Storia della Lingua Italiana Riassunto PDF

Title Storia della Lingua Italiana Riassunto
Author Shohrat Amanov
Course Storia contemporanea
Institution Università per Stranieri di Perugia
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Storia della Lingua Italiana Riassunto...


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BREVE STORIA DELLA LINGUA ITALIANA STORIA DI CHI, STORIA DI CHE COSA Centro e periferia La storia linguistica italiana si caratterizza per un costante rapporto tra il centro e la periferia: per centro si intende la Toscana, da cui ha avuto origine la lingua nazionale. Il toscano espandendosi ha incontrato le parlate locali prevalendo su esse, ma il confronto non si è risolto con una imposizione autoritaria: vi è stato piuttosto un libero consenso da parte delle altre regioni. Differentemente da stati come Francia, Inghilterra, Spagna l’italiano non arriva dallo stesso luogo da cui arrivano i modelli giuridici e amministrativi (nel nostro caso dal Piemonte), e la capitale politica dell’Italia (Roma) era destinata a non coincidere con la capitale linguistica (Firenze). I dialetti sono quindi da considerare nel loro rapporto con l’italiano, sebbene dalle origini al Quattrocento non ha senso parlare di dialetti. Si parla di dialetto solo una volta che si è affermata la lingua. I forestierismi: le lingue non sono isolate La lingua non vive isolata, ma è esposta al contatto con altre lingue, oltre che con i dialetti. Gli scambi con l’estero sono frequenti, anche attraverso libri, invasioni militari, viaggi, commerci. Sono le lingue dotate di maggior prestigio a influenzare le altre, esercitando un’azione che si manifesta nei forestierismi, prestiti linguistici. Come? • Trasposizione cruda, non assimilata: il termine forestiero venga accolto nella forma originale (senza adattamento); • Adattamento: il termine viene in qualche maniera modificato. Viene preso e inserito nei paradigmi morfologici italiani e pronunciato con regole fonologiche italiane. In questo caso, il rapporto con una lingua diversa produce anche i calchi, che possono essere di due tipi: • Calco traduzione, quando si traduce alla lettera la parola straniera (skyscrapergrattacielo); • Calco semantico, quando il significato della parola straniera viene attribuito a una parola italiana già esistente (autorizzare: “rendere autorevole” per influsso del francese ha preso il senso di “permettere”). È possibile inoltre introdurre una distinzione tra: • Prestiti di necessità: quando la parola giunge assieme a un referente nuovo, privo di nome nella lingua che lo riceve (caffè, patata: accolte in italiano per indicare oggetti prima sconosciuti); • Prestiti di lusso: potrebbero essere evitati, perché la lingua possiede già un’alternativa alla parola forestiera. Nel corso dell’Ottocento l’osservazione dei forestierismi è stata determinata da reazioni di tipo puristico. Il Purismo implica una difesa dai termini stranieri: la lingua viene sentita come un segno dell’unità nazionale, come un elemento che differenzia un popolo dall’altro, per questo deve rimanere pura. Tra le lingue con cui l’italiano è stato maggiormente in relazione, al primo posto stanno quelle europee, prima il provenzale e il francese, poi lo spagnolo e l’inglese. Bisogna tenere conto anche dei contatti con latino e greco. Il latino ha dato il suo contributo alla formazione del lessico in due modi:

• Tradizione popolare/ininterrotta: dal volgare senza soluzione di continuità, per il lessico di base; • Tradizione colta: ripescaggi di parole latine avvenute dopo la formazione delle lingue romanze, soprattutto concetti astratti e intellettuali che mancavano (etimologicamente simili al latino: vitiumvezzo-vizio. Allotropia). I rapporti con il greco furono favoriti dallo sviluppo della cultura umanistica, anche se di fatto la maggior parte dei termini greci entrati nell’italiano è di tipo scientifico/medico. Tra le lingue moderne, il francese fin dalle origini ha avuto maggiori rapporti con l’italiano e gli ha dato il più alto numero di parole, influenzandolo anche grazie alle letterature francesi e provenzali. Il periodo in cui l’influenza francese fu maggiormente avvertita è quello tra Settecento e Ottocento, ostacolata all’inizio dell’Ottocento dal Purismo. Le lingue iberiche hanno avuto una certa influenza sull’italiano nei secoli passati, soprattutto dalla seconda metà del Cinquecento alla fine del Seicento. Gli anglicismi costituiscono un settore in continua crescita. Il periodo di forte penetrazione degli anglicismi comincia nell’Ottocento e raggiunge il culmine nella nostra epoca. Il tedesco è stato molto meno importante rispetto alle altre lingue, così come altre lingue europee. Importante è stato invece nel Medioevo il rapporto con l’arabo grazie ai frequenti contatti con il mondo islamico. Il rapporto con la lingua ebraica è stato indiretto, attraverso il latino, per influenza della liturgia cristiana. Occasionali sono stati i rapporti con il turco, mentre in epoca recente sono entrate alcune parole dal giapponese . Gli scrittori che contano Il linguaggio letterario ha influito spesso in maniera determinante sulla lingua italiana comune. Nella situazione italiana sono stati proprio gli scrittori a incidere sullo sviluppo della lingua nazionale, fornendo gli elementi sui quali grammatici e teorici hanno poi stabilito la norma. Gli scrittori sono tra i protagonisti privilegiati della storia linguistica, anche se non si può pensare che la lingua si identifichi e si esaurisca nella letteratura. Ma è soprattutto in questo settore che si è sviluppato l’interesse per la lingua ed è qui che lo storico registra la maggior parte degli eventi significativi. Il mistilinguismo Il parlante o scrivente italiano è stato attirato dal toscano, ma anche condizionato dal suo dialetto di origine, spesso molto diverso dal toscano. Inoltre il parlante non toscano è vissuto in una condizione di diglossia, perché si trovava a parlare un dialetto d’uso quotidiano, collocato però a un livello di prestigio molto inferiore rispetto alla lingua letteraria, considerata nobile. Le persone colte conoscevano il latino, considerato una lingua nobile. Per tutti questi motivi si svilupparono fenomeni di lingua mista, in cui entravano elementi diversi, attinti a queste diverse possibili fonti. La contaminazione che ne deriva prende il nome di mistilinguismo: la mescolanza di elementi linguistici diversi, che può essere involontaria, per errore, o volontaria, per deliberata scelta stilistica. Notai e mercanti del Medioevo Il notaio è senz’altro fra i protagonisti della fase iniziale della nostra storia linguistica: molti dei primi documenti del volgare sono stati scritti da notai e a essi si deve la scelta di introdurre il volgare al posto del latino. Furono inoltre i primi cultori dell’antica poesia italiana. Il notaio risulta quindi essere un fruitore della letteratura volgare, mentre in altri casi proprio il suo mestiere di addetto alla scrittura e alla verbalizzazione lo mette nella condizione ideale per inserire frasi volgari in documenti latini, o per utilizzare direttamente la lingua volgare.

Il mercante medievale era certo meno istruito del notaio, ma conosceva le lingue straniere. Non sapeva il latino: imparava a leggere, scrivere e fare i conti, e poi si dedicava alla sua attività. Non conoscendo il latino era ignorante dal punto di vista di grammatica e letteratura. Egli leggeva per proprio divertimento, ma il suo rapporto con la scrittura era più sostanziale, in quanto aveva a che fare con la sua professione (tenere i conti, annotare i movimenti delle merci…). L’interesse degli studiosi si è sempre diretto in modo speciale ai mercanti o banchieri fiorentini e toscani, che ebbero un’importanza eccezionale. Ma i mercanti fiorentini non furono gli unici in Italia, di particolare interesse risulta infatti l’area veneta. Già nel Cinquecento la cultura mercantile perse a sua importanza, ma continuò la tradizione delle narrazioni di viaggi. In questi scritti si possono trovare le prime attestazioni di parole esotiche poi entrate stabilmente nell’italiano. Scienziati e tecnici Lo strumento della lingua scientifica fu per lungo tempo solo il latino, fino al Rinascimento. Ci volle tempo perché il volgare potesse competere con il latino strappandogli il monopolio della cultura e lo scienziato diventasse uno dei protagonisti della storia linguistica italiana. Dante ebbe la lungimiranza di antivedere una simile trasformazione, e scrisse in volgare il Convivio , opera di filosofia e poesia, che comprende commenti dottrinali in prosa. Galileo Galilei fu il protagonista della svolta che promosse al più alto livello scientifico l’uso del volgare toscano. Per forza di regole: i grammatici Una lingua esiste anche prima che i grammatici ne abbiano fissato le regole. L’italiano vantava già un’eccellente tradizione letteraria quando, tra Quattro e Cinquecento, si avviarono i primi esperimenti di stabilizzazione della norma. La prima breve grammatica italiana che si conosca è la Grammatichetta vaticana di Alberti, composta nel Quattrocento. La prima grammatica a stampa risale all’inizio del secolo successivo: si tratta delle Regole grammaticali della volgar lingua di Fortunio. Nel 1525 uscirono le Prose della volgar lingua di Bembo, un’opera di enorme importanza nella tradizione italiana. Le norme fissate dai grammatici del Cinquecento erano ricavate dagli scrittori che avevano reso grande la lingua: Dante, Petrarca e Boccaccio. La grammatica, dunque, si sviluppò dopo che fu disponibile una ricca tradizione letteraria. Le grammatiche del Cinquecento furono soprattutto strumento di consultazione per i letterati, non certo per i ragazzi che apprendessero la lingua italiana. A partire dal Settecento ai grammatici si offrì questo nuovo e importante spazio di intervento: la grammatica divenne uno strumento fondamentale della pedagogia scolastica, come è ancora oggi. L’autorità delle parole: dizionari e accademie Accanto alle grammatiche, l’altro grande presidio della norma linguistica è rappresentato dai dizionari. Oggi essi necessitano di aggiornamento per stare al passo con i tempi, mentre la concezione antica aveva come obiettivo la definizione di un corpus chiuso di parole. I primi vocabolari a stampa, nella prima metà del Cinquecento furono strumenti al servizio della letteratura. I più antichi vocabolari a stampa dell’italiano furono realizzati lontano dalla Toscana, soprattutto a Venezia, probabilmente perché i non toscani sentivano un bisogno maggiore di strumenti del genere, non essendo per loro la lingua un fatto naturale e spontaneo. A Firenze nacque tuttavia l’Accademia della Crusca, fondata alla fine del Cinquecento, che pubblicò nel 1612 un vocabolario molto più ampio di tutti quelli realizzati fino ad allora e lo presentò con un’autorevolezza tale da farlo diventare il termine di confronto obbligatorio in qualunque discussione sulla lingua. Il modello della Crusca fu così forte che per secoli Accademia e Vocabolario si identificarono e furono al centro di discussioni e polemiche. Alcuni vocabolari furono testimoni delle svolte culturali.

La politica linguistica La letteratura e la cultura sono stati i canali più importanti per la diffusione dell’italiano, che non ha raggiunto la sua stabilità attraverso la forza unificatrice di uno stato: l’unificazione politica italiana si è realizzata quando la lingua aveva già raggiunto da sé un assetto sicuro. In Toscana la lingua parlata era vicina a quella scritta e letteraria, e si aveva quindi un’omogeneità altrove impossibile. In Toscana quindi il potere politico era disponibile alla promozione della lingua volgare. In questo modo la regione assumeva una posizione di vantaggio. Si ebbe una significativa promozione del toscano alla corte medicea. La situazione di Firenze era dunque unica nel suo genere, per l’omogeneità tra lingua letteraria e lingua parlata. Diversa la situazione nel resto d’Italia, dove tuttavia si ebbero casi di adozione precoce del toscano al posto del latino già nel Quattrocento, quando fece la comparsa in alcune cancellerie signorili. La cancelleria è la segreteria addetta al disbrigo degli affari di stato, in cui si conservano atti legislativi e giudiziari, e in cui scrivani, segretari e notai svolgono il compito di impiegati alle dipendenze del signore. È qui che si forma, nel Quattrocento, la lingua che usiamo definire come comune, coinè. Una cancelleria, quando adotta l’italiano, tende di necessità a un conguaglio superregionale, per i contatti che intrattiene al di fuori dei confini. Quando la lingua viene sentita come valore nazionale, si possono manifestare degenerazioni. Come il rischio di un sentimento di rifiuto per quanto si presenta come linguisticamente diverso e disomogeneo, come nel caso delle minoranze. Anche i dialetti esprimono una diversità regionale. Non a caso, nel clima che portò all’Unità d’Italia, si formarono movimenti di opinione contrari. Lo stesso Manzoni non fu favorevole. Tale posizione antidialettale viene definita giacobinismo linguistico. Uno degli strumenti della politica linguistica è la scuola. Fino al Settecento la scuola superiore fu in lingua latina. Il volgare non era insegnato e solo in Toscana furono istituite già nel Cinquecento cattedre di lingua toscana. Con le riforme del Settecento il toscano entrò nella scuola superiore e nell’università, all’inizio con una posizione assai modesta, ancora ai margini rispetto all’insegnamento della lingua latina. Editori e tipografia La stampa a caratteri mobili fu invenzione tedesca, di Gutenberg. In breve tempo la tipografia si diffuse anche in altre nazioni, con ottimi risultati in Italia. L’arte tipografica fu appresa dagli artigiani nostrani e si concentrò nelle città, in particolare a Venezia, che nel Quattrocento divenne la capitale della stampa. L’invenzione della stampa a caratteri mobili incise profondamente sulla cultura europea, non solo su quella italiana. Tra le conseguenze di questa innovazione tecnologica vi fu un aumento delle tirature e una divulgazione mai vista prima. La circolazione dei testi scritti comportò conseguenze anche sul piano linguistico, influenzando l’evoluzione della lingua e producendo una regolarizzazione sempre maggiore della scrittura. Nel primo secolo della stampa la produzione in latino ebbe di gran lunga il primo posto. Il primo libro in volgare italiano oggi conosciuto non è un grande classico, ma un testo popolare devoto, il frammento di un libro di preghiere. Tra il 1470 e il 1472 uscirono gli autori massimi della letteratura volgare, con il Decameron, il Canzoniere e la DivinaCommedia. Comunque i libri in volgare furono per tutto il Quattrocento una minoranza. Nel corso del Cinquecento l’editoria raggiunse una considerevole omogeneità linguistica e acquistò maggiore importanza la figura del correttore tipografico: la revisione dei testi destinati alla stampa diventò una vera professione. Attraverso la stampa si arrivò così ad una

progressiva regolarizzazione della grafia e dell’uso della punteggiatura e alla fine del Seicento le convenzioni grafiche erano ormai sostanzialmente analoghe a quelle moderne. Dalla stampa ai moderni mass-media I mass-media sono i mezzi di comunicazione di massa, giornali, radio, cinema, televisione . Nel Settecento e Ottocento, accanto al libro, acquistò una funzione particolare il giornale, che era rivolto allo stesso pubblico colto che acquistava i libri. È con l’Ottocento che si diffusero giornali popolari e quotidiani rivolti a un pubblico più largo, favoriti dalla crescita dell’alfabetismo e dalla maggiore scolarizzazione. La prosa giornalistica interessa per due motivi: • È un campione di lingua media, più vicina al parlato della letteratura e della prosa colta della saggistica; • È un terreno in cui si incontrano le innovazioni. Il giornale è anche ottimo testimone del suo tempo: vi troviamo le prime attestazioni di molti neologismi e forestierismi, proprio perché il giornalista si confronta con l’attualità. Nei mass media entrano poi elementi regionali e locali, e ciò avviene anche nella televisione, nella radio e nel cinema che hanno grande importanza nell’influenza linguistica. La radio era diventata un canale per raggiungere masse popolari già prima della seconda guerra mondiale. La televisione ebbe un’importanza ancora maggiore e raggiunse il pubblico delle fase più povere, un pubblico non toccato dalla circolazione della stampa, che poteva ascoltare una voce che parlava in lingua italiana portando nelle campagne e nelle zone arretrate un’immagine del mondo esterno. Gli effetti linguistici di Internet poi sono destinati a manifestarsi in futuro. Ma di sicuro la multimedialità non ha soffocato l’uso della parola scritta, anche se ha influenzato la forma della comunicazione modificandone certe modalità. L’italiano del popolo Il linguaggio è patrimonio di tutta la comunità dei parlanti, non di una porzione di essi. Dunque la lingua non può essere considerata proprietà esclusiva delle classi più colte, anche se sono state le uniche in grado di partecipare al dibattito letterario. La storia linguistica riserva il debito spazio anche alle classi subalterne. Grandi trasformazioni, come il passaggio dal latino alle lingue romanze, sono avvenute a livello popolare. Nella tradizione italiana di riflessione sulla lingua, il ruolo del popolo è stato materia controversa. Bembo era fautore di un ideale letterario aristocratico e non riconosceva diritti alla parlata popolare. Parlando di popolo ci riferiamo al popolo toscano: il popolo di tutte le altre regioni, portatore di dialetti, non era quasi mai oggetto di attenzione da parte di grammatici e teorici, oppure era considerato in maniera negativa. I linguisti hanno scoperto l’esistenza del popolo grazie allo sviluppo delle scienze folcloriche e della dialettologia, successivamente all’Unità . Si poté così osservare che il popolo postunitario era arrivato a utilizzare una modesta lingua “italiana”, piena di elementi dialettali e di errori. Gli studiosi si sono dunque occupati dell’italiano del popolo, facendo uso della categoria di “italiano popolare”, utilizzata all’inizio degli anni Settanta per indicare la parlata di aspirazione sopradialettale e unitaria degli incolti, o il tipo di italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto. Oltre che essere oggetto di ricerca in quanto produttrici di italiano popolare, le classi subalterne possono essere prese in considerazione proprio per la loro specifica cultura dialettale. I dialetti sono un patrimonio linguisticamente interessante, regolato da norme non diverse da quelle della lingua. Possono essere studiati come oggetti specifici o essere messi in

relazione con la lingua: la storia dei dialetti italiani è strettamente correlata a quella dell’italiano. I dialetti si sono via via avvicinati alla lingua, mentre l’italiano ha acquisito elementi provenienti dai dialetti. La lingua come varietà La lingua cambia in dipendenza del livello culturale e sociale di chi la usa. L’italiano popolare è l’italiano di chi non riesce a staccarsi dal dialetto e quindi contamina i codici, dando luogo a degli errori. I linguisti parlano di varietà diastratiche per indicare differenze che si riscontrano nell’uso dei diversi strati sociali, i quali non hanno lo stesso livello di cultura. Questo concetto può essere utilizzato anche in sede storica, cioè in sede di analisi diacronica. Nello studio delle varie fasi diacroniche dell’italiano occorre sempre tener presente che non esistono solo i ceti sociali acculturati e partecipi del dibattito letterario, ma anche i ceti più bassi. A partire dal Cinquecento l’italiano letterale divenne lingua della comunicazione scritta ai diversi livelli della società. Da allora, quanto più è modesto il livello culturale dello scrivente, tanto più emergono vistosi gli elementi legati al dialetto. La varietà diastratica bassa è dunque permeabile alle varietà diatopiche, cioè alle diversità linguistiche legate alla diversa provenienza geografica del parlante. Queste varietà sono definibili anche varietà geografiche. L’italiano parlato nel nostro paese non è uniforme, ma varia da regione a regione. Le differenze riguardano prima di tutto il livello fonetico e fonologico, ma anche quello morfologico, lessicale e sintattico. Diafasico è termine tecnico per indicare differenze linguistiche relative allo stile della comunicazione, che può svolgersi a livelli diversi con diversi stili linguistici: formale, colloquiale, informale ecc. La definizione dei registri e stili della comunicazione interessa soprattutto i sociolinguisti. Lo storico della lingua dovrà comunque tenere conto del livello o reg...


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