo, dirà in La chiave a stella (1978) erano le lontane letture darwiniane. Nelle pratica di laboratorio finivano per contare non l’ingegno, la furbizia o la memoria, ma altre virtù: umiltà, pazienza, metodo, abilità manuale. L’attività del chimico sviluppa tutti gli aspetti, sensoriali e razionali, dell’essere umano, abitua a servirsi in modo scaltrito degli occhi per andare oltre le apparenze, dispone a sentire quanto giunge al naso. Gli odori attestano la persistenza del nostro legame con il passato. Nel suo primo giorno di laboratorio, Levi riceve l’incarico di preparare del solfato di zinco: lo zinco è un metallo noioso, non stimola l’immaginazione, ma la preparazione è occasione per una lezione politico-morale. Lo zinco, arrendevole di fronte agli acidi, resiste ostinatamente all’attacco, quando è molto puro: il che potrebbe indurre a trarne una conseguenza moralistica, l’elogio della purezza, ma più congeniale a Levi è la considerazione opposta, l’elogio dell’impurezza. → La chimica diventa filtro interpretativo, chiave di comprensione del proprio ruolo nella società: non più estraneo, ma diverso rispetto alla pretesa ideologica che impone l’uniformità dei sudditi obbedienti. Le leggi razziali che esaltano la purezza ariana, costringono a maturare precocemente a riconoscere con fierezza la propria diversità. → nell’intervista concessa nel 1986 allo scrittore ebreo- americano Philip Roth, Levi spiega come non vi sia conflitto tra il sentirsi italiano e la condizione impura dell’ebreo. 1.4 Chimica e antifascismo Il sistema periodico non è soltanto il romanzo di formazione di un giovane chimico, è al tempo stesso la storia di una generazione, quella formatosi sotto il fascismo e diventata adulta nella lotta partigiana e/o nella deportazione. Il quarto capitolo del libro, Ferro, ci porta al 1939, al tempo in cui si prepara la notte dell’Europa. Levi è ammesso al laboratorio di Analisi qualitativa; ogni studente deve riferire per iscritto quelli metalli e non- metalli sono contenuti nella polverina assegnata dal professore. → non si è più sottoposti al giudizio degli uomini, talora arbitrario, ma al giudizio delle cose. In laboratorio valgono

i principi di lealtà e di merito: chi sbaglia paga, ma l’errore è una lezione che fortifica, le regole sono imparziali, non esistono protetti o privilegiati, finiscono per vincere i migliori, a differenza di quanto accade nel lager. La chimica è portatrice di una morale laica, è una scuola politica antifascista: insegna a far conto sulla propria intelligenza, a rispondere in prima persona delle proprie decisioni, a rispettare il giudizio implacabile della realtà. La materia è l’avversaria infida che mette alla prova, nemica ma al tempo stesso amico, in quanto opposta allo Spirito esaltato del neoidealismo fascista. Ma un’altra materia contribuisce alla formazione di Levi, ed è quella di cui sono composte le pareti delle Alpi piemontesi, su cui intraprende scalate in compagnia di Sandro, un compagno di università, orfano di un padre muratore, e pastore durante le estati. L’amicizia fra i due studenti è l’incontro fra due isolati, Sandro per estrazione sociale, Primo perché scorge negli occhi dei compagni cristiani della diffidenza. Levi vuole convincere Sandro che nella cultura scientifica si può trovare l’antidoto al fascismo: le idee delle scienze riconoscono solo l’autorità della ragione e delle sensate esperienze, non impongono dogmi indimostrabili. Ferro= è la riscrittura di un racconto, La carne dell’orso, che Levi aveva pubblicato nell’agosto del 1961 sulle pagine di , la rivista di Mario Pannunzio. Durante una serata passata in rifugio, i commensali narrano la propria iniziazione all’alpinismo. Il primo narratore rievoca l’esperienza vissuta, alludendo a un marinaio che è Joseph Conrad, maestro segreto, secondo Belpoliti, di Levi. Levi traspone la scuola di vita del mare alla montagna, ma anche nel suo caso l’avventura costituisce l’attraversamento di una linea d’ombra, quella che fa accedere all’età adulta. → Per Levi la narrativa di Conrad è una delle migliori testimonianze di come l’uomo possa costruire sé stesso, in sintonia con quanto vi ritraccia Italo Calvino che, reduce dall’esperienza partigiana, dedica a Conrad la sua tesi di laurea: nello scrittore anglo-polacco Calvino ritrova il senso di una integrazione nel mondo conquistata nella vita pratica. Nel finale di Ferro, l’identità dell’amico viene svelata, come pure la sua sorte: l’amico era Sandro Delmastro, il primo caduto del Comando militare Piemontese del Partito d’Azione. Dopo pochi mesi di tensione estrema, nell’aprile del’44 fu catturato dai fascisti e in seguito ucciso. → riprende come struttura il passo di La tregua in cui Levi narra la morte di Hurbinek, il bambino nato ad Auschwitz. La scrittura svolge funzione

testimoniale, tesse il fragile supporto su cui si stende la conservazione della memoria, nel tentativo di fermare i morti dal morire. Ferro è uno dei racconti più significativi di quella che con lo storico Claudio Pavone potremmo chiamare la moralità della Resistenza. La montagna è stata una scuola di resistenza, una preparazione all’esperienza della guerra partigiana che in Valle d’Aosta vedrà Levi inesperto partecipante; le scalate sviluppano la pratica di virtù essenziali sia nel vivere quotidiano che nei tempi bui, quando resistere significa contare sulle proprie forze. Il capitolo successivo di Il sistema periodico, Potassio, ricorda che le montagne attorno a Torino ha insegnato a Levi la consapevolezza dei propri limiti. Compare in questo testo la triade ‘fame, freddo, fatica’ con cui Levi scandisce in Se questo è un uomo l’universo delle sofferenze in lager. 1.5 La tentazione della fisica Potassio = ci porta al ’41, quando le sorti del mondo sembrano ormai segnate a favore delle forze nazi- fasciste e filtrano le prime notizie sulle atrocità commesse nei confronti degli ebrei. Per i giovani ebrei torinesi, che aspirano faticosamente a inventarsi un proprio antifascismo, non basta l’esigenza di giustizia di cui la Bibbia è portatrice. La chimica stessa non sembra più dare le certezze sperate; resta un sapere artigianale, le cui indicazioni sono simili a ricette di cucina, ma non sanno fornire spiegazioni ultime. Ben diversa appare la razionalità della fisica e della matematica. → è proprio un giovane assistente di Fisica, Nicola Dalla Porta, l’unico docente disposto ad accogliere un laureando di origine ebraica; Levi prepara cosi la tesi, L’inversione di Walden, e due sottotesi orali, una sulle costanti dielettriche e una sui raggi elettronici. Il lavoro affidato dall’assistente a Levi consiste nel controllare se una serie di liquidi complessi obbediscono alla equazioni con cui uno scienziato norvegese, Lars Onsager, descrive il comportamento delle molecole polari. → le sue intuizioni saranno dal dopoguerra il punto di partenza per fondamentali ricerche sia nel campo della transizione dal non- vivente al vivente, sia nella nascita della termodinamica degli stati di non-equilibro, cioè dei processi irreversibili. Levi tornerà sui temi a cui ha dedicato la tesi di laurea in un saggio del 1984, L’asimmetria e la vita. Se la simmetria resta per Levi il criterio della bellezza, del compiuto equilibrio della forma, come attestano le ali della farfalla, è lo

scarto all’equilibrio, la simmetria infranta, al pari dell’impurezza, la condizione per il costituirsi della vita. 1.6 Il chimico ostinato La laurea con lode in Chimica giunge nel luglio del ’41, ma allo sconforto per una guerra che procede a favore delle truppe tedesche si aggiunge la malattia del padre, che un tumore allo stomaco sta portando alla morte. Primo deve trovarsi un lavoro, ed ecco presentarsi un giovane tenente del Regio Esercito; Levi è assunto, in incognito, in una miniera di amianto sotto autorità militare, a Balangero, nord-ovest di Torino; il suo compito è ricavare nichel dia materiali di scarto. Il lavoro nella miniera incantata assume ben resto, un’aura magico-sacrale, s’incontrano il gigante Anteo, i ciclopi, i gironi danteschi e Lucifero; la discesa nella profondità della terra è una regressione alle origini, a una pre-chimica carica delle suggestioni dell’immaginario, delle fantasie che l’umanità, fra attrazione e paura, proietta su quanto si nasconde nell’oscurità. La ricerca nella ciclopica voragine conica si rivela presto deludente, anche se Levi può finalmente misurare quanto ha appreso, non più con una polverina di laboratorio, ma con un pezzo di roccia → la pietra, senza vita e priva di energia, appare pura passività ostile. Nel testo che con maggiore profondità ha interpretato l’episteme del pensiero chimico, Il materialismo razionale, Gaston Bachelard ha osservato che all’ostilità della materia il chimico apprende a rispondere con la propria coscienza ostinata, come se assimilasse le virtù del nemico. Nel lavoro, la materia viene esperita come campo di ostacoli, resistenza da sconfiggere; contro il nichel (-Nicolao) Levi predispone piani di guerra, strategie di attacco, secondo quella logica venatoria che pensa il dialogo sperimentale con la natura in termini di caccia per stanare e catturare il nemico. → Il chimico che affronta un problema intraprende una battaglia, la materia è mistero da esplorare. Nell’immaginazione materiale di Levi a prevalere è l’impulso aggressivo, non il piacere delle carezze o della protezione avvolgente. Il giovane chimico si dedica alla stesura di due racconti minerali che dice di aver trovato miracolosamente dopo decenni e inseriti al centro di Il sistema periodico. Il primo, Piombo, ambientato in un’indefinita epoca arcaica, ha per protagonista un uomo del Nord il cui lavoro consiste nell’estrarre piombo dalle vene sotterranee della terra. Nel secondo racconto, Mercurio, la scoperta di

una grotta, dove scorrono gocce lucenti e pesanti di una materia fredda e viva, è l’occasione per rievocare l’immaginario erotico dell’alchimia, quello indagato da Carl Gustav Jung. Rivelatosi inutile il progetto nella miniera, Levi è costretto a cercarsi un altro lavoro. Contattato dal rappresentante di una ditta svizzera, la Wander, filiale della Nestlé, specializzata nella fabbricazione di prodotti farmaceutici, si trasferisce a Milano nel luglio del 1942, in un laboratorio dove ritrova un’amica e compagna di studi. Il lavoro a cui Levi è chiamato consiste nell’esaminare il contenuto di fosforo di decine di piante, per ricavarne estratti da infilare nell’esofago dei conigli; la sperimentazione viene presto abbandonata quando un bombardamento notturno sfonda tutte le gabbie. Il capitolo si chiude sulla sensazione di vuoto che Primo prova accanto all’amica, con la quale scambia un fuggevole abbraccio. Al tempo della stesura di Il sistema periodico, Levi rivede l’amica ogni tanto a Milano; entrambi hanno l’impressione che un velo li abbia deviati su due strade divergenti → il tema del ruolo dell’evento aleatorio nel determinare la sorte degli individui si troverà anche in altre pagine leviane. 1.7 L’esperienza partigiana Nel ’43 Levi vive in una comune di giovani ebrei economicamente indipendenti a Milano. Altri maestri prendono il posto di quelli- la Bibbia, la chimica e la montagna- a cui Primo si era affidato, maestri ridotti al silenzio per vent’anni, come Salvemini, o eliminati dal regime come Gramsci e Gobetti, attivi nella Torino pre-fascista, o come i fratelli Rosselli fatti uccidere in Francia e ispiratori del gruppo di Giustizia e Libertà. Dopo la caduta di Mussolini, la guerra sembra giunta al termine, Levi e i suoi amici possono partire per le ferie in montagna; la notizia dell’armistizio con gli Alleati l’8 settembre li riempie di gioia, prima del risveglio segnato dalla presenza del serpente verde-grigio delle divisioni tedesche per le vie di Milano e Torino. Lasciato l’impiego, Levi si reca nel paese di Brusson, non lontano dal confine francese, dove si è formato un gruppo di resistenti. Il 13 dicembre 1943 i soldati della Milizia fascista chiudono in una morsa undici partigiani inermi, e Levi, con altri due compagni, viene portato ad Aosta. Durante il viaggio si trova alle spalle di un milite repubblichino dalla cui cintura penzola una bomba a mano, e medita, ma senza trovare il coraggio di farlo, di farla scoppiare. → stessa situazione che si ritrova in un racconto, Fine del Marinese, inviato da Levi a Piero Calamandrei e pubblicato sulla

rivista nel ’49. Nella finzione narrativa, il partigiano catturato, dai tedeschi e non dai fascisti, fa scoppiare la bomba, muore insieme a quattro soldati co...


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