Storia della critica d\'arte PDF PDF

Title Storia della critica d\'arte PDF
Course Storia della critica d'arte
Institution Università degli Studi Gabriele d'Annunzio - Chieti e Pescara
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Riassunto libro...


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La storia delle storie dell’arte (Pinelli) Cap. 1 Le arti del disegno (1550-1590) 1. Le Vite di Vasari: una historia universale di tutte le pitture e sculture d’Italia Vasari, nella sua biografia inserita nella seconda edizione delle Vite, colloca la genesi della prima edizione della Torrentianiana. È il 1546 circa, e Vasari si trova a Roma, al servizio del Cardinale Alessandro Farnese. È proprio a Palazzo Farnese (dove Vasari stava affrescando la Sala dei cento giorni) che, durante una delle solite riunioni serali tra intellettuali (oltre al Cardinale sono presenti: Paolo Giovio, Annibal Caro, Pietro Bembo e Iacopo Sadoleto), quando nasce l’idea delle Vite. Il racconto del Vasari sottolinea due aspetti in particolare: da un lato, l’autorevole compirti di cui era stato soggetto; e dall’altro la sua profonda padronanza degli strumenti necessari a scrivere una storia degli artisti. " Le Vite sono innanzitutto scritte in toscano (che conferiva un marchio di modernità all’opera). Inoltre emerge la necessità di Vasari di costruire un lessico attinente all’opera. Uno dei principali obiettivi delle Vite era appunto imprimere la memoria di artefici e opere straordinarie, che rischiavano di venir dimenticate. " Paola Barocchi, grande studiosa dI Vasari, ha ipotizzato un possibile collegamento tra Vasari e Machiavelli e, più in generale, con gli scrittori di “storie” (come Vasari stesso afferma). La storiografia umanistica aveva in genere fatto convergere avvenimenti dislocati lungo l’intera superficie della penisola su una particolare città o centro politico. Allo stesso modo, le Vite trattano la storia artistica italiana; correlandole però più specificatamene alle scelte artistiche fiorentine. D’altra parte, Firenze, sin dalla fine del Duecento, aveva assunto un ruolo guida nella penisola italiana; e a inizio Cinquecento essa è al suo apice (grazie alla presenza di Michelangelo). " Nonostante l’integrazione di molteplici parti nella seconda edizione delle Vite (anche sotto raccomandazione del filologo Vincenzo Borghini), l’edizione Giuntina tratta gli altri centri italiani con sufficienza. " Un’altra considerazione: l’assetto delle Vite segue uno schema evolutivo, che si svolge attraverso il progresso; la decadenza; e la rinascita (che trova il suo culmine in Michelangelo). Abbiamo, dunque, una prima età che affronta gli artisti del Trecento; che renderanno espliciti i problemi formali e spaziali poi risolti nella seconda età, quella relativa al Quattrocento. Gli artisti della seconda età avevano dato impulso alle arti aggiungendo alle cose la regola, la misura, l’ordine, il disegno e la maniera. Si arriva infine alla terza età; in cui si raggiunge la perfezione, sia nel disegno, sia nel contraffare sottilissimamente le minuzie della natura. Le stesse biografie degli artisti

seguono, di richiamo, uno schema tripartito: introduzione; infanzia e giovinezza e, infine, descrizione e valutazione delle opere. In conclusione, oltre ad accenni di aiuti bottega e allievi, veniva dato un giudizio sulla qualità dell’opera e l’eticità dell’autore. " Analizziamo ora brevemente la struttura delle due versioni delle Vite:" Torrentiana (1550) " • Prima età: da Cimabue (1240) a Lorenzo di Bicci." • Seconda età: da Jacopo della Quercia a Perugino." • Terza età: inizia con Leonardo da Vinci e termine con Michelangelo, il culmine dell’arte." Giuntina (1568) " • Prima età: da Cimabue (1240) a Lorenzo di Bicci, con aggiunta di Arnolfo e dei due Pisano." • Seconda età: da Jacopo della Quercia a Luca Signorelli (nell’ottica michelangiolesca). Vengono aggiunte le biografie di: Lorenzo Costa e Francesco Francia. " • Terza età ha due sezioni. Nella prima, da Leonardo a Perin del Vaga (con l’aggiunta della biografia di Marcantonio Raimondi e altri incisori); nella seconda, da Beccafumi a Michelangelo. Seguono poi 24 biografia di artisti ancora in vita (compreso Vasari)." Altri due snodi teorici fondamentali. Innanzitutto, in accordo con il pensiero fiorentino, la storia del progresso artistico coincideva con la storia del progresso del disegno. Questo tema era largamente diffuso all’epoca. Dopodiché, è centrale anche la nozione di maniera: di norma indicava i differenti tratti stilistici di un artista, di una scuola o di un’epoca; ma poteva avere anche accezione negativa quando l’artista si limitava ad adoperare appunto la maniera altrui. Anche la maniera era soggetta alla teoria “evoluzionista”. L’arte greca e romana, dotata di buona maniera, era stata oscurata dal Medioevo e dalla sua maniera goffa. Bisognò attendere Giotto per vedere la rinascita della naturalezza. Con la terza età, viene raggiunto l’apice, e la maniera si identifica con il naturalismo. " 2. Dal “paragone” tra le arti alla sintesi del “disegno” Nel Cinquecento vengono sviluppati soprattutto i temi dell’imitazione; del disegno e della visione ciclica della storia. In particolare, si animò molto il dibattito circa il paragone delle arti, l’eterna contesa tra il primato della pittura e della scultura nell’imitare la natura, alimentato dalla fama di Raffaello e Michelangelo. La posta in gioco era molto alta: si trattava di riuscire a passare finalmente allo statuto di arte liberale. È da ricordare il dibattito che si svolse all’Accademia fiorentina nel 1546, condotto da

Benedetto Varchi; il quale raccolse una serie di pareri artistici che poi pubblicò successivamente. Il dibattito si sciolse con un verdetto di parità: sia pittura che scultura puntavano all’imitazione della natura mediante il disegno; e dunque erano da considerarsi “sorelle”. Dagli scritti, comunque, emergono altri dati interessanti, circa la gerarchia dei generi (primato della storia); sul rapporto tra arti e scienze; ecc…" È da citare la posizione di Giovanni Paolo Lomazzo, autore del Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura (1584) e dell’idea del tempio della pittura (1590). In particolare, nel secondo volume citato, il Lomazzo edifica un Teatro della memoria a pianta centrale, con sette colonne, a sostegno di una cupola, e le sette colonne corrispondevano ai sette pittori canonici, i Governatori dell’arte (Michelangelo; Gaudenzio Ferrari; Polidoro da Caravaggio; Leonardo; Raffaello; Mantegna; Tiziano). Ognuno di loro messo in relazione ad un pianeta (Saturno; Giove; Marte; Sole; Venere; Mercurio; Luna); che a sua volta corrispondevano alle sette parti dell’arte (proporzione; moto; forma; lume; composizione; prospettiva; colore). Si poteva raggiungere la perfezione eccellendo in una di queste sette arti (quella che più corrispondeva alla propria inclinazione naturale) e seguendo l’esempio della maniera del Governatore in questione. In tal modo, i Governatori si concretizzavano come modelli ideali ai quali attingere. " In antitesi al primato fiorentino del disegno, troviamo le figure di Ludovico Dolce con il suo Dialogo sulla pittura (1557) e Paolo Pino, con il suo Dialogo sulla pittura (1548). Entrambi difesero la specificità e il valore della pittura veneta, teorizzando la centralità del colore sul disegno. Si tratta tuttavia di testi relativi alla teoria e alla pratica artistica; nei quali non vi è ancora la consapevolezza del passato storico-artistico. " In accordo con il clima della Controriforma, il cardinale Gabriele Paleotti, vescovo di Bologna, pubblicò nel 1582 il Discorso intorno alle immagini sacre e profane; in cui indicava il vero modo che cristianamente si doveva osservare nel collocare e nel produrre le immagini. Scrisse: l’esercizio di formare immagini diverrà virtù degnissima e nobilissima; in tal modo, il cardinale attribuiva agli artisti una funzione sociale moto elevata; di congiunzione tra fedele e Sacro. Importante diviene dunque anche l’educazione che l’artista riceva o che possiede, In quest’ottica si colloca il progetto del pittore Federico Zuccari che, una volta arrivato a Roma e con l’appoggio del cardinale Federico Borromeo, istituì l’Accademia del disegno di San Luca (1593); con l’obiettivo primario di accrescere la cultura dei giovani artisti. Successivamente, nel 1607, Zuccari pubblicò l’Idea de pittori, scultori e architetti; un trattato incentrato sullo studio della creazione artistica in generale. "

Cap. 3 L’inganno dell’occhio e l’artificio barocco (1640-1680) 1. La rivalsa del colore L’interesse per la vista e il primato della pittura sulla natura si sposta verso nuovi interessi prospettici, in particolare agli inganni delle deformazioni (ad esempio: l’anamorfosi, l’uso degli specchi e delle lenti per la moltiplicazione visiva) sulle quali si concentrano sia trattati che sperimentazioni. Si sviluppa anche una nuova ricerca di verosimiglianza, basato sulla resa del colore (anedotto ritratto di Paolo II, Tiziano). Il confronto con il colorito veneziano diviene imprescindibile; in particolare dell’opera di Tiziano che soppianta quella di Annibale Carracci. A tal proposito è utile ricordare la Carta del navigar pitoresco (1660) di Marco Boschini. Nell’opera, il Boschini esalta appunto la figura di Tiziano, apice della scuola veneta; per delineare il ruolo di tale scuola nelle dinamiche del mercato contemporaneo (Boschini era molto legato al collezionismo). Boschini, utilizzando la tradizione letteraria cinquecentesca, costituisce un dialogo itinerante tra un Senator venetian deletante e un professor de pittura. Per esaltare le peculiarità della pittura veneziana, adotta il dialetto veneto. Il dialogo permette anche una struttura antibiografica (e dunque antivasariana)." In realtà, Boschini non si oppone tanto a Firenze, quanto a Roma. Anche per Boschini, il tema principale è l’aderenza al vero; che per i pittori veneziani agisce però in maniera differente. Il colorismo fa si che la retina sintetizzi la realtà attraverso la giustapposizione delle tinte. Si tratta di un’operazione intellettuale, che da Giorgione in poi prende piede nel territorio lagunare. Nel dialogo, Boschini mette in discussione anche l’ormai diffuso prestigio del Correggio, e la maniera incontestabile di Raffaello. Testimone degno della tradizione veneziana è invece Pietro da Cortona (unico affresco romano al quale sono rivolte buone parole è quello di Palazzo Barberini). A livello europeo, invece, un posto di rilievo occupano Rubens e Velàzquez (in particolare il ritratto di Innocenzo X)." Da ricordare che in Spagna, alla metà del secolo, i dipinti veneti proliferassero nelle collezioni iberiche accanto a testimonianze caravaggiesche; sentite forse più vicine dalla critica per la comunanza del realismo che in Spagna si era diffuso con il genere del bodegones."

2. Esercizi e variazioni sul tema delle biografie 1647

Riedizione delle Vite di Vasari a cura di Carlo Manolessi (Bologna)."

Lungo tutto il XVII secolo, si assiste al proliferare di storiografiche artistiche regionali; nate con l’obiettivo di colmare le lacune vasariane e contestarne, allo stesso tempo, l’approccio fiorinocentrico. Viene anche modificata la periodizzazione di Vasari: si apre un excursus temporale che risale fino alle testimonianze degli antichi Egizi o della cultura etrusca. Il Medioevo, fonte delle rivendicazioni territoriali-artistiche non fiorentine, vive una fase di riscoperta. " Nel 1642, Giovanni Baglione pubblica le Vite de pittori, scultori e architetti a Roma, decidendo di ordinare gli artisti contemporanei seguendo la successione del papato (da Gregorio XIII (1572-1585) a Urbano VIII (1623-1644). Il lavoro di Baglione, concentrato sulla capitale, eleggeva Roma a reggia del mondo, in cui, grazie alla presenza di tutte le possibili esperienze figurative, era possibile perfezionarsi in quella maniera buona italiana. L’opera di Baglione è ampliata successivamente dalle biografia di Giovanni Battista Passeri che redasse le Vite de pittori, scultori e architetti che hanno lavorato in Roma, morti dal 1641 fino al 1673 (pubblicato postumo nel 1722 a Roma)." Il medico forlivese Francesco Scannelli, propose invece un sistema storiografico alternativo: nel suo Microcosmo della pittura (1657) opera un confronto solo sulla base delle opere, che colloca secondo lo stile. Viene meno il concetto biografico e la scansione per provenienza geografica. La lettera dello Scannelli, riportata poi da Malvasia, pone l’accento sul suo metodo, paragonandolo a una bilancia con la quale i lettori giudici possano pesare il valore dei migliori maestri della pittura, ed anche conoscerne le differenze. Scannelli, dunque, cerca di raggiungere un’imparziale sistemazione dei fatti artistici e una normalizzazione oggettiva del giudizio, in disaccordo con le controversie a lui contemporanee. Utilizzando la metafora del microcosmo del corpo umano, perfettissimo, Scannelli fa corrispondere processi fisiologici del corpo umano alle peculiarità scolastiche. Abbiamo così Michelangelo, la spina dorsale; Raffaello, il fegato (che possiede la virtù di rigenerarsi); Tiziano, il cuore; Correggio, il cervello (apice della pittura); ecc… Il ragionamento dello Scannelli segue un suo filo logico: Correggio, emiliano, fonte del Carracci, bolognese, che raggiunge il suo apice nella Galleria Farnese, romana; nega l’autonomia della scuola romana e della pretesa di un Annibale figlio di Raffaello, smontando così le supposizioni di Agucchi. Scannelli analizza anche la storiografia artistica: anche questa va analizzata alla luce dell’osservazione diretta delle opere; punto fondamentale della sua ricerca. Per questo, vi è una parte nel suo libro dedicata alla descrizione e valutazione comparativa delle collezioni d’arte italiane;

preoccupandosi anche della loro disponibilità e della loro divulgazione (tutela del patrimonio). Unitamente, Scannelli rivela la preoccupazione e il disappunto per il futuro delle opere italiane, destinate a trovare dimora presso le grandi collezioni europee. " L’esigenza dell’osservazione diretta delle opere apre un nuovo capitolo di sperimentazione per quanto riguarda la letteratura artistica. Ad esempio, Luigi Pellegrino Scaramuccia propone un viaggio immaginario per l’Italia (Finezze de pennelli italiani, 1674), nel quale incontra una serie di interlocutori con cui dialoga, ripercorrendo i temi più attuali del dibattito teorico. Non è un caso che il suo itinerario parta proprio dall’incontro con Raffaello come guida alla visita delle Stanze. In quegli anni, infatti, si diffuse in Italia un’ulteriore discussione, tra chi rimaneva fedele alla supremazia del maestro urbinate e chi, invece, difendeva la superiorità della scuola emiliana. " 3. L’idea del Bello, la fortuna dell’Antico e il ruolo dell’Accademia Le Accademie di Roma e Parigi (e successivamente Bologna) assumevano sempre più un ruolo istituzionale e normativo, esercitando un grosso controllo sulle dinamiche del mercato e della committenza (e di conseguenza anche della produzione). L’Académie Royale de peinture et de sculpture fu fondata a Parigi nel 1648, con ministro Colbert (1664) e cancelliere Le Brun, promosse un’attività anti-michelangiolesca e, di conseguenza, antivasariana. Nel 1666 fondarono a Roma la sede per l’Accademia di Francia. Scopo dell’Académie fu quello di assicurare un’uniformità di linguaggio figurativo che doveva celebrare le glorie della monarchia. Gli artisti, la loro formazione, i precetti teorici e i generi erano sottoposti a un rigido controllo; assicurato anche dai dibattiti predisposti con cadenza mensile. Fu André Féliben a curare la diffusione scritta di questi “seminari”. La sua attività letteraria era volta, come il resto d’altronde, ad assicurare una teoria dell’arte condivisa da trasmettere ai giovani artisti e all’elaborazione di parametri condivisi del gusto. A sovvertire, almeno in parte, le regole ferree dell’Accadémie, ci pensò Roger de Piles con i suoi scritti; che rivendicano l’operazione professionale all’esterno del sistema accademico. " L’ekphrasis (resuscita dall’opera di Junius sul modello di Filostrato e di Plinio) divenne in questi decenni il genere espressivo più efficace per costituire la contiguità tra classicismo seicentesco e l’antico (di cui si riporta anche una rinnovata attenzione ai reperti archeologici). In questo campo, possiamo collocare l’opera di Giovanni Pietro Bellori, scrittore dalla solida formazione antiquaria. Nel 1664 pronunciò un discorso all’Accademia di San Luca, intitolato l’idea del pittore, dello scultore e dell’architetto scelta dalle bellezze naturali superiori alla Natura; in cui faceva fede ai valori formativi dell’istituzione accademica. Nel 1672 pubblica invece le Vite de pittori, scultori e architetti moderni (12 biografie), in cui Bellori cerca di difendere l’autonomia e la dignità della scuola romana e non si tratta, come spesso si è

detto, di una quarta età vasariana. C’e da ricordare che il contesto in cui Bellori opera è ormai contrassegnato da una certa fase di “decadenza”, in cui la Francia si sta affermando, a scapito appunto di Roma, che si indebolisce sia sul piano politico che su quello culturale. A ulteriore sostegno della sua tesi, Bellori, parlando di Poussin, sottolinea la sua volontà di operare a Roma, sottolineando il ruolo fondamentale del contesto artistico e culturale della città. Bellori, per scuola romana, intende il linguaggio figurativo diversificato allora in voga nella capitale, che trova il suo apice nella figura di Annibale, in virtù della valenza moderna e rigenerativa del suo linguaggio di sintesi, nobilissima eredità di Raffaello, che in quanto perfetta operazione di imitazione selettiva si configura allo stesso tempo come aspirazione e parametro di giudizio per i contemporanei. Le restanti 11 vite si articolano intorno al primato di Annibale. Un ulteriore appunto: per Bellori il colore è uno strumento che gli artisti adoperano per la mediazione selettiva che opera tra i vari modelli della natura; non è mai libero e incontrollato. " Nel 1670 il Bellori è nominato Commissario delle antichità di Roma. Cercherà di arginare la dispersione e l’esportazione indiscriminata dei reperti antichi e delle opere d’arte all’esterno. I temi della conservazione e del restauro assumono un ruolo di primo piano negli ultimi decenni del secolo. Le opere sono da considerarsi che testimonianze dirette dello stile di un maestro e, dunque, non posso essere perse; pena la perdita della tradizione. " 4. La storiografia e il racconto dello stile Nel 1678, Carlo Cesare Malvasia pubblicò la Felsina Pittrice, dichiarando, nella sua Introduzione, la sua discendenza vasariana e antibelloriana. Il suo volume è essenzialmente un racconto che restituisce dignità e autonomia alla scuola bolognese. Malvasia presenta una serie di fatti e di fonti, affermando: “Non iscrivo cosa che non sia appoggiata a fondamenti per lo più sicuri e veri. O l’avrò veduto io e praticato di fatto, o sarà relazione dello stesso al quale avvenne ciò che si racconta, o di suo parente, o domestico, o cavate da fedelissime relazioni, o manoscritti, o memorie”. Inoltre, egli analizza la storiografia artistica precedente. Da Vasari riprende anche la scansione in “quattro età”, ma ovviamente, variando protagonisti ed età in base alla storia bolognese, e non fiorentina. Abbiamo così la cesura con l’antichità effettuale da Vitale e non da Cimabue; l’innalzamento del trecento bolognese; la personalità di Correggio preferita a quella di Raffaello; e il lavoro dei Carracci, ai quali viene dedicata una biografia collettiva; per ribadirne le origini bolognesi. In realtà, Malvasia preferisce la figura di Ludovico Carracci, l’unico dei tre che rimase a Bologna. Malvasia condivide con il Lomazzo il tema dell’inclinazione naturale dell’artista; che usa per contestare sia Vasari che Bellori. Come già sappiamo, Vasari aveva rimproverato al Correggio il mancato viaggio romana, e da qui Malvasia nega ogni tipo di supremazia della pittura romana messa in atto poco prima dal

Bellori. La Felsina contiene note di rivalità nei confronti della scuola romana, ma non per quella fiorentina, a causa dei favori del principe Leopoldo nei confronti dell’autore. C’è da ricordare inoltre che l’opera fu dedicata a Luigi XIV, e che nel 1678 la Felsina appare recensita sul Journal de Scavants. " A proposito di Leopoldo, troviamo le Notizie de professori del disegno da Cimabue in qua (edite postume tra il 1681 e il 1728), opera di Filippo Baldinucci, incaricato dallo stesso principe di redigere le liste dei disegni e dei dipinti della sua raccolta. Nell’economia generale del manoscritto, le vite occup...


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