Storia di V - biografia del sesso femminile (Catherine Blackedge) PDF

Title Storia di V - biografia del sesso femminile (Catherine Blackedge)
Course Psicologia delle differenze di genere
Institution Università degli Studi di Bergamo
Pages 17
File Size 179.7 KB
File Type PDF
Total Downloads 111
Total Views 133

Summary

Riassunto completo di tutti i capitoli del libro "Storia di V - Biografia del sesso femminile" per l'esame di psicologia delle differenze di genere....


Description

Storia di V – Biografia del sesso femminile Gli anatomisti del Rinascimento proclamavano che la vagina era un pene non evoluto e non fuoriuscito, le ovaie erano testicoli, l’utero uno scroto e la clitoride a sua volta un altro pene. L’Occidente tendeva a vedere nella vagina la porta dell’inferno, la fonte di ogni vizio e di ogni conflitto: la vagina andava temuta, ridicolizzata, aborrita; le credenze originarie di Cina e India vedevano nella vagina l’origine simbolica del mondo, la fonte di ogni nuova vita, la via per conquistare longevità e vita eterna: la vagina era un’icona da amare, venerare, onorare, una vagina divina. CAP. 1 – L’ORIGINE DEL MONDO Mostrare il pube  causare eventi atmosferici, placarli, valore apotropaico. A questa immagine di potere e autorità si contrappone quella tutta attuale che vede, nella donna che mostra i suoi genitali, un’immagine legata al sesso, alla pornografia, per molti un gesto offensivo o un qualcosa di cui vergognarsi. Oggi, il concetto più importante legato alla vagina nuda è quello del parto, unico volto pubblico accettabile dei genitali femminili. I racconti in cui si parla di donne che mostrano il proprio sesso per ottenere un determinato effetto si estendono nello spazio e nel tempo, dal passato più remoto (ad esempio in Plutarco) al presente e in tutti i continenti. Gli abitanti delle isole Marchesi (danza della clitoride: ringraziamento per il raccolto abbondante, preghiera per l’anno successivo), in Polinesia, associano alla vagina veri e propri poteri soprannaturali. Inoltre, alcuni dati storici suggeriscono che l’esibizione dei genitali femminili favoriva anche la fertilità perché stimolava la crescita delle piante e la fertilità della terra (usanza delle contadine occidentali di esporre i genitali di fronte ai campi di lino: “ti prego, cresci in alto come i miei genitali”). In Egitto, le donne, esibendo il pube, scacciavano gli spiriti maligni, favorendo così la fecondità e il raccolto. Plinio  una donna può liberare un campo dai parassiti attraversandolo con i genitali scoperti prima che sorga il sole. Erodoto, in uno dei suoi viaggi in Egitto, sconvolto e affascinato dalla diversità di tale cultura, in cui i ruoli sessuali sono invertiti, in cui l’esibizione dei genitali femminili è parte integrante delle credenze religiose, assegna un nome particolare a questo tipo di atto: anasyromai (o anasyrma o anasyrmos), che significa “sollevare i vestiti”. Erodoto parla delle festività annuali di Bubasti, dedicate alla dea gatta Bast (o Bastet): i gatti vengono, ancora, associati ai genitali femminili, alla sessualità femminile, a volte alla prostituzione (Inglese: pussy; Francese: chatte; Italiano: gatta o micia; Giappone: gatto utilizzato come insegna dei bordelli). Anche Diodoro Siculo, che viaggiò in Egitto circa 400 anni dopo Erodoto, fu testimone sconcertato di tale usanze: egli descrive la sacra esibizione dei genitali nel tempio Serapeum, durante la sostituzione di un toro morto con un nuovo (dio Api, incarnazione del dio supremo Ptah). Si pensa che questo rituale servisse a rafforzare la virilità di Api (promozione della fecondità sia della terra che della gente). La fede nel potere dei genitali femminili e il gesto di sollevare la veste per mostrarli si ritrovano nelle mitologie di tante culture. Vi sono due tipi di leggende riguardanti l’esibizione vaginale: una che incentra sulla capacità di scacciare i demoni (leggende greci e irlandesi) e una sul suo potere di accrescere la fertilità. Basti ricordare il mito di Bellerofonte, eroe invincibile sconfitto dalle donne di Xanto, o la leggenda gaelica sul dio del sole Cuchulain, che sottolinea come la forza dell’anasyromai sia ancora maggiore quando usato collettivamente.

Echi di questi miti greci e gaelici e delle emozioni che suscitano si possono ravvisare nei costumi di molte società africane: l’anlu è un pratica tradizionale dei kom del Camerun occidentale, che tracciano la loro discendenza in modo matrilineare, per cui la posizione di una persona nella società dipende dalla vagina dalla quale è venuta al mondo. L’anlu è una forma di punizione messa in atto dalle donne per punire offese quali il maltrattamento di una donna anziana o incinta, l’incesto, l’afferrare i genitali di un’altra persona durante la lotta, insulti rivolti a una parente come “la tua vagina è marcia”: l’anlu viene praticato collettivamente dalle donne kom e include riti di esibizione dei genitali e danze. L’atto finale si ha quando, pentito, il colpevole è portato dalle donne fino a un corso d’acqua e purificato; coloro che non si pentono subiscono l’ostracismo della comunità finché non decidono di farlo. L’esibizione collettiva della vulva è usata in Africa per riaffermare l’orgoglio delle donne nei confronti del proprio sesso e dei proprio genitali, oltre che per provocare vergogna negli altri (ad es. donne bakweri del Camerun occidentale). Secondo i balong del Camerun, un uomo che insulta i genitali della moglie, insulta contemporaneamente tutte le donne; inoltre, un solo insulto vaginale potrebbe avere effetto su tutte le donne del villaggio, incluse le neonate (ad es. inficiare la capacità di dare alla luce bambini sani). Una sentenza del 1956 ha reso illegale insultare le parti basse delle donne. L’esibizione del pube come punizione, tipico di molte società africane fino al XX secolo, sembra un modo rapido ed efficace per dire “rispetta e ricorda da dove vieni”. Anche dall’altra parte del globo, ad esempio per gli ilahiti arapesh, in Papua Nuova Guinea, una donna può deridere e svergognare un uomo mostrandogli la vagina in pubblico; la cosa più disonorevole per un uomo è che una donna gli metta la vulva davanti alla bocca (significato derivato dal mito della punizione di uno stupratore). Anche per uno zingaro la vergogna peggiore è quella causata da una donna che alza la gonna davanti a lui e gliela mette sopra la testa, perché tale gesto lo rende impuro e sancisce la sua morte sociale. Il secondo tipo di mito, quello in cui l’esibizione della vulva non provoca vergogna, ma suscita il riso e la vita, è tipico di civiltà dell’antico Egitto, del Giappone e della Grecia. Mitologia egizia: dea Hathor, dea della gioia e della sessualità, compagna di Horus, e che calma il padre Ra grazie all’effetto catalizzatore della sua vulva. Tale gesto rimette in moto il sistema. Simili racconti affermano che l’atto di svelare pubblicamente la vulva dà inizio a un processo di cambiamento che opera su scale mondiale, non solo individuale: oltre che suscitare il riso dell’individuo, un’altra conseguenza consiste nel ritorno alla fertilità sulla terra dopo che le azioni violente degli uomini l’hanno sprofondata nella sterilità. L’esibizione della vagina ha la funzione di ricordare la fertilità femminile ed è un mezzo per disperdere energie negative e distruttive: leggenda di Amatera-su-o-mi-Kami e Ama-no-Uzume (Amaterasu è la dea del sole, divinità più importante del pantheon giapponese, si dice che tutti gli imperatori e le imperatrici del Giappone discendano da Amaterasu); il corrispondete mito greco è il mito di Demetra, la dea della Madre Terra, e Baubo. In Giappone, ogni anno, si svolge il rituale kagura per commemorare il mito di Amaterasu e Am-noUzume. Anche il tokudashi è un rimando a questo mito: noto anche come ”l’ aperto”, è uno spettacolo in cui viene enfatizzato il potere della vulva di portare la luce (prima di iniziare, la danzatrice distribuisce delle torce tra la folla). Nell’antica Grecia, il rituale dell’anasyromai faceva parte di molte feste religiose, tutte associate alla dea Demetra, alla figlia Kore e a Baubo (riti delle Tesmoforie e feste autunnali di Eleusi; utilizzo di scrofe, simbolo della fertilità, come vittime sacrificali; mylloi: dolci di sesamo e miele fatti a forma di vulva, fanno ancora parte di alcune

festività cattoliche di Italia e Francia, oggi mangiati per celebrare la Vergine Maria). I cronisti cristiani, solitamente, ritenevano osceno e scandaloso il rito femminile, che consisteva nell’esibire i genitali e utilizzare un linguaggio licenzioso, fare scherzi e mostrare oggetti dal significato sessuale. L’arte di molte culture antiche ci offre innumerevoli rappresentazioni dell’atto dell’anasyromai: sculture arcaiche, statuette, amuleti, incisioni sui sigilli, ecc. Osservando tali immagini arcaiche non può non colpire il senso di orgoglio e di gioia delle donne nei confronti dei propri organi genitali; non si percepisce alcuna vergogna, solo dignità. Quello che lascia perplessi è l’identità delle figurine: c’è chi dice rappresentino Babuo, chi Hathor dato il loro rinvenimento in Egitto, o a Iside. Molti elementi di queste figurine le collegano a divinità creatrici femminili o dee della fertilità, tra cui anche Demetra. Altrove tornano in scena le scrofe: una delle più famose raffigurazioni rappresenta una donna che esibisce i genitali e cavalca una scrofa, probabilmente incinta: forse la scrofa ci permette di stabilire l’identità di tali misteriose figure, essendo esse forse Baubo o Demetra. Tutte queste sculture e figurine (belle Baubo, Kuan-Yoni, ecc.) sono, nella maggior parte dei casi, associate al desiderio di accrescere la fertilità, sia quella del mondo vegetale sia quella umana, come suggeriscono i siti in cui sono state ritrovate. Tuttavia, alcune esprimono anche l’altro aspetto del mito, ossia tenere a distanza il diavolo o gli spiriti maligni. Le fanciulle Sheela-na-Gig adornano centinaia di edifici medievali in un’area ben definita dell’Europa: Inghilterra, Irlanda, Galles, Francia occidentale, Spagna del Nord e Scozia. La loro collocazione è limitata a particolari edifici: luoghi di culto o di potere, chiese cristiane e castelli. L’origine del nome Sheela-na-Gig è incerta: alcuni studiosi dicono significhi “donna del castello”. A metà del XX secolo, il termine “gig” veniva usato per indicare i genitali femminili: Sheela-na-Gig potrebbe, quindi, significare “donna-vagina” o “vagina di un’icona femminile della fertilità”. Altrettanto incerta è la ragione per cui queste fanciulle venissero scolpite. La loro locazione sottolinea la loro importanza: perché spendere soldi per realizzarle se non avessero importanza? Alcuni studiosi ritengono che si tratti di rappresentazioni della Grande Dea della religione celtica, altri vedono, in loro, meri strumenti per indurre un senso di orrore nei parrocchiani tramite la raffigurazione del peccato della carne. Dischi circolari tenuti sotto le braccia rappresenterebbero pagnotte, la lettera T sarebbe indicazione della parola “terra” e il fatto di tenere in mano coltelli, falci, oggetti a forma di mezzaluna o le lettere incise ELUI confondono la situazione. Fino al XX secolo le Sheela erano considerate icone di fertilità: le donne le toccavano per accrescere la propria, benché a volte un contatto visivo fosse sufficiente. Si è anche ipotizzato che le Sheela avessero funzione apotropaica, che fossero in grado di tenere il diavolo e gli spiriti maligni lontani dal luogo sacro della chiesa; nel caso dei castelli, esse proteggevano gli abitanti da chiunque avesse intenzioni malvagie. Una domanda molto importante è: che cosa può aver indotto le civiltà primitive a elaborare queste leggende, qual è la fonte della credenza nel potere della vagina? Venere (/Afrodite) è una delle più note divinità femminili della mitologia romana: nella metà del XIX secolo, quando gli archeologi cominciarono a trovare una grande quantità di figure femminili nude risalenti all’età della pietra, scelsero tale nome per indicarle tutte. Queste raffigurazioni risalgono a epoche molte diverse e coprono quasi 20.000 anni, un periodo che corrisponde alla prima parte del Paleolitico superiore (es. Venere di Willendorf e Venere di Laussel). Inoltre, una serie di vulve incise nella roccia risalenti

al Paleolitico mostra che il fascino esercitato dai genitali femminili non si esprimeva solo attraverso le Veneri scolpite. In alcuni casi, la vulva non è sola e appare insieme ad altri elementi tipici delle forme femminili; queste immagini preistoriche della vulva costituiscono il primo esempio di uso del simbolismo da parte dell’umanità. È in queste immagini, cariche di un potere creativo, di speranza e di fiducia nel fatto che, nonostante la malattia e la morte, una nuova vita può nascere dalla donna, va ricercata l’origine dell’antica fede nel potere dell’esposizione della vulva. Nei miti, inoltre, si tramanda anche un altro messaggio oltre a quello canalizzato dalle immagini: è importante non dimenticare da dove si viene, oltraggiare la vagina o la donna significa rivolgersi contro la vita stessa. Un numero sempre maggiore di studiosi concorda nell’affermare che l’arte vaginale paleolitica è opera di una popolazione la cui attenzione era rivolta soprattutto alla fertilità, che è sempre stata la preoccupazione centrale di tutte le società umane, e lo è ancora oggi. Inoltre, il fatto che figure maschili o raffigurazioni del pene appaiano centrali solo in forme d’arte successive si può spiegare con la mancanza di una prova diretta del legame tra l’uomo e la nascita della prole. In molte culture si pensava che la donna rimanesse incinta ad opera di eventi atmosferici, quali il vento, o a causa di microscopici ed eterei animalculae. La credenza che i genitali femminili rappresentino l’origine simbolica del mondo, la sorgente della vita, si trova in molte religioni e sistemi di credenze, antichi e moderni. Il saktismo, una della tre forme principali dell’induismo, si incentra sulla credenza che il potere creativo dell’universo si incarni nei genitali femminili: la dea principale, la dea Sakti (in suo onore, Yonimandala nella grotta vicino Kamakhya Pitha), rappresenta l’energia dell’universo, la creazione e i genitali femminili; è considerata la fonte di ogni altra divinità e di tutti gli esseri viventi. Nel tantrismo si ritrovano gli stessi elementi. Nei testi buddhisti si trova l’esplicita dichiarazione che “l’essenza del Buddha risiede nell’organo femminile”. In sanscrito, il termine per indicare la vagina è yoni, che significa “origine”, “grembo” e “sorgente”. Un antico testo indù recita che chiunque veneri la vagina vedrà esauditi tutti i suoi desideri. Anche la versione indiana del paradiso, l’isola di Jambu, ha la forma di una vagina. Uno dei simboli più diffusi della vagina, il triangolo rivolto verso il basso, la forma del pelo pubico femminile e della struttura interna dell’utero (se la si potesse vedere), sottolinea la sacralità e il potere creativo dei genitali femminili. Pitagora e i suoi seguaci consideravano sacro il triangolo e la loro venerazione, oltre che alla sua forma perfetta, era dovuta anche al fatto che vi vedevano il simbolo della fertilità universale, del potere generatore del mondo come energia pura e fonte di tutti gli esseri; nel linguaggio moderno della logica, il simbolo V indica l’universo, tutto ciò che esiste. Nell’India contemporanea, il triangolo rivolto verso il basso, dipinto di rosso, diventa il simbolo fondamentale della femminilità e della generazione. Poiché lo spazio non può essere circoscritto da meno di tre linee, il triangolo è il simbolo originario. Molti yantra sono composti da triangoli collegati tra loro o sovrapposti. La rinascita, in molti sistemi di credenze, doveva essere intimamente connessa con i genitali femminili, dato che la vagina può essere vista come la soglia tra i due mondi, quello fisico e quello spirituale. Se si fa il proprio ingresso nel mondo attraverso la vagina, perché non si dovrebbe anche rinascere attraverso essa? L’idea che la rinascita passi per il grembo femminile spiega forse perché molte sepolture neolitiche sono concepite internamente secondo la forma di una vagina, spesso con un’apertura simile a quella della vulva; la parola tomba deriva dal latino tumulus, che significa rigonfiamento, gravidanza. Un’altra simbologia che ricorre spesso è l’associazione di vulva e conchiglia. L’adorazione della vagina compare anche nella religione islamica: il luogo di questa venerazione è

la Kaaba, l’edificio a forma di cubo della Mecca. Nella Kaaba si venera l’antica dea araba della luna, venerata nei suoi tre aspetti (luna crescente, la vergine; luna piena, la madre; luna calante, la donna anziana e saggia) prima ancora che esistesse Allah. Nel cristianesimo, noto per il suo sessismo e per la considerazione del sesso non fine alla procreazione come mero peccato, la donna vive in condizione svantaggiata, sottomessa all’immagine maschile del dio cristiano; a questo si aggiunge l’idea che la donna e la sua sessualità perversa fossero responsabili della caduta dell’umanità dal suo stato di grazia (giardino dell’Eden). Le massime autorità cristiane medievali paragonarono i genitali femminili alle “porte spalancate dell’inferno”. Per secoli, le donne poterono ricoprire un ruolo attivo nella vita cristiana solo facendo voto di castità. Sant’Agostino espresse in modo molto chiaro il suo modo di vedere la vagina con il suo commento secondo il quale tutti nasciamo inter faeces et urinam. Anche il linguaggio porta la traccia di questa concezione dei genitali femminili: aidoion è una parola greca arcaica che indica i genitali sia femminili che maschili ed è di solito tradotta con parole che indicano la vergogna e la paura; ma aidoion indica anche il rispetto e il timore reverenziale e non presenta, in origine, connotazioni vergognose. Anche nel mondo occidentale cristiano alcuni simboli religiosi continuano ad esistere: un simbolo vaginale comune nelle opere d’arte e nell’architettura europea è quello della mandorla, legata ai genitali femminili, innanzitutto, per la loro forma e, in secondo luogo, perché secondo la mitologia classica le mandorle sarebbero nate dalla vagina della dea Cibele, dea della natura e madre di tutte le cose. Nell’arte cristiana, spesso, un’areola di luce a forma di mandorla circonda la Vergine Maria e il Bambino. La sacralità conferita alla vagina trovò spazio anche in Occidente: basti pensare all’ordine della Giarrettiera, che “si origina dal sesso femminile” e la cui casa è la cappella di San Giorgio a Winsor, costellata di simboli che rappresentano i genitali femminili. Certi studiosi sostengono che anche il tradizionale disegno a croce di molti luoghi di culto cristiani sia basato sull’architettura dei genitali femminili. Molti ricercatori, infine, affermano che l’emblema dell’amore nel mondo occidentale, il cuore, altro non sia che un’icona vaginale. Tuttavia, l’atteggiamento generale negativo verso il sesso della cultura occidentale fa sì che la rappresentazione artistica esplicita, ostentata e orgogliosa dei genitali femminili rischi di essere censurata o nascosta. In base alla morale corrente, un drappo o una mano deve sempre coprire modestamente e discretamente la vagina e nessun dipinto può esibire una raffigurazione del pelo pubico. La riluttanza del mondo occidentale ad accettare immagini positive dei genitali femminili si trova riassunto nel diario di Anne Frank: nella sua descrizione della vagina, ella compie un innocente gesto adolescenziale di anasyromai. CAP. 2 – FEMALIA Molti ritengono che il lessico sessuale convenzionale riferito ai genitali femminili sia insoddisfacente. I nomi, spesso, riflettono le convinzioni e le idee di una determinata epoca e l’anatomia sessuale non fa eccezione; alcuni nomi cercano di sottolineare le funzioni di un organo o di fornire una rappresentazione mentale, spesso in modo arido e con pessimi risultati (es. vas deferens). I nomi possono anche essere usati per scopi politici o per mettere in evidenza un’idea particolare: il termine “genitali” è legata alla funzione di generazione, il nome attribuisce all’organo la funzione della riproduzione sessuale, sebbene non si tratti della loro funzione predominante. I nomi, inoltre, hanno scopo educativo, che si spinge fino a descrivere le emozioni appropriate rispetto a particolari parti del corpo (inhonesta, turpia, obscena). Un altro aspetto importante del linguaggio è la sua mutevolezza; nel corso del tempo le parole cambiano significato per riflettere gli

atteggiamenti dominanti di una certa epoca. Inoltre, prima dell’avvento del cristianesimo, il mondo occidentale non metteva i genitali femminili in una luce negative (termine natura). Il gioco dei nomi lascia emergere, a volte, denominazioni peculiari che derivano dal fatto che, spesso, è più...


Similar Free PDFs