Riassunto Libro 2 CIAN - appunti PDF

Title Riassunto Libro 2 CIAN - appunti
Course Diritto commerciale
Institution Università di Bologna
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RIASSUNTO LIBRO 2 CIAN, DIRITTO COMMERCIALE PROF. ANTONIO ROSSI.SEZIONE PRIMA: IL FALLIMENTOCAP. 1 I PRESUPPOSTI DEL FALLIMENTO E L’APERTURADELLA PROCEDURALe procedure concorsuali vengono applicate all’imprenditore che esercita un’attività commerciale, le quali dimensione dell’azienda consentano di ...


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RIASSUNTO LIBRO 2 CIAN, DIRITTO COMMERCIALE PROF. ANTONIO ROSSI.

SEZIONE PRIMA: IL FALLIMENTO

CAP. 1 I PRESUPPOSTI DEL FA FALLIMENTO LLIMENTO E L’APERTURA DELLA PROCEDURA Le procedure concorsuali vengono applicate all’imprenditore che esercita un’attività commerciale, le quali dimensione dell’azienda consentano di qualificarlo come ‘’non piccolo’’, che sia privato, esclusi cioè gli enti pubblici ed escluse anche le star up innovative, soggette alle procedure concorsuali previste per il c.d. debitore civile dalla l. 3/2012. In questo contesto delle procedure fallimentari che si è dibattuto in merito alla definizione dei singoli requisiti che definiscono i confini della fattispecie ‘’impresa’’. Tentativo di introdurre una disciplina unitaria con la Legge delega 155/2017 per la riforma organizza del vigente ordinamento concorsuale (che abroga la legge fallimentare e la legge 3/2012) delineando una procedura unitaria per la regolazione dell’insolvenza e della crisi di qualsiasi debitore, rimane un tentativo incompiuto. In particolare, per quanto riguarda l’esenzione dell’impresa agricola dal fallimento, riportiamo il d.lgs. 228/2001 con il quale, l’impresa agricola è stata ampliata oltre ai confini che la delineavano nella versione originaria del 2135 c.c. rendendola compatibile con lo svolgimento di attività, che forse in precedenza sarebbero state qualificate come commerciali. Inoltre, ancora più recente l’art 23 comma 43 del d.l. 228/2011 con il quale è stato concesso all’imprenditore agricolo insolvente o in crisi la possibilità di avvalersi di strumenti di composizione della crisi, come accorsi di ristrutturazione dei debiti e la transazione fiscale, previsti dalla legge fallimentare. Le variabili caratteristiche del debitore possono di caso in caso veder applicato un diverso trattamento della sua insolvenza. Art 2221 ‘’i piccoli imprenditori insolventi non sono soggetti alle norme sul fallimento e sul concordato preventivo ’’. Decreto correttivo 169/2007 art 1 comma 2: - Fissa dei parametri dimensionali, che eliminano ogni riferimento al concetto di piccolo imprenditore. - Grava il debitore dell’onere probatorio di dimostrare il possesso dei requisiti della non fallibilità e cioè di dimostrare che non supera la soglia fissata. - Ricorrere congiunto di tre parametri riferibili all’impresa come soglia di non fallibilità: 1. aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiori, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300.000€. 2. aver realizzato, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito all’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200.000€. 3. avere un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a 500.000€ Perché possa darsi assoggettamento al fallimento, la legge richiede la sussistenza di un’altra condizione, oltre a quelle già citate sopra: lo stato di insolenza che rappresenta il presupposto oggettivo del fallimento. Infatti, secondo l’art 5 comma 1, l’imprenditore che si trova in stato di insolvenza è dichiarato fallito. Il comma 2 specifica poi: lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimento od altri fattori esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Emergono due profili del presupposto oggettivo del fallimento: quello intrinseco, legato alla condizione di obiettiva impotenza finanziaria e quello estrinseco, legato alla soggettiva percettibilità di tale condizione attraverso fatti esteriori he la manifestano. INTRINSECO: deve innanzi tutto rilevarsi che l’incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni rappresenti una situazione pregiudizievole nei confronti di tutti coloro che vantino crediti nei confronti dell’imprenditore. L’incapacità a adempiere regolarmente le proprie obbligazioni viene dalla legge riconosciuto come rilevante nella sua obiettività, a prescindere cioè dalle eventuali responsabilità del debitore, non importa il numero di creditori, di obbligazioni, il loro ammontare. Tutto questo in particolare perché si tende a concentrarsi sull’art. 15 comma 9 secondo il quale ‘’ non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei

debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro 30.000’’. La condizione prevista dalla legge consente di chiarire meglio il rapporto tra insolvenza e inadempimento, si parla in questione del requisito della regolarità, dal quale deriva che potrebbe esservi un’incapacità ad adempiere regolarmente anche quando non si verifichi ancora alcun inadempimento. La regolarità dei pagamenti, infatti evidenzia come lo stato di insolvenza sia da valutarsi in generale con riferimento alla complessiva ‘’attività solutoria’’ e non ai singoli atti solutori. In altri termini se è pur vero che la condizione di insolvenza rileva nella sua attualità, è pur vero che la irregolarità degli adempimenti, almeno se dipenda da una causa strutturale dell’organizzazione dell’impresa, già rileva come insolvenza proprio perché lascia pronosticare che il debitore a breve non potrà più adempiere neppure irregolarmente. Il che costituisce un pericolo attuale e non solo temuto per i creditori dell’impresa. Un’ insolvenza soltanto temuta a causa ad es. di un andamento economico negativo dell’impresa, potrà rilevare un più generico stato di crisi e di conseguenza il concordato preventivo le cui finalità sono quelle di anticipare e prevenire un’insolvenza vera e propria. Il concetto di ‘’capacità’’ esprime un mero concetto di potenzialità, quindi, potrebbe esservi capacità di adempiere regolarmente pur in presenza di uno o più inadempimenti. ESTRINSECO: prevede l’art.5 che l’incapacità ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni deve manifestarsi con inadempimenti o con altri fatti esteriori (sentenza di condanna, fuga, suicidio, chiusura dei locali dell’impresa…). Di importante valutazione anche le risultanze contabili, specialmente il bilancio, sebbene però sbagliato affrettarsi nell‘affermare un’insolvenza sulla base di uno sbilancio patrimoniale poiché non pregiudica la regolarità degli adempimenti. Ipotesi particolari: non sufficienti • l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati se non eccedono i 30000 euro non può dichiararsi fallito un imprenditore. • Liquidazione coatta amministrativa. • Amministrazione straordinaria • Art. 156 patrimoni destinati ad uno specifico affare previsti e disciplinati dall’art. 2447 bis. Se infatti lo ‘’specifico affare’’ inteso come parte dell’attività d’impresa prevista dall’oggetto sociale può di per sé considerarsi, almeno in alcune ipotesi, attività d’impresa anche commerciale, quando il patrimonio destinato non risulti sufficiente a far fronte alle obbligazioni contratte dalla società per l’esecuzione dell’affare stesso, è esclusa una dichiarazione di fallimento della società. Altro esempio il c.d. contratto di rete attraverso il quale più imprese possono svolgere un’attività imprenditoriale dedicandovi un patrimonio separato restano però imputabile alle imprese aderenti al contratto. Non necessari: • In particolare, si parla del caso dell’imprenditore defunto’’ quindi che ha cessato l’esercizio dell’impresa, dichiarandone il fallimento solo dopo un anno dalla morte. Si parla di ‘’fallimento senza impresa’’ o ‘’fallimento senza imprenditore’’, il fallimento viene dichiarato nei confronti dell’ex imprenditore, oppure a seconda dei casi, nei confronti della società estinta ma gli effetti della procedura potranno avvalersi nei confronti dei soggetti di diritto attualmente esistenti, da individuarsi in base ai rapporti giuridici con l’effettivo titolare dell’impresa. Si parla anche di ‘’morte del fallito’’ cioè morte dell’imprenditore dopo essere stato dichiarato fallito e in questo caso la procedura continua nei confronti degli eredi anche se hanno accettato con beneficio d’inventario (ciè in mancanza di accettazione, nei confronti del curatore dell’eredità giacente) L’APERTURA DELLA PROCEDURA: il fallimento è dichiarato dal tribunale civile per iniziativa privato o pubblica a) PRIVATA: (più frequente) da una parte l’iniziativa privata corrisponde all’iniziativa di uno o più creditori, i quali proporranno ricorso al tribunale, provando la loro qualità dei creditori. Quindi essi dovranno provare l’esistenza di un credito allegando anche la sussistenza di presupposti del fallimento, con mezzi di prova a supporto. Dall’altra parte può essere lo stesso debitore che sempre con ricorso può chiedere di essere dichiarato fallito (c.d. auto fallimento). Se si tratta di società di persone, la decisione di proporre ricorso dovrà essere presa dai soci che rappresentano la maggioranza del capitale e se si tratta di società di capitali, dagli amministratori.

b) PUBBLICA: l’iniziativa è affidata alla richiesta di un pubblico ministero al quale risulti l’insolvenza di un’impresa fallibile. Ciò può accadere per effetto della notizia di alcuni fattori esteriori rivelatori dello stato d’insolvenza come la fuga, l’irreperibilità…oppure durante un procedimento penale al quale partecipi il PM. L’apertura del fallimento dovrà essere richiesta dal PM quando comporti una confisca o sequestro preventivo dei beni aziendali ai sensi e per le finalità previste dal codice antimafia. La notizia potrebbe pervenire al PM anche tramite segnalazione di un giudice civile che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento. Il tribunale competente sarà quello del luogo dove si trova la sede principale dell’impresa. ‘’Luogo’’ designa il posto dove effettivamente si concentra la direzione dell’impresa, dove si trova l’attività amministrativa e direttiva e dove è dunque conveniente che si insedi il curatore fallimentare al fine di occuparsi della procedura fallimentare. Il procedimento per la dichiarazione di fallimento è volto all’accertamento dei presupposti che la legittimino (c.d. istruttoria fallimentare) secondo un regime probatorio. Il collegio del tribunale può emettere su istanza ‘’provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa’’ es: limitando con un’inibitoria o con un sequestro conservativo i poteri di disposizione del debitore o le iniziative dei creditori, ovvero sottoponendo a controllo l’esercizio dell’impresa. Se non avviene una pronuncia di incompetenza del tribunale o una rinuncia agli atti del creditore (c.d. desistenza) in cui avviene un decreto di archiviazione prima della pronuncia, il procedimento si conclude normalmente con una sentenza dichiarativa di fallimento oppure con un decreto di rigetto. La sentenza dichiarativa di fallimento, necessariamente motivata ha natura di accertamento costitutivo. Gli effetti connessi all’apertura della procedura si produrranno nei confronti delle parti dopo che sia stata notificato o comunicata (pubblicazione) e nei confronti dei terzi dopo la sua iscrizione nel registro imprese. La sentenza conterrà ulteriori provvedimenti di natura ordinatoria per la prosecuzione della procedura: nominando alcuni organi come giudice delegato e curato, ordinando al fallito il deposito della documentazione relativa alla sua situazione economico-finanziaria. Contro la sentenza può essere proposto reclamo dinanzi alla Corte di appello dal debitore o da ogni altro interessato (creditori, terzi, eredi), che comunque non sospenderà gli effetti della sentenza impugnata. All’esito del procedimento introdotto con il reclamo la corte d’appelli con sentante (ricorribile poi per cassazione) potrà rigettare il reclamo ed allora la procedura fallimentare prosegue, oppure accoglierlo e revocare il fallimento che produrrà effetti retroattivi, come se una dichiarazione di fallimento non vi fosse mai stata. La procedura per la dichiarazione di fallimento potrebbe concludersi anche con un motivato decreto di rigetto fondato sull’accertata insussistenza dei presupposti, oggettivo, soggettivo, del fallimento, della soglia dei 30mila euro di debiti scaduti facenti capo all’impeditore. Anche il decreto di rigetto può costituire oggetto di reclamo dinanzi alla corte d’appello, entro 30 giorni dalla sua comunicazione, se verrà accolto il reclamo la corte d’appello non provvederà direttamente alla dichiarazione di fallimento ma rimetterà gli atti al tribunale.

CAP 2 GLI ORGANI DEL FALLIMENTO 1. IL TRIBUNALE: è il tribunale che apre la procedura dichiarando il fallimento. Non soltanto nomina giudice delegato e curatore ma può anche sorvegliare lo svolgimento della procedura, quindi può revocarli o sostituirli per giustificati motivi. Ha rapporti diretti con il giudice delegato e si può mettere a disposizione per ascoltare altri organi fallimentari e lo stesso soggetto fallito. Questo rappresenta un rapporto di sovra ordinazione e non un rapporto gerarchico, in quanto manca il potere di imporre direttive formalmente vincolanti. La sovra ordinazione del tribunale si esprime nel potere di decidere tutte le controversie relative alla procedura che non siano competenza del giudice delegato, (per esempio: i reclami contro i provvedimenti del giudice delegato o la revoca del curatore) e tutte le azioni che derivano dal fallimento. Con quest’ultimo termine facciamo riferimento alle cause che non sono espressamente previste da una specifica previsione legislativa e che si verificano a rapporti preesistenti al fallimento, ma derivano dal fallimento, cioè di cause che in assenza delle procedure fallimentari o non sarebbero proponibili o sarebbero di competenza di altri giudici, ma per il fatto che derivino dal fallimento determinano una competenza inderogabile del tribunale fallimentare. Non si devono considerare derivanti dal fallimento invece quelle cause che il fallito avrebbe potuto proporre per suo conto, a prescindere dal fallimento,

come pretendere il pagamento di una fornitura effettuata. Tutti i provvedimenti del tribunale sono assunti con decreto (revocabile e modificabile), che può essere reclamabile (cioè presentare lamentela giustificata e motivata) dalla Corte D’Appello. Un eventuale reclamo può essere proposto entro 10 giorni dal curatore, dal fallito, dal comitato dei creditori e da chiunque vi abbia interesse ma non sospenderà l’esecuzione del decreto. Esso verrà deciso entro 30 giorni dall’esito di una procedurale camerale con decreto della Corte che se incidente su diritti soggetti come potrebbero essere compensi spettanti al curatore, si ritiene soggetto a ricorso per Cassazione. Lo stesso procedimento regola anche i reclami verso i decreti del giudice delegato. 2. IL GIUDICE DELEGATO: è con decreto che il giudice delegato assume le decisioni attraverso cui svolge il suo ruolo centrale per la procedura. •



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Egli vigila e controlla la regolarità della procedura. La vigilanza del giudice presuppone un’adeguata informazione che gli venga pervenuta dal curatore nella sua relazione iniziale e nei successivi rapporti, può pervenirgli anche sollecitando il curatore o il comitato dei creditori ogni qualvolta lo ritenga opportuno. Ha un rapporto stretto col tribunale, in quanto svolgono entrambi la funzione giurisdizionale. Questo rapporto si instaura nel momento in cui il tribunale nomina il giudice delegato, il quale è tenuto a riferire ogni affare per cui viene richiesto provvedimento da parte del tribunale e anche in merito alle controversie sulle quali sono chiamati a decidere. Il giudice può nominare e/o revocare il comitato dei creditori. Ha inoltre ampi poteri autorizzatori, autorizzando alcune scelte gestorie del curatore (come può essere quella di continuare l’esercizio dell’impresa o di affittare l’azienda…) Può inoltre decidere i reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori, per un controllo di legittimità. Ha la funzione di accertare i crediti e gli altri diritti varianti dai terzi insinuati al passivo. Emette o provoca dalle competenti autorità i provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio. Fra i provvedimenti emessi si trovano i c.d. decreti di acquisizione con i quali si attesta l’appartenenza di taluni beni all’asse fallimentare. Se l’acquisizione risulta non pacifica in quanto contestazioni da parte di terzi, che non intendano cedere la disponibilità dei beni di cui si tratta, l’acquisizione non è immediata ma si attuerà solo all’esito di un procedimento che accerti in sede contenziosa davanti al tribunale.

3. IL CURATORE: il curatore nominato dal tribunale fra soggetti che presentano particolari requisiti di professionalità, esperienza ed indipendenza, è l’organo che è investito dalla qualità di pubblico ufficiale che operativamente fa carico di attuare le finalità della procedura. •

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Egli ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura, è pertanto legittimato a compiere atti negoziali con terzi (ad. Esempio stipulando un contratto di affitto dell’azienda o vendendo beni dell’asse fallimentare). Sta in giudizio per conto della procedura. È sostanzialmente autonomo, in quanto anche perché i suoi atti possono costituire oggetto di reclamo ma solo dal punto di vista di violazione della legge. Deve presentare una relazione particolareggiata sulle cause e sulle circostanze del fallimento, sulla condotta e le eventuali responsabilità del fallito al giudice delegato, dopo l’inizio della sua attività. Ogni 6 mesi un rapporto riepilogativo delle attività svolte.

Tutte le comunicazioni, del curatore, durante la procedura, dovranno, secondo legge fallimentare riformata dall’art 17 d.l 179/2012, essere effettuate all’indirizzo di posta elettronica certificata indicata dai destinatari. Gli interessi del creditore possono essere vari, si parla di interessi dei creditori da soddisfare attraverso la procedura, come ad esempio quando agisce per la reintegrazione del patrimonio fallimentare o provoca la sua liquidazione o di interessi del fallito, facendo determinate scelte non condivise dai creditori, motivo di reclamo. Il curatore necessita autorizzazione da parte del giudice delegato per quegli atti che prevedono di continuare l’esercizio dell’impresa o ad affittare l’azienda e di autorizzazioni da parte del comitato dei creditori per ciò

che riguarda gli atti di straordinaria amministrazione, esempio per le transizioni, risoluzione di crediti, ecc. (per le transizioni superiori ai 5000 euro è necessario anche informare il giudice delegato). All’esito del suo mandato il curatore renderà conto della gestione e salvo contestazioni potrà dirsi liberato da responsabilità. Si tratta di responsabilità civile e di natura contrattuale. 4. COMITATO DEI CREDITORI: Il comitato dei creditori è chiamato a condividere le iniziative del curatore, spesso autorizzandole (in particolare il piano di liquidazione) talvolta invece limitandosi ad esprimere un mero parere non vincolante. È opportuno che il comitato dei creditori sia composto da creditori scelti dal giudice delegato dopo aver consultato il curatore e i creditori in modo da rappresentare in misura equilibrato quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo alla possibilità di soddisfacimento dei crediti stessi. •

Ha ampi poteri ispettivi ed informativi (chiedendo notizie ed informazioni al curatore e al fallito su tutta la documentazione)

Anche contro tali decisioni è ammesso reclamo al giudice delegato da parte del fallito e di ogni interessato per la violazione della legge.

CAP 3 GLI EFFETTI DEL FALLIM FALLIMENTO ENTO PER IL DEBITORE: 1. LO SPOSSESSAMENTO: la sentenza che dichiara il fallimento, priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento (art. 42 comma 1), per ‘’beni’ si intende ogni situazione giuridica attiva, anche processuale, di cui il fallito sia titolare. Da questo momento e per tutta la durata della procedura tali poteri spetteranno al curatore, al fine di destinare il patrimonio del fallito alla soddisfazione dei creditori, dando attuazione al principio della responsabilità patrimoniale. Tale principio comporta che il debitore risponda non solo con i suoi beni presenti ma anche...


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