Riassunto-Matteucci-Lo-stato-Storia-delle-istituzioni-politiche odt 2 PDF

Title Riassunto-Matteucci-Lo-stato-Storia-delle-istituzioni-politiche odt 2
Author Nadia Fois
Course Diritto Internazionale
Institution Università degli Studi di Cagliari
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-Storia delle Istituzioni politiche-

Matteucci Cap. 1 Una definizione storico-tipologica di Stato

Lo Stato moderno si caratterizza per il monopolio del politico che si manifesta in diversi modi: DIRITTO: stabilisce norme astratte, generali, per evitare ogni forma di arbitrio; AMMINISTRAZIONE BUROCRATICA: basata sulla gerarchia e sulla professionalità. Stato generalmente contraddistinto da tre elementi: POTERE SOVRANO POPOLO TERRITORIO Da questa prima definizione derivano tre importanti conseguenze: Differenza tra Stato e altre forme di potere: •

POLIS GRECA/STATO: la prima caratterizzata da strutture verticali del potere; Stato si presenta invece come un'ente, una persona giuridica.

N.B.: il pensiero classico ha però influenzato fortemente la storia politica dello Stato moderno. •

RES PUBLICA ROMANA/STATO: governo della prima organizzato in magistrature collegiali con compiti specifici, limitate nel tempo. Il popolo si esprimeva attraverso assemblee, comizi per l'elezione dei magistrati e la votazione delle leggi. Lo Stato ad ogni modo subisce l'influenza del diritto romano.

N.B.: il processo di razionalizzazione del diritto privato nello Stato continentale ha come punto di riferimento il diritto romano. •

SISTEMA FEUDALE/STATO: il primo contraddistinto da complicati intrecci di sovranità che non davano unità territoriale allo Stato; parcellizzazione del potere che incentivava le guerre private e le faide. Lo Stato invece, grazie al monopolio legittimo della forza, tende a instaurare la pace al suo interno e ha un rapporto impersonale e pubblico con il

governato. •

TOTALITARISMO/STATO MODERNO: per il primo è il partito, con la sua ideologia, che pervade ogni momento dell'esistenza individuale per poter mobilitare poi le masse; per il secondo è lo Stato, tutto incardinato nel suo ordinamento giuridico e nella sua burocrazia legale, che garantisce la libertà agli individui e ai gruppi sociali; nei regimi totalitari, abbiamo una burocrazia carismatica.

Lo Stato è il risultato di un'accelerazione di processi socioistituzionali; anche le rotture nella storia dello Stato moderno sono difficilmente databili. Le rotture che ci interessano sono essenzialmente tre: l'affermarsi della moderna sovranità; la dislocazione del potere politico dal re al popolo, che non distrugge, ma rafforza lo Stato; l'attuale eclissi dello Stato nella perdita della sua autonomia. La variabile esplicativa unitaria di questo lungo periodo storico che ha come protagonista lo Stato, può essere ravvisata nell'assolutismo. Con assolutismo possiamo inizialmente intendere la concentrazione e l'unificazione dell'effettivo esercizio del potere nei suoi aspetti più politici in una sola istanza (lo Stato, o meglio, il re): un potere monocratico che poteva essere limitato, oltre che dal diritto naturale, dalle leggi fondamentali, ma non controllato dai sudditi. La caratteristica dello Stato, in seguito alle sollecitazioni assolutistiche, è data dal fatto che che questa concentrazione del potere avviene all'insegna di una sempre maggiore razionalizzazione del suo esercizio al fine di aumentarne l'efficienza: abbiamo così una progressiva differenziazione degli uffici burocraticoamministrativi, con la conseguente specializzazione dei diversi ruoli. Lo Stato moderno è costruito come una macchina ed è sempre più gestito come un'impresa, adeguata ai diversi fini politici che si vogliono ottenere. Ad essa si contrappone la società, ancorata alla tradizione. Nasce qui il dualismo tra Stato e società: il primo “artificiale” perché costruito con apparati burocratici, la seconda “naturale” perché sempre esistita. L'integrazione sociale diventa ora opera dello Stato. Proprio perché impresa lo Stato è qualcosa di estraneo al tessuto sociale, per cui le innovazioni sul piano della tecnica di governo sono facilmente imitabili e importabili: i modelli principali sono Inghilterra e Francia ( una ha realizzato con la formazione della common law, l'unificazione della giustizia; l'altra con l'amministrazione centralizzata cerca di togliere autonomia alle comunità cittadine e alle signorie).

Il tipo ideale di Stato avrà certo nei diversi paesi verifiche in tempi diversi e si dovrà adattare a situazioni e tradizioni diverse, ma lo Stato moderno resta una creazione tipica dell'Europa e le varianti nazionali non incideranno sull'unitarietà della creazione, nell'Ottocento, dello Stato nazionale burocratico rappresentativo. Ricordiamo che lo Stato fu costruito per motivi essenzialmente politici, cioè di potere, e le sue future trasformazioni sono sempre trasformazioni di potere. Se dobbiamo personificare lo Stato, troviamo prima i re, poi le élites politiche, ma in una costante distinzione fra governati e governanti. Almeno sino alla guerra dei Sette anni, il politico, è la forza trainante dello sviluppo storico; solo dopo si potrà parlare dell'economia come di un fattore sempre più centrale della vita sociale; ma se lo Stato non ha più un ruolo dominante, non per questo il politico ha perso la sua autonomia. Sino a tutto il Settecento le aree di auto-consumo, estranee all'economia di scambio, restano assai vaste; non solo: i veri centri economici sino a metà Settecento, non sono gli Stati, ma le città-Stato (Venezia, Anversa, Amsterdam, Londra). Il capitalismo, prima mercantile poi industriale, per affermarsi ha bisogno di ordine, della neutralità del potere, della difesa della proprietà privata, contro altre forme di proprietà (comunitaria e signorile) alla quale aspireranno alcune monarchie. Lo Stato nella sua razionalizzazione assicurerà tutto questo: nel Settecento assistiamo a un'accelerazione dello sviluppo economico, a un aumento progressivo della popolazione e a una più intensa mobilità sociale. Alle formazione dello Stato, si accompagnano trasformazioni nel campo culturale come in quello economico. Nel primo campo abbiamo la secolarizzazione della cultura politica; nel campo economico la nascita dello Stato territoriale favorisce un intensificarsi degli scambi: questo processo favorisce la formazione del capitalismo commerciale. La fine dello Stato, o meglio, la sua eclissi, si dà nel Novecento; il suo inizio lo possiamo situare nella seconda metà del Cinquecento. Le cause del suo sviluppo sono meramente politiche: esso cresce non perché dominato da una ratio interna o guidato dal consapevole progetto di una classe, ma per dare precise risposte a precisi problemi politici. Innanzitutto, le pressioni dell'ambiente internazionale: la guerra. Le guerre per il dominio sull'Italia rappresentano una rottura con il passato, di cui i contemporanei (Machiavelli, Guicciardini, Moro, Erasmo) furono perfettamente coscienti: la rottura non si diede solo nell'arte della guerra, ma anche nella necessità di governare gli Stati in modo nuovo e diverso. Lo Stato doveva mirare soprattutto alla propria sopravvivenza in un mondo instabile, e per

sopravvivere, la logica era quella di rafforzare il proprio dominio all'interno. Lo Stato è quindi costretto a diventare più fiscale per estrarre nuove risorse dalla società, ai fini di soddisfare i propri bisogni: nasce così, attraverso un processo molto lento di cui il protagonista fu l'Inghilterra, il monopolio della fiscalità o la nazionalizzazione delle finanze. Tuttavia lo Stato era quasi sempre in deficit. Se guardiamo ai problemi interni, ci troviamo di fronte al problema dell'ordine; agli antichi problemi di concentrare il potere giudiziario nelle mani del re, se ne aggiunge uno nuovo, moderno: le guerre di religione, che di fatto erano guerre civili. Era pertanto necessario far trionfare il primato della politica e dell'ordine mondano su sette religiose intolleranti, che provocavano soltanto disordini in nome del primato della religione. Lo Stato così si secolarizza, perché agisce in nome di principi politici, sia poi che conceda una limitata tolleranza religiosa, sia che organizzi o favorisca una Chiesa di Stato: esso tende sempre a neutralizzare la carica politica della religione per ricondurla al privato. Lo Stato era un'unità superiore dove tutto veniva giudicato in base all'utilità per lo Stato stesso. Viene così rafforzata e portata e compimento la dualità di potere spirituale e potere temporale, ma col rafforzamento del secondo a scapito del primo. Cap. 2 Una parola, un concetto, un fatto Il termine Stato, nel suo significato antico di imperium o moderno di dominio, si afferma solo nel Cinquecento e si afferma con estrema lentezza. Nel linguaggio del Machiavelli, che comincia a usare questo termine bel suo significato moderno, esso conserva ancora significati più antichi, quale l'estensione territoriale o la popolazione o entrambi, come oggetto del dominio; anche in Rousseau con Stato si indica il popolo, quando è il soggetto passivo dell'autorità sovrana. Nella letteratura politica si continuerà a usare per molto di tempo la distinzione medievale fra regnum e civitas. Sino alla Rivoluzione americana e fino a Kant, è dominante il termine res publica, che coglie l'organizzazione politica nella sua dimensione orizzontale, dato che indica la cosa del popolo, la comunità, una vera e propria politeia; parimenti, nel linguaggio filosofico-giuridico si preferisce parlare di societas civilis o di societas politca. Sino alla fine del Settecento non c'è un classico del pensiero politico che porti sul frontespizio il termine Stato. A imporre l'uso della parola è il pensiero realistico,

sono i teorici della ragion di Stato, che si occupano delle cose, degli affari, di Stato. GIOVANNI BOTERO: secondo lui “lo Stato è un dominio fermo sopra i popoli”. Lo Stato deve essere in primo luogo potenza e deve badare al continuo consolidamento di questa potenza; questo si impone non solo nei momenti di ordinaria amministrazione ma anche nei momenti di emergenza o nei casi d'eccezione, dove sono in gioco gli interessi più delicati e difficili ai quali tutto deve essere sacrificato. Si tratta di realizzare la pace interna, imponendo come indiscussa la superiorità dello Stato. Il reggitore deve fare della ragion di Stato la propria sola regola di condotta; la vitalità dello Stato deve sempre essere sottomessa al dominio di una ragione che cerca di controllare un mondo sempre più insicuro, minaccioso, precario. Dalla dissoluzione della sintesi giuridico-politica medievale emerge il momento del gubernaculum, della prerogativa del re di decidere autonomamente al di fuori delle norme giuridiche quando si tratti degli interessi più delicati, svincolandosi dal momento della iurisdictio, nel quale il re era limitato dalla legge. Solo con l'Ottocento, tramite la cultura tedesca, la parola Stato acquista la sua centralità; diventa punto di riferimento comune per discipline che si stanno sempre più differenziando. Con Hegel, protagonista della storia universale è solo lo Stato. I giuristi delimitano un nuovo campo del sapere (“la nostra dottrina dello Stato”) che viene consacrata come disciplina accademica in tutta Europa, tranne che nell'area angloamericana, dove si preferisce parlare di government. Questa è restia a usare il termine Stato, e se lo usa, lo fa in chiave negativa: questo significa che in fondo, abbiamo diverse strutture di potere e di valori politici che privilegiano da un lato, il pluralismo sociale, e dall'altro, l'unità statale. Col Novecento, anche in Europa il termine Stato comincia a perdere il proprio valore scientifico e la propria centralità. In questi ultimi anni c'è un rinnovato interesse per il fenomeno della statualità; due sono i punti di riferimento: da un lato la storiografia tedesca, la quale segue un'ottica che è sociale, istituzionale e culturale;e dall'altro la scienza politica, attenta ai problemi dello sviluppo politico. Se il termine Stato tarda ad affermarsi, il concetto che lo sostanzia è chiaramente delineato alla fine del Cinquecento, da J. Bodin: con il termine sovranità egli vuole indicare il potere di comando in ultima istanza in una repubblica e, conseguentemente, differenziare la società politica dalle altre associazioni umane, nelle quali non c'è un tale potere supremo, esclusivo e non derivato. Il

termine “sovrano” non è nuovo, perché nel Medioevo contrassegnava il potere del re , ma anche qualsiasi posizione di preminenza nel sistema gerarchico della società feudale, per cui anche i baroni erano sovrani nelle loro baronie. Ma ora la sovranità spetta a una sola istanza, e si spezza quindi quella serie infinita di mediazioni in cui si articolava il potere nel Medioevo, per lasciare uno spazio vuoto fra il sovrano, che aspira al monopolio del politico, un individuo sempre più solo e disarmato, ridotto alla mera sfera privata. Bodin, ancora aderiva alla concezione tradizionale: il compito principale del re, in quanto vicario di Dio nel mondo, era quello di dire la giustizia in accordo con le leggi del paese; Les six livres de la République, capovolgono radicalmente l'antica teoria: sovrano è colui che fa e abroga la legge, cosicché non è limitato dalla legge, anche perché il comando del sovrano è superiore ad altre fonti (diritto consuetudinario, diritto romano) le quali si fondavano su un tacito consenso, dovuto a un uso immemoriale nella società. Il diritto, lo ius, non riposa più nello iustum, ma nello iussum. Il nuovo potere legislativo ingloba e riassume tutti gli altri, come dichiarare guerra o trattare la pace, nominare gli ufficiali, ecc, ecc. Bodin distingue lucidamente consuetudine e legge, e individua la funzione della seconda, cioè del comando del sovrano. Pur non negando l'affinità fra la consuetudine e il re, e la legge e il tiranno, egli afferma la superiorità della seconda, mentre la prima può sussistere per semplice tolleranza. Il primato della legge è dovuto al fatto che è essa a dare unità e coesione al corpo politico, perché per suo mezzo si possono imporre ai sudditi determinati comportamenti. Il concetto di sovranità è un potente strumento teorico per l'affermazione dello stato moderno. Distinzione fra: DIRITTO PUBBLICO: ha come fine l'interesse pubblico; questo apre la strada alla spersonalizzazione del potere per cui sovrano è lo Stato e non il re, che non ha libera disposizione del proprio regno, che non è un suo possesso privato. DIRITTO PRIVATO: basato sulla santità della proprietà privata, che il re non può togliere al suddito, se non con una rapina armata. In seguito non è più il potere legittimo di fare le leggi ad avere la massima importanza, ma piuttosto il potere reale di farsi obbedire, attraverso il monopolio della forza o della coercizione fisica; sovrano è il potere di fatto, e la sua legittimità dipende solo dalla sua effettività. Nasce così, la polizia, la moderna pubblica amministrazione; nasce il servizio diplomatico, con un corpo

permanente e specializzato di funzionari; dall'altro lato si trasforma la tecnica militare: appaiono grandi eserciti statali permanenti, dipendenti dal re, che richiedono alle proprie spalle una solida struttura burocratica. Cap. 3 Stato e diritto Differenza tra assolutismo e dispotismo: il primo doveva emettere solo comandi giusti o che si giustificavano secondo razionalità tecnica o secondo l'adeguatezza allo scopo di salvare il regno e mantenere la pace; il secondo era contrassegnato dalla volontà arbitraria del re che agiva spinto da momentanei capricci. Per questi motivi l'esercizio della sovranità veniva limitato dal diritto naturale e dalle leggi fondamentali, e frenato dalla rete degli uffici, delle corti e dei consigli. L'età medievale della supremazia della legge era ancora forte, e i costruttori dello stato moderno erano soprattutto uomini di legge, che lo costruivano per mezzo del diritto. Questo sforzo era favorito soprattutto dal clima culturale del SeiSettecento: contro la ragion di stato, filosofi e giuristi si muovono nell'ambito del diritto naturale e del contrattualismo. La ragione sostituisce insieme la tradizione e la religione; il diritto naturale appare sempre più come un diritto razionale, in antitesi a quella secolarizzazione politica che aveva le sue radici nel volontarismo o nel decisionismo di Occam e Lutero: il diritto naturale è posto sempre come fondamento del diritto positivo. Il contrattualismo, dal canto suo, serve a dare un fondamento razionale al potere, a trovargli una nuova legittimità, oltre quella tradizionale e sacrale del passato: questa razionalità può limitarsi alla garanzia della pace sociale, può esprimersi nel consenso delle leggi tramite una rappresentanza, ma è sempre la ragione a fondare l'obbligazione politica. La codificazione del diritto privato è un processo che interessa il continente ma non l'Inghilterra, che l'aveva respinta sin dal Cinquecento. Noto è il Codice napoleonico del 1804, ma esso era stato preceduto dal Codice prussiano del 1794 e da quello austriaco del 1797; il processo di codificazione era stimolato dai governi assoluti, per i quali l'unità politica dello Stato doveva compiersi nella sua unità giuridica. In precedenza ci si trovava in una situazione di particolarismo giuridico, nella quale coesistevano il diritto comune, il diritto romano, il diritto consuetudinario e quello germanico: un diritto incerto e insicuro. Codificazione voleva dire una razionalizzazione del diritto intesa a ottenere un

sistema di norme fra loro coerenti, ancorate a principi generali e basate su concetti razionali, che si riferivano all'azione dell'uomo con comandi e con divieti, dai quali far discendere determinate conseguenze giuridiche. Alla fine del Settecento si ha la codificazione del diritto pubblico, prima con la Rivoluzione americana e poi con la Rivoluzione francese. Il fine del costituzionalismo è di garantire i diritti dell'uomo e del cittadino, i suoi diritti politici e civili, per eliminare ogni possibilità di arbitrio da parte del governo (Stato visto in funzione del cittadino). Due forme principali del costituzionalismo: • una basata sulla divisione fra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, per combattere quella concentrazione di potere che caratterizza l'assolutismo e per assicurare la neutralità del giudice e dell'amministrazione, che con sentenze e decreti si limitano ad applicare le leggi votate dall'assemblea rappresentativa; • una che cerca di porre, attraverso la Costituzione, dei limiti allo Stato e alla sua onnipotenza legislativa, ottenendo una conseguente limitazione piuttosto che una divisione del potere. Tutto ciò porta a rafforzare l'individualismo, cioè a vedere lo Stato in funzione dell'individuo, a fondare la legalità e la legittimità dello stato: legale perché le sue decisioni devono seguire determinate procedure giuridiche e ubbidire a leggi fisse e stabilite; legittimo perché il suo potere si fonda sul consenso dei cittadini, sulla volontà del popolo. Con l'Ottocento, la sovranità appartiene solo allo Stato, che appare sempre più uno Stato di diritto, perché persegue i suoi fini nelle forme e nei limiti del diritto; esso sembra aver eclissato o neutralizzato nella politica il momento più meramente politico del dichiarare lo stato d'eccezione, che sospende l'ordinamento giuridico, il cosiddetto gubernaculum. Il potere dello Stato risulta dunque del tutto impersonale. Ma la sovranità come potere di fatto di decidere lo stato di eccezione non è del tutto scomparsa, e riappare con forza nel Novecento: con l'affermarsi dei conflitti sociali o con l'apparire di forti rivoluzioni politiche. Lo stato di diritto comincia a entrare in crisi con il tendenziale affiorare dello Stato sociale o Stato di giustizia : il primo si limita a essere una procedura; il secondo si

propone un fine, la giustizia. Lo Stato di diritto è uno stato limitato e garantista per la difesa dei diritti dei cittadini: pertanto si fonda sulla separazione dei poteri e sulla coscienza che solo il diritto può dare alla società stabilità e ordine; un diritto sempre subordinato a quella legge fondamentale che è espressa dalla Costituzione. Lo Stato sociale, invece, vuole attuare principi etici perché valorizza non la norma, ma la partecipazione, non il diritto positivo, ma la giustizia. Il diritto così, si trasforma da garanzia per il cittadino, a strumento con cui esercitare meglio il potere: si governa infatti, legiferando. Quando l'esigenza di realizzare...


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