Societas unius personae (SUP) europea PDF

Title Societas unius personae (SUP) europea
Author Beatrice Clelia Vitale
Course Diritto commerciale
Institution Università degli Studi di Palermo
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Editoriale Societas unius personae

La “Societas unius personae (SUP)” europea: ombre liberiste e abusi annunciati di Cesare Licini - Consiglio di Direzione dell’U.I.N.L. La Commissione Europea ha approvato il 9 aprile un progetto di Direttiva che introduce la costituzione di una società a responsabilità limitata con unico socio, a statuto normativamente uniforme in tutti i Paesi membri e capitale minimo di un euro, con l’unica denominazione di “Societas unius personae (S.U.P.)”, allo scopo - afferma la Commissione - di rimuovere i troppi ostacoli che intralciano l’attività economica delle PMI all’interno del mercato unico, perché dal punto di vista del diritto societario, operare su base transfrontaliera è spesso costoso e difficile per le PMI, che solo in piccola percentuale (2%) investono e costituiscono controllate all’estero. E’ un progetto che richiederà ancora il lungo tempo della procedura di codecisione legislativa con il Parlamento europeo, ma deve già preoccupare. Perché essenziale al progetto è l’obbligo dei legislatori nazionali di prevedere l’attuazione a distanza dell’intero procedimento fino all’immatricolazione e all’acquisto della personalità giuridica, attraverso mezzi elettronici on-line e senza quindi necessità che la presenza fisica del soggetto costituente sia certificata da atto davanti a pubblico ufficiale, né presso il registro societario di iscrizione. Con l’aggravante dell’assenza di qualsiasi autocontrollo interno, tipica dell’unisoggettività. E’ noto che nella dialettica fra le istituzioni comunitarie la Commissione ha una connotazione spiccatamente mercatista, mentre istanze più attente a valori esistenziali, pubblici e di cittadinanza sono piuttosto nelle corde del Parlamento europeo. Ma preoccupa l’inconsapevolezza con cui la proposta risolverebbe nel modo già ampiamente riconosciuto come il più pericoloso, nell’esperienza europea non meno che nel resto del mondo e in specie negli Stati Uniti, quello che è l’occhio stesso di un drammatico ciclone in cui si incontrano e si scontrano le istanze più conflittuali della vita economi-

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ca occidentale contemporanea, dove si contendono il campo i diritti del libero commercio globale, le efficienze dei controlli pubblici e le inefficienze delle registrazioni in pubblici registri, e l’allarme planetario che l’emergenza criminalità economica e fiscale, e di finanziamento al terrorismo esercitano sulla scala dei valori di uno Stato di diritto, e dove la pubblica sicurezza economica rivendica un ruolo prioritario verso modelli e standards imposti dalla comunità internazionale, in cui la stessa idea di ordine e sicurezza pubblica, sia economica che criminale, ridisegna i confini fra pubblico e privato; ne è prepotente protagonista anche la tecnologia informatica, perché consente per la prima volta nella storia di poter avere completo accesso telematico ai “luoghi elettronici” ma contemporaneamente di tracciare ogni frammento della vita delle persone in modo totale, sul principio “più sorveglianza meno privacy”. Alludo alla pratica nota al mondo degli affari, delle shell companies (le “conchiglie vuote”, anche paper companies), che sono società strumentali, spesso consociate, che non imprendono nulla di proprio e servono solo come veicolo (si chiamano infatti anche corporate vehicles) per transazioni varie da parte del loro dominus, senza possedere significativi assets od operatività. C’è una vera e propria “industria dell’incorporazione societaria”, ad es. in USA, specie in Nevada, Delaware, Wyoming, fiorente e con ben poche regole, nessuna delle quali prevede che siano raccolti dati sul beneficial owner. Il Dipartimento di Stato americano ha segnalato che in particolare le LLCs (equivalenti alle srl) sono particolarmente vulnerabili all’uso come shell companies che possono appartenere a chiunque ed essere gestite in modo anonimo. Addirittura c’è una nicchia in crescita, le shelf companies, cioè letteralmente le “società esposte sullo scaffale”. Sono scatole vuote che vengono costituite e poi lasciate a … stagiona-

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Editoriale re “like Scotch whisky” sugli scaffali: più sono risalenti, più sono appetite e costose da comprare, possono costare fino a $ 10.000 per una società immatricolata nel 1997 in Delaware. E’ importante poi sapere che il contesto ambientale di queste “società da scaffale” comprende un’equivoca corte dei miracoli ancora più ampia, che si occupa di fornire anche conti bancari altrettanto stagionati, storie di merito creditizio, posizioni fiscali, e tutta questa filiera è fittizia e quindi implicitamente non commendevole. Le ragioni possono essere ingenue: “Se devi firmare un contratto importante, la controparte potrebbe non apprezzare che stia usando una società appena costituita”. Ma nelle mani di soggetti meno scrupolosi possono in realtà servire per il peggio, e non c’è dubbio che per le movimentazioni criminali per entrare nei circuiti della legalità, non c’è nulla di meglio di una shell company non tracciabile (Kelly Carr, Brian Grow, Special Report: A l ittl e h ouse of secr ets on th e Gr ea t P l a ins, 28.6.2011). E sorprendentemente, i Paesi poveri rispondono molto meglio di quelli ricchi; Paesi come Regno Unito, Australia, Canada e USA sono in fondo alla lista, ed è più facile negli Stati Uniti che in Kenia, trovare servizi di immatricolazione societaria che forniscono una shell company non tracciabile. Questa è la verità; ed è un dato che deve fare molto riflettere il legislatore europeo, data l’appartenenza dell’UE all’area dei Paesi più a rischio sotto questo profilo. Anche la SUP è proposta per uno scopo nominalmente apprezzabile: andare incontro alla domanda di società sussidiarie per favorire l’attività transfrontaliera di imprese internazionalizzate o di start-up, riducendo le difficoltà di creare le strutture operative di investimento all’estero, causate dalla diversità delle legislazioni nazionali, dai costi e dai tempi delle procedure di immatricolazione, per evitare i quali si sostiene che l’iscrizione debba allora potersi concludere on-line telematicamente a distanza, senza mediazione di certificazione pubblica e di presenza fisica davanti ad autorità nazionali, in modo che il fondatore non debba recarsi a tal fine nel paese in cui intende registrare la società. Ma questo è invece estremamente pericoloso ed anche in contrasto con le normative antiriciclaggio e di ordine pubblico economico. Questo significa lasciare consapevolmente nella rete grossi buchi attraverso i quali si possa riuscire a nascondere l’identità del costituente e di chi ha il controllo di queste entità. E non basta sorridere, davanti alla mediocre giustificazione del risparmio di spesa; o

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che si vuole evitare al fondatore di recarsi di persona nel paese in cui intende registrare la società, come è testualmente nelle motivazioni: se questo è il problema, vuol dire che sul posto non c’è nessuno nemmeno per usare una procura della casa-madre, e allora, è davvero una shell company! E questa è proprio una delle principali ragioni per cui le multinazionali sono multinazionali. Non si può non fare i conti col fatto che se ne potrebbe abusare, perché sono persone giuridiche a cui si consente di entrare nella legittima circolazione giuridica senza alcuna consistenza sostanziale, e che questo progetto metterebbe a disposizione esattamente lo strumento capace di nascondere l’identità del costituente e di chi ha il controllo di queste entità che non sono altro che carta, o pixel sullo schermo di un computer, e quindi possono integrare shell companies e shelf companies, che pur essendo legittime si prestano in modo singolare a scopi illeciti grazie alla loro esistenza effimera che favorisce l’anonimato, l’abuso, l’usurpazione e il furto di identità, nonché l’utilizzo per attività illecite come il riciclaggio, il finanziamento al terrorismo, l’evasione fiscale, la corruzione, la creazione di “fondi neri”, la sottrazione al pagamento di sanzioni, e tutto spesso su scala internazionale. Il dibattito è dunque alla ricerca di un punto di equilibrio fra coloro che vogliono regole più rigide per prevenire l’abuso dei corporate vehicles, anche se ciò comporterà oneri maggiori, e coloro che invece privilegiano comunque la facilità degli affari, sul presupposto che in ogni caso la grande maggioranza di queste società è impiegata per valide ragioni imprenditoriali. Ma una minoranza di queste società, troppo significativa per potere essere ignorata, è al servizio dell’illegalità e allora si impone il principio di precauzione perché l’incalcolabilità delle conseguenze non consente di controllare altrimenti le ricadute negative causate dall’incertezza. Non si può non sapere che abili pianificazioni fiscali, o il grande illecito internazionale, usano questi veicoli per interporre fra sé ed i controlli la maggiore distanza giuridica possibile, ostacolando direttamente e deliberatamente la trasparenza e scaricandone i costi sul resto della società. E’ un fatto dell’esperienza umana che non si può dare per scontata l’integrità di nessuno, e che tendenzialmente le persone restano oneste fino a che il contesto lo consente, ma se sono sufficientemente tentate, potrebbero essere disoneste. Allora occorre che la struttura sia adeguata allo scopo di evitare comportamenti individuali distorsivi e caratterizza-

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Editoriale ti da azzardo morale, anche a costo di rinunziare a(d apparenti) benefici in termini di riduzione di costi e di concorrenzialità; o siano addirittura proattivi, cioè in grado di aumentare la probabilità che l’operatore tenga spontaneamente il comportamento finalizzato alla tutela dei valori, sfavorendo modelli normativi inclini alle tentazioni di un mondo economico già troppo eroso dal “law-as-abusiness model”. Questa dimensione impone di rafforzare, non di ridurre, la due diligence sulla trasparenza e sulla certezza, per evitare di favorire usi impropri. Il crimine è sofisticato è può battere praticamente ogni sistema e perciò occorre alzare il livello del gioco per isolare al massimo entità create per confondere e nascondere, rispetto a legittime strutture giuridiche (Emile van der Does de Willebois, How can we stop the corrupt from gaming the system? More transparency). M.Findley, D. Nielson, J.Sharman (Global Shell Games: Testing Money Launderers’ and Terrorist Financers’ Access to Shell Companies, ottobre 2012) hanno condotto un esperimento su un campione di 7.466 casi in 182 Paesi, usando come criteri-guida quelli stessi delle prescrizioni antiriciclaggio, cioè “due diligence”, “know Your customer”, “risk based approach”, tracciabilità e prova della identificazione. Lo studio mostra che le shell companies che possono essere costituite on-line in dozzine di Paesi nel giro di pochi giorni se non di ore al costo di poche centinaia di dollari, con il “pregio” che non possono essere ricollegate a persone reali che le controllano, diventano insuperabili barriere all’azione delle polizie: sembra la definizione dell’operatività della progettata SUP. Il risultato di questi confronti è che tutte le organizzazioni internazionali ed i governi concordano nell’affermare che i progressi nella lotta contro il crimine finanziario passano irrinunziabilmente attraverso la previsione-chiave di norme che diano una effettiva regolazione delle shell companies specialmente per quanto riguarda la reale possibilità di un tracciamento che consenta di risalire al titolare effettivo, sostenuto dalla notarizzazione delle identificazioni. Questo studio fornisce inoltre un quadro ambientale molto preoccupante, perché mostra la scarsa affidabilità fino a vera e propria disattenzione e negligenza rispetto alla consapevolezza dei rischi, da parte degli operatori intermediari privati (Corporate Services Providers – CSP) che gestiscono questo “mercato” delle shell companies, e dei lawyers che si trincerano dietro il segreto professionale garantito

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dal legal professional privilege, e che quindi diventano uno degli anelli deboli rispetto ai doveri di collaborazione con l’autorità. Il gap è poi nella vulnerabilità dell’informazione fornita dai registri societari, particolarmente quando si opera in una dimensione transfrontaliera. I registri pubblici dovrebbero essere il primo approdo per gli investigatori, e invece si rivelano troppo spesso incompleti (Jason Sharman, Shell Companies and Puppet Masters) e inadatti a svolgere il compito di fornire la trasparenza necessaria a dar conto dei beneficial owners. Lo standard internazionale, condiviso da GAFI, ONU, Banca Mondiale ed altri organizzazioni internazionali, è chiaro: i Paesi debbono prendere le misure per prevenire l’abuso delle persone giuridiche a fini illeciti, assicurando che siano disponibili informazioni adeguate, accurate e aggiornate sul titolare effettivo e sul controllo societario, con modalità accessibili e tempestive. Lo studio più consistente sul punto, non solo per l’ufficialità della fonte, è il rapporto “The Puppet Masters” (I Burattinai), ottobre 2011 della Banca Mondiale con UN Office on Dr ugs a nd Cr ime (UNODC), e StAR (Stolen Asset Recovery Initiative) (www.worldbank.org/star), che denuncia l’incapacità dei registri commerciali nazionali esistenti di contrastare l’impiego di società opache come le shell companies nella corruzione e nell’occultamento di risorse, nella evidente preoccupazione per l’uso criminale, anonimo e incontrollato delle forme societarie personificate. Il Rapporto manda ai governi la parola d’ordine: “Bisogna riportare la trasparenza in materia societaria nell’agenda nazionale e internazionale”. Banca Mondiale giudica gli attuali assetti dei registri societari, non idonei a soddisfare le esigenze di contrasto dell’abuso criminale delle strutture societarie, mentre sollecita ad accollare oneri di verifica a carico dei fornitori dei servizi societari, perché operatori professionali [come i notai] sono nella posizione migliore per comprendere la struttura del cliente e per distinguere fra finzione legale e realtà. I registri commerciali, osserva Banca Mondiale, sono di tipo archivistico, e passivi per natura. Le informazioni vi vengono immagazzinate, ma non verificate. Chiaramente, non sono la soluzione all’abuso delle persone giuridiche: si ritiene che la maggior parte dei registri non abbia la capacità di verificare le informazioni fornite da soggetti in mala fede, e per questa ragione, benché le informazioni fornite al registro possano essere un punto di partenza, debbono essere integrati con altre forze. Ed

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Editoriale infatti il Registro Imprese italiano esce male dall’applicazione di questi standard sensibili e non appare nella condizione di svolgere gli auspicati compiti di identificazione del titolare effettivo e della realtà sottostante una società, al fine di contrastare l’uso illecito e criminale del veicolo-società personificata. Il comma 2 dell’art. 10, D.Lgs n. 231 del 21/11/2007 (antiriciclaggio) che nomina i destinatari delle prescrizioni, esclude le P.A. dagli obblighi di identificazione e registrazione indicati nel Titolo II, Capi I e II: senza questi però, l’azione di prevenzione e tracciamento antiriciclaggio è in sé vana, perché riguardano addirittura gli obblighi di adeguata verifica della clientela e di registrazione dei dati. Nelle prescrizioni escluse rispetto al Registro Imprese si concentra il nucleo della stessa ragion d’essere del sistema antiriciclaggio/anti-finanziamento al terrorismo, perché restano così escluse le verifiche in applicazione del principio “know your customer”, che non è solo identificazione della parte, ma profilatura del soggetto cliente, e indagine se vi sia anche il c.d. titolare effettivo. Così come manca ogni obbligo di due diligence diretta ad ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista dell’operazione e al profilo di rischio, e l’obbligo di tenuta delle registrazioni e dati statistici. Questo risultato come si è visto non può essere realisticamente ottenuto tramite i registri di commercio, che non sono mai tenuti ad assumere informazioni sul beneficial owner . L’opzione più praticabile sarebbe il ricorso all’imposizione della collaborazione a carico dei prestatori dei servizi del ramo, come Corporate Services Providers (CSP) e lawyers, ma anch’essi come dimostra l’esperienza statunitense sono di scarsa utilità perché non hanno la consapevolezza e il senso della doverosità necessario per garantire un vero e proprio tracciamento e mostrano un tasso di compliance molto basso e incompleto, mentre i poteri delle pubbliche autorità non possono andare oltre i confini dell’ordinamento che li esprime. La proposta Direttiva, nel testo licenziato dalla Commissione, non solo crea il buio, ma “accieca”, perché la costituzione in via telematica significa assenza di qualunque compresenza fisica per provare esistenza e identità, e l’uso di un sistema di Smart card on-line a distanza equivale a dire che la UE accetta che negli ordinamenti giuridici entrino entità artificiali che come navi pirata, o battelli fantasma, “legittimano” il sogno dei criminali di ogni stazza: sparire in modo legale! Ma concederebbe una tentazione irresistibile anche per imprese per altro degnissime, che con un arci-

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pelago di consociate strategicamente localizzate riprodurrebbero un equivalente societario del classico schema di conti segreti offshore degli evasori fiscali, per poi alterare artificialmente i prezzi applicati ai trasferimenti, nota pratica con cui le multinazionali possono trasferire i profitti verso un paese a bassa fiscalità, e i costi verso i paesi con una tassazione più elevata, riducendo o azzerando le imposte dovute. Occorre essere consapevoli dei pericoli che discendono dall’affidarsi a informazioni fornite solo dal cliente, perché la stessa ragion d’essere del sistema sono le verifiche, che con la proposta di direttiva sono escluse. Peggio, perché costituzione in via telematica significa assenza fisica della persona, ed uso di Smart cards che non permettono nemmeno di controllare se chi impiega lo strumento elettronico sia il titolare di quella identità, e se sia vivente. Può la UE mettere così consapevolmente in pericolo lo stesso principio della rule of law sull’altare della tesi-ideologia di massimizzare gli affari? La chiave è nella certezza, attestata da un controllo pubblico sostanziale, del collegamento fra l’entitàveicolo e la società o la persona fisica che l’ha costituita o che la controlla, e su questo crinale si deve concentrare l’intensificazione degli strumenti legali di monitoraggio per riuscire a “vedere” attraverso il velo della personificazione, in modo tale che qualsiasi società possa essere tracciata risalendo fino alle persone reali che la controllano, e raccogliendone l’identificazione documentata. Occorre da parte del notariato europeo, di quello internazionale e dei singoli notariati, un’azione diretta a mettere in luce i pericoli che discendono dall’affidarsi a informazioni fornite solo dal cliente senza nemmeno vederlo in faccia, perché il nucleo della stessa ragion d’essere del sistema antiriciclaggio/anti-finanziamento al terrorismo, sono le verifiche in applicazione del principio “know your customer”, fino al c.d. titolare effettivo (beneficial owner). Noi notai sappiamo fare bene proprio questo, il tracing, cioè il risalire lungo il percorso ricostruibile documentalmente (paper trail), perché noi siamo gli specialisti che sanno interrogare documenti, atti, pubblici registri e sanno restituire la logica invisibile che li unisce, per ricostruire il percorso delle carte. In questo modello, il notaio, pubblico ufficiale e leale interprete dell’ordinamento giuridico, della trasparenza e della certezza della tracciabilità delle transazioni, deve svolgere un ruolo cardinale nell’assicurazione della legalità. Il Notariato è un partner naturale dello Stato nei programmi diretti

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Editoriale a proteggere la legalità e la sicurezza dei circuiti economici e giuridici, ed è consapevole che esiste oggi una chiamata chiara a collaborare per garantire l’interesse pubblico nelle materie che coinvolgono legalità, sicurezza e ordine pubblico dei mercati, ed è singolarmente adatto a questo servizio perché la natu...


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