Scenari geopolitici gianfranco lizza PDF

Title Scenari geopolitici gianfranco lizza
Author Giantonio Calandra
Course Geografia Politica
Institution Università degli Studi di Messina
Pages 55
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Summary

SCENARI GEOPOLITICI – LizzaCapitolo 1: Tra passato e futuro 1 La difesa dello stato L'affermazione e difesa dello Stato come istituzione ed entità giuridica territoriale sovrana corre parallela all'evoluzione della cultura e della storia. Ogni teoria geopolitica è sempre stata finalizzata allo svilu...


Description

SCENARI GEOPOLITICI – Lizza Capitolo 1: Tra passato e futuro 1.1 La difesa dello stato L'affermazione e difesa dello Stato come istituzione ed entità giuridica territoriale sovrana corre parallela all'evoluzione della cultura e della storia. Ogni teoria geopolitica è sempre stata finalizzata allo sviluppo della potenza dello Stato, individuando strumenti, metodi e strategie per accrescerne la forza. La difesa e lo sviluppo dello Stato sono sempre stati il denominatore comune e il riferimento per tutti gli apporti teorici. Ratzel (XIXsec) definì la dinamica tra popolo, territorio e organizzazione politica, cioè «il primo sistema organico di geografia politica», cui lo Stato tenderebbe per sua natura ad accrescere di dimensione inglobando spazi e territori circostanti. Per tale ragione la crescita demografica assunse un ruolo fondamentale poiché una popolazione numerosa era sinonimo di forza. Il pensiero scientifico, filosofico e geografico è sempre stato condizionato dalle circostanze storiche. In tal senso la prima metà del '900 fu caratterizzata dall'incapacità di superare i traumi e le divisioni del primo conflitto mondiale; in particolare in Europa, dove ciò si tradusse con l'affermazione di un potere statale forte e autoritario. Sotto questo aspetto tutti gli apporti dati all'evoluzione delle teorie geopolitiche del '900 risultano vitali per analizzare i rapporti di forza tra le potenze mondiali: l'espansione militare era considerata indispensabile per accrescere sui territori circostanti l'influenza di uno Stato arrivato al culmine della sua affermazione storica in senso politico-economico. Il nesso tra Ratzel e Haushofer è proprio questo: il primo pose al centro del suo impianto teorico lo Stato; il secondo ne estese il potere a grandi territori politicamente-economicamente condizionati dallo Stato dominante e con questi detti panregioni. Le panregioni erano distribuite per meridiani, che dividevano il globo in quattro aree di influenza: tale divisione non era solo a geografica ma era anche a livello spirituale, culturale e politico-economico. In tal senso, la visione di Haushofer era “antimperialista” perché caratterizzata da una profonda avversione verso le talassocrazie inglesi, colpevoli di soffocare, attraverso la supremazia navale, le ambizioni e lo sviluppo di nazioni prive di questo vantaggio geografico. È quindi utile individuare quali criteri erano prima considerati determinanti nella «divisione degli interessi» tra i vari aggregati territoriali e quali fattori fossero posti alla base delle gerarchie del potere. Il controllo militare, politico ed economico di pochi stati leader su vaste aree continentali era considerato, infatti, una garanzia di stabilità nella politica mondiale; tale visione non è confinata ai soli anni '40. 1.2 Geopolitica e ideologie Se le teorie di Haushofer si adattavano al contesto storico degli anni '30 e '40, nel secondo dopoguerra furono soprattutto autori russi e americani a fornire utili analisi esemplificative del mutato scenario internazionale. Dopo la seconda guerra mondiale, passati pochi mesi Usa e Unione Sovietica, alleati contro la Germania nazista, entrarono in competizione per estendere le proprie aree d'influenza. Per decenni «l'equilibrio del terrore» creò le basi per una coesistenza pacifica e una relativa stabilità negli equilibri geopolitici. Forse non si può definire questo periodo un'altra belle époque, ma senz'altro le somiglianze sono molteplici. Entrambe videro un periodo di crescita economica in Europa e furono caratterizzate da un continuo, rivoluzionario progresso tecnologico, unito al fatto che contraddizioni e conflitti tra Stati erano portati lontano, e non influivano né sulla crescita economica né sullo stato sociale. Va considerato che quanto detto vale solo per l'Europa, e si noti che quanto più la Guerra Fredda porta a un'ideologizzazione del confronto bipolare tanto più l'eurocentrismo diventa non solo dominante ma addirittura accecante. Liberismo e comunismo sono infatti il frutto unico della cultura europea e della sua maturazione all'ombra del capitalismo. Queste le affinità; ma la belle époque finirà con la Grande guerra mentre la Guerra Fredda non sarà mai “calda”. In ogni caso essa ha prodotto delle conseguenze ancora visibili. Se la sovranità degli Stati inclusi nei due poli fu sacrificata dalle esigenze militari e dalla forte minaccia nucleare, le due superpotenze trovarono scarse resistenze nell'estensione delle

reciproche aree di influenza. Infatti, per potenze attualmente protagoniste come la Cina, gli Stati europei e l'India, gli anni '50 furono un'epoca di transizione e mutamenti. Proprio per questo le due superpotenze riuscirono a penetrare incisivamente in Africa e Medioriente, siglando alleanze formali o finanziando direttamente attori politici locali. Dal punto di vista geopolitico il mondo, nel periodo che va dal 1945 al 1989, è diviso in due. Una parte è quella costituita dai due blocchi, tutto sommato stabile e sicura, l'altra è quella che si può definire terra di conquista per i due blocchi, ma che al contempo vuol sfruttare al massimo le potenzialità (es: avere aiuti economici) che la concorrenza bipolare offre. È qui che si forma il movimento dei «paesi non allineati», che emergendo dalla disgregazione dei grandi imperi coloniali, punta a svincolarsi dalla rigidità del bipolarismo. Questa “terza via” tra l'egemonia delle superpotenze, fu perseguita – dopo la nascita ufficiale del movimento nel 1961 – da paesi come Jugoslavia, Egitto, India e Indonesia, i quali svolsero sì un ruolo attivo nelle vicende internazionali, ma per lo più prima che il non allineamento nascesse o comunque al di fuori di esso. Successivamente seguirono strade diverse, ognuno sulla base della linea di sviluppo dello scacchiere di appartenenza, senza la minima omogeneità e senza riuscir ad avere un denominatore comune che dettasse la strategia, essendo prevalenti determinati condizionamenti. Un discorso a parte merita la Cina: qui il non allineamento fu dettato dall'esigenza d'allontanarsi da un pericoloso appiattimento verso l'Unione Sovietica che avrebbe potuto vanificare la sua capacità d'avere un ruolo in campo internazionale. Le vicende della lunghissima guerra civile (durata a fasi alterne dal 1927 al 1950), cui si era sovrapposta l'invasione nipponica (II guerra sino-giapponese; 1937/45), l'avevano infatti distrutta economicamente e smembrata territorialmente. Ma in occasione della Guerra di Corea (1950/53), che incarna la manifestazione più cruda del bipolarismo, la Cina ebbe un ruolo preminente – tant'è vero che era già stata inserita, formalmente, tra i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU. Il bipolarismo era ben lungi da costituire l'unica chiave interpretativa delle relazioni internazionali. Malgrado ciò ogni teoria geopolitica si adattava a questa realtà: infatti durante la Guerra Fredda l'avvento delle armi atomiche e della tecnologia missilistica sancì la rottura definitiva coi precedenti concetti di scenari politici e geostrategici, estendendo di molto le aree coinvolte nello scontro bipolare e diffondendo su tutto il globo l'influenza delle due maggiori superpotenze che attraverso accordi militari riuscirono a creare una fitta rete di alleanze. L'evoluzione delle tecniche missilistiche, abbracciando spazi d'intervento sempre più ampi fin a livelli intercontinentali, anticipò, per altro verso, l'evoluzione dell'economia internazionale fino alla globalizzazione. Oggi c'è un nuovo sistema mondiale multipolare, con potenze leader in competizione tra loro: Usa, Russia, Europa, Giappone, Cina, India. Tale fase di riassetto degli equilibri è caratterizzata da situazioni territoriali politicamente instabili prive di tendenze integrative, dove ogni paese è costretto ad adattarsi autonomamente alla ridefinizione del suo spazio fisico-economico e dove le contrapposizioni politiche, economiche e militari sono acute. Conflitti come quelli nei Balcani (Bosnia-Erzegovina e Kosovo), nel Caucaso (Abkhazia, Ossezia Sud, Cecenia), in Medioriente e nell'Africa subsahariana creano gravi shock per l'equilibrio internazionale. Anche l'Asia centrale, dopo il crollo dell'URSS, è una regione caratterizzata da una forte instabilità che deriva dalla disomogeneità etnica e dalla difficile transizione dal rigido sistema sovietico ad una realtà caratterizzata da un intricato intreccio di problematiche anche di natura ambientale. Storicamente ed economicamente legati a Mosca, tali paesi sono al centro di infiniti interessi per la loro posizione e per la presenza di ingenti giacimenti di idrocarburi. La guerra in Afghanistan, paese privo di grandi risorse economiche, nasce proprio in seno alla sua rilevante posizione geografica e sarà, anche in futuro, un luogo di elevata instabilità. La competizione tra grandi potenze e nuove alleanze che si sono formate per controllare le risorse di questo scenario sono chiare. Proprio nello scacchiere centroasiatico, infatti, Russia e Cina cercano d'evitare l'espansione dell'Islam radicale. Il pericolo di coinvolgere la regione centro-asiatica, ricca di materie prime, nella turbolenza etnico-religiosa è un rischio che nessuna delle due vuole correre. Con la fine

dell'Urss non solo è venuta meno la stabilità garantita dall'equilibrio bipolare ma, come accennato, si sono attivate forze precedentemente arginate dalla contrapposizione tra i due blocchi. È in tal senso che due processi indispensabili per comprendere le dinamiche attuali – globalizzazione e deterritorializzazione – hanno avuto un'improvvisa accelerata. Tuttavia la pietra miliare per capire la portata di tali eventi è data dall'erosione della sovranità dello Stato e la sua trasformazione nel tempo. A trasformarsi sono soprattutto gli strumenti che innescano tali dinamiche: è l'economia il cardine intorno al quale ruotano e si risolvono contrapposizioni e rivendicazioni politiche, religiose e ideologiche. La novità non è, ovviamente, il ruolo dell'economia (da sempre vitale), bensì in ciò che fa di uno Stato una potenza. Il punto di partenza è la definizione stessa di «esercizio della potenza» che si può riassumere ne «la capacità di far ciò che si crede utile per il bene dello Stato». La forza militare è sempre stata indicata come lo strumento per esercitare la potenza. Ora talune dinamiche sembrerebbero mettere in dubbio questo assioma. Di conseguenza, sembra che lo Stato venga defraudato di fondamentali prerogative a partire dal «diritto di fare la guerra» o il diritto di essere considerato l'unico depositario dell'uso legittimo della forza (Weber). Un processo di erosione, questo, che riguarda anche l'altra principale prerogativa dello Stato nella sua forma tradizionale di proiezione esterna: la diplomazia. Sempre meno, infatti, ambasciatori e ministri degli esteri dettano le tappe della politica internazionale, sopraffatti da un'economia che non li delega più a rappresentarne interessi e speranze, ma agisce per conto proprio. D'altra parte negli ultimi decenni si è assistito al sorgere per molti versi inedito di «potenze civili» come Germania e Giappone, cioè non dotate di forza militare (anche se “spalleggiate” dagli USA), in grado di svolgere un ruolo di primo piano nella politica internazionale. È in tal senso che la geopolitica risulta sempre più connessa con la geoeconomia. La geopolitica, quale studio e analisi dell'azione politica nello spazio e sul territorio, è finalizzata a individuare le migliori strategie per accrescere la competitività di un paese a livello internazionale. La geoeconomia va letta proprio come conseguenza diretta della centralità assunta dall'economia nel ridefinire le gerarchie del potere e gli assetti territoriali odierni. Il XXI secolo più che il «secondo secolo americano» o «secolo cinese» si potrebbe rivelare un'epoca priva di riferimenti essenziali, il secolo della globalizzazione e deterritorializzazione, dove lo Stato, il particolarismo e la diversità culturale potranno riassumere un ruolo cruciale o estinguersi in un futuro villaggio globale. 1.3 Il governo dei poteri In circa mezzo secolo s'è assistito a una profonda ridefinizione degli aspetti geopolitici e a una ricomposizione degli equilibri globali: dalle panregioni di Haushofer al bipolarismo, fino all'attuale multicentrismo politico. Nelle attuali panregioni economiche, che sono tuttora in via di definizione, sono le attitudini geoeconomiche di uno Stato e la sua capacità di proiezione sui mercati a definire le nuove gerarchie del potere. Le capacità dirompenti di forze trasversali, come il terrorismo in senso stretto e quello di matrice religiosa, nonché le mafie internazionali, completano la complessità della situazione attuale. L'incapacità di gestire le nuove dinamiche economiche e politiche, crea notevoli difficoltà soprattutto nei paesi caratterizzati in passato da una forte pianificazione statale dell'economia. L'odierno panorama internazionale è caratterizzato da una geografia economica articolata in unioni economiche e aree di libero scambio. Lo Stato ha perso centralità sotto la spinta della globalizzazione. Ma che il processo di marginalizzazione dello Stato sia inarrestabile è da vedere; la crescita delle infrastrutture internazionale non va infatti a detrimento dello Stato. Tra i più importanti enti sovranazionali c'è l'ONU. E, in realtà, è proprio qui che lo Stato è valorizzato al massimo e, semmai, una conferma della perdita di credibilità dello Stato può essere individuata nell'attuale crisi dell'ONU. La dottrina su cui quest'associazione poggia ignora gli ardui tentativi di far del diritto internazionale il mezzo per gestire una molteplicità di Stati sovrani e al contempo una società di esseri umani. Dove si coniugano sovranità degli Stati e diritto internazionale è poi un interrogativo irrisolto che però la globalizzazione

sembra grossomodo rendere meno attuale. All'annebbiamento della sovranità dello Stato non corrisponde affatto un aumento della forza del diritto. La logica del mercato mondiale pesa sull'autonomia giuridica degli Stati, i cui rapporti bilaterali son sempre più assimilabili a rapporti contrattuali, che presuppongono e riproducono la disuguaglianza strutturale tra i partner e sono al pari dell'antitesi dei rapporti fondati sul diritto. Inoltre, la complessità della situazione attuale caratterizzata oltretutto da sfide globali quali terrorismo, inquinamento, energie, speculazioni che provocano forti squilibri economici spinge verso un mondo meno sicuro dove gli scenari possibili, per Massari, sono sostanzialmente due: l'anarchia oppure il raggiungimento di un concordato modus vivendi tra gli Stati leader. Quello del diritto internazionale è un campo sostanzialmente estraneo alla geopolitica; l'evoluzione della sovranità ne costituisce invece un campo essenziale. La dialettica tra sovranità dello Stato e funzioni delle organizzazioni internazionali è complessa e quasi sempre la cessione di sovranità è più apparente che reale. Ciò vale in larga misura anche per l'UE e a maggior ragione per altre associazioni di stampo economico. Seguire la dinamica di queste nuove grandi panregioni economiche rappresenta una delle maggiori sfide geopolitiche attuali. L'associazionismo però può portare anche ad altri effetti: grazie a queste “larghe intese” diventa più difficile condurre alla pace gruppi ostili di nazioni aventi interessi diversi; è ciò che si può definire «globalizzazione dei conflitti regionali». La scossa provocata dall'11/9 aiuta a decifrare le dinamiche che si producono intorno alle alleanze. Si è assistito a una “riaggregazione”, peraltro in clamorosa controtendenza rispetto alla “disgregazione” degli Stati manifestatasi in quegli stessi anni in Europa. Le vecchie alleanze come la NATO, che dopo il crollo dell'URSS non avevano ragion d'essere, si sono consolidate grazie alla lotta al terrorismo. Le alleanze su obiettivi specifici funzionano e durano solo in un contesto di egemonia (es: NATO → USA). Diverso è il caso dell'UE, con l'economia e la politica come fattori aggreganti, che offre la possibilità d'analizzare gli effetti dell'integrazione di più paesi in un'unica organizzazione sovranazionale. Tuttavia il senso d'appartenenza all'Europa è fortemente minato dalla permanenza a un radicato particolarismo; proprio il fallimento dell'integrazione politica e l'allargamento dell'UE aprono cruciali nodi geopolitici per essa. La frammentazione e l'incapacità di costruire un fronte comune resta ancora una lacuna. 1.4 La periferia diventa centro I paesi che per alcuni secoli sono stati nella periferia (es:BRIC) diventeranno la centralità superando quelli ora sviluppati con la spinta dell'invecchiamento della popolazione sempre meno competitiva in tema di capitale umano. Certamente i paesi demograficamente più giovani sono più inclini all'uso delle moderne tecnologie, sono più competitive, più energici e rappresentano un formidabile motore di sviluppo con la formazione della famiglia, i figli e lo sviluppo dei consumi. L'equilibrio tra le opportunità offerte dallo sviluppo demografico e la disponibilità di risorse economiche, i livelli di occupazione, produzione e consumo, sarà la maggiore sfida del futuro. In realtà ciò non va dato per scontato e l'attuale tendenza allo stritolamento del centro da parte della periferia potrebbe bloccarsi o invertirsi. Se non si saprà impugnare con decisione l'arma della tecnologia nelle aree dove l'invecchiamento della popolazione si manifesta con più incisione (es: Giappone) si assisterà a un blocco. Ma se quella che oggi è periferia diventerà un domani centro, questo significherà solo che gli asiatici (Cina e India) si riapproprieranno di un ruolo che era stato già loro fino alla fine del XVIII secolo. Per l'Africa invece è diverso, sia dal punto di vista demografico che da quello geoconomico: è la sfida del clima contro lo sviluppo, che genera per forza conflitti. Se per l'Africa tali problematiche si riversano sulla sfida per la sopravvivenza, in America e Europa il global warming avrà un forte impatto demografico a causa delle migrazioni. A fronte di tali fattori si assisterà quindi ad un ascesa asiatica, ad un calo di importanza dei paesi industrializzati e a una cerchia di paesi in forte sviluppo (es: Brasile).Concludendo: il ragionamento geopolitico sarà qui impostato ponendo al centro: Stato, Nazione, Ideologie.

Capitolo 2: Deterritorializzazione e globalizzazione 2.1 La forza del rinnovamento e il ruolo delle multinazionali Il filo che lega il passato agli eventi del '900 è individuabile nelle modalità di gestione del potere e nella costante tendenza all'acquisizione di risorse umane ed economiche. Diretta conseguenza di una crisi e della soppressione di limiti territoriali, la deterritorializzazione incarna proprio la rottura del legame con un territorio investito da forze globalizzanti capaci di modificare i tradizionali equilibri del potere, dell'economia e della cultura. Dunque essa è legata alla delocalizzazione, al decentramento produttivo e ai poteri transnazionali emersi dalla globalizzazione e dall'interconnessione delle diverse economie, rappresentando una causo e allo stesso tempo un effetto delle trasformazioni che scuotono il terzo millennio. L'attuale realtà deterritorializzata è priva di riferimenti essenziali. Per analizzare in modo esaustivo la trasformazione del ruolo dello Stato e la sua evoluzione nel tempo, occorre collegare tale dinamica non solo alla deterritorializzazione e ai suoi effetti, ma anche alla globalizzazione. Quest'ultima è prima di tutto un processo economico, l'integrazione dei commerci e l'estensione del modello capitalistico a livello globale. Sono proprio i progressi dell'informazione e l'efficienza delle reti comunicative a caratterizzare questa fase d'interrelazione economica da quella del passato. La globalizzazione è il luogo della competitività, del progresso tecnologico, del know how, della cultura, dove si realizza la forza di uno Stato e rappresenta l'arena principale in cui si svolgono e svolgeranno le sfide più grandi del futuro. Essa si basa sulla circolazione delle informazioni. Nel XXI secolo l'integrazione dei mercati è soprattutto costruita intorno a una logica multipolare, dominata da paesi leader che riescono ad esercitare un controllo su aree che offrono manodopera a basso costo, delocalizzando la produzione e accrescendo così la prop...


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