Storia della cultura fascista di Tarquini PDF

Title Storia della cultura fascista di Tarquini
Author Laura Luciano
Course Scienze e tecniche del servizio sociale
Institution Sapienza - Università di Roma
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Storia della cultura fascista di Alessandra Tarquini Introduzione: il fascismo considera la politica come primaria su qualsiasi altra della vita moderna e la cultura, invece, era considerata di un un modo individuale Dunque credevano che la cultura fosse uno strumento per realizzare la nuova nata de...


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Storia della cultura fascista di Alessandra Tarquini

Introduzione: il fascismo considera la politica come primaria su qualsiasi altra attività della vita moderna e la cultura, invece, era considerata “creatrice di un popolo”, un modo individuale d’essere. Dunque credevano che la cultura fosse uno strumento per realizzare la nuova civiltà nata nell’ottobre del 22 con la presa del potere. Questo modo di intendere la cultura fu un espressione del carattere totalitario del fascismo. Nei capitoli di questo libro l’universo fascista verrà analizzato distinguendo: 

 

Politica culturale riguarda maggiormente l’attività del partito fascista e quella del governo. Consente di individuare le scelte della classe dirigente: dalla creazione di nuove istituzioni alla gestione delle funzioni governative tradizionali come la politica scolastica. Espressioni del sapere si fa riferimento ai contributi che intellettuali e artisti fornivano al fascismo. L’ideologial’espressione di miti politici e cioè di narrazioni composte da immagini, da parole e da credenze, capaci di fornire di senso l’azione di un gruppo.

Di fatto dal 22 al 43 la politica culturale, l’ideologia e l’azione degli intellettuali e artisti si manifestarono insieme producendo la cultura fascista. Nel ricostruire questa storia della cultura fascista si è cercato di ricordare la definizione di Benedetto Croce secondo cui “ogni storia è storia contemporanea ovvero la storia è sempre riferita ad una situazione reale per cui volgendo lo sguardo al passato gli storici rispondono alle domande sollevate dalla loro curiosità, sensibilità ecc.

Capitolo 1 Il dibattito storiografico dal 45 ad oggi

i primi studi sulla cultura fascista i primi studi sulla cultura fascista apparvero subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando il dibattito storiografico sul fascismo era condizionato dalla battaglia politica appena conclusa. La discussione fra gli storici si svolgeva fra i sostenitori di 3 interpretazioni (espressioni di culture politiche e studiosi legati all’antifascismo): 

Liberale sulla scia di Croce questi intellettuali liberali ritenevano che il fascismo fosse la manifestazione di una malattia morale esplosa prima della metà del 900 con il diffondersi dell’irrazionalismo nella cultura e nelle società europee. La semplici espressione di una fase brutale e negativa della storia 1



Radicale sull’esempio dell’intellettuale antifascista Gobetti questi intellettuali non pensavano che il fascismo fosse un fenomeno circoscritto alla prima parte del 900 ma pensavano fosse l’esito di antichi problemi irrisolti e di uno sviluppo economico e politico diverso da quello di altri paesi europei. Per loro il fascismo non possedeva caratteri originali e anzi presentava aspetti analoghi a quelli dei regimi precedenti che , come al fascismo, erano l’espressione di anomalie della storia italiana.



Marxista identificavano il fascismo come l’irrompere delle forze reazionarie contro l’avanzare del proletariato. Anche per loro il fascismo non aveva inventato nulla in quanto manifestazione del conflitto di classe.

Queste 3 interpretazioni così diverse erano accomunate dall’assenza di una riflessione sulle caratteristiche peculiari del fascismo che veniva descritto semplicemente come un regime in grado di imporre il proprio dominio sugli italiani con la violenza e il terrore e quindi meritevole di condanna e disprezzo e non di analisi storiografiche approfondite proprio perché sprovvisto di una qualche forma di originalità. In effetti studiosi di orientamento e formazione differente furono d’accordo nel ritenere che il fascismo non avesse avuta alcuna ideologia. Bobbio, ad esempio, che era un intellettuale democratico e antifascista interpretò, subito dopo la seconda guerra mondiale, il proprio ruolo da studioso come una missione da svolgere per combattere qualunque forma di subordinazione alle direttive di un partito o di uno stato (che esso sia il fascismo o il comunismo, che dopo la seconda guerra mondiale, in piena guerra fredda, era un punto di riferimento per la maggior parte della sinistra italiana). Agli inizi degli anni 50 Bobbio affermò che il fascismo non era stato in grado di produrre alcuna cultura e che anche un intellettuale come Gentile quando scriveva per il fascismo diventava retorico, riempiva di parole altisonanti il vuoto dei concetti. Dunque sosteneva che il fascismo fu un movimento antidemocratico, antisocialista, antiliberale, antiparlamentare, antibolscevico basato solo sull’attivismo e sull’irrazionalismo. Nel formulare questi giudizio Bobbio risentiva dell’influenza di Salvemini, Rosselli, Croce e Gobbetti. Esso prese da: 

Croce la convinzione che i presupposti teorici del fascismo fossero l’irrazionalismo e l’attivismo, sviluppatisi come una malattia morale nella cultura europea di inizi 900.



Gobbettiaveva recepito un’immagine di un Italia diversa e separata dal mondo moderno e civilizzato. Si trattava di un italia arretrata, piccola borghese che aveva in Gentile un esponente autorevole e nel fascismo una delle espressioni più significative

Così conciliando l’interpretazione liberale di Croce e quella democratico-radicale di Gobetti, Bobbio esprimeva una concezione della cultura come manifestazione della libertà di pensiero, esercizio di critica e analisi razionale della realtà per cui gli intellettuali fascisti, quelli che rinunciarono alla propria autonomia e servirono gli interessi della politica, non potevano essere considerati veri studiosi ma solo intellettuali di “mezza tacca”. Con questa concezione di cultura il fascismo rappresentava semplicemente una fase di crisi della storia d’europa e d’italia.  questa 2

riflessione nasceva dal bisogno di nascondere un passato difficile da elaborare. Invece, riconoscendo l’esistenza di una cultura fascista Bobbio e tutti gli altri intellettuali avrebbe dovuto spiegare le ragioni per cui gli intellettuali avevano prestato servizio al regime e in che modo la loro generazione nel 43 fosse diventata democratica e antifascista non avendo mai manifestato qualche forma di dissenso durante il regime. Questo non fu fatto scegliendo di “defascistizzare” la cultura fascista, togliendo al regime la sua individualità e negando che avesse avuto un ideologia o una cultura. A differenzia di Bobbio, Garin (studioso tra i più importanti di sinistra vicino al partito comunista) credeva che la cultura negli anni fra le 2 guerre fosse meritevole di attenzione. Garin pensava che dopo una prima fase in cui Gentile aveva effettivamente svolto un ruolo importante per la cultura fascista, con i patti lateranensi, nel 29, il regime avesse mostrato la sua vera natura reazionaria e conservatrice perché aveva scelto di accordarsi con il mondo cattolico, da sempre ostile a Gentile e la filosofia moderna. Dunque esso era convinto che la cultura fascista fosse una cultura reazionaria di matrice cattolica e spirituale. Garin subì l’influenza di Gramsci e in misura minore di Croce. Da Gramsci riprese la convinzione che le ideologie hanno un loro valore intrinseco e non sono semplici sovrastrutture della realtà economica ed inoltre che le ideologie non nascono da concetti coerenti ma da idee, sono il risultato di una lotta culturale e politica per trasformare la realtà. Tuttavia ne Croce ne Gramsci avevano mai ritenuto che il regime avesse avuto una propria cultura. Per Gramsci il fascismo non era un fenomeno rivoluzionario dotato di una cultura originale ma era l’espressione più evidente dell’incapacità dei gruppi dirigenti liberali di rispondere alle sfide della società di massa. Dunque il leader comunista, rinchiuso nelle carceri del regime, considerava il fascismo un fenomeno reazionario. Garin elaborò queste riflessioni pur non essendo un marxista, come molti intellettuali della sua generazione. Essi vedevano nel pensiero di Gramsci uno strumento per costruire una nuova coscienza civile capace di riscattare l’italia dal fascismo. I primi studi sulla cultura fascista nacquero nel mondo della sinistra, da parte degli intellettuali antifascisti democratici, socialisti, e comunisti che, tuttavia, negavano l’esistenza del problema. Nel mondo cattolico, invece, la maggior parte fu d’accordo con l’interpretazione di Bobbio e affermò che non era esistita alcuna cultura fascista dato che la dottrina del fascismo non era che la maschera utilizzata in diverse occasione per nascondere la reale situazione delle cose. L’unica eccezione all’interno di questo panorama storiografico uniforme fu rappresentata da Del Noce. Subito dopo la guerra il filosofo cattolico scrisse che il fascismo aveva le sue radici profonde in atteggiamenti della spiritualità moderna dichiarandosi d’accordo con Croce, secondo il quale la caratteristica principale della mentalità e della cultura fascista era l’attivismo. Per Del Noce l’attivismo non doveva essere confuso con incultura, semplicismo, rozzeria perché aveva origini colte e tipicamente europee. Negli anni successivi approfondì questa riflessione affermando che il la cultura del fascismo trovava la sua matrice principale nella filosofia di Gentile e che i fascisti avevano espresso una concezione di politica intesa non tanto come strumento per trasformare la realtà ma come fede religiosa e quindi come esperienza da vivere in modo integrale e assoluto. Esso spiegò che il fascismo non era un fenomeno politico reazionario poiché non nasceva da una reazione contro la modernità, non era il risultato dell’incontro fra le forze cattoliche e quelle conservatrici alleate contro il progresso. Secondo Del Noce il fascismo nasceva da un errore della 3

cultura moderna di cui era un prodotto e non da un errore contro la cultura.  si trattava di un interpretazione opposta a quelle prevalenti in una fase della cultura italiana dominata dagli studi dei marxisti che furono tra i primi ad occuparsi degli studi sul fascismo.

la storiografia marxista dalla fine della seconda guerra mondiale e per altri 40 anni gli studiosi marxisti hanno ritenuto che il fascismo fosse un fenomeno politico e controrivoluzionario, nato dalla reazione della borghesia contro il proletariato. In questo senso i marxisti hanno negato che il fascismo avesse una identità specifica, considerandolo l’epifenomeno di un conflitto di classe. Inoltre gli intellettuali di cultura marxista consideravano le ideologie espressioni sovrastrutturali dei rapporti economici esistenti fra le classi sociali ovvero manifestazioni di problemi strutturali senza valore intrinseco. Gli studiosi marxisti, ritenendo che le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti, hanno considerato il termine ideologia come l’insieme delle espressioni culturali prodotte in un determinato momento dalla classe sociale che detiene il potere e impone una visione deformata della realtà per giustificare la propria esistenza. Da questo assunto deriva una visione della storia della cultura come storia di false rappresentazioni della realtà prodotte dal contesto economico e politico nel quale si sono sviluppate e quindi la convinzione che non fosse necessario studiare il contenuto delle ideologie ma la loro funzione di dominio. Essi erano convinti che il loro compito fosse quello di svelare i pregiudizi e le mitologie portando la storia verso un grado più alto di consapevolezza e coscienza quindi la possibilità di rendere noto il dominio attraverso la ragione. All’interno di questo quadro è possibile distinguere almeno 2 filoni di ricerca, come dimostrano gli studi del filosofo ungherese Lukacs e del critico letterario italiano Rosa: 1. Legato al pensiero di Gramsci e Togliatti e alla tradizione culturale del partito comunista italiano 2. Legato all’esperienze del mondo comunista che si diffuse in occidente dal 68 In “la distribuzione della ragione” Lukacs ricostruì la storia della filosofia tedesca da Schelling all’avvento del nazionalsocialismo, con la convinzione che il tratto più significativo della cultura europea di quegli anni fosse l’affermazione dell’irrazionalismo. L’irrazionalismo si era espresso attraverso diverse filosofie che avevano preparato il terreno culturale del nazionalsocialismo, da Schopenhauer a Nietzsche. In Nietzsche in particolare , Lukacs vedeva il principale responsabile di una germania imperialista. Esso era il filosofo che più di altri aveva rappresentato gli interessi permanenti della borghesia reazionaria e quindi il padre spirituale del nazional socialismo. Questa riflessione sulle origini della cultura nazionalsocialista non si differenzia di molto dalla riflessione di matrice liberale che considera il fascismo il prodotto dell’irrazionalismo e dell’attivismo (come quella di Bobbio). In “scrittori e popolo” Rosa propone una riflessione critica sulla letteratura moderna ricostruendo la storia della cultura italiana e individuando un elemento di continuità tra la cultura risorgimentale, quella fascista e quella postfascista in quanto con la questione nazionale molti 4

intellettuali italiani hanno cominciato ad occuparsi delle masse contadine, considerate portatori di valori positivi ed escluse dalla costruzione dell’unità d’italia. Da allora, contrapponendo le masse popolari alle classi dirigenti, i letterati italiani scrissero in nome e in difesa del popolo. Dunque secondo Rosa mentre in europa vi era una letteratura borghese critica e distruttiva, in italia si continuava a produrre intellettuali fiduciosi nella funzione socialmente generatrice dell’arte e della poesia. Il populismo descritto da Rosa era il prodotto di una cultura piccolo borghese e anticlassista che proponeva un immagine mitica del popolo invece di considerarlo una classe sociale con le sue caratteristiche. Insomma come gli intellettuali di fine 800 anche quelli fascisti narravano il popolo descrivendolo come un soggetto depositario di valori positivi. Nel 75 Rosa sottolinea che la cultura fascista era stata il coacervo delle ambizioni insoddisfatte e delle illusioni sbagliate. Rosa individuo i legami fra la letteratura prefascista e quella degli anni 20/30 rilevando che nella cultura italiana sussistevano quasi tutti o tutti i presupposti dello schieramento di forze intellettuali che si raccolse al sostegno del fascismo. in realtà se nello scritto precedente Rosa elabora una riflessione critica, nello scritto successivo “storia dell’italia”,invece, descrisse il fascismo come l’espressione di una cultura arretrata e reazionaria che si era sviluppata alla fine dell’800. In realtà all’interno degli studi marxisti ci furono anche riflessioni differenti proposte dagli storici che avevano assimilato le lezioni sul fascismo tenute da Togliatti a Mosca nel 35. Togliatti, segretario del Pci, aveva invitato a cogliere gli aspetti peculiari della dittatura fascista evitando le generazioni e non limitandosi a considerarla come una delle diverse manifestazioni della lotta fra il capitale e le forze del movimento operaio. Esso si era soffermato sugli aspetti strutturali del fascismo e lo aveva definito un “regime reazionario di massa” e cioè una dittatura del tutto diversa dai regimi autoritari ottocenteschi. Secondo Togliatti il fascismo aveva dato vita a un sistema politico moderno dotato di un’ideologia reazionaria e borghese di matrice nazionalista e filocattolica in grado di tenere insieme gli strati della piccola borghesia. Secondo Togliatti non si trattava di riflettere sulle idee del fascismo ma sulla cultura come strumento utilizzato dal potere politico per mobilitare le masse popolari. Tuttavia Togliatti seguiva Gramsci nel ritenere che il fascismo non avesse avuto un’ideologia omogenea e finita e che non esprimeva una propria cultura, diversa da quelle che lo avevano preceduto. Questa interpretazione di Togliatti influenzò in modo decisivo gli studi degli storici italiani, vicino al Pci, che negli anni 70 si occuparono di fascismo. Essi, convinti che la concezione liberale della cultura non fosse in grado di spiegare il ventennio fascista, sostenevano che il fascismo era stato l’unico periodo della storia d’italia unita nel quale l’adesione degli intellettuali era stata ampissima. In effetti Vacca sosteneva che apparte i pochi che restarono o andarono all’opposizione e i pochissimi che emigrarono o andarono nelle carceri, la stragrande maggioranza degli intellettuale collaborò con la costruzione del regime. Da questa affermazione Mangoni, Garin e Turi cercarono di studiare come fosse cambiato lo status degli uomini di cultura rispetto all’italia liberale e in che modo il potere politico fascista si fosse servito degli intellettuali italiani. Mangoni  sostenne che per capire la cultura italiana fra le 2 guerre occorreva studiare la fusione fra il fascismo e nazionalismo e interpretarla come il tentativo della borghesia di riorganizzarsi dopo la crisi dell’italia liberale e di ricostruire gli strumenti di controllo e di potere sullo stato. 5

Anche lei riteneva che il nazionalismo fosse la componente principale della cultura fascista. Come Togliatti e Garin anche la Mangoni riteneva che l’accordo tra i fascisti e i cattolici avesse espresso la vera natura del regime fascista e che il concordato del 29 avesse comportato la sostituzione del cattolicesimo all’idealismo come cultura predominante nel regime. Quindi secondo essa il fascismo era l’espressione della cultura nazionalista e di quella cattolica. Garin nel 74 esso irrigidì il giudizio che aveva espresso 20 anni prima e sostenne che l’ideologia fascista si configurava come una realtà molto complessa, impossibile da definire poiché composta da una serie di elementi come spiritualismo, crisi del positivismo e la parte peggiore della cultura italiana. Esso era convinto che sotto questo regime reazionario fossero vissuti 3 tipi di intellettuali: 1. Antifascisti (costretti a dissimulare per vivere sotto un regime dittatoriale) 2. Fascisti ingenui (coloro che cercarono di trasformare il regime dall’interno e non si resero conto della propria impotenza) 3. Protoantifascisti (i giovani che compresero presto le ragioni dell’antifascismo) Garin sosteneva che in un paese diventato fascista perché arretrato, che non aveva conosciuto la modernità e di conseguenza non del tutto civilizzato non fossero esistiti veri intellettuali fascisti cioè uomini di cultura adulti, consapevoli e autonomi che si fossero espressi in quanto fascisti, avessero studiato, scritto, insegnato perché convinti sostenitori di un regime totalitario. In sostanza Garin approda ad un interpretazione ancora più drastica negando l’esistenza di una qualche forma di cultura fascista e quindi avvicinandosi a quello che sosteneva Bobbio. Turi  nell’80 pubblicò “il fascismo e il consenso degli intellettuali” mostrando che anche l’alta cultura aveva subito la presenza del fascismo. esso confermò pienamente l’esistenza non solo di un’ideologia ma anche di una cultura fascista attraverso la quale il regime cerco di costruirsi una legittimazione storica. Turi era convinto che il fascismo avesse avuto la capacità di tenere insieme motivi della borghesia liberale. Esso riteneva che per esaminare come gli intellettuali furono influenzati occorreva studiare l’opera di condizionamento svolta dalle varie istituzioni culturali per mostrare la misura del consenso della società italiana verso il regime. Propria la presenza di un vasto apparato di istituzioni dimostra, a suo avviso, la difficolta di esprimere una qualche forma di pensiero libero e autonomo dalla politica. Con queste riflessioni, pero, Turi non propose un’analisi della cultura fascista. Egli, quindi, da un lato affermò con chiarezza la presenza di un ideologia e di una cultura che avevano condizionato gli intellettuali attraverso le istituzioni create dal regime, dall’altro descrisse sommariamente, senza fare una vera e propria analisi, questa cultura. All’inizio degli anni 80 queste erano le posizioni nel mondo comunista. Solo nell’89, dopo la caduta del muro di Berlino, la storiografia marxista cambiò modo di leggere la storia della cultura fascista.

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il contributo degli studiosi europei e americani dall’inizio degli anni 60 alcuni storici europei e americani, pur diversi per formazione e orientam...


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