Riassunto La lingua italiana. Storia, testi, strumenti Marazzini PDF

Title Riassunto La lingua italiana. Storia, testi, strumenti Marazzini
Author Giorgia Guidetti
Course Storia della lingua italiana
Institution Università degli Studi di Milano
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LA LINGUA ITALIANA: STORIA, TESTI, STRUMENTI –C. MARAZZINI VARIETÀ DELLO SPAZIO LINGUISTICO ITALIANO 1-L’ITALIANO TRA LE LINGUE D’EUROPA L’italiano appartiene alla famiglia linguistica indoeuropea, la prima nel mondo per numero di parlanti. Rientrano in questa famiglia quasi tutte le lingue d’Europa e quelle di alcune regioni dell’Asia meridionale, ritenute geneticamente affini per una serie di corrispondenze linguistiche spiegabili ipotizzando un’antichissima discendenza comune dall’indoeuropeo. Nel Cinquecento con le conquiste coloniali alcune lingue indoeuropee arrivarono in altri continenti. In Europa sono indoeuropei i tre gruppi linguistici maggioritari ovvero quello romanzo, quello germanico e quello slavo. I pochi idiomi non indoeuropei in Europa sono le lingue ugro-finniche, il turco, il basco e il maltese. Le lingue romanze, dette anche neolatine perché derivate appunto dal latino, sono: l’italiano e i suoi dialetti, il portoghese e il gallego, lo spagnolo e il catalano, il francese, il provenzale e il rumeno. Ad esse possiamo aggiungere una lingua estinta il dalmatico. Oggi circa 640 milioni di persone adoperano le lingue romanze, l’italiano però non è la più diffusa tra queste lingue ma mantiene comunque un grande fascino per la sua ricchezza letteraria e artistica. 2-DOVE SI PARLA ITALIANO L’italiano è parlato oggi in tutto il territorio della Repubblica italiana, nello Stato Vaticano, nella Repubblica di San Marino, in alcuni cantoni della Svizzera, in piccole aree in Slovenia e in Croazia. Questa presenza risale all’antico dominio veneziano in Istria e sulla costa dalmata, drasticamente diminuita dalla fine della seconda guerra mondiale. Nel nizzardo e nel principato di Monaco, nei territori delle ex colonie italiane nel Corno d’Africa, nell’ex protettorato di Rodi. Vanno poi menzionate le comunità di emigranti italiani sparse in tutto il mondo. Il grande flusso migratorio è iniziato nella seconda metà dell’Ottocento ed è proseguito fin verso gli anni Settanta del Novecento, ma dobbiamo tener presente che quasi tutti questi emigrati parlavano un dialetto e pochi conoscevano l’italiano. La lingua italiana è generalmente nota alle persone di ceto elevato a Malta, vi sono tratti linguistici del dialetto siciliano nella lingua maltese che però appartiene alla famiglia semitica. 3-ALLOGLOTTI D’ITALIA Occorre prestare attenzione anche alle minoranze linguistiche. Entro i confini della Repubblica italiana sono presenti gruppi alloglotti di origine romanza e non romanza. Parliamo di alloglotti quando aree linguistiche più grandi, confinanti con il nostro territorio nazionale, si estendono in parte anche all’interno dei nostri confini: questo è il caso dei tedescofoni in Alto Adige e dei francofoni in Valle d’Aosta (continuità transfrontaliera). Usiamo invece la categoria “isole linguistiche” per indicare comunità di alloglotti molto piccole e isolate. La presenza di alloglotti ha dato luogo a discussioni sull’opportunità di interventi di natura politica destinati a proteggere e rilanciare la specifica cultura di queste comunità. Molti alloglotti parlano lingue romanze: In Piemonte si parla il provenzale (detto anche occitano), Il franco-provenzale è parlato in Valle d’Aosta, nella media e bassa Valle di Susa e nella Valle di Lanzo; il ladino nelle valli alpine dolomitiche e una sua varietà in Svizzera è il romancio; le parlate friulane sono usate nella maggior parte del Friuli e della Carnia. Il Sardo anche se si è giunti ad una koinè può essere considerato una lingua e se ne distinguono quattro varietà: gallurese, sassarese, logudorese e campidanese (accanto viene parlato un dialetto ligure il tabarchino); esso è la varietà romanza più conservata rispetto al latino. I gruppi alloglotti non romanzi in Italia sono tedeschi, greci, albanesi, slavi. Le penisole tedesche hanno grande importanza, anche perché la loro presenza ha dato anche problemi di natura politica e amministrativa: la più numerosa comunità tedescofona occupa l’alta Valle dell’Adige e la comunità designa il proprio territorio con il nome di Südtirol; questa

minoranza ha uno statuto speciale e il tedesco ha qui lo status di lingua ufficiale accanto all’italiano, ovvero è presente una diglossia. Grande interesse tra gli studiosi hanno sempre suscitato interesse le due isole greche presenti sul territorio italiano: una in Calabria, l’altra in Salento, residuo della magna Grecia. Le propaggini slave erano molto importanti prima dell’ultima guerra, ma si sono ridotte notevolmente. Rimangono in territorio italiano alcuni gruppi sloveni nelle province di Udine, Gorizia e Trieste. Vi sono poi numerose antiche isole di albanesi originate da immigrati giunti da noi a partire dal XV secolo per sfuggire all’avanzata dei turchi nei Balcani; sono distribuiti tra la provincia di Campobasso e l’estremità settentrionale della provincia di Foggia. I nuovi gruppi etnolinguistici stanno soppiantando per numero, importanza e peso sociale le vecchie minoranze storiche (popolazioni povere dell’Europa dell’Est, Africa, Asia, America centrale e meridionale); sono costituiti ormai da ben oltre 4 milioni di persone. Rientra infine in un flusso tradizionale e antico la presenza degli zingari. 4-I DIALETTI D’ITALIA L’Italia è la nazione europea più ricca e differenziata per varietà linguistica. L’italiano per secoli è stato quasi esclusivamente idioma letterario, quando la lingua comunemente parlata era il dialetto locale. Ancora a inizio Novecento la maggioranza della popolazione era composta da parlanti dialettofoni. La lingua è un dialetto che per cause storiche o abitudini culturali e sociali ha raggiunto uno status superiore nell’uso e nella coscienza degli utenti. La prima descrizione sistematica e scientifica dell’”Italia dialettale” fa data da G.I Ascoli nel 1885; sulla base di questa descrizione, si distinguono in Italia tre aree dialettali, la settentrionale, la centrale e la meridionale, convenzionalmente separate sulle cartine geolinguistiche da due grandi linee di confine: la linea La Spezia-Rimini divide i dialetti settentrionali da quelli centralo-meridionali; la linea RomaAncona divide i dialetti centrali da quelli meridionali. La linea che delimita il confine di un dato fenomeno linguistico nello spazio geografico prende il nome di isoglossa. I fenomeni linguistici che caratterizzano le parlate dialettali a nord della linea La Spezia-Rimini sono: 1. 2. 3. 4. 5.

Lo scempiamento delle consonanti geminate: es. spala per spalla La caduta delle vocali finali, eccetto la a, che resiste La contrazione delle sillabe atone La presenza delle vocali turbate ü e ö La sonorizzazione delle consonanti –t, -c e –p quando si trovano in posizione intervocalica e possono in alcuni casi sparire per ulteriore indebolimento.

Queste caratteristiche sono proprie dei dialetti gallo-italici: piemontese, lombardo, ligure, emiliano e romagnolo. I dialetti veneti, hanno alcune caratteristiche proprie. Molti fenomeni linguistici propri dei dialetti di area centrale, in particolare del fiorentino, sono passati all’italiano standard, di cui parleremo più avanti. Qui indicheremo alcune caratteristiche proprie solo dell’area toscana: 1. La sostituzione della prima persona plurale del verbo dell’indicativo presente con il costrutto si + terza persona singolare del verbo: es. noi si mangia al posto di noi mangiamo 2. La gorgia, propria solo dell’area fiorentina: è la spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche. Es: amico viene pronunciato amiho. Il fenomeno avviene anche in fonosintassi, quando cioè la posizione intervocalica si realizza nella catena del discorso. Per questo fenomeno si è tra l’altro invocata l’eredità dell’antico etrusco. 3. Un po’ più a nord del confine della linea Roma-Ancona corre il confine dell’assimilazione progressiva di nd>nn e mb>mm es: quando in quanno, caratteristica stereotipata della parlata romanesca. Le isoglosse che individuano la linea Roma-Ancona sono meno compatte e numerose. I dialetti dell’area meridionale si caratterizzano per: 1. Il fenomeno della metafonesi

2. La sonorizzazione delle consonanti sorde in posizione postnasale. Es: angora>ancora 3. L’uso di tenere per avere 4. L’uso del possessivo in posizione enclitica Benché in linea di massima le regole siano queste si verificano diverse eccezioni e anomalie. 5-L’IMPORTANZA DELLA LETTERATURA DIALETTALE La letteratura dialettale fa parte a pieno titolo della letteratura nazionale italiana, alla quale ha dato veri capolavori. Si distingue generalmente tra letteratura dialettale spontanea e letteratura dialettale riflessa. Nella prima l’autore sceglie il dialetto perché è la sua lingua naturale, senza alcun intento di contrapporsi alla lingua letteraria; nella seconda, invece, l’autore potrebbe benissimo usare la lingua italiana letteraria perché rientra nel suo orizzonte linguistico, ma scegliere di usare il dialetto per ragioni espressive o ideologiche. Date queste premesse, si può parlare di letteratura dialettale spontanea fino al Cinquecento. Il romano Giuseppe Gioacchino Belli è con il milanese Carlo Porta il maggior poeta in dialetto della nostra letteratura dell’Ottocento; la vastissima raccolta del Belli conta oltre duemila componenti scritte in romanesco, dialetto centro-meridionali, egli utilizza il dialetto per rinsanguare la poesia introducendovi nuove linfe vitali, scurrili e plebee, realistiche e popolari. 6-GLI ITALIANI REGIONALI L’italiano non è parlato in modo uniforme nell’intero territorio nazionale. Vi sono marcate differenze che interessano prima di tutto il livello fonetico, poi anche lessicale e sintattico, più raramente quello morfologico; queste differenze sono il risultato storico dell’incontro tra i dialetti e la lingua nazionale. Queste varietà prendono il nome tecnico di “varietà diatopiche dell’italiano”. La caratterizzazione più evidente dei vari italiani regionali si ha a livello di pronuncia e prosodia. Le principali varietà di italiano regionale sono la settentrionale, la toscana, la romana, la meridionale, la sarda. È facile assegnare ad ognuna di esse tratti prosodici e fonetici tipici. L’italiano è una lingua che per tradizione è ricca di termini “ufficiali” elevati, letterari, ma quando si passa a un contesto familiare e domestico le differenze regionali si fanno marcate, e si possono avere divaricazioni persino all’interno di una stessa varietà regionale es: i geosinonimi, ossia parole che designano la stessa cosa con nomi diversi nelle diverse zone della Penisola es: le chiacchiere chiamate anche bugie, frappe… i geosinonimi si affiancano e sovrappongono ormai in maniera variegata e complessa con scambi tra zone e regioni e solo in situazioni particolari sono di reale impiccio nella comunicazione del parlante. I regionalismi più vistosi si riscontrano a livello lessicale e fonetico, investendo qui in primo luogo i livelli più bassi. 7-L’ITALIANO POPOLARE Nella tradizione italiana di riflessione sulla lingua, il ruolo del popolo è stato una materia controversa. Nella speculazione linguistica del passato il basso popolo è stato considerato di nessun valore, o addirittura dannoso. L’interesse per il popolo inteso in maniera moderna è nato nell’Ottocento con lo sviluppo delle scienze folcloriche e della dialettologia scientifica. In anni più recenti i linguisti hanno riscoperto il popolo studiando l’italiano dei semicolti, le persone solo parzialmente alfabetizzate. I linguisti osservarono che il popolo postunitario era arrivato ad utilizzare una modesta lingua “italiana” piena di elementi dialettali e di “errori” influenzata da vari modelli. L’individuazione di questi elementi e la scelta di assumere come oggetto di studio il comportamento linguistico delle classi subalterne si ispiravano anche all’ideologia marxista e al pensiero di Antonio Gramsci il quale si era dedicato all’analisi dei fattori di livellamento nell’uso dell’italiano tra il popolo, individuando come poli di attrazione linguistica la scuola, la radio, i giornali, il cinema e gli scrittori, le riunioni pubbliche (soprattutto quelle religiose) e i rapporti di conversazioni tra ceti più colti e ceti meno colti. La categoria di italiano popolare si è fissata all’inizio degli anni Settanta per indicare “la parlata degli incolti di aspirazione sopradialettale e unitaria” o “il tipo di italiano imperfettamente acquisito di chi ha per madrelingua il dialetto”.

Come si vede, le due definizioni fanno riferimento alla lingua parlata dal popolo, anche se di fatto le ricerche hanno avuto per oggetto quasi esclusivamente testi scritti. L’italiano popolare è un modo di scrivere non di parlare. Va osservato che un libro celebre come la Storia della linguistica dell’Italia unita di Tullio De Mauro, la cui prima edizione è del 1963, già collegava strettamente la storia linguistica ai grandi fattori sociali, assegnando alle masse popolari il ruolo di protagoniste. Inizialmente i testi vennero ricercati in un spazio cronologico relativamente vicino, dalla fine dell’Ottocento in poi. Le ricerche hanno in seguito esteso il campo d’indagine. La scoperta di una ricca serie di documenti dimostra come anche tra gli appartenenti ai ceti sociali più bassi, la capacità di leggere e scrivere non fosse totalmente assente es. un quaderno di conti di una pizzicarola trasteverina della prima metà del Cinquecento scoperta dallo studioso Petrucci. Le occasioni per imparare a scrivere erano maggiori del previsto a Roma nel XVI secolo, grazie ad un certo caos didattico, che vedeva il proliferare di numerose scuole familiari e scuole religiose. Insomma anche le masse popolari benché estranee alle grandi scelte culturali decisive per la storia dell’italiano, hanno partecipato indirettamente all’evoluzione della lingua, se non altro subendo le conseguenze dei grandi processi di trasformazione sociale. 8-TESTI ANTICHI E MODERNI IN ITALIANO POPOLARE Il libro dei conti di Maddalena pizzicarola di Trastevere Il “libretto dei conti” di Maddalena pizzicarola in Trastevere è stato scoperto dal paleografo Armando Petrucci nell’Archivio di Stato di Roma dove è conservato. Si tratta di un codice di 144 carte in cui sono segnate le registrazioni di debiti e crediti relativi all’attività di una bottega diretta da una donna Maddalena, originaria di Bergamo, vedova di Antonio detto il Rosso, morto nel 1523. Le registrazioni vanno dal 1523 al 1537, dunque scavalcano il grande evento di quegli anni, il sacco di Roma del 1527, al quale il documento non accenna. Le registrazioni sono autografe e rappresentano un raro e interessante esempio di scrittura popolare antica. Gli scriventi sono ben 102, eccezionale documentazione spontanea. Per conoscere la complessità e ricchezza e variabilità della comunicazione linguistica, dobbiamo ricorrere a queste scritture umili, assolutamente lontane dall’uso letterario, legate alla quotidianità della vita e alle necessità pratiche, ben lontane dai “piani nobili” dove stanno le classi colte. Verificando la penetrazione dei modelli di lingua tra le classi popolari, ci si interroga anche sui meccanismi che potevano diffondere l’alfabetizzazione, o meglio una semialfabetizzazione tra il popolo. Lettera di un emigrato politico Molte testimonianze di italiano popolare si ricavano da lettere familiari scritte da emigranti, da soldati lontani da casa o da loro parenti. Testi del genere offrono anche una rappresentazione dei sentimenti e delle preoccupazioni del popolo. Questa lettera scritta da un emigrato politico veneto che dalla Francia, nel 1936, scrisse ai parenti rimasti ad Adria ma fu sequestrata dalla polizia per le dichiarazioni antifasciste e finì in questura e nell’archivio di stato di Rovigo. Grafie diverse dalla norma, eterogeneità, anomalia morfologiche, tracce del parlato, tratti dialettali: tutti questi elementi sono caratteristici dell’italiano popolare. Nella lettera lo scrivente è estraneo alle convenzioni grafiche della lingua scritta e ha soprattutto difficoltà nella corretta divisione delle parole. Il dialetto si riflette sulla pronuncia, la sintassi è spesso vacillante, l’incipit e la chiusa sono stereotipi. Queste anomalie rispetto alla norma non devono essere interpretate come errori, ma come documento dello sforzo di avvicinarsi alla lingua italiana da parte di un dialettofono ad essa quasi estraneo, ed estraneo o quasi al mondo della parola scritta. 9-L’ITALIANO STANDARD O COMUNE Il toscano è la parlata regionale che più si avvicina alla lingua letteraria, poiché la lingua letteraria deriva appunto dal toscano del trecento. Con ciò il fiorentino e l’italiano non sono la stessa cosa, anche se in molti tratti si identificano. Quando si guarda alla lingua italiana corretta e regolata di uso normale, ci si riferisce, allo standard: lo standard è una lingua che possiamo dire di tipo neutro

corrispondente al tipo codificato dai grammatici in base a principi normativi largamente riconosciuti, quindi un italiano a cui è attribuito prestigio da parte della comunità. L’italiano normato è stabilmente diffuso a livello scritto: è la lingua insegnata a scuola, descritta dalle grammatiche. Resta invece ancora oggi poco diffusa una pronuncia davvero standard, cioè priva di tratti marcati diatopicamente. La pronuncia standard è padroneggiata da coloro che fanno uso professionale della voce. Lo standard non garantisce l’assoluta omogeneità; persino dentro al parlato normato si infiltrano alcuni elementi di substandard, informali e regionali usati anche dai parlanti colti. Preso atto di questa inevitabile commistione, Francesco Sabatini ha elaborato la categoria di italiano dell’uso medio sulla base di una serie di fenomeni grammaticali ricorrenti nell’italiano oggi comunemente parlato anche dalle persone colte nelle situazioni comunicative di media formalità. GLI STRUMENTI DELLA DISCIPLINA 1-NASCITA E CONSOLIDAMENTO DELLA DISCIPLINA La storia della lingua italiana è una disciplina accademica relativamente giovane, la prima cattedra universitaria fu istituita nella Facoltà di Lettere di Firenze nel dicembre 1937. Studi dedicati alla storia dell’italiano esistevano tuttavia già prima, seppur in un quadro diverso del sapere. Marazzini ne ha ricostruito la storia dall’Umanesimo al Romanticismo, Stuffi dall’inizio dell’Ottocento alla seconda metà del Novecento. La prima Storia della lingua italiana, in forma di manuale complessivo dalle origini all’inizio del Novecento, fu pubblicata da Migliorini nel 1960, e la data fu scelta dall’autore per la suggestiva coincidenza con la celebrazione dei mille anni della lingua italiana (il primo documento che rappresenta l’atto di nascita è il Placito Capuano del 960). Un altro libro importante ma più breve è: il Profilo di storia linguistica italiana di Giacomo Devoto del 1953. I primissimi anni Sessanta videro l’uscita di altri due libri che hanno segnato la storia della disciplina: la Questione della lingua di Maurizio Vitale e la Storia linguistica dell’Italia unita di Tullio De Mauro. Nel libro di De Mauro la storia successiva all’Unità si lega strettamente alla storia sociale, in particolare alle vicende delle classi popolari. Rilevante e innovativo è l’uso di dati statistici ed economici. Nell’ultimo cinquantennio, la Storia della lingua italiana ha consolidato il proprio status accademico e nel 1992 è stata fondata l’ASLI, l’Associazione per la Storia della lingua italiana, che raggruppa gli studiosi della disciplina e ha il compito di promuovere gli studi del settore ad ogni livello culturale, scientifico e didattico e di dare sostegno alla diffusione e allo sviluppo della lingua nazionale e di tutelare la dignità e la professionalità delle discipline afferenti. 2-DALLA STORIA DI MIGLIORINI AI NUOVI MANUALI Bruno Migliorini lavorò alla Storia della lingua italiana per oltre vent’anni, le gestazione fu lunga ma il risultato fu un capolavoro: un quadro linguistico chiaro e ben strutturato costruito su un’enorme quantità di dati raccolti. La storia della lingua è tracciata in circa 800 pagine, dalle origini latine all’inizio del Novecento ed è organizzata in un impianto per secoli. Nell’epilogo l’autore dichiara di concludere la trattazione nel 1915 perché gli anni successivi, segnati dalla guerra e da una forte influenza dei nuovi mezzi di comunicazione sulla lingua avrebbero richiesto un discorso separato, che affrontò in due saggi novecentesche: Lingua c...


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