Spiegazione IL Novellino PDF

Title Spiegazione IL Novellino
Course Letteratura italiana e letterature europee
Institution Sapienza - Università di Roma
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SPIEGAZIONE IL NOVELLINO: Lezione 6/04/18 Il testo da noi preso in analisi oggi è quello che fu fissato verso il terzo decennio del cinquecento e risulta essere il prodotto di più copisti, ovvero di più autori. Il titolo "Il Novellino" gli fu dato da Monsignor Giovanni della Casa in una lettera indirizzata a Gualteruzzi nel 1525, prima molto probabilmente il titolo si trovava nel Proemio, ovvero "Questo libro tratta d'alquanti fiori di parlare, di belle cortesia e di be' risposi e di belle valentie e doni, secondo che, per lo tempo passato, hanno fatti molti valenti uomini":    

Fiori = sono poemetti o corona di sonetti (unione di più sonetti); Fiori di Parlare; Di Belle Cortesie = azioni determinate nel Codice cavalleresco/cortese; Di be Risposi e di belle Valentie e Doni = risposte, di azioni valorose e di azioni svolte verso l'esterno quindi verso il pubblico.

Le novelle qui contenute furono soggetto di selezione da parte di una componente di copisti, che noi abbiamo diviso in due gruppi in quanto sono state sottoposte a selezione più di una volta, i quali avevano il compito di analizzare e vedere quali potessero recare insegnamento e quindi da poter essere inserite nella raccolta. I Copisti P1 scelsero di inserire nella raccolta fatti storicamente accaduti anche se con personaggi inventati (?), i Copisti P2 vi hanno lavorato nel Cinquecento. E' un capolavoro di Equilibrismo fra il Codice Divino e una celebrazione della Mondanità cavalleresca, cortese richiamando la parola di Dio (soprattutto si può vedere nella novella di Lancillotto). 1. è sintesi di fonti classiche e contemporanee; 2. è un libro comune e sempre attualizzabile In alcune novelle vedremo che la Follia diventa costume quando lo assume come caratteristica un personaggio eccezionale. Esempio Lancillotto, al di fuori del novellino lo vedremo con il personaggio di Orlando nell'Orlando Furioso, entrambi perdono il senno quando si sono innamorati. Tanti critici hanno tentato di trovare una struttura cercando di trovare dei nuclei tematici che li legasse. Prima c'era il pensiero che dietro questa composizione vi fosse un estensore solo il quale ha lavorato su nuclei tematici specifici, mentre oggi si pensa che l'estensore fosse più di uno e questa fosse un'opera aperta che si aggiornasse di volta in volta da copisti differenti.

"Le ciento novelle antike" possono essere riattualizzate sempre come si può vedere nel Decameron (esempio quarta giornata) fa ciò che si dice nella I novella cambiando però i personaggi. Fabula = rubrica, insieme ordinato degli eventi significativi (riassunto) Intreccio = modo in cui tutti gli elementi, importanti o non, vengono disposti come l'autore vuole (es. I Promessi Sposi di Manzoni) Nella Narrativa Breve questi due elementi si "corrispondono". Ripresa novelle del Duecento = XIV Novella ripresa da Boccaccio per quarta giornata Decameron anche se il fine nelle due novelle è diverso. Quindi c'è una continuità ma appunto il fine risulta diverso. NOVELLA I: Riferimenti a "Nostro Signore Gesù Cristo" il quale celebra il potere della parola. Parola = atto formale, è proiezione della parola imitabile, quindi nobili e gentili sono lo specchio da imitare da chi è inferiore a loro. Prima cosa da fare con la parola è onorare Dio che è amore originario, successivamente bisogna usarla con finalità edonistica (concezione filosofica secondo cui il piacere è il bene sommo dell'uomo e il suo conseguimento il fine esclusivo della vita) sempre con onestà e cortesia. In questa novella viene detto che la raccolta è un "prontuario" ovvero una sorta di manuale che serve come specchio, insegnamento per chi lo legge. Tale finalità si può leggere in questi versi "...fiori di parlare, di belle cortesie e di belli risposi e di belle valentie, di belli donari e di belli amori...", per coloro che hanno "prode ed a piacere di coloro, che non sanno e disiderano di sapere".

LEZIONE 10/04/18: Novella II: Incipit seconda novella (che poi è la prima): torna concetto di specchio, ricorda specula principis. Riferimento a Federico II perché avvenimento reale, potente con formidabile ruolo intellettuale nella definizione delle origini della letteratura volgare in Italia, caratterizzato da aggettivi che lo identificano come colui che meglio di lui potrebbe svolgere funzione di esempio verso i minori espressa nel proemio. Novella struttura simile alla novella moderna, inizia con definizione qualità protagonisti. Gareggiano due personaggi in una certa concezione di saviezza e cortesia, qui uno di fantasia e l’uomo gentile di costumi incarnato

dall’imperatore. Prete Gianni manda in dono a Federico tre pietre per verificare la saviezza di Federico, quindi narrazione inizia con tentativo di verifica della saviezza (savio = e in grado di trasmettere ciò che sa). Si aspetta che Federico sappia riconoscere il valore delle pietre, capacità di individuare il potere, la funzione di qualcosa è tipico del savio. Federico prende le pietre e risponde alla domanda, cioè qual è la cosa più bella del mondo. Risponde che è la misura, quindi la mancanza di eccessi, la via di mezzo. In Boccaccio diventerà la discrezione. La saviezza di Federico sta nella risposta, ma non nei fatti per prete Gianni e quindi si ricrede sull’opinione su Federico. Vuole riprendersi le pietre, si rivolge ad un lapidario e lo manda alla corte dell’imperatore. Il lapidario è savio e si comporta secondo i termini della cortesia perché fa doni per onorare la virtù dei virtuosi. Il lapidario mostra di avere un’abilità pratica, quindi più savio di Federico sul piano della pratica. Contrapposizione saper parlare e saper fare costante nel Novellino. Federico bravissimo nel produrre motti, ma incapace di conoscere al sapere manuale la realtà. Saviezza messa in primo piano è duplice quindi. Quasi tutte le novelle del novellino hanno come scopo principale la declinazione in positivo o negativo del concetto di saggezza. 3° novella: ripreso motivo biblico di Giuseppe in prigione al quale il faraone chiede di interpretare i suoi sogni. Qui il greco è in grado di comprendere la virtù di ciò che ha davanti dall’osservazione. La conoscenza del vissuto muove dal vedere. Lo definisce saputo, sapienza che non viene dalla conoscenza erudita del libro, ma dalla capacità di decodificare ciò che si vede. Nel Medioevo si credeva che il nutrimento cambiasse la natura della persona, per questo mal visto fatto che il cavallo sia stato nutrito con latte d’asina. Ora il greco guarda (avisa) le pietre, nella più bella per il re c’è un verme, è bacata. Poi re immagina di non essere legittimo e chiede parere al greco, la sapienza che per due volte il maestro ha dimostrato nel fare ora va nel piano del sapere verbale, perché il re per premiarlo gli ha dato prima mezzo pane, poi uno interno al giorno. Infatti poi spiega perché aveva detto quelle cose, c’è sia formazione esperienziale che di studio. Il re vuole capire perché è figlio del fornaio e il greco risponde perché gli ha dato il pane in ricompensa, e non terre e potere come avrebbe fatto un vero re. Il greco si difende con un motto, parola che morde e difende. Anche chi non è nobile o aristocratico può avere saviezza che corrisponde a quella gentile, come il greco qui. Questa è una novità per la tradizione fino ad allora. Nella quarta novella giullare, ma la sua furbizia non viene celebrata. Si dice che il giullare non è degno di città, il giullare è l’anti-cortese nel novellino, è colui che usa la parola non con moderazione ma per giucolare = scherzare, non ha dignità e capacità intellettuale. Follia, mattìa e pazzia nel Novellino.

Novella VII: Prima comparsa di folle nella 7° novella: ambiente biblico con Salomone, il re saggio per eccellenza. Al centro tema del figlio soggetto al pagamento della colpa dei padri, tipico della tragedia greca e cultura biblica. Nell’incipit dice un “altro dispiacere”: due interpretazioni, la prima è legame con racconto precedente di Davide che pecca di vanagloria, la seconda legata a serie di novelle che raccontavano le colpe di Salomone. Qui meriti e demeriti dei padri decadono verso i figli, e Salomone fa di tutto per rendere potente il suo regno e fare tanti figli, ma ha solo un figlio e lo istruisce, cerca di renderlo saggio in modo da avere garantito il mantenimento del regno, gli mette da parte un tesoro ricchissimo e crea situazione pacifica, poi insegna magia e negromanzia. Alla morte di Salomone il figlio chiede consiglio agli anziani. Il primo consiglio è governare rispettando il popolo. Poi chiede consiglio ai giovani che invece gli dicono di governare col pugno di ferro. Quindi sapere basato su conoscenza della parola e il sapere della guerra che agisce come controllo assoluto dei giovani. Il figlio di Salomone ascolta i giovani e perde dieci tribù sulle dodici di Israele per “lo folle consiglio dei giovani”. L’anziano possiede il sapere, il giovane ha più prestanza fisica che capacità intellettuale. Ad esempio Rinaldo nella Gerusalemme liberata ha 15 anni. Novella VIII: Ambito socialmente elevato, qui classicità greca. Figlio allevato in tutte le discipline e comportamenti cortesi (be’ costumi), il padre gli dona grande quantità di denaro e il figlio deve dimostrare di saperlo utilizzare. Uomo che si fa da sé, nuova classe sociale della borghesia emergente. Uomo orgoglioso della ricchezza che ha prodotto dal nulla, il re è più timoroso. L’oro che il figlio aveva ricevuto in dono lo usa per premiare colui che aveva perso ciò che aveva. La saviezza del padre avrebbe premiato il mercante che si è fatto da solo e definisce folle il comportamento del re di Siria. Il giovane savio risponde che ha donato a chi gli ha insegnato. Per l’autore il giovane è savio perché premia l’insegnamento, prerogativa principale della scrittura. Perché il comportamento del giovane diventi exemplum deve essere narrato dagli altri. Il folle è quindi chi avendo potere lo perde, ma questa follia può diventare positiva se trasformata in exemplum e rende savio. Novella XXII: Sempre Federico. Qui usato termine matto. L’astore è un rapace da caccia, Federico II scrisse tra i maggiori trattati di falconeria del Medioevo. Federico si trova ad assediare Milano, un anziano consiglia un atto contrario alla cortesia. Villanìa è il contrario di cortesia. Federico dice che il canuto è un matto, perché

vergato indica il matto, qualcuno che bisogna tenere lontano. Il matto è chi ha un disagio mentale. Anziano che non si comporta da savio è matto. Novella XXIX: Empireo è sede di Dio nella visione scolastica e dantesca. I savienti non trovando risposta alla disputa definiscono la questione impossibile a partire da chi l’ha prodotta, è matto chi pensa di poter superare i limiti della conoscenza umana. Forsennato è chi vuole capire il Principio del sapere. C’è il climax matto- forsennato- senza veruno senno, quindi cercare di attingere alla conoscenza divina. Percorso pericolosissimo che può portare dalla saggezza al suo massimo opposto. Termine forsennato già presente nella novella 28.

LEZIONE 13/04/18 NOVELLA XIV: Presa in considerazione perché è una novella che sarà ripresa da Boccaccio e rielaborata nella Quarta giornata del Decameron. Particolarità è che le donne vengono chiamate "domòni" ovvero demoni, quindi si collocano in un ambito religioso. In questa novella si narra di un Re che ebbe un figlio al quale gli "strologi" dissero che per i primi dieci anni di vita dovesse vivere chiuso senza vedere la luce del sole, altrimenti avrebbe perso la vista, quindi poteva vedere all'esterno solo attraverso le spelonche (spioncini). Passato il tempo previsto il ragazzo poté uscire e il padre gli fece mettere davanti "molte belle gioie e molte belle donzelle" chiamate domòni, chiedendogli quali fossero più belle il giovane rispose "I domoni" a cui il Re replicò meravigliato "che cosa è tirannia e bellore di donna". NOVELLA XXII: Presa in considerazione per uso del termine matto = ambiguità che si conserva nel fatto che il personaggio è segnato sui vestiti per segnalarlo come qualcuno da cui si deve temere lontano. NOVELLA XXVIII: La novella si apre parlando dell'usanza francese in cui un uomo che era disonorato e doveva essere giustiziato si doveva esporre su un carro pubblicamente come da monito per chi aveva commesso qualcosa che non andava fatto. Protagonista però è Lancillotto, personaggio ed uno dei cavalieri più importanti del ciclo Bretone di re Artù e i cavalieri della tavola rotonda, il quale diventa

"forsennato" (altro termine per dire folle, pazzo, matto) per amore della regina Ginevra. Quindi divenendo forsennato doveva essere posto sopra la carretta ed esposto pubblicamente, invece essendo appunto come dicevamo prima un cavaliere molto importante ed essendo diventato pazzo per amore il suo comportamento diventa una sorta di "moda" quindi imitabile. Altro aspetto importante è Lancillotto e Nostro Signore sono sullo stesso piano: "Quanto fu maggiore lo Signore nostro, che fece lo cielo e la terra, che non fu Lancialotto, che fu cavaliere di scudo e mutò e rivolsi così grande costuma nel reame di Francia, che era reame altrui". Mondo Errante = questa parola ha due significati: 1. commettere errore 2. andare per avventure NOVELLA XXIX: In questa novella la parola matto ricorre 5 volte e per una volta sola compare anche il termine forsennato già comparso nella novella precedente. Per forsennato si intendono quei movimenti fuori controllo mentale di un determinato soggetto. Parla di "grandissimi savi" i quali si trovavano in una scuola a Parigi parlando del Cielo empireo contando il cielo, i pianeti, il sole, la luna, sopra tutti c'è il cielo empireo e sopra quello Dio Padre. Gli si avvicinò un "matto" chiedendo cosa ci fosse al di sopra del Padre e uno dei savi gli disse "il cappello", quando il matto se ne andò gli altri savi gli dissero che anche se aveva risposto così al matto ora il "dubbio" era rimasto anche a loro, fecero ricerche nelle scienze e non trovarono nulla. Allora dissero che "matto è colui che si ardito che la mente mette di fuori del tondo e vie più matto e forsennato è colui che pena e pensa di sapere il suo Principio : e sanza veruno senno, chi vuole sapere li Suoi profondissimi pensieri." NOVELLA XXV: In questa novella un maestro, mentre insegnava su di un libro di medicina, disse che se si mangiavano nove melanzane si diventava matti. Un suo studente decise di provare e finito di mangiare le nove melanzane disse al suo maestro che il capitolo letto non era vero perché appunto lui le aveva mangiate e non era divenuto matto. Detto questo si alzò e mostrò il sedere al maestro il quale colse l'occasione di usare tale gesto come esempio e monito da non seguire e che quindi ciò che veniva affermato dal libro era provato.

"E pur alzossi e mostrolli il culo" = è un esibizione corporea quindi atto d pazzia, commette una cosa che viene vietata dalla legge soprattutto per l'ambito in ci avviene, ovvero quello scolastico. NOVELLA XL: Protagonista della novella è Saladino uomo di corte di Sicilia il quale, durante una cena insieme ad altri cavalieri, mostra il suo essere "fine morditore" ovvero sa rispondere con la parola. Durante il pasto un cavaliere chiese a Saladino "s'io volesse dire una mia novella a cui la dico per lo più savio di noi?", il Saladino gli rispose che dovesse raccontarla al più matto tra loro. I cavalieri non sanno comprendere ciò che è stato detto al Saladino ed hanno bisogno di un intermediario che è lo stesso Saladino. Concetto = 1. 2. 3. 4.

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matto, il savio, appare matto matto, il matto, appare savio savio, il savio, appare savio savio, il matto, appare matto

La saviezza qui è un concetto relativo. NOVELLA XLII: Protagonista della novella è Guglielmo di Bergdam una figura significativa, il quale era un trovadore (?) e poeta lirico d'amore. Commise un errore grave infrangendo il codice d'amore cortese, ovvero si vantò = "...che non avea niuno nobile uomo in Provenza, che non li avesse fatto votare la sella e giaciuto con sua mogliera" in presenza del conte il quale gli chiese se avesse giaciuto anche con sua moglie e a tale domanda Guglielmo gli rispose di no e scappò via. Solo la questione era oramai aperta quindi decisero di porre vendetta, solo non fu il conte ma le donne stesse tra cui anche la moglie stessa del conte. "Vedi, Guglielmo, che, per la tua follia, ti conviene morire" = qui il termine follia viene usato in quanto Guglielmo ha infranto un codice morale, ovvero quello dell'amore cortese. Guglielmo riesce a scampare alla situazione grazie ad una battuta con la quale ha rimesso in linea la follia che aveva compiuto: "Donne, io vi prego per amore, che qual di voi è la più putta, mi dea in prima. - Allora l'una riguardò all'altra. Non si trovò ch prima li volesse dare, e così scampò a questa volta".

NOVELLA LIX: Novella presa dal libro dei 7 Savi. Federico è un personaggio importante in questa raccolta. Caratteristica importante qui messa in evidenza è che l'uso della parola portava a conquistare facilmente. Narra di un cavaliere che durante una notte mentre camminava incontrò una donna che piangeva e si lamentava per l'uomo che amava che era morto quel giorno (impiccato da Federico detto all'inizio della novella). Si fermò a parlare con lei per sapere cosa avesse ed ella gli disse che amava tanto l'uomo e che non voleva essere consolata e che voleva finire i suoi giorni piangendo, al che il cavaliere le disse "onde che mattezza è quella, che voi fate?" (è un atteggiamento che va contro il buon senso comune). Allora il cavaliere con il dono della parola persuade la donna e riesce a farla innamorare di lui, solo la donna dimentica troppo facilmente l'uomo che professava di amare fino a poco tempo prima quindi il cavaliere dice "Madonna sì come poco v'è caluto di costui, che tanto mostravate d'amare, così vi carrebbe vie meno di me. - Allora si partì da ei e andossi per li fatti suoi; ed ella rimase con gran vergogna." NOVELLA LXVIII: Protagonista di questa novella è un Filosofo ovvero Aristotele. Qui un giovane va dal grande filosofo raccontandogli di aver visto un vecchio compiere delle "mattezze" e chiese se fossero attribuibili alla vecchiaia e che se così fosse di voler morire giovane piuttosto che invecchiare e matteggiare. Mattezza = perdita fisico mentale dell'individuo che la prova Il filosofo gli risponde che non può rassicurargli nulla su questo fatto ma può dargli un consiglio ovvero "nella tua giovinezza, tu userai tutte le belle e piacevoli ed oneste cose, e dal loro contrario ti guarderai, al postutto. E quando serai vecchio, non per natura, né per ragione, viverai con nettezza; ma per la tua bella e piacevole e lunga usanza, ch'avrai fatta.". Qui si sta esprimendo un concetto importante ovvero quello dell'abitudine = se si abitua ad una vita savia lo sarà anche in vecchiaia. Saggezza = alimentata con costanza....


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