Riassunto Lo Sciamanesimo prima e dopo Mircea Eliade PDF

Title Riassunto Lo Sciamanesimo prima e dopo Mircea Eliade
Author Tiziano Segalina
Course Filologia Romanza
Institution Università degli Studi di Padova
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I. Prima di Eliade Prima attestazione nelle lingue europee del termine shaman: 1698, dal russo. Il diplomatico olandese Evert Ysbrants Ides (con il mercante tedesco Adam Brand) guida una spedizione di ambasciata russa (1692-1695) inviata da Pietro il Grande in Cina, alla corte della dinastia Ching. Ides scrive “Tre anni di viaggio in Cina”, subito tradotta in tedesco e in francese. Parla di sacerdoti che i Tungusi (in lingua evenki) chiamano shaman. Prima attestazione del termine: Vita dell’arciprete Avvakum scritta da lui stesso, in cui il colonnello cosacco Pashkov comanda ad un indigeno siberiano di “fare lo shaman”: si tratta dunque anche della prima descrizione di una pratica sciamanica. Etimologia, proposta da Dordzhi Banzarov: da shaman/saman, che in evenki e in mancese significa “agitato, eccitato, in preda alle convulsioni dell’estasi”. Nella Storia segreta dei Mongoli (1240) troviamo che al termine bäki e bö (bügä il termine mongolo per “sciamano”; buge in buriato) è ricondotta tutta la gamma delle attività sciamaniche. Se ci spostiamo però tra le lingue turche troviamo che lo sciamano è chiamato kam. Senza poi contare che nella lingua turca dei Yakuti (estremo nord della Siberia) sham significa “agitarsi”. La relazione tra l’espressione kam e shaman è merito del linguista Gyula Németh. Quello che però non è ancora stato detto a sufficienza è che kam è molto più antico di shaman e ricorre nel documento più antico sullo sciamano centroasiatico, la cronaca del viaggio compiuto dal frate francescano fiammingo Guglielmo di Robruck alla corte del Gran Khan Mangu, per incarico di Luigi IX Il Santo, re di Francia. Tra il 1253 e il 1255 fece questo viaggio e confondendo kham (potere religioso) e khan (potere politico) – ma è confusione non poi così lontana dalla verità – disse che con lo stesso nome di chan si chiamavano il capo politico e quello religioso. Egli può così fornire un’ampia gamma di azioni rituali compiute da quelli che lui chiama sacerdotes. Egli mette in relazione la funzione divinatoria con quella magica, con descrizioni molto precise di una pratica sciamanica. Dobbiamo attendere il Settecento per avere nuove descrizioni: questi studiosi attraversarono la Siberia raccogliendo testimonianze, certo sbeffeggiando le procedure miracolistiche – da buoni illuministi – ma facendo anche sì che lo sciamano divenisse nella letteratura europea il paradigma del genio artistico civilizzatore (alla stregua del tracio Orfeo). La prima attestazione in ambito accademico l’abbiamo con Christian Wilhelm Flügge (1772-1828), primo a introdurre in Europa un corso di storia delle religioni. Egli per primo avanza l’ipotesi che la religione dei Lapponi e dei Finni sia collegata alla religione dei Samoiedi e che entrambe siano una propaggine del paganesimo sciamanico. Segue l’altaista berlinese Wilhelm Radloff (1837-1918), che assistette ad una cerimonia nel 1860 nell’Altai, che riportò; riconosceva anche allo sciamano uno statuto di nobiltà non inferiore a quello dei chierici delle grandi religioni universali. Nella prima metà del Novecento prendono in mano la questione gli studiosi russi. Nella Russia zarista e primo-bolscevica abbiamo due tendenze: una, capeggiata dal folklorista Grigorii Potanin (1835-1920) e dall’etnomusicologo Andrei Anokhin (1868-1931), che videro nello sciamanismo una forma di alta

spiritualità primitiva, di religione panteistica1; l’altra, erede della visione illuministico-positivistica ottocentesca, che analizzò le pratiche indigene fissandone il substrato ideologico come nevrosi o isteria di massa. Si capirà bene come il successivo stalinismo abbia cercato di estirpare la pratica sciamanica, interpretata sia come appannaggio di un’aristocrazia indigena, sia come religione – e quindi presa di mira dalla propaganda antireligiosa. Tra gli etnografi slavi che furono loro malgrado mandati in Siberia ricordiamo Waclaw Sieroszewski (1858-1945), che trascorse molti anni tra Yakuti o Sakha e i cui studi (descrisse la seduta dllo sciamano yakuto, indicando l’uso del tamburo, il delirio, l’invocazione degli spiriti celesti) gli valsero la liberazione, ma anche la critica dell’etnografia europea ufficiale; e Sergei M. Shirokogoroff (1887-1939), osservatore partecipante, unica voce dall’interno della Siberia per gli studiosi che non potevano accedere alla letteratura in russo. Egli ci disse queste cose dello sciamano tunguso: 1. Lo sciamano è allo stesso tempo maestro-signore e ostaggio degli spiriti; 2. Lo sciamano non è un individuo mentalmente tarato o affetto da nevrosi, anche se molti sciamani hanno iniziato la loro carriera in seguito a crisi psicotiche, successivamente – però – domate, proprio con la pratica sciamanica. 3. Lo sciamanesimo tunguso è fenomeno relativamente recente, diffuso da occidente a oriente e da sud a nord; ed è stato in qualche modo influenzato dal buddismo mongolo e tibetano. Tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento giunse la rivoluzionaria visione di Karl Meuli (1891-1968), che per la prima volta interpretò lo sciamanesimo come un fenomeno di portata universale. Interpretando Erodoto riuscì a provare la presenza di pratiche sciamaniche tra gli Sciti (purificazioni postfunerarie, fumigazioni di canapa) tra le popolazioni delle steppe fin al Vi secolo a.C. Insomma, questo sciamanesimo sarebbe insito nelle tradizioni dei popoli indo-iranici, e forse addirittura dell0intera cultura indoeuropea. In più: la poesia sciamanica, con le sue lotte, peripezie, ecc. sarebbe un prototipo e il nucleo genetico della poesia d’arte (in part. epica), del mito e delle saghe indoeuropee. Nella visione di Meuli lo sciamanesimo è visto come una Weltreligion [= religione universale]. Fondamentale è anche lo studio di Uno Holmberg-Harva (1882-1949). Egli aveva studiato antropologia e folkloristica, ma soprattutto condusse ricerche sul campo in Siberia e in Russia presso i popoli finnici del Volga. Il risultato fu una completa fenomenologia a base tipologico-comparata dello sciamanesimo siberiano: egli innanzitutto illustra le basi ideologiche e simboliche della tecnica sciamanica, basata su uno speciale rapporto con il mondo degli spiriti, degli animali, delle piante e del cosmo. Passa quindi a descrivere la sfera dell’attività sciamanica nei suoi aspetti individuali (iniziazione, tamburo, costume) e sociali (operazioni rituali per la cura delle malattie o per la risoluzione di inconvenienti). E passa anche a trattare l’influenza che sullo sciamanesimo ebbero le religioni a diffusione universalistica: mazdeismo, buddismo, manicheismo, islam e cristianesimo ortodosso. Egli insomma sembra prediligere un approccio legato alla nozione di Weltanschauung. Lo svedese Åke Ohlmarks (1911-1984) era un filologo specializzato nella lingua e nella religione norrena, con interessi per il seidhr, tecnica divinatoria estatica, 1 Sarà una posizione che tornerà in voga con la desovietizzazione come fede nera degli antenati, in chiave new age.

diversa dallo sciamanesimo. Egli arrivò alla conclusione che il complesso magico-divinatorio antico nordico (subartico e patriarcale) era una forma di sciamanesimo minore e non riconducibile allo sciamanesimo lappone (artico e matriarcale). Però è diventato tristemente famoso per la teoria dell’‘isteria artica’, secondo cui sarebbe la natura del luogo (freddo artico, fame, alternanza di mesi di luce e mesi di tenebra) a generare l’isteria sciamanica. Altro studio ci viene dai tomi 9, 10 e 11 dell’opera del missionario verbita tedesco Wilhelm Schmidt (1868-1954) sull’origine dell’idea di Dio. Trattando in questi tomi le popolazioni di pastori dell’Asia centro-settentrionale, la sua ricerca si fonda su due premesse assiomatiche: 1. Lo sciamano deve la sua realtà alla credenza negli spiriti (giusta); 2. La credenza negli spiriti risale a uno strato culturale matriarcale (del tutto ipotetica!). Siccome la possessione è tipica (del tutto da dimostrare!) della cultura matriarcale lo sciamanesimo vero e proprio è solo quello nero (ossia di possessione). Quindi, lo sciamanesimo nero si sarebbe innestato nella celestiale religione dei pastori dell’Asia interna, corrompendola (invasione del Kulturkreis agricolo-matriarcale proveniente dal sud). Nel tomo 12 postumo, che riassume le sue posizioni il tipo dello sciamano viene distinto in due species, bianca e nera; la bianca è ancora più nobile e merita il titolo di Himmelsdiener [= assistente celeste].

II. Eliade Esce nel 1951 Le chamanisme et les techniques archaïques de l’extase , capolavoro dello storico delle religioni Mircea Eliade (1907-1986) che per la prima volta tratta da un punto di vista storico-religioso (cioè in chiave comparatistica e con sensibilità fenomenologica) lo sciamanismo dell’Asia Centrale e Settentrionale, risalendo poi a un tipo storico analogo di sciamanismo come fenomeno religioso universale. Il progetto inizia del 1936. Tra l’aprole del 1940 al febbraio del 1941 inizia a raccogliere materiale bibliografico nelle biblioteche della Germania e poi di Londra. Dopo il soggiorno portoghese, riprende nel settembre del 1945 in mano le sue carte dopo l’arrivo a Parigi. Il 20 giugno 1946 un primo saggio è pronto (segna nel diario quanto sia importante che la prospettiva sia quella della storia delle religioni). Il 20 luglio il lavoro è terminato e Il problema dello sciamanismo è pronto. Il saggio è scandito in tre sezioni: 1. Si delinea il profilo dello sciamano come guaritore e psicopompo; 2. Si individua l’ascensione estatica come tratto caratteristico dello sciamanismo; 3. Si pone il problema delle origini dello sciamanismo (indigeno nella Siberia, o in qualche modo influenzato da elementi di matrice indiana veicolati dall’espansione del buddismo in Asia Centrale). Con un colpo di coda Eliade riconduce il contrasto tra sciamano bianco e nero a una polarità che si manifesta in illo tempore e che «corrisponde all’ambivalenza dello spirito umano davanti al sacro» (Eliade). Dal marzo 1946 al marzo 1951 passano i 5 anni più ferventi della sua vita, costellati anche dalla conquista di una borsa di studio di 200 dollari al mese. Al termine di questo periodo l’opera è finalmente pronta. Nella prefazione Eliade indica i criteri che sono alla base del suo modo di fare storia delle religioni. Il suo è senz’altro il primo testo a coprire l’intero fenomeno dello sciamanismo, ma Eliade sapeva bene di dover fare i conti con le altre discipline che si erano cimentate nello studio dello sciamanismo: psicologia, sociologia ed etnologia. Egli deve integrare i risultati, senza limitarsi a fare lo storico (che

semplicemente registra i dati in ordino cronologico) o il fenomenologo (che crede di aver raggiunto la reale comprensione di un fenomeno senza compararlo con migliaia di altri fenomeni simili o dissimili). Lo storico delle religioni, inoltre, sa che la storia non esaurisce il contenuto di un fenomeno religioso; tuttavia, non dimentica che «è nella Storia che un dato religioso sviluppa tutti i suoi aspetti e rivela tutti i suoi significati». Eliade salva però anche il trascendente, vale a dire il contenuto “transhistorical” del fatto religioso, qualcosa «non sempre riducibile alla storia», che si manifesta come aspirazione a un eterno attimo aurorale, «un desiderio di abolire la storia, [...] di ricreare il mondo». Lo sciamanismo è precisamente un’esperienza mistica in cui questa tendenza al superamento della storia si manifesta in maniera più pregnante. Nel primo capitolo Eliade definisce l’ambito e l’origine dei poteri dello sciamano e in particolari i metodi di reclutamento e la vocazione mistica. Lo sciamanismo è innanzitutto una “tecnica dell’estasi” e lo sciamano è un soggetto che sperimenta una trance durante la quale «la sua anima lascia il suo corpo e ascende al cielo o discende negli inferi». Lo sciamano controlla i suoi spiriti. Lo sciamanismo non può essere considerata una religione, ma piuttosto una forma di misticismo riservata ad una élite di specialisti dell’anima che godono di un rapporto privilegiato con il dio supremo del Cielo. Il reclutamento può avvenire per trasmissione ereditaria o per vocazione spontanea (“chiamata” o “elezione”). Lo sciamano eschimese o siberiano è in pieno controllo della propria crisi epilettica ed ha una forma fisica e un autocontrollo superiori alla norma. Nel secondo capitolo parla della vocazione sciamanica come suddivisa in tre momenti (tipici di ogni rito): sofferenza, morte, resurrezione. Arriva quindi ad una conclusione di portata più generale dicendo che la capacità di esperienza estatica era una risorsa accessibile all’umanità arcaica delle epoche più primordiali. Nel terzo capitolo parla del mondo in cui si ottengono i poteri: volo magico al centro del mondo, sulla cima del quale risiede il Signore del Mondo; rapporto erotico con lo spirito tutelare (moglie o marito celeste) – non è però, per Eliade, un passaggio fondamentale della vocazione. Gli spiriti aiutanti o guardiani hanno spesso la forma di animali (la frequentazione degli animali è segno della ristabilita situazione paradisiaca) o delle anime di sciamani del passato. Nel quarto capitolo si parla del momento clou dell’iniziazione sciamanica: l’ascesa alla sfera celeste attraverso il volo magico o la scalata di un albero o di una montagna o di una corda, sempre inteso come recupero di un beato illud tempus. Il quinto capitolo è dedicato al simbolismo del costume e del tamburo (partendo dalla casistica siberiana, ma allargando a Tibet e Cina). Nei capitoli dal sesto al dodicesimo Eliade passa in rassegna i vari fenomeni che in varie parti del mondo ed epoche possono rispecchiarsi nel modello sciamanico. Lo sciamano altaico può essere bianco o nero; ha il ruolo di entrare in contatto con il dio supremo e di accompagnare le anime dei defunti nell’aldilà; ma soprattutto opera guarigioni magiche ricollocando nel corpo del paziente l’anima sparita o rapita. Descrivendo sessioni sciamaniche di popoli subartici Eliade individua temi fenomenologici (ambivalenza del rapporto cogli spiriti e travestitismo sessuale) e stratificazioni storiche (influenze buddiste).

Nell’ottavo capitolo la rassegna geografica è interrotta per parlare delle tre forme dell’asse del mondo: pilastro del mondo, montagna cosmica e albero del mondo. Questo asse mette in relazione i tre livelli cosmici (cielo, terra e inferi). Il nono capitolo tratta le manifestazioni sciamanistiche dell’America del nord e del sud. Esiste una continuità culturale con le popolazioni dell’Eurasia, soprattutto nella pratica sciamanica, con differenze regionali (assenza del tamburo, motivo Orfeo/Euridice, ecc.). Nel Sudamerica lo sciamano ha un ruolo importante come guaritore e guida delle anime, ma ricorre a tecniche molto arcaiche. Il decimo capitolo tratta l’Asia del sudest e l’Oceania, dove ritroviamo i tipici tratti della realtà sciamanica, ma con varianti regionali (ascesa celeste su una barca trainata da aquile), travestimento sessuale con matrimonio di partner dello stesso sesso o prostituzione del soggetto transessuale. Parlando dei popoli indoeurpei Eliade passa alla dimensione storica (non più antropologica) delle culture euroasiatiche più raffinate (e non più popolazioni di tradizione orale). Eliade arriva alla conclusione che non è possibile individuare nello sciamanismo il tratto dominante della vita magico-religiosa degli Indoeuropei. Quindi, gli antichi Germani hanno sì il dio Odino che somiglia molto ad uno sciamano centro-asiatico, ma la magia seidhr (che i Germani mutuano dagli sciamani lapponi) presenta differenze rispetto alla tecnica sciamanica in senso stretto. Così, tra i Greci antichi, il solo che si possa ritenere a tutti gli effetti uno sciamano è Orfeo (ma non è sciamanismo la pratica orfica). Quindi Eliade viene a parlare degli Sciti (nomadi delle steppe transcaucasiche); già studiati da Dumézil sono gli Osseti, eredi caucasici degli Sciti, con fumigazioni e cosmografia dell’aldilà tipicamente sciamaniche. Qualche riserva mostra infine per la figura di Zarathustra, sebbene Nyberg avesse messo in rilievo la presenza di canto estatico e di ponte iniziatico. L’Iran resta il luogo di incubazione di elementi costituenti della prassi sciamanica, come volo magico e trance indotta da narcotici (che sono però, per Eliade, un surrogato della trance naturale). L’India aria, prearia e buddista presenta somiglianze, come l’ascensione dei cieli attraverso l’albero cosmico, presente in vari rituali brahmanici e nella leggenda del Buddha. Nei testi vedici e postvedici troviamo motivi che avvicinano allo sciamanismo, ma cambiano la valenza esperienziale e la tecnica ascetica. Lo yogi ha per fine la fuoriuscita dal cosmo, mentre lo sciamano vuole compiere il viaggio attraverso i cieli. Nelle tribù aborigene (prearie) si conservano molti tratti della struttura sciamanica. Nel dodicesimo capitolo arriviamo all’Estremo Oriente: Tibet, Cina, Mongolia, Corea e Giappone. Nel Tibet il lamaismo ha conservato la religione pre-buddista Bon-po nella sua integrità e questa è una vera e propria tradizione sciamanistica. Il persistere di questi motivi – secondo Eliade – non si spiega però come sopravvivenza di motivi ma in chiave funzionalista, con una rivalorizzazione dei motivi sciamanici incorporati e rivalorizzati. In Cina, presso tribù marginali (Lolo dell’ovest e Moso/Na-Khi) le strutture dello sciamanismo classico si conservano inalterate. Nella Cina vera e propria vari aspetti della fenomenologia sciamanica sono ricorrenti nel folklore e nella prassi dei santi taoisti, ancor più che tra gli asceti indù. Sembrerebbe dunque che lo sciamanismo cinese ( wuismo) abbia dominato la vita religiosa prima del prevalere del confucianesimo e che i sacerdoti wu furono i veri sacerdoti cinesi. In ogni caso una ricostruzione storica perfetta sembra quasi impossibile.

In Mongolia, terra di sciamani, la classe sacerdotale buddusta ha cercati di estirpare la pratica sciamanica, ma ha finito per essere essa stessa assorbita. In Corea prevale lo sciamanismo di sesso femminile e anche gli sciamani uomini vestono da donne. Anche in Giappone lo sciamanismo è prevalentemente femminile e di possessione. Stranamente però Eliade non fa riferimento al fatto che il ruolo dello sciamano è marginale e trascura anche l’influenza degli Ainu (etnia indigena del Giappone), presso i quali la professione sciamanica è praticata dalle sole donne che agiscono come medium possedute dagli spiriti. Nel tredicesimo capitolo Eliade ricapitola alcuni temi mitico-simbolici, per mostrare come furono adattati o rimodellati nello sciamanismo anche a livello rituale. Cane e cavallo sono rispettivamente l’animale in cui si trasforma lo sciamano e l’animale impiegato nella danza estatica. I fabbri mitici sono dotati di poteri magici che li apparentano agli sciamani (come la padronanza del fuoco). Il volo magico è collegato al simbolo dell’anima-uccello e realizza a livello psicologico una nostalgia per il volo che è insita nella psiche umana. Così il pons subtilis dell’apocalittica iranico-cristiano-islamica indica il tentativo di ristabilire la comunicazione tra terra e cielo che esisteva in illo tempore : l’esperienza mistica attua un ritorno alle origini, a quella precedente condizione dell’umanità. Altro importante simbolo è quello della scala. Gli sciamani non sono i soli specialisti religiosi capaci ascendere al cielo con corde, scale, montagne ed alberi, ma sono gli unici a servirsi della tecnica dell’estasi, con il fine di riprodurre una situazione primordiale, accessibile al resto dell’umanità solo attraverso la morte. Nel quattordicesimo capitolo Eliade tira le conclusioni storiche, e cerca di comprendere formazione ed evoluzione della tecnica sciamanica. Si tiene lontano dalle ipotesi etimologiche e anche dalle influenze buddiste paventate da Shirokogoroff. Eliade non può però ignorare di essere uno storico e non esita a ricostruire la traiettoria storica che lo sciamanismo ha attraversato dalle sue origini fino alla attuale condizione documentata in Asia settentrionale e centrale. Uno, per Eliade, è il punto fermo: l’elemento caratterizzante dello sciamanismo è l’esperienza estatica. In questa ottica, siccome nello sciamanismo tunguso, buriato, mongolo e tartaro ha prevalenza l’incarnazione degli spiriti, lo sciamanismo attuale deve essere un ibrido risultante dalle influenze buddiste provenienti dal s...


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