Saggio critico Per Machiavelli di Giorgio Inglese (1-2) PDF

Title Saggio critico Per Machiavelli di Giorgio Inglese (1-2)
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale
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Saggio critico "Per Machiavelli" di Giorgio Inglese (1-2)...


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SAGGIO CRITICO PER MACHIAVELLI, DI GIORGIO INGLESE 1. L’arte dello stato • Il “Segretario fiorentino” Negli anni in cui a Firenze governava la figura del Savonarola, Machiavelli era legato ad avversari del Frate. Subito dopo il suo supplizio, Machiavelli fu designato e nominato segretario della Seconda cancelleria (la Prima cancelleria si occupava di affari con l’esterno, mentre la Seconda della guerra e del Dominio fiorentino, ma le due funzionarono spesso come organismo unitario). A lui toccò anche svolgere molti lavori come “mandatario” del governo dove doveva raccogliere e vagliare informazioni per trasmetterle a Firenze. • I “discorsi” del 1503 Il discorso Parole da dire sopra la provisione del danaio si tiene pochi mesi dopo l’elezione del gonfaloniere Soderini. Questo rappresentò un momento aurorale del pensiero politico machiavelliano. Secondo un altro discorso, Parole, il nervo di tutte le signorie si trova nel binomio elementare di forza e prudenza, ma quest’ultima viene quasi a risolversi nel sapere che, per fronteggiare la variazione della fortuna è necessario combattere. La condizione radicale di insicurezza cui l’azione politica in ogni modo appartiene, si fissa, nelle Parole, in un criterio molto rigoroso: ogni città, ogni stato, deve reputare nemici tutti coloro i quali possono sperare di poterli occupare e da cui non si possono difendere. Il tema della forza e delle armi troverà il suo momento più luminoso nei Discorsi I. L’impostazione formale di questi è simile a quella di Parole, è simile il modo di rivolgersi alla classe fiorentina dove il personaggio che parla in prima persona pare essere Machiavelli stesso. Il confronto tra antichi e moderni, tra i romani di Livio e i fiorentini, va invece a costituire il nucleo centrale di Discorsi II. Qui l’idea di una sostanziale e strutturale uniformità tra storia antica e storia moderna sta nel darsi l’una e l’altra come oggetto per l’esame di ragione. • Critica della ragione politica: i Ghiribizzi al Soderini Morto Alessandro VI, la potenza del duca Valentino si sgretolò rapidamente. Machiavelli scese a Roma per la nuova elezione del Papa e poté vedere il nuovo eletto Giulio II, il quale risultò poi essere l’ingannatore del Valentino (lo fece arrestare). Intanto Machiavelli aveva reso ancora più stretto il suo rapporto con il cardinale Francesco Soderini, fratello del gonfaloniere. Oltre che ideativo e organizzativo, l’impegno di Machiavelli fu anche propagandistico, come prova il Decennale, poemetto cronistico che si conclude con un appello alle armi. Nei Ghiribizzi, l’azione di Giulio II si delinea in termini negativi, qui Giulio non è una figura dell’audacia, dell’impeto, ma della temerità fortunata. Machiavelli non attenua la critica razionale al comportamento del Papa, ma è costretto a registrare che lo schema realistico elementare del nesso mezzi-fini non funziona con una

costanza tale a consentire utili previsioni. La dottrina del dominio inesorabile della fortuna sulle vicende individuali ritornerà nelle grandi opere della maturità, e segna un forte limite pessimistico e naturalistico dell’antropologia e della politica machiavelliane. • La potenza della Germania e della Francia La politica estera della repubblica fiorentina fu sin dal principio imperniata dell’alleanza con la monarchia di Francia. Agli occhi di Machiavelli la scelta filofrancese dovette apparire come dettata da esigenze profonde della repubblica, piuttosto che da affezione partigiana. Il Rapporto delinea uno studio strutturale dello stato tedesco disunito tra Corona imperiale, principati e città libere. Qui si può seguire l’acuirsi dell’interesse di Machiavelli per l’analisi strutturale degli stati. Più avanti in Ritratto delle cose della Magna egli esporrà anche il confronto tra l’organismo tedesco-imperiale e quello ben più sano e funzionante che aveva preso forma in Francia (monarchia). Questo testo si compone di un discorso compiuto e organico sulla “potenza” della Germania, con l’aggiunta di un capitolo sulla sua organizzazione militare. Il Ritratto di Francia si presenta, invece, come una serie disordinata di appunti, non si possiede una sua autentica organizzazione, ma i punti di riferimento sono le ragioni della potenza francese, la qualità delle armi e i rapporti con altri paesi. • “La rovina e servitù nostra” Raggiunto l’obiettivo di arrestare l’espansionismo sulla terraferma della potenza veneziana, Giulio II passò a una nuova fase del suo disegno, rovesciando le alleanze contro i francesi e firmando una pace con Venezia. Machiavelli si recò quindi in Francia per convincere Luigi a non rompere con il Papa, ma tale mandato fu reso vano dall’aggressione di Giulio agli Estensi, alleati dei francesi. Machiavelli compose un discorso per invitare a non infierire sui soderniani e a mantenere vivo l’odio del popolo per i “grandi”. Questo suo intento però fallì, fu condannato a un anno di esilio nei confini del Dominio fiorentino e gli fu proibito di entrare all’interno del governo; poi, però, dopo qualche giorno di prigione, fu dichiarato libero in seguito all’amnistia che era seguita all’elezione papale di Giovanni de’ Medici (Leone X). Machiavelli si preoccupò anche dello stato svizzero, pensava che una vittoria con gli svizzeri sarebbe stata solo una vittoria degli svizzeri, il suo pensiero sul loro pericolo era evidente: li temeva. I Cantoni svizzeri, però, avevano offerto a Machiavelli un esempio di struttura politico-militare eccezionalmente vicino al modello delle “armi proprie”. Dentro di lui si fa sempre più strada la consapevolezza che “buone armi” non possono nascere se non da un ordine politico il quale assicuri la coesione del popolo attorno al “principe”. Machiavelli per questo riproponeva quindi la sua tesi: solo la Francia poteva salvaguardare la libertà italiana e insieme fermare le cose d’Europa, contenendo la forza espansiva svizzera. • “Quel cibo che solum è mio”

Le “ragioni” e le “regole” sono per Machiavelli delle cellule concettuali che, suggerendo la forma in cui disporre il corso degli eventi, rendono possibile il tipico procedimento analitico machiavelliano: l’esaurimento progressivo delle varianti che si sono rese visibili. La “ragione” si presenta come un primum che rende possibile l’analisi del caso corretto. La ragione è essa stessa un valore. Il Principe è generato da una dialettica linguistica fra sublime e comico: posizione sublime del soggetto, che domina grazie alla sua identificazione con la ratio; posizione comica degli oggetti dominati e include nell’ordine di ragione. Machiavelli, dunque, non rimise la ragione al principio dell’esistenza e del discorso, ma riaffermò la realtà delle “cose grandi” accanto a quella delle “cose vane”. Il fortissimo senso del valore della struttura che aveva ispirato le lettere degli anni precedenti, però, era “perduto no, ma smarrito”. 2. “Uno opusculo de principatibus” • Storia di un “opusculo” La storia del Principe può cominciare con un documento, ovvero la lettera di Machiavelli al Vettori del 1513 dove l’autore afferma che questa opera è già composta ed è dedicata a Giuliano de’ Medici, ma che il testo continua a mutare. La seconda parte (XII-XXV) dell’opuscolo è lo svolgimento di temi già esposti nella prima parte (I-XI). Il libro è un appello ad agire, a cogliere l’occasione che l’autore ha saputo scorgere nella miseria delle cose presenti. Dopo che Giuliano de’ Medici ascese al pontificato, egli iniziò ad aspirare a uno stato. Agli occhi di Machiavelli era già un principe nuovo, una sorta di “altro Valentino”. Quando però Lorenzo iniziò a prendersi cura del potere mediceo a Firenze, Niccolò cambiò la dedica del suo opuscolo, mantenendo però il testo. La prima edizione a stampa uscì postuma nel 1532, prima di allora la diffusione del testo restò affidata ai manoscritti. • L’organismo concettuale Esaminando il Principe si delinea una trattazione compiuta ed esauriente: identificazione, distinzione interna, dinamica del potere principesco, modi dell’acquisto e del mantenimento, cagioni della perdita. L’opera è obiettivamente inscritta in un “discorso sugli stati”, principati e repubbliche, stati monarchici e stati liberi. La specificazione degli stati si ottiene, in primo luogo, secondo i modi di acquisto. Machiavelli osserva le vere difficoltà quando si acquistano stati in una provincia difforme di lingua, costumi e ordini. I quattro capitoli II-V formano un blocco coeso e ordinato che ha per ideale protagonista il principe “antico”. Nei successivi quattro capitoli si considera, invece, l’azione del principe “nuovo”. L’opposizione tematica fra i capitoli sesto e settimo si risolve nell’evocazione del “profeta armato”; l’opposizione fra ottavo e nono nell’ammonimento a “fondare sul popolo”. Ad aspetti in sostanza tecnico-militari è invece dedicato il capitolo decimo, in cui Machiavelli ha anche inserito un celebre ritratto delle città germaniche. La

prima parte dell’opuscolo si chiude sui principati ecclesiastici (XI). La seconda parte comprende tre gruppi di capitoli ben riconoscibili: le armi (XII-XIV), i governi di un principe con sudditi e amici (XV-XXIII) e le rivoluzioni di Italia (XXIV-XXVI). L’autore rifonda la distinzione radicale tra verità effettuale e immaginazione della storia: per lui, la verità effettuale della storia è il conflitto. Il modello del principe nuovo si misura con una vittoriosa interpretazione razionale dei difetti di virtù che hanno portato alla rovina i principi italiani. • Gli ordini della virtù, la potenza della fortuna La prima grande analisi del Principe è l’analisi di una sconfitta. Il primo grande esempio moderno è un esempio negativo: la condotta di Luigi XII in Italia fra l’ingresso dei francesi a Milano e l’abbandono inglorioso della Lombardia. Nella ricostruzione machiavelliana, gli “errori” di Luigi si riportano tutti a una volontà di espansione non misurata con le possibilità effettive. La figura di Cesare Borgia, il “duca Valentino”, è tutta risolta in quella del padre, Alessandro VI. Il nesso tra i due Borgia è presente nel settimo capitolo del Principe, giacché proprio tale nesso pone il Valentino nel campo della fortuna. La vicenda del duca si presenta come una perfetta concatenazione di decisioni vantaggiose spezzata soltanto da una straordinaria malignità di fortuna, dovuta alla malattia di Alessandro VI. Il principe deve avere anche abilità di previsione, deve riconoscere in tempo la tendenza lungo la quale si materializzerà la minaccia più forte. Nei suoi tratti essenziali, il principe “imitabile” incarna l’arte dello stato. Ma l’esempio del Valentino identifica in ultima analisi la forza politica come forza militare concreta, nel cui concetto è necessariamente incluso un rapporto positivo fra principi e sudditi. Il potere dei principi, che i grandi hanno messo sul trono, deve confrontarsi con l’ostilità popolare. Senza l’attiva partecipazione di un popolo che ami il proprio signore, nessuna città può resistere all’aggressione. Anche se egli è giunto al potere per impulso dei grandi, può e deve modificare la sua politica in direzione filo-popolare. Machiavelli fa osservare che un principe necessitato a governare per mezzo di magistrati è più debole nei tempi avversi, al manifestarsi dei quali le magistrature potrebbero togliergli il potere. Nei tempi quieti i cittadini hanno bisogno dello stato; nei tempi avversi lo stato ha bisogno dei cittadini. Il principe savio deve fare in modo che i cittadini abbiano bisogno di lui sempre e in ogni qualità di tempo. Se si volesse ricondurre il pensiero machiavelliano a un motivo generatore, onnipresente, bisognerebbe meditare proprio su questo confronto col momento oscuro e negativo della storia. Ciò che si è trovato è la fortuna e il lavoro dell’interprete è quello di superare questa resistenza, di cancellare il margine irrazionale-imprevedibile della fortuna. Inoltre, Machiavelli pensa alla mercenaria negativamente perché uno che lotta per uno stipendio non avrà mai la stessa volontà e forza di una persona che lotta per amore del proprio Paese. • L’esperienza delle cose moderne, la lezione delle antiche

Lo studio della storia romana e dei romani è stato importante per Machiavelli che lo portarono al gusto per lo studio dell’antico e l’ansia per il confronto fra antico e moderno. La cultura di Machiavelli si alimentò soprattutto degli storici antichi. La preminenza di Livio è chiara; a lui risalgono gli esempi più particolari e significativi. Gli storici antichi offrono a Machiavelli una materia fattuale già ordinata razionalmente, già interessata da un principio di interpretazione e di schiarimento delle cagioni. L’operazione machiavelliana consiste in uno spostamento del punto di prospettiva, fino a produrre il rovesciamento dell’immagine tradizionale. Machiavelli cerca il contrasto punto a punto con la vecchia regolistica proprio perché sa che essa condiziona le rappresentazioni della realtà, che gli uomini si foggiano e su cui orientano il loro agire. Il leone e la volpe erano per Cicerone e Dante simboli negativi mentre Machiavelli li fa diventare positivi, personalità che devono essere presenti nel suo principe • L’arte della prosa Adozione di latinismi, il parlato è presenta raramente mentre è più tipico il ricorso alle forme colloquiali e a immagini vive e immediate nel mezzo di un ragionamento o della narrazione. Ci similitudini storiche o tratte da esperienze. Le grandi immagini simboliche come quella dell’audacia rappresentata dalla fortuna-donna sono importanti e ricorrenti, moderne a tal punto che destabilizzarono anche la critica. Il Principe è stato scritto e letto da persone che si trovavano in difficoltà e che anche grazie al libro lo riconobbero appartiene ad una lotta decisiva e ad una sconfitta decisiva che hanno aiutato l’Italia ad andare avanti....


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