Storia del genere umano 1 PDF

Title Storia del genere umano 1
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Macerata
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cenni sulla storia del genere umano di Leopardi...


Description

Storia del genere umano La storia del genere umano è un mito che Leopardi inventa sulla creazione e sulla storia del mondo e del genere umano, dalla genesi all’età “corrotta” dall’incivilimento, cioè fino all’era in cui lo stesso Leopardi vive. La storia del genere umano si distingue dal resto del libro sia per la forma (una favola cosmogonica), sia per il contenuto (il destino dell’umanità). Fu la prima Operetta a essere affidata ad A (il bifoglio all’interno di A che riporta la Storia del genere umano è numerato da Leopardi stesso, mentre il resto di A è numerato da chi ha inventariato l’intero manoscritto. Da ciò si evince che i bifogli contenenti la storia del genere umano siano antecedenti al resto di A), ed ha sempre mantenuto nelle stampe la posizione di apertura. L’autografo presenta un numero di correzioni e varianti alternative molto superiore al resto delle Operette. L’opera suddivide la storia del genere umano in 4 macro-età: 1. Età aurorale/immaginaria degli uomini-bambini: segue la storia della perfezione del genere umano (che si ritrova nella scommessa di Prometeo, la 9° operetta). Gli uomini vengono creati nello stesso momento e tutti bambini, poi viene creata la terra, piatta, senza mare né cielo e immensamente vasta. Gli uomini conoscono un primo periodo di felicità. Suparata questa infanzia e prima adolescenza iniziano a girare la Terra e scoprono che essa è limitata, cioè comprensibile e contenibile dalla mente umana, e quella speranza scaturita dalla mancanza di conoscenza delle cose che è propria di ogni essere umano nel periodo infantile svanisce. In età adulta e virile, gli uomini si ritrovano così afflitti dalla vita (che prima invece amavano) da essere spinti al suicidio. Gli dei restano impressionati negativamente dalla ciò che succede alla loro creazione. Il genere umano si lamenta del fatto che le cose si rivelano diverse da ciò che immaginavano nella loro infanzia. Il lamento degli uomini scaturisce dal fatto che man mano che il tempo passa, le cose diventano familiari ai loro occhi, ed il piacere dato dalla scoperta svanisce. La chiave di questo meccanismo sta nell’idillio dell’Infinito: quando gli uomini provano le sensazioni che Leopardi descrive nell’Infinito, allora “il naufragar m’è dolce in questo mare”: fin quando gli uomini hanno avuto creduto di vivere in quell’illusione d’infinito propria dell’infanzia (scaturita dalla mancata conoscenza del mondo) sono stati felici, crescendo aumenta la consapevolezza del mondo, e l’uomo non è più capace di essere felice. NB: la conoscenza delle cose, causa della fine della felicità, in termini leopardiani è espressa alle volte come “l’arido vero”. 2. Le cose della vita iniziano a dissimularsi. In questa fase compare la prima nota di Leopardi: quando gli uomini iniziano a piangere la nascita di qualcuno (poiché conoscono la sofferenza cui il nascituro andrà incontro) e gioiscono per la morte di qualcun altro (perché sono consapevoli del fatto che questo qualcuno morendo abbandona le sofferenze della vita), nella nota Leopardi esplicita il fatto che questo atteggiamento nei confronti della vita e della morte non sia frutto della sua fantasia, bensì confessa di averlo letto in scritti di Erodoto e Strabone. Durante questa età Giove decide d'ingrandire la Terra: nascono i mari (che separano le terre e rendono all’uomo difficile il muoversi), Atlantide sprofonda, crea monti e colline, fa si che gli uomini invecchino e diversifica le loro età, creò l’eco, creò il popolo dei sogni (Teogonia, Esiodo) e lo mandò a pascere il pensiero degli uomini dando loro felicità (illusoria ovviamente); fu così che Giove rinvigorì l’animo degli uomini. Quando la novità perse il suo fascino a causa della conoscenza, gli uomini iniziarono (come sopra citato) a piangere i nascituri ed a festeggiare i morti, ogni mortale si diede all’empietà (bestemmie contro gli dei). Alla fine della seconda età Leopardi lascia un pensiero importante della sua poetica: l’uomo non è stato condannato all’infelicità per i peccati contro Giove (per le empietà che iniziarono

a dire dopo che la novità della seconda era svaniscono), bensì l’uomo è infelice a causa della natura stessa del suo essere, e questa infelicità insita nell’essere umano l’ha reso malvagio. Si conclude la seconda età dopo il castigo divino del diluvio universale, cui sopravvivono Deucalione e Pirra (mito che deriva dalle Metamorfosi di Ovidio). NB: dalle prime righe si evince che il genere umano fu la massima aspirazione alla perfezione e la più grande creazione degli dei. Sono loro i primi a essere creati, vengono creati tutti contemporaneamente, tutti della stessa età, tutti uguali e vengono allevati e cresciuti come venne allevato e cresciuto Giove stesso dopo essere sfuggito al padre Crono. 3. Età dell’oro testimoniata dai selvaggi della California (corrisponde all’età antica, la quale secondo Leopardi raggiunge la perfezione durante la Roma classica): dopo che Deucalione e Pirra hanno ripopolato la Terra, Giove inizia di nuovo il suo impiego: manda mali e morbi sulla terra affinché “crescere colla opposizione dei mali il pregio dei beni”. Giove manda i morbi ed i mali ad affliggere gli uomini perché sa che quando un uomo sta per perdere la vita, subito torna ad aggrapparsi a essa, paventando la morte. Introduce ora nel mondo le tempeste “si armò del tuono e del fulmine, diede a Nettuno il tridente, spinse le comete in giro e ordinò le eclissi, colle quali cose e con altri segni ed effetti terribili, instituì di spaventare i mortali di tempo in tempo” (da notare l’effetto di Climax con i precedenti fenomeni acustici dell’eco e dello stormire del vento, che ora raggiungono l’apice con le tempeste): come per i morbi, la paura di perdere la vita scaturita dalle tempeste avrebbe spaventato gli uomini, spingendoli ad attaccarsi di nuovo alla vita. Diede agli uomini il bisogno di scoprire nuovi cibi e bevande, bisogno che per essere soddisfatto richiede grandi sacrifici e fatiche. NB: A questo punto c’è un particolare riferimento ai selvaggi di California: all’epoca di Leopardi, il massimo del mondo conosciuto era la California, ove vivevano uomini in maniera selvaggia e primitiva; a questo punto Leopardi si ricollega al Mito del Buon Selvaggio di Rousseau, in cui si sostiene che l’Uomo può essere felice solo ed unicamente prima del processo di incivilimento. Leopardi insinua che questi selvaggi californiani siano felici, in quanto sono popoli che non hanno conosciuto l’incivilimento e sono invidiabili per il loro “stato di natura”.

Giove crea le stagioni e differenzia il clima del mondo, impone all’uomo climi avversi, il che costrinse l’uomo a fabbricare delle vesti, cosa che richiese anch’essa ingegno e fatica. Fondamentale il fatto che Giove mandò Mercurio a fondare le città, diversificando gli umani in popoli e nazioni, e che queste nazioni a loro volta adottassero lingue diverse tra loro. Inevitabilmente, la differenziazione delle nazioni e delle loro lingue, portò alla nascita di dissapori e discordia tra loro (Zibaldone 889/890: conchiudo che l’indipendenza, la libertà, l’uguaglianza di un popolo antico, non solo non importava l’indipendenza, la libertà, l’uguaglianza degli altri popoli, rispetto a lui, e per quanto era in lui; ma per lo contrario importava la soggezione e servitù degli altri popoli, massime vicini, e l’obbedienza de’ più deboli. E un popolo libero al di dentro era sempre tiranno al di fuori, se aveva forze per esserlo, e questa forza nasceva sovente dalla sua libertà. Nel modo stesso che un prncipe, per esser egli indipendente e libero e non aver legami né ostacoli alla sua volontà, non perciò lascia di tiranneggiare il suo popolo. Anzi quanto è più geloso della sua libertà, tanto più ne toglie a’ sudditi, o a’ più deboli di lui. Così quanto più una nazione sentiva ed amava se stessa, che avviene massimamente ai popoli liberi, tanto più era nemica delle straniere, e desiderosa di elevarsi sopra loro, di farsene ubbidire, e conquistate, opprimerle; tanto più invidiosa de’ loro beni, ingorda del loro ec. effetto naturale dell’amor nazionale, come lo è dell’amor proprio rispetto agl’individui: essendo insomma l’amor patrio, non altro che egoismo nazionale, e rispetto alla nazion intera, egoismo della nazione). Per volere di Giove dunque, il genere umano è discorde, perché la discordia nasce insieme alle città, alle nazioni ed alle lingue: non esiste più dunque un genere umano coeso ed unito, com’era stato sino a quel momento. Punto più importante della terza macro-età sono i fantasmi che Giove manda tra gli uomini: “fantasmi di sembianze eccellentissime e soprumane (creature ideali) ai quali permise in grandissima parte il governo e la potestà di esse genti”. Tra questi fantasmi si annoverano Giustizia, virtù, Gloria ed Amor patrio: cruciale per la poetica leopardiana è la natura illusoria, ma allo stesso tempo benefica di questi fantasmi. Un posto speciale tra questi fantasmi è riservato ad Amore, che viene distinto da Leopardi in Amore appetito dei sensi, proprio della seconda era dell’umanità, ed amore virtù dello spirito, che si affaccia sul mondo insieme agli altri fantasmi nella terza macro-età. Tali fantasmi nella terza macro-età vengono finanche venerati come divinità. Ciò che fece alterare tali fantasmi furono i diversi ingegni che gli uomini trovarono per provvedere in maniera agile e rapidamente ai propri bisogni, la differenza sociale creata da Giove insieme alle prime repubbliche. Ma la fine di tali fantasmi fu dettato da un fantasma stesso, Sapienza, che prometteva agli uomini la Verità (altra entità, strettamente correlata a Sapienza), che era compagna sola degli dei.

4. Età moderna: inizia con l’ira di Giove e con la venuta del mondo della larva della Verità...


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