Stolz Debrunner Schmid (1970) - Storia della lingua latina PDF

Title Stolz Debrunner Schmid (1970) - Storia della lingua latina
Author Gregorio Barocelli
Course Storia della Lingua Latina
Institution Università degli Studi di Parma
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Summary

Stolz Debrunner Schmidt Ed.Storia della lingua latinaPropedeutico al corso tenuto dalla prof Mariella BonviciniGeschichte der lateinischen Sprache di Friedrich Stolz, risultato della linguistica storica e comparata, come dimostrato per gli studi in grammatica storica, morfologia, fonetica, sintassi....


Description

Stolz Debrunner Schmidt Ed.1970

Storia della lingua latina Propedeutico al corso tenuto dalla prof.ssa Mariella Bonvicini Geschichte der lateinischen Sprache di Friedrich Stolz, risultato della linguistica storica e comparata, come dimostrato per gli studi in grammatica storica, morfologia, fonetica, sintassi. L’opera dà poco posto alla sintassi latina tuttavia, ma è un effetto collaterale della metodologia storico-comparativa.

Le fonti e gli strumenti per lo studio della storia della lingua latina Lingua latina voleva dire quella del Lazio. Tuttavia quello propriamente detto era utilizzato dalla sola città di Roma, forse di un gruppo etnico. Poi il suo uso si estese parallelamente all’espansione romana, consolidando dominazione ed essendo un fattore di civilizzazione romana. A Roma era molto stretto il rapporto tra lingua e letteratura, e in quest’ultima ha avuto un ruolo determinante la civiltà greca. Due alvei: In città prima e poi nei centri di potere e cultura, sviluppo notevole letterario che influenza nettamente la lingua. Abbiamo la lingua latina colta. Nel resto dei territori la lingua era molto meno condizionata dalla letteratura: lingua popolare. Rapporti tra latino e lingue affini e italiche da una parte, evoluzione storica dall’altra. Per comprendere questa evoluzione storica, disponiamo delle opere della letteratura romana, onomastica, iscrizioni, prestiti e notizie di grammatici. Particolarmente importanti sono le iscrizioni, le quali testimoniano direttamente la lingua e la scrittura. Sono fonti vive e immediate del tempo, da cui si traggono le impressioni più varie. Hanno maggiore importanza in quanto originali, non come i manoscritti che risentono di corruzioni. Possiamo trovare grafie errate, anche a causa di basso livello culturale (sono dette popolari), da contrapporsi all’espressione della lingua colta. Le iscrizioni ufficiali presentano uno stile che è detto curiale (per quello burocratico) con grafie ed espressioni arcaiche che continuano ad esistere più a lungo che nella lingua letteraria, come si può notare dal Senatusconsultum de Bacchanalibus (186 a.C.). Al di là di arcaismi più o meno artificiali, le iscrizioni hanno valore di testimonianza linguistica del tempo più attendibile di quello tramandato su manoscritti. Lo studioso Friedrich Ritschl ha avuto il merito di valorizzare davvero le iscrizioni per lo studio della storia della lingua latina. Le più antiche si attestano al VI sec a.C, riguardano la sfera monetaria e poi quella sacrale e dedicatoria presente su manufatti artistici e artigianali. Non manca molto però per le prime iscrizioni rinvenute di maggiore lunghezza: da ricordare sono il S.consultum de Bacchanalibus e le iscrizioni funerarie degli Scipioni, le leges sacrae di Spoleto e Luceria. Certo è anche il fatto che i documenti letterari hanno diverso valore per la storia della lingua a seconda del periodo e del tipo. Vediamo come in Plauto e Terenzio le parti dialogate si attengono al modo di esprimersi in uso nella società romana del tempo e

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quindi sia riproduzione della lingua parlata. Per la lirica bisogna comprendere le caratteristiche dell’opera, l’intento letterario, circoscrivere l’autore. I testi più antichi hanno il pregio di riportare una lingua non ancora alla fine della sua evoluzione. La presenza di uno stadio non ancora definitivo ci mostra le modifiche intercorse. Ciò non preclude che si possano fare indagini sincroniche di alto livello anche con opere più tarde come il Satyricon che con la famosa Cena presenta riflessi della lingua d’uso e popolare del tempo. Grammatici e lessicografi latini ci hanno lasciato una serie di informazioni. L’erudizione sistematica si ricollega ad L. Elio Stilone Preconino, grande conoscitore delle letterature greca e latina, litteratus cioè grammatico, esperto di antichità come della lingua. L’impulso di uno studio sistematico a Roma viene dalle scuole antagoniste di Pergamo e Alessandria. Da Pergamo sarebbe arrivato Cratete di Mallo (di cui si parla in Svet., De illustribus grammaticis) il quale verso il 169 a.C. andò a Roma come ambasciatore dando via a un’erudizione sistematica e metodica, anche se il fondatore della grammatica latina fu Stilone, che trapiantò a Roma i principi scientifici della scuola alessandrina, sia per letteratura che grammatica, non ancora una disciplina al rango di scienza autonoma. Si nota l’influsso della scuola alessandrina nel De lingua latina di Varrone, poco conservata. Qui Varrone recupera ed elabora le teorie di Elio Stilone, suo maestro. Un tema importante del trattato è quello della contrapposizione tra analogia e anomalia. Cratete propugnava il principio dell’anomalia, mentre la scuola alessandrina, con Aristarco in primis era per l’analogia. Similitudo e dissimilitudo declinationis, terminologia usata da Varrone, fanno riflettere lo studio sulla flessione, nel tentativo di regolarizzare. Analogia voleva dire regolarità, come spiegare allora quelle differenze vocaliche nella terza declinazione? Cratete e i suoi sulla base di questi comportamenti eccezionali arrivò a ipotizzare la tesi dell’anomalia. I due principi, sorti in seno alle scuole ellenistiche, si ripresentarono a Roma, che arrivò ad un compromesso tra le due posizioni, tra cui quella di C. Plinio Secondo che a fianco della ratio pone il ruolo decisivo di vetus dignitas e consuetudo. Etimologia secondo i grammatici antichi. I grammatici greci avevano definito i mutamenti formali come dei παθη λεξεων, ossia trasformazioni delle parole. I loro metodi erano però spesso molto arbitrari. Per gli antichi la struttura fonetica delle parole contava poco o niente. Sono molti gli esempi di false etimologie (terra da teritur, altri con Cicerone, Quintiliano con le sue Institutiones Oratoriae, che ci fa l’esempio di classis da calando o vulpes da volipes, oppure ancora lucus che per antitesi riprenderebbe secondo l’intellettuale la luce, di cui così poco per l’intrico di rami risplende. L’antitesi si rivela inadeguata, anche se in questo caso il termine deriva da lucere dato che il lucus anticamente indicava la radura, quindi l’area di un bosco priva di alberi, che così veniva illuminata dai raggi del sole. Generalmente la progressio ad contrarium è inconciliabile con la verità etimologica. Dopo il tentativo di Varrone, il primo vero libro di grammatica latina giunse a compimento per opera di Q. Remmio Palemone (I sec d.C.) Sulla falsariga di Dionisio Trace, egli elabora una sistematizzazione fondamentale per i secoli successivi. Egli suddivide i verbi in quattro ordine declinationis, in base alla 2°p.s. dell’ind. pres. att., modellata in analogia con il genitivo singolare dei sostantivi per le cinque declinazioni. Flavio Capro fu importante nell’età tarda. Prisciano, professore a Costantinopoli, lo utilizzò parecchio. Di quest’ultimo abbiamo la Institutio de arte grammatica, in XVIII libri, il più ampio sistema di grammatica latina. L’opera ebbe grandissima fortuna, tanti sono i manoscritti che ce la tramandano. L’impostazione è debitrice di Apollonio Discolo e del figlio Erodiano, punto di arrivo della grammatica greca. Grandissima importanza hanno avuto le due artes di Elio Donato, del IV sec d.C. (prima metà), maestro di Girolamo.

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• Ars minor, in forma di domanda e risposta, tratta delle otto parti del discorso, le categorie delle parole. • Ars maior, destinato al grado scolastico superiore, presenta un’impostazione trattatistica tradizionale. Si caratterizza per elementi di fonetica, prosodia, metrica, parti del discorso, stilistica (sui barbarismi cioè errore nell’uso dei vocaboli, sui solecismi, cioè le inadeguatezze sintattiche, per non parlare di metaplasmi, figure retoriche e tropi). La ars Donati ebbe un ruolo fondamentale nell’insegnamento del latino fino all’età umanistica. Da ricordare sono anche altri scrittori come Q.Terenzio Scauro, contemporaneo di Svetonio, C.Giulio Romano (III sec) e Mario Vittorino (pieno IV sec), noto per gli studi in fatto di metrica. Non si può dimenticare l’importanza di alcuni grammatici, che si dedicarono anche all’edizione e al commento degli autori latini. Importantissimo fu M.Valerio Probo, che nella seconda metà del I sec d.C. si occupò di Terenzio, Lucrezio, Virgilio, Orazio e Persio. Furono commentate anche le opere grammaticali, prima tra tutte la Ars Donati, per opera di Servio, alla fine del IV sec, poi Cledonio e Pompeo nella seconda metà del V sec. Per le indagini sulla lingua latina abbiamo a disposizione: • Le opere grammaticali, utilissime per le notizie di fatti linguistici riportati. • I lavori lessicografici, giuntici in forma molto più frammentaria, realizzati da Verrio Flacco, Festo, Paolo Diacono. • Le raccolte di glosse. Il materiale linguistico qui raccolto è utilissimo per la conoscenza del latino volgare, utile per gettare un ponte tra il latino classico e le lingue romanze. La storia della scrittura in Italia. SI pensa che la scrittura sia arrivata in Italia dalla Grecia, mediante la colonia di Cuma, la più antica delle colonie calcidesi, oppure grazie ad un alfabeto greco occidentale. Attraverso gli Etruschi è passato ad Occhi e Umbri e pure ai Romani, in età molto antica. Le lettere delle iscrizioni latine più antiche hanno forme ancora molto simili ai modelli greci oltre che per la direzione di scrittura, sinistrorsa o bustrofedica.

L’origine del Latino. Con la linguistica comparata risiamo alla preistoria delle lingue, fatto indispensabile per il latino che per il periodo precedente al 200 a.C. ha poche testimonianze, per cui si sa pochissimo dei dialetti latini. Agli inizi storici il latino è già una lingua compatta, unitaria e cosciente di sè. Il latino forma assieme ad altre lingue il ceppo indo-europeo. Grande merito ha avuto Franz Bopp, a partire dalla sua pubblicazione del 1816 Sul sistema di coniugazione del Sanscrito, comparato con quello del latino, del greco, del persiano e del germanico. Risultato simile era stato raggiunto da Rask, già nel 1814. Queste due pubblicazioni confermarono definitivamente la familiarità delle suddette lingue. In Germania tale famiglia linguistica era definita indo-germanico, a partire dalla denominazione coniata da Schlegel. Il termine indo-europeo fu usato da Bopp e dagli altri studiosi non tedeschi. Importante sapere le famiglie indoeuropee (italico, greco, germanico, slavo, baltico, celtico) cui si aggiungono altre ancora e soprattutto quelle scoperte nel XX secolo: ittita e tocarico. Esse sono accomunate da tratti linguistici più o meno evidenti a seconda dell’evoluzione dell’idioma stesso. Essi interessano microstrutture grammaticali, da spiegare storicamente e genealogicamente.

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Krahe è lo studioso che ha notato corrispondenze linguistiche negli idronimi dei diversi paesi, definendola quindi idronimia proto-europea, ben spiegabile con tale ceppo linguistico. Molti nomi geografici non sono stati coniati al momento di queste lingue ma hanno avuto la loro denominazione in una fase molto più antica, detta protoeuropea. Il ramo italico dell’indoeuropeo si divide in latino-fallisco e osco-umbro. Il primo gruppo è quello parlato nel Lazio, tra cui quel dialetto prima di una tribù, che con la sua espansione lo impose come lingua ufficiale dei territori in suo controllo. Nonostante l’origine etrusca del toponimo di Roma, come delle tribù più antiche. Vicino ai dialetti latini era il falisco, parlato nel territorio di Falerii, a nord di Roma. Tra le lingue italiche può rientrare anche il venetico. Il gruppo osco-umbro è quello in primis dei Sanniti, popolazione dell’Italia meridionale, parlante l’osco. Linguisticamente affini erano i Peligni e gli Umbri, nonché le popolazioni centrali come quelle dei Volsci, dei Sabelli o dei Marsi. Molte di queste lingue ai tempi di Augusto erano già estinte, a parte casi come etrusco, greco ed osco. Già durante il III a.C. si ha la latinizzazione di più popoli: Sabini, Ernici ed Equi. Essa continua nel II a.C. estendendosi dalla Liguria al Veneto alla Gallia Cisalpina e nel I a.C. si completò in Etruria meridionale e nei territori dei Peligni, Vestini ecc. Gli indoeuropei italici sarebbero arrivati dal Nord della penisola, via terra quindi, in due tempi, una alla metà del II millennio e poi sul suo finire. Non è chiaro il fenomeno di differenziazione in latino-falisco e osco-umbro. Caratteri linguistici dell’italico comune. Sulla base delle leggi fonetiche, ossia quelle corrispondenze linguistiche che si hanno tra le lingue di una stessa famiglia, con grado maggiore o minore di affinità, si può notare come certi aspetti, se nelle stessa posizione e con le medesime condizioni, danno i medesimi risultati. È possibile attuare delle ipotesi ricostruttive non attestate in base a quanto ci è giunto e testimoniato. Attraverso un esame comparativo si arriva a un quadro dell’italico comune. Esso ha conservato in molti aspetti la lingua indoeuropea comune. Mutamenti consonantici: occlusive aspirate bh, dh, gh guh (labiovelare). Nell’italico comune bh, dh divennero fricative o spiranti sorde. gh> χ dh> D Che in latino si conservarono all’inizio di parola come h e f, all’interno invece furono sonorizzate e passarono alle occlusive sonore (g,b,d). Nell’italico comune era caduta di già la i consonantica intervocalica. Il dittongo indoeuropeo eu si era trasformato in ou. Per il vocalismo ha molto rilievo il fenomeno di trasformazione di l,r,m,n in combinazioni vocaliche. Consonanti vocaliche brevi: r/l > or/ol da cui in latino a volte ur/ul e ar/al davanti a vocali. m/n> em/en Sonanti lunghe: R,l,n> ra,la,na. Per il resto è rimasto abbastanza invariato dall’indoeuropeo. Vedi (ekuos, mater, ago). Invece troviamo teuos>tovos uecho>veho, bheronti>feronti, ferunt. Stajo>stao>sto in latino. Sulla configurazione delle parole latine ebbe influsso una innovazione dell’accento, non retrodatabile prima del VI sec. a.C. l’accento fu posto sulla sillaba iniziale di ogni parola, di natura espiratoria eliminando l’accento indoeuropeo che era libero e

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musicale. Tale accento era riconoscibile per esempio con l’indebolimento delle vocali delle sillabe non iniziali (capis/accipis). In accordo tra i due gruppi troviamo la caduta della i nel prefisso latino am-/an-, asco am-, umbro an- dall’i.e. ambhi- con greco αμφι- da cui lat amb-. Esempio: αμφικολος che in latino ha anculus. Il locativo era un caso autonomo nell’italico, come nell’i.e. Le maggiori innovazioni morfologiche si hanno nella flessione verbale. Si perdono delle forme verbali che devono essere rimpiazzate da altre soluzioni: imperfetto in -bam. es. fufans osco per erant. Italico l’uso di forme atematiche per il futuro, con -s: fust per erit, ferest mentre in lat. feret. In latino lo notiamo soltanto nei futuri arcaici faxo, capso. Il futuro in -bo è invece innovazione solo latino-falisca e subentrò solo dove il futuro in ā ed ē (che avevano sostituito l’antico futuro sigmatico) avrebbero creato confusione con l’ind. pres. (pipafo in falisco). Cambiano anche le desinenze personali del medio, con la r distintiva. Poche informazioni sul piano sintattico-stilistico. Quali sono i rami indoeuropei più affini all’italico? Nonostante il vivo interesse nell’individuare una civiltà che comprendesse sia greci che romani, basti pensare all’espressione «civiltà greco-italica», non si può pensare ad un popolo unitario dei Greco-Italici e nemmeno ad una unità linguistica greco-italica. Sicuramente furono molto stretti i rapporti tra Italia e Grecia colonizzatrice. Gli Italici devono ai Greci la conoscenza della scrittura, altre conoscenze di tipo culturale e legate al sapere umano. Ovviamente le notevoli affinità tra le due lingue portò ben presto eruditi e grammatici a credere che vi fosse una derivazione o quantomeno una dipendenza diretta. Secondo alcuni, il latino doveva essere un dialetto greco (Plutarco), oppure una propaggine del dialetto eolico. Questi due si somigliano ad esempio per la ritrazione dell’accento (baritonesi). Le ricerche hanno tuttavia dimostrato che nemmeno restringendo il campo ai soli greco e latino si arriva ad un gruppo comune. Ci sono troppe differenze lessicali e flessive. L’italico presenta un ramo linguistico affine anche al celtico, da suggerire una parentela più stretta con questa che con una lingua come il greco. Meritano attenzione • il genitivo in -i dei temi in -o, sia per latino che gallico antico • Il congiuntivo in ā direttamente dal tema verbale • Il passivo in -r. • Questi elementi si sono individuati anche in altre lingue, ma comunque altri tratti come il superlativo ed il futuro in -b fanno capire che dovesse sussistere un certo legame almeno in età arcaica. Walde ha provato a distinguere gli Italo-Celtici in tre grandi gruppi. l’ipotesi non ha incontrato grande sostegno e favore. La tesi cui si è giunti è che alla fine del II millennio Italici avrebbero avuto scambi culturali e linguistici con i Celti come anche i Germani. Successivamente il loro spostamento nella penisola avrebbe interrotto abbastanza i contatti.

Il latino e i suoi parenti più stretti. Il ramo osto-umbro dell’italico è noto per iscrizioni e citazioni sporadiche da parte di lessicografi e grammatici.

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Fonetica. • ā finale diventa ō, rappresentata graficamente anche da u come a. viu per via. • Sincope di vocali brevi finali (actud, factud per agito, facito) o interne (hurz per hortus, humuns per homines) Consonantismo • P, b al posto di qu, v quando sono continuazioni di labiovelari dell’i.e. (osco pis, marruc. nipis per quis, niquis) • In mezzo alla parola appare f al posto di b latina. osco mefiai per in media. Conservatività maggiore dell’osco-umbro • Certi gruppi consonantici conservano la forma originaria dall’i.e. (osco sn- al posto di nares; fesn accanto a fanum lacrima, dingua>lingua, oleo ma odor). Le forme in -l si dicono sabinismi. Le epigrafi osche sono scritte in lingua indigena, in alfabeto romano abbiamo la Tabula Bantina, anche un po’ in greco per i rinvenimenti nelle zone più a Sud. Note • Temi in o hanno genitivo sing. eis, ablativo sing in -od ( tristamentud per testamento) • Temi in a hanno ablativo in -ad (poizad per qua), praidad è lat.arc. • Temi consonantici hanno nom. plur. In -es ma a contatto con il tema si trasforma: censtur da censtures o meddiss da meddikes. • Infinito censaum • Futuri sigmatici come fust, censazet • Interessante toutam, che si sostituisce a civitas o urbs e che ha familiarità con il gotico. Epigrafi umbre: • Sincope con emps per emptos. • Nom. plur. In -er per rotacismo spesso. • Er è anche desinenza degli ablativi plurali. • Importante ere che deriva da eiso, come eisuk che presenta la particella che in latino sarebbe ce (istuce). • Varie parole sembrano prese dall’etrusco, che ha una forte identità sacrale e religiosa. Falerii era una città che per quanto etrusca ebbe sempre un’identità propria con una lingua a sé stante. Nonostante l’unione politica con l’Etruria, la lingua che parlavano appartiene al ramo italico dell’indoeuropeo. Interessante il caso del raddoppiamento peparai (= vhevhaked). La storia di questo popolo poi è stata condizionata molto dai Romani tanto che si ebbero poi delle iscrizioni latino-falische. Un’iscrizione falisca è interessante per i punti di contatto con il latino e al tempo stesso per i tratti idiomatici. Troviamo opid/sesed come ablativi, già il raddoppiamento che vale come terminus post quem per la datazione, la grafia con la sonora velare g pare sia tratto falisco a tutti gli effetti (Volgani, gondecorant). Magistreis concorda conio latino del periodo, cioè 200 a.C. Divergenze notevoli del falisco dal latino: • Oscillazione tra h ed f che forse va cercata nell’etrusco, che barene influito in più punti sulla lingua e la scrittura di Falerii e Preneste (foied vs hodie, Fercles vs Hercles, ma hileo vs filio) • Stesso discorso per alternanza tra p e b (cupa vs cuba) • Assenza di r finale del nominativo come uxo • Temi in o: Genitivo sing in -(o)sio e dativo sing in -i. Prenestino: sonorizzazione di p in b, trasformazione delle aspirate interne in labiali, omissione vocalica. Tra le iscrizioni di Preneste troviamo la più antica iscrizione latina, quella della fibula di Manios.

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La supremazia politica di Roma condusse il suo dialetto a una posizione ...


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