Storia dell\'Arte: Topos del Ricordo PDF

Title Storia dell\'Arte: Topos del Ricordo
Course Storia Dell'Arte Contemporanea
Institution Università telematica e-Campus
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Summary

Investigare la memoriae il ricordo attraverso le opere dei più grandi artisti del 900 e della performing arts. Da Picasso a Marina Abrahamovich...


Description

IL TEMPO, LA MEMORIA E IL RICORDO NELL'ARTE

EDVARD MUNCH E IL RICORDO: L’ESPERIENZA INFANTILE DELLA PERDITA A margine di una delle copie del Grido, Munch scrisse: "Solo un folle poteva dipingerlo".

Questa notazione ci fa pensare che non fosse un folle chi poteva porsi di fronte ad una tale rappresentazione della disperazione e osservarla criticamente. Certo era qualcuno che lottava strenuamente dentro di sè con le rappresentazioni dell'irrapresentabile, del dolore e delle sue parti psicotiche, i frammenti che affiorano alla superficie della tela come residui di mondi esplosi, di materia psichica collassata. I buchi neri della memoria angosciata di Munch allora diventano pulsione verso il fare arte, nel ricordo soggiorna l'intera produzione di questo magnifico artista, che attraverso il dolore ha riscoperto la sua interiorità attraverso la catarsi della L’Urlo (titolo originale: Skrik) fu realizzato nel 1893 su pittura! cartone con olio, tempera e pastello

Edvard Munch (1863-1944) è un pittore norvegese, importante precursore della corrente artistica dell’espressionismo. Munch visse una vita tragica, che influenzerà pesantemente il suo pensiero e il suo modo di fare pittura. I principali temi da lui trattati sono il ricordo, l’angoscia, il male di vivere e la morte. Quest’ultima in particolare accompagnerà l’intero arco della sua esistenza. Nel dipingere i suoi quadri egli si allontana progressivamente dal realismo, utilizzando una tecnica piuttosto nervosa. Tra le sue maggiori fonti abbiamo l’Art noveau, la pittura simbolista e i pittori post- impressionisti (Van Gogh, Toulouse-Lautrec, Gaugin). Utilizza colori evocativi, stesi con pennellate lunghe, ondulate e ripetute, talvolta apparentemente trascurate. Anticipa l’espressionismo per diversi aspetti: la tendenza a fare aloni intorno alle teste dei personaggi per indicarne lo stato d’ansia, i cieli rossastri che simboleggiano la pazzia, le fughe prospettiche vertiginose che indicano il desiderio di evasione e i confini ambigui tra figura e sfondo per esaltare il contatto con la realtà interiore.

Bambina malata (Sorella Sophie), 1885-1886, olio su tela, Oslo Galleria Nazionale.

Accanto al letto, vi è una figura femminile (che potrebbe essere la madre rappresentata sotto forma di ricordo, poichè già trapassata) ripiegata su sé stessa che soffre a causa della morte imminente della malata, mentre quest’ultima, assume un atteggiamento di quieto distacco, di accettazione del suo destino. Le due sono unite dal gesto delle mani che si stringono a vicenda, tuttavia queste sembrano quasi cancellate, come se quel gesto fosse stato consumato dalla sua impotenza a trattenere.

Il Ricordo della Vita, la Memoria della Morte La vicenda infantile di Edvard Munch ha segnato profondamente la sua opera, in particolare nella fase iniziale e centrale della sua produzione. Assistere a cinque anni alla morte per tubercolosi della madre, gli aspetti cruenti della scena, sono immagini intagliate nella memoria, e riattivate dal ripetersi della stessa situazione nove anni più tardi, alla morte della sorella Sophie. Prendiamo in considerazione il dipinto La madre morta e la bambina.

La madre morta e la bambina, 18971899, olio su tela, Oslo Munch Museet.

Sullo sfondo della scena vi sono i parenti, a sinistra scorgiamo le sagome di due donne, Inger e Laura, mentre di fianco, oltre alla figura di Munch stesso, vi sono anche il padre e il fratello Andreas, entrambi ormai deceduti rispetto agli anni in cui venne realizzata l’opera. Proprio per questo motivo i personaggi sullo sfondo sono rappresentati in bianco e nero, come per alludere alla loro condizione, come se fossero fantasmi. Vi è però un eccezione: sebbene pure la sorella Sophie fosse già morta, viene rappresentata in primo piano, con abiti e capelli dai colori accesi. La sua figura viene quasi inglobata dal letto della madre, a causa della presenza di un alone rosso sul pavimento, della stessa tonalità del vestito della bambina. La madre, distesa nel letto con gli occhi chiusi, è appena abbozzata e ha la funzione di separazione tra i due piani. Rimane Sophie la vera protagonista della scena: essa si gira verso lo spettatore con occhi sbarrati, portando le mani alle orecchie, stesso gesto che troviamo nell’opera più conosciuta di Munch, “Il grido”. La bambina cerca di tapparsi le orecchie per difendersi dal rumore interiore provocato dal dolore per la morte.

Con questi esempi abbiamo dunque capito che la memoria, per Munch, è fonte di creazione artistica: "Non dipingo mai ciò che vedo, ma ciò che ho visto" ed è la fonte interna della creatività, una memoria da recuperare, da chiarificare passo passo, frammenti di vita di cui dolorosamente riappropriarsi, attraverso un lavoro che permetta di non restare soverchiato dalla persecutorietà di cui possono tingersi "le più piccole cose" che non ci sono più. Concludiamo con una frase dello stesso Munch: “…E vivo con i morti, con mia madre, mia sorella, mio nonno e mio padre, soprattutto con lui. Tutti i ricordi, le più piccole cose, vengono alla superficie...". Edvard Munch "Malinconia" (1894).

STOP: L’Enigma dell’Ora di de Chirico L’Enigma dell’ora fu dipinto da Giorgio de Chirico (1888-1978), fondatore della Metafisica italiana, nel 1911. In questo dipinto osserviamo come l’intero spazio della tela venga occupato da un porticato ad arcate, che si affaccia su una grande piazza e nella cui ombra si scorge un uomo che aspetta immobile. I raggi del sole pomeridiano investono una misteriosa, enigmatica figura vestita di bianco, ferma nello spazio aperto, accanto a una vasca che si apre nel terreno, come una tomba, ed è probabile simbolo di morte. Il portico, nettamente distinto dal corpo superiore in muratura (dove si intravede una terza figura, girata di spalle), ricorda quello di Brunelleschi per l’Ospedale degli Innocenti.

Giorgio de Chirico, Enigma dell’ora, 1911. Olio su tela, Firenze, Collezione privata.

Sia il titolo dell’opera sia l’orologio al centro dell’immagine rimandano al tema fondamentale del dipinto: quello del tempo, a sua volta collegato alla dimensione dell’enigma, del mistero. L’orologio segna le 14.55 ma le ombre lunghe indicano, chiaramente, che la scena è immaginata nel tardo pomeriggio e comunque a un’ora crepuscolare. Non vi è quindi corrispondenza fra il tempo segnato dallo strumento meccanico e il tempo della vita, dell’esistenza. Un tema che il surrealista Dalí avrebbe ripreso in un suo celebre capolavoro, La persistenza della memoria. De Chirico, insomma, vuole qui riflettere sulla dimensione metafisica del tempo, sulla condizione filosofico-esistenziale dell’eterno presente, ossia del tempo vuoto, del tempo sospeso.

Salvador Dalì: La deformazione del tempo e la memoria come ricordo In questo dipinto di Salvador Dalì il tempo, inteso nella razionale successione di istanti meccanicamente determinati, viene messo in crisi dalla memoria umana. La dilatazione o la contrazione del senso del tempo è una caratteristica che dipende dalla singola individualità, ma è sensazione certamente universale quella di avvertire lo scorrere del tempo secondo metri assolutamente personali.L’opera, dal titolo originario Gli orologi molli, è stata ribattezzata La persistenza della memoria. Dalì, infatti, per dare una forma diversa a cose reali si serve delle interpretazioni della memoria e delle deformazioni ulteriori fornitegli da un ricorso cosciente ai ricordi modificati dal tempo. Salvador Dalì, La persistenza della memoria, 1931, olio su tela Museum of Modern Art -New York

Il tempo è simboleggiato in modo abbastanza esplicito dagli orologi, elementi deformabili e deformanti che indicano, in ultima analisi, l’irrealtà dell’esistenza. Questi tre orologi sul punto di sciogliersi al sole – mentre un quarto, ancora chiuso nel suo coperchio dorato, è assaltato da un cumulo di formiche brulicanti – rappresentano l’aspetto psicologico del tempo, il cui trascorrere, nella soggettiva percezione umana, assume una velocità e una connotazione diversa, interna, che segue solo la logica dello stato d’animo e del ricordo. Quindi tema centrale risulta la dimensione fluida del tempo che evidenzia la percezione soggettiva. Il tempo non è qualcosa di assoluto, ma è un continuo fluire, in cui il passato, si unisce con il presente in un continuo divenire. Se quindi il tempo assoluto è quello scandito dall’orologio in ore, minuti, secondi, la percezione individuale del tempo è invece molto elastica, imprescindibile dalla memoria, dal sogno e dall’inconscio. La deformazione delle immagini è un mezzo per mettere in dubbio le facoltà razionali, che vedono gli oggetti sempre con una forma chiara e definita. In La persistenza della memoria, gli orologi si sciolgono e si adattano alle superfici su cui vengono posti, Dalí invita così l’osservatore a riconsiderare la relazione tra la dimensione del tempo e della memoria, nella quale il prima e il dopo si contaminano mutuamente.

Destino: una favola surrealista Si tratta di un corto d'animazione prodotto nel 2003 dalla Disney. Il progetto risale al 1945 quale risultato della collaborazione tra Walt Disney e Salvador Dalì, con le musiche eseguite dal compositore messicano Armando Dominguez. Narra di una fanciulla alla ricerca del suo amore, il Tempo, attraverso i surreali spazì dei deserti di Dalì. I disegni e i bozzetti preparativi di "Destino" vennero realizzati dall'artista degli studios della Disney John Hench e dallo stesso Dalí in otto mesi, tra il 1945 e il 1946. Buona visione (e comprensione). https://www.youtube.com/watch?v=IOjDjLqu8O4 ...Ma il suo sguardo vibrante è diretto verso una piramide di pietra, davanti a lei, nella quale è inscritta una statua raffigurante Crono. Il tempo. La donna scuote la testa, raccoglie i pensieri. Chiude gli occhi. Il destino...

Renè Magritte: La Memoria è Individuale Il soggetto è chiaramente comprensibile, ma l’associazione con il titolo complica tutto. L’idea che la memoria sia una testa di statua dal sopracciglio insanguinato, che dà le spalle al mare, è bellissima, ma qual è il significato? Come per tutte le opere di questo autore, l’interpretazione sicuramente non è univoca. (IPSE DIXIT) “il quadro non è la rappresentazione delle idee seguenti: quando noi pronunciamo la parola memoria, noi vediamo che corrisponde all’immagine di una testa umana. Se la memoria può occupare un posto nello spazio, non può essere che all’interno della testa. Allora la macchia di sangue può suggerire in noi la supposizione che la persona di cui vediamo il viso sia stata vittima di un incidente mortale. Infine, si tratta di un avvenimento del passato, che resta presente nel nostro spirito grazie alla memoria.”

La Memoria, Renè Magritte, 1940-48 circa.

La spiegazione di Magritte è abbastanza sibillina: ci dice cosa il quadro non è, ma non cosa rappresenti. La negazione è uno degli artifici utilizzati dai surrealisti per innescare nell’osservatore il sentimento di straniamento, come nel celeberrimo caso del quadro di una pipa che riporta la dicitura Questa non è una pipa. Esistono comunque alcune possibili interpretazioni del significato di questi quadri. La prima parte dagli elementi rappresentati: • la testa di statua che sanguina può significare che quando un ricordo doloroso riaffiora riapre una ferita, anche se ormai è passato tanto tempo e quell’esperienza era talmente sepolta nella memoria che chi l’aveva vissuta pensava di essere diventato insensibile (come la testa che è di pietra); • i campanellini rappresentano per Magritte Gilly, il paese della sua infanzia, che nella sua memoria di bambino risuonava del tintinnio dei sonagli attaccati ai finimenti dei cavalli che ne percorrevano le strade, tirando il carro del padre; • la foglia verde, così come la rosa, possono indicare il fatto che la memoria è qualcosa di vivo, in contrapposizione alla statua di pietra inerte; • la presenza di un drappo di stoffa o del muro di legno possono far pensare all’idea del muro che nella nostra testa a volte viene eretto intorno ai ricordi più dolorosi.

• Dato il titolo, tutto porta a pensare che il tratto comune a tutte le versioni sia l’esistenza di un ricordo talmente doloroso da far sanguinare anche la pietra e che, quando torna alla mente, è come una ferita che si riapre. • La seconda interpretazione si concentra sul fatto che gli schizzi di sangue sulla fronte della statua sembrano provenire da un corpo esterno, probabilmente ucciso in modo violento. La testa ha assistito muta ed impassibile all’omicidio, di cui conserverà la memoria senza poterla comunicare a nessuno. La statua, come l’arte, non può fare altro che starsene a guardare mentre gli uomini si massacrano a vicenda, con una macchia di sangue come ricordo indelebile. • Ha scritto Magritte stesso: “Cosa rappresenta questo quadro? È colui che guarda che rappresenta il quadro, i suoi sentimenti e le sue idee rappresentano il quadro”.

“Fils de l’homme” Renè Magritte , olio su tela, 1964, collezione privata.

Andy Warhol: Conservare il Tempo

Le capsule del tempo: A partire dal 1974, Andy Warhol riempì 610 scatole con i suoi affetti personali, le sigillò e le conservò.

A metà del Novecento, uno degli artisti più rappresentativi della contemporaneità inaugurò un progetto monumentale omaggio all’idea della memorizzazione del reale. È a partire dagli anni 50 che Andy Warhol iniziò a conservare dentro a scatole di cartone le reliquie del suo tempo: ritagli di giornale, fotografie, buste della corrispondenza, cartoline, business card, album piccoli oggetti. L’immagine fotografica è la protagonista di questa prova di forza che Warhol imbastisce contro l’azione distruttrice del tempo: fototessere, polaroid, foto serigrafie, foto stampate in rotocalchi e quotidiani, copertine di riviste. Una specie di testamento spirituale per l’artista contemporaneo che più di ogni altro ha desiderato annullarsi nell’abbraccio massificante della macchina, che ha invidiato il potere di memorizzazione infinito del procedimento fotografico. È un po’ come se Warhol avesse intuito prima di tutti che la nuova forma simbolica dell’età contemporanea, o più precisamente l’era dei computer, stava nel principio del database. Tutto il fotografato si configura quale immenso repertorio visivo cui attingere come da un’estesa e sconfinata memoria collettiva.

DIANE ARBUS E NAN GOLDIN: Fotografia come attestazione della cruda realtà La fotografia intesa come ricordo-testimonianza assume toni angoscianti tratti da eventi autobiografici nella produzione di Diane Arbus (New York, 1923-1971) e Nan Goldin (Washington, 1953), che fotografano le diversità, i derelitti, i malati di AIDS, ponendo così una lente di ingrandimento sulla tragicità dell’esistenza umana. In una fotografia a colori di Nan Goldin (Picnic on the Esplanade, Boston, 1973), si preannuncia l’ossessione di dover documentare la storia, i rituali sociali, la vita di gruppo e le esperienze biografiche che, nel corso degli anni, l’AIDS e la tossicodipendenza strapperanno a Nan Goldin come alla Arbus molte di queste amicizie fotografate.

Il Ricordo: da Analogico a Digitale Alla fine del secolo scorso abbiamo assistito ad una crescita esponenziale di attenzione sulla questione della memoria e della conservazione. Mentre l’arte si faceva sempre più effimera in risposta alla caduta dei valori e dei principi cardine che governano la vita dell’uomo, quali religione, morale, ecc., crescevano gli interrogativi sulla memoria e il lasciare traccia di quanto fatto. In tutto ciò le nuove tecnologie (Fotografia in primis) hanno avuto un ruolo importante in una duplice accezione: in positivo, dando maggiori possibilità di memorizzazione, e in negativo contribuendo alla caduta dei valori dell’arte e creando una dimenticanza per sovrabbondanza di memoria. Parallelamente si è assistito ad un aumento delle attenzioni sul corpo, soprattutto quello dell’artista. Per quest’ultimo, infatti, il corpo è lo strumento principale dotato di un proprio sapere, dunque luogo della memoria poiché la sensorialità, le esperienze emotive e cognitive sono custodite nei movimenti e nei gesti e nell'esposizione del corpo stesso dell'artista.

In Ricordo di Gina Pane: Il Corpo e Il Sangue dell'Arte Gina Pane è un’artista francese, una delle più grandi rappresentati della cosi detta body art. La sua performance più nota è Azione sentimentale del 1973. Presso la Galleria Diaframma di Milano, l’artista si presente di fronte a un pubblico esclusivamente femminile vestita di bianco, con un bouquet di rose rosse dal quale stacca le spine per conficcarsele in un braccio. Dall’arto colano rivoli di sangue, le rose rosse vengono sostituite da rose bianche. Si incide il palmo della mano con una lametta e attraverso la propria sofferenza incanala la sofferenza altrui e la lascia fluire. La sposa si è purificata attraverso il contrasto tra sangue e candore, è libera di amare e farsi amare, attraverso il suo sangue pulisce il dolore e i ricordi degli altri. “Se apro il mio corpo affinché voi possiate guardarci il mio sangue, è per amore vostro: l’altro.”

Marina Abramovic: “La performance è essere nel presente” Una donna, vestita di un semplice abito bianco, siede tra centinaia di ossa di mucca, mentre le pulisce dal sangue residuo e intona delle cantilene. La testa bassa, lo sguardo stanco e l’odore di putrido. Questo è lo scenario che si trovava di fronte il visitatore del Padiglione della Serbia durante la Biennale di Venezia del 1997, l’evento italiano più importante di arte contemporanea in cui, in diverse sedi, vengono esposte le opere degli ultimi artisti sulla scena mondiale, tra emergenti e ben consolidati.Non un quadro dunque, ma un’azione esibita di fronte ad un pubblico. Ciò che l’artista fa è arte. Il corpo stesso dell’artista diviene il medium artistico, lo spettatore lo ammira o, altre volte, può intervenire e dialogare con l’azione in corso. Tale pratica pone le sue radici nella grande vitalità del panorama teatrale degli anni sessanta, dal quale nacque l’espressione Body Art, che racchiude, tra le altre cose, anche la performance.

La performance si intitola Balkan Baroque, in ricordo delle vittime della guerra dell’ex Jugoslavia conclusasi due anni prima; l’artista diviene emblema della purificazione, come se il proprio pulire le ossa macchiandosi di rosso fosse un rito d’espiazione della colpa.

Body Art: Quando il Corpo entra nell'Arte A dire il vero, questo è solo uno dei tantissimi esempi di opere di Marina Abramovic (1946) che da sempre sperimenta, e continua a farlo, le possibilità del corpo come espressione di idee e sensazioni, memoria e ricordo. In linea generale potremmo dire che il suo lavoro affronta sempre tematiche quali il dolore, il limite, le relazioni tra corpo privato e altrui. Nel 1977 si pose nuda sullo stipite della porta d’ingresso d’una mostra, mentre su quello opposto si trovava il suo compagno, Ulay, anch’egli nudo (Imponderabilia, eseguita a Bologna). Il visitatore che voleva vedere l’esposizione nella sala doveva necessariamente passare tra quei corpi, con non poco imbarazzo. E non essendoci abbastanza spazio per attraversarli frontalmente, era obbligato a scegliere verso quale lato girarsi, così che di profilo potesse più agevolmente passare. Era un lavoro che affrontava l’intimità, il significato della pelle, il fatto stesso di muoversi per vivere l’esperienza d’arte; chi stava fuori non poteva dire davvero di aver visto l’opera dell’Abramovic. Imponderabilia, 1977

“Rhythm”, 1974

C’è un’altra perfomance dell’artista, The artist is present (2010), in cui la partecipazione del pubblico fu fondamentale. Marina era seduta da un lato del tavolo, al centro di una sala del MoMa di New York, in attesa che qualcuno si sedette dalla parte opposta. La fila dei visitatori fu a dir poco impressionante, c’era addirittura gente che si appostava a dormire fuori dal museo per poter vivere l’esperienza dell’Abramovich. Dopo essersi appropriati della sedia tanto attesa, iniziava un fisso sguardo tra l’artista e il visitatore, che spesso scatenava in lui lacrime di c...


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