Sciamanesimo siberiano PDF

Title Sciamanesimo siberiano
Author elena perrone
Course Antropologia
Institution Università degli Studi di Torino
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Summary

Riassunto libro paesaggi luoghi e spazi sacri nello sciamanesimo siberiano...


Description

PAESAGGI, LUOGHI E SPAZI SACRI NELLO SCIAMANESIMO SIBERIANO Introduzione La Repubblica di Sacha è la più vasta Repubblica Sovrana all’interno della Federazione Russa. E’ anche una tra le meno popolate. A partire dal XVII sec. la Jacuzia fu soggetta a conquisa da parte dell’Impero Russo che ne fece una sua colonia, fu inoltre luogo di esilio per ribelli, detenuti, dissidenti e infine, terra di evangelizzazione. Quando amministratori coloniali, funzionari dell’Impero e missionari si trovarono ad operare nelle terre acute fu inevitabile l’incontro con un complesso sistema di credenze religiose e con i suoi praticanti, gli sciamani. Questi ultimi apparvero ai missionari, nel migliore dei casi, come dei folli, nel peggiore come dei rappresentanti del demonio sulla terra. Simili furono anche le impressioni riportate dai primi etnografi che documentarono gli usi e costumi degli jacuti. Il tratto distintivo dello sciamanesimo jacuto era la presenza di un universo multiplo, invisibile, popolato da entità di varia natura che avevano un’influenza rilevante sulla vita quotidiana degli individui. Qualsiasi evento fuori dalla norma era attribuito ad una loro azione nel mondo degli esseri umani che, attraverso comportamenti inappropriati nei loro confronti, potevano provocare la loro ira e il loro risentimento, causando uno squilibrio tra mondi diversi. Mediatore per eccellenza tra questi universi era la figura dello sciamano, il quale, già dalla nascita, mostrava segni inconfondibili della sua futura pratica. Lo sciamanesimo aveva carattere ereditario, sciamani si nasceva, non si diventava. Fondamentale, però, per il riconoscimento di uno sciamano, era il periodo del suo addestramento da parte degli spiriti: questi insegnavano alla sua anima come lasciare il corpo e viaggiare nel mondo invisibile con l’obbiettivo di ristabilire l’equilibrio nel mondo terreno attraverso alleanze, scambi con essi. Non vi era azione che non si svolgesse senza uno sciamano: un rituale per chiedere una caccia propizia, una buona pesca, per chiedere un figlio e così via. Capitolo 1: Spazi, luoghi e paesaggi 1.1 Spazi, luoghi e paesaggi Spazi, luoghi e paesaggi sono tre concetti che da tempo sono al centro di indagini multidisciplinari che rimandano ad un qualcosa che circonda l’essere umano. L’uomo modifica l’ambiente circostante attraverso azioni culturalmente definite: la creazione, la plasmazione dello spazio e dei luoghi sono prodotti della cultura. 1.2 Antropologia degli spazi e dei luoghi Il concetto di luogo è stato oggetto di studio e di interesse da parte di diverse discipline, a partire dalla geografia culturale. In antropologia si è affermata una corrente di pensiero che ha collegato il luogo alle dialettiche del locale e del globale. In particolare sono stati posti in evidenza l’intreccio del locale e del globale. I luoghi sono stati spesso contrapposti al concetto di spazio, in quest’ottica viene dato per scontato il fatto che ci sia un prima, costituito dallo spazio da cui deriva un dopo che è il luogo caratterizzato da una dimensione soggettiva. Lo spazio non possiede naturalmente quegli attributi che consentono all’individuo il riconoscimento di un ambiente familiare: questi vengono assegnati dal gruppo che stabilisce all’interno del luogo antropologico, limiti, confini, norme che ne regolano l’uso e impegnano l’individuo a rispettare le leggi. In realtà le cose non stanno proprio così. Il luogo, lungi dall’essere un mero prodotto o porzione dello spazio, occupa una posizione di primo piano. 1.3 Verso un’etnografia del paesaggio Il termine deriva da paese e trae origine dal latino pagus ossia villaggio, per indicare il territorio delle campagne, contrapposto alle città. Nel Rinascimento in Italia cominci a essere utilizzato il termine attuale, impiegato sopratutto in ambito letterario e artistico, dove identificava un particolare tipo di pittura che raffigurava aspetti della vita agreste. L’analogia tra il paesaggio e l’immagine pittorica ritirò nell’analisi dei geografi, i primi a prendere in esame il concetto di paesaggio. Se la geografia culturale, col tempo ha rivisto criticamente quest’impostazione, il riferimento alla rappresentazione pittorica si ritrova nella letteratura secondo cui il paesaggio è immagine culturale, strumento pittorico per rappresentare, strutturare e simboleggiare l’ambiente che ci circonda. Le elaborazioni successive del concetto di paesaggio si sono gradualmente allontanate dalla sua natura pittorica, intesa come cristallizzata e statica, per favorire un ragionamento che vede nel paesaggio la realizzazione e lo specchio di una società, di una cultura. 1

1.4 Qualche considerazione sul sacro Cosa si intende quando si afferma che un paesaggio è sacro? Il concetto che veicola può presentare di volta in volta variazioni. Gli jacuti, ad esempio, utilizzano diversi termini per indicare il sacro, ma si tratta di concetti differenti: ytyk è usato per identificare determinati luoghi, ma anche certi oggetti, mentre èhè (nonno, orso) ed èbè (nonna) sono riferiti a laghi e fiumi. Nelle traduzioni di testi sullo sciamanesimo dallo jacuto al russo questi termini sono stati erroneamente resi con un concetto di sacro molto generico. Ciò che è ritenuto sacro, sia esso un oggetto o un luogo, dev’essere collocato lontano dalle cose e dai luoghi quotidiani, in modo che il suo valore particolare possa essere riconosciuto e le regole che lo riguardano rispettate. Ciò che è sacro vincola il comportamento e la mentalità degli individui in quanto si riferisce a entità extra-umane. Capitolo 2: Le cosmogonie nel/del paesaggio Le religioni di molti popoli sono cosmoteistiche: tutti gli elementi naturali hanno una forza vitale e devono essere trattate con dovuto rispetto. Gli dei proteggono e assistono, ma possono anche punire e distruggere, per cui è pericoloso offendere una divinità. Un paesaggio sacro porta con sé leggi e regole sul comportamento dell’uomo nei suoi riguardi e implica credente connesse a divinità o spiriti antenati. 2.1 Cosmologie nel/del paesaggio Per rendere più comprensibile questo concetto si usa il termine animismo, introdotto da Tylor che lo considerava la prima forma di religione dell’uomo. L’animismo era inteso come la credenza nelle anime che si sarebbero evolute in esseri spirituali che potevano controllare e influenzare gli eventi e la vita degli individui a seconda di come questi agivano nel mondo. Secondo Tylor la fase successiva della religione avrebbe trasformato gli spiriti in divinità con l’abilità di controllare le azioni umane, la loro credenza nel politeismo e in uno stadio superiore della civiltà nel monoteismo. Secondo Tylor l’anima è nata nell’uomo per il distacco di essa dal corpo durante le ore notturne. Quando l’uomo primitivo sognava di visitare un luogo nuovo, credeva di esserci stato effettivamente, ma questo non sarebbe stato possibile se non attraverso la credenza dell’esistenza di due individui in uno solo. Il doppio era più mobile rispetto al corpo e per uscire da esso utilizzava gli orifizi dell’organismo, sopratutto naso e bossa. Il doppio fu identificato dal Tylor con l’anima. Per l’uomo primitivo non vi era differenza tra la morte e un lungo sonno e la separazione tra il corpo e il suo doppio non aveva limiti temporali. Nasce dunque la nozione di spirito che lascia il corpo e vaga nello spazio, anime umane in gradi di influire sugli uomini nel bene e nel male, infatti era necessario propiziarle e guadagnare la loro benevolenza per non ricevere punizioni. Era la morte a trasformare l’anima in spirito. Secondo Tylor la mentalità primitiva non distingueva ciò che era animato da ciò che non lo era, poiché tutto ciò che vedeva aveva un anima, ogni cosa. Distingueva però le anime umane da quelle cosmiche. Durkheim più tardi mise in discussione l’idea di anima come doppio e la sua azione nel sonno. Secondo Durkheim infatti i sogni non avevano fornito materiali per la costruzione della nozione di anima o di doppio, poiché erano insufficienti a spiegare come si era formato il culto degli avi. Affinché il doppio fosse diventato oggetto di culto sarebbe stato necessario infatti che il doppio avesse acquisito lo status di essere sacro invece di essere una sempre replica dell’individuo. Secondo Tylor era la morte che operava questa trasformazione mentre secondo Durkheim l’anima non era possibile che l’anima cambiasse stato al momento della morte. Quando il corpo decadeva anche l’anima s’indeboliva. Secondo l’autore, Tylor non riuscì a spiegare il passaggio dal doppio allo spirito, inoltre Durkheim dedusse che il culto dei morti non era primitivo, ma delle società avanzate e identificò un altro tipo di religione, il totemismo. Il termine totemismo deriva da totem che significa egli è della mia parentela. L’uomo o un gruppo si legano con un rapporto di parentela ad una specie animale, vegetale o a fenomeni naturali, spesso indicandoli come antenati mitici. Secondo Smith il totemismo rappresentava la forma primitiva di religione e il clan di identificava nel totem. Il sacrificio rappresentava la volontà di unire la divinità al clan, attraverso il quale esso rinnovava il sentimento di unità e coesione sociale tra i suoi membri con la divinità. Secondo Durkheim il totem è un’espressione materiale di qualche altra cosa, ma è anche il simbolo del clan. Dal momento che l’individuo dipende dalla società, ciò che accade intorno a lui è interpretato in termini di 2

fatti sociali. Il totemismo manifestava l’identità del clan e l’unità dei suoi membri. Ciò che acquisiva importanza era il legame che univa gli individui all’essere sacro. Secondo LeviStrauss le piante e gli animali hanno caratteristiche diverse che diventano i segni che sono adatti per esprimere le differenze interne che formano l’ordine sociale. Attraverso il proprio totem quindi un gruppo indica se stesso e afferma la supremazia della sua stirpe, ne definisce la posizione sociale, le proprietà. 2.2 La struttura sociale degli juacuti Gli jacuti sono un popolo di pastori semi-nomadi che allevavano cavalli, renne e bovini. La pastorizia non era l’unica occupazione, infatti la caccia e la pesca rivestivano un ruolo notevole. La sedentarizzazione ebbe inizio quando il territorio divenne una colonia russa. All’arrivo dei russi, la società jacuta era suddivisa in una serie di tribù che si dividevano ulteriormente in clan formati da un centinaio di individui. I clan erano legati ad un territorio particolare e il nome stesso determinava quello del territorio occupato. In alcuni cui esso si è mantenuto fino ad oggi. I clan avevano un carattere patriarcale infatti gli uomini svolgevano i compiti più importanti, mentre le donne avevano il compito di prendersi cura della famiglia e della casa. Nell’eredità non aveva diritti uguali all’uomo. 2.3 Topografie celesti In Jacuzia esistono due tipologie distinte di entità soprannaturali: spiriti-padroni e le divinità che a loro volta occupano una precisa posizione all’interno del cosmo, che veniva suddiviso in tre mondi stratificati in ordine verticale: inferiore, mediano e superiore. Secondo i poemi di Oloncho, nel mondo superiore si trovano le divinità, in quello mediano gli spiriti-signori e in quello inferiore le anime dei defunti e gli spiriti negativi abaahy. Tutte le divinità del mondo superiore si dividevano in tre categorie in ordine d’importanza: celesti, aerei e terrestri, quasi tutte contraddistinte dal nome ajyy che deriva dal verbo jacuto aj, ossia creare. Le divinità celesti principali erano il creatore luminoso e il signore sacro. Alcune divinità possiedono nomi di animali totemici che un tempo tutte le tribù e i clan veneravano, identificandoli nei loro antenati: aquila, corvo, cavallo. L’aquila in particolare era l’uccello maggiormente presente nei rituali e nelle invocazioni. 2.4 Gli spirit-signori Nel dizionario della lingua jacuta alla voce Icci troviamo “signore, custode, spirito-padrone”. secondo questa popolazione tutti gli oggetti del mondo naturale che influiscono sulla vita degli individui hanno il loro Icci. Ogni lago, bosco, montagna, animale, vegetale e oggetti domestici hanno il loro spirito-signore. Persino le parole possono averlo e pertanto bisogna stare attenti a ciò che si dice. Se si rispettano alcune norme di comportamento, gli Icci si rivelano sempre utili agli esseri umani, tant’è che si pensa che proteggano alcune attività legate sopratutto alla sfera domestica. Ogni strumento che appartiene al fabbro possiede il suo icci e quando lo sciamano indossa il suo costume fatto anche di parti metalliche, deve fare un’offerta agli icci di queste parti del suo costume e sopratutto al tamburo. L’offerta è rappresentata da crini di cavallo. Tra i culti maggiormente osservati ci sono quelli della caccia, della terra e della pesca. • Caccia: ci si rivolgeva al Bajanaj “il signore più ricco dei ricchi” che prendeva sembianze umane da cacciatore della foresta somigliante ad un vecchietto jacuto avvolto da lunghi capelli grigi con addosso una pelliccia di renna. Terra: Un altro culto particolarmente sviluppato era quello della terra che appariva agli • uomini nei panni di un’anziana signora vestita a festa, personificazione della terra-madre, probabilmente perché legato ad un’immagine di fertilità. Pesca: Anche la pesca aveva i suoi spiriti padroni, tra cui il più importane era il “signore • delle profondità acquatiche” raffigurato come un vecchietto benevolo, vestito di squame di pesce o di vecchie reti di pescatori, con lunghi capelli e la barba di alghe. 2.5 I rituali per la proibizione degli spiriti-signori Se la caccia non era andata a buon fine gli jacuti partecipavano al rituale della chiamata dello spirito Bajanaj che era condotto da uno sciamano il quale scarificava allo spirito un capo di bestiame. Veniva intagliata nel legno un’effigie poco più alta di 1 metro che rappresentava lo spirito. Accanto al camino vi era un tavolo ricoperto di fieno verde sul quale era allestito un banchetto con la carne bollita dell’animale sacrificato e accanto al tavolo vi era uno sgabello ricoperto di pelle di cavallo su cui lo sciamano si sedeva impugnando nella 3

mano destra una balestra e nella sinistra una cintura che muoveva cantando invocazioni. Si rivolgeva agli spiriti-signori e li pregava di ascoltarlo. Poi chiedeva agli spiriti del bosco oscuro di rendere la caccia proficua. Si rivolgeva agli spiriti della selvaggina ed infine chiamava il Bajanaj e cominciava una serie di elogi e gli descriveva il banchetto. Terminato il rituale i partecipanti potevano prendere parte al banchetto. Questi culti sopravvissero solo fino ai primi decenni del XX sec, tuttavia in seguito alla disgregazione dell’URSS, è stato attestato un ritorno a questo tipo di pratiche. L’autrice stessa è stata testimone di un breve rituale per la propiziazione della pesca: il membro più anziano della famiglia accese un fuoco sulla riva del lago, dopodiché lo nutrì con vodka e frittelle, chiedendo di concedere una buona pesca. Solo allora tutti gli altri componenti della famiglia versarono un bicchierino di vodka nel fuoco e pronunciarono qualche parola di richiesta allo spiriti, gettando in seguito le reti. 2.6 Otnologie native, scambi e identificazioni L’esistenza delle divinità nella struttura religiosa jacuta potrebbe corrispondere ad un culto totemico, mentre gli spiri-signori potrebbero essere in relazione a credenze di tipo animistico. Nei rituali avveniva una sorta di scambio tra gli spiriti evocati e lo sciamano. La tipologia di sciamano che effettuava questo tipo di rituali era legata a culti animistici, si tratta dello sciamano nero che scendeva nel mondo inferiore, cercava le anime disperse e a volte combatteva con gli spiriti. Molto diverso era il rapporto tra lo sciamano bianco e la divinità collegate all’allevamento e ai clan, sopratutto alla credenza di un antenato mitico che avrebbe dato origine alla tribù. Lo sciamano in questo contesto non doveva stringere un’alleanza, ma rafforzare e ripercorrere la linea verticale che separava i componenti del clan dai loro antenati mitici e divinità, facendo prevalere così il totemismo. Capitolo 3: La vita dopo la morte e il luoghi di sepoltura Il bosco, la taiga, i fiumi, i laghi, le praterie sono tuttora considerati paesaggio sacri e dimore degli spiriti-signori. Le tombe degli attentati, le loro abitazioni e i luoghi di sepoltura degli sciamani fanno parte di un paesaggio sacro dove si articolano relazioni con il mondo dei vivi. Questi spazi includono sia elementi visibili, come le tombe, sia rappresentazioni dei vivi inerenti alla morte e al mondo dell’aldilà. 3.1 La buona e la cattiva morte Nella cultura jacuta ogni individuo possiede tre anime: aria, terra, madre, ciascuna donata dalle dignità del mondo superiore alla nascita. La buona morte giungeva in età avanzata, coglieva l’individuo nella propria abitazione, circondato dalla famiglia e dagli affetti. Era visto come un passaggio naturale di una stanza, la vita che usciva dall’individuo in fumo per poi dissolversi. L’anima terra rimaneva nel corpo e l’anima aria si disperdeva e l’anima madre andava verso il mondo superiore della sua divinità per poi reincarnarsi dopo 3 o 7 anni. La reincarnazione dell’anima madre riguardava anche il mondo animale. La cattiva morte coglieva tutti coloro che si ammalavano e non riuscivano a guarire, comportava sofferenza. Si pensava che i principali responsabili fossero gli spiriti malvagi che si introducevano nel corpo delle persone e le mangiavano, consumando la loro anima. Il motivo delle malattie era un comportamento errato o un’infrazione nei confronti degli spiriti e potevano essere causate da questi che risiedevano sia nel mondo di mezzo, sia in quello inferiore. Gli abaahy, spiriti malvagi, erano ritenuti responsabili delle malattie incurabili, ma anche delle morti premature, violente, dei lucidi, tutte morti considerate cattive. Si pensa che oltre agli abaahy ci fosse una categoria di spiriti malvagi nel mondo superiore, gli jor. Il termine jor indica lo spirito del defunto che è causa di sfortune e malattie. 3.2 I rituali di allontanamento e accompagnamento dell’anima madre Nei casi di cattiva morte, era compito dello sciamano aiutare l’anima del defunto a distaccarsi dal corpo. Il rituale di allontanamento si svolgeva con l’ausilio di un tronco di betulla che presentava una biforcazione. Lo sciamano richiamava l’anima del defunto e una volta introdotta dentro di sé, si faceva svelare l’identità del parente a cui veniva sottratta l’anima. A questo punto il parente e lo sciamano afferravano le due estremità della betulla e le tiravano ognuno verso di sé, fino a spezzarle. Nel caso in cui, l’anima madre fosse già stata rapita, il compito dello sciamano era cercarla e tentare in tutti i modi di riportarla tra i ivivi. Lo sciamano era inoltre chiamato per un altro rituale: l’accompagnamento dell’anima madre. 4

Anche in questo caso si trattava di brutte morti, per questo motivo lo sciamano agiva subito dopo il ritorno dei parenti dai funerali. Il suo compito era quello di evitare che l’anima si trasformasse in un jor. Questi rituali furono ancora testimoniati nei primi decenni del XX sec. 3.3 Il mondo dei morti In molte culture la morte è vista come un viaggio. L’anima madre dei defunti di buona morte transita nel mondo dei morti, dopodiché sale nel mondo superiore. Coloro che muoiono di cattiva morte si trasformano in jor e tornano sulla terra. Nel mondo dei morti l’anima madre del defunto è accompagnata da alcuni volatili tra cui il corvo, animale totemico associato agli sciamani. Per la sepoltura di persone molto ricche erano scolpiti alcuni volatili ai lati della tomba. Non è certo dove sia collocato il mondo dei morti: ogni clan e tribù ne aveva una rappresentazione diversa, l’unico tratto che li accomuna è una localizzazione a ovest, dove tramonta il sole. In molti casi le tombe erano rivolte a ovest in altri sulle rive dei fiumi. A tal proposito si parla di acqua della morte. L’acqua dei fiumi era vista come una strada che conduceva al mondo dei morti. 3.4 I luoghi di sepoltura Nel mondo dei vivi i parenti e i vicini di casa compivano quattro operazioni: • preparava il morente ad affrontare la morte • organizzavano i funerali • organizzavano la sepoltura • organizzavano il banchetto funebre Era usanza accogliere la morte in casa spalancando porte e finestre, in modo da favori...


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