Storia d\'Italia dal dopoguerra a oggi PDF

Title Storia d\'Italia dal dopoguerra a oggi
Course Storia Contemporanea
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Riassunto completo del libro "Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi "...


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Storia dell'Italia dal dopoguerra ad oggi- Paul Ginsborg INTRODUZIONE Nel ’43 l’Italia era essenzialmente un paese agricolo (ad eccezione delle principali aree urbane) con una cultura popolare ancora profondamente contadina e dialettale. La volontà imperialistica di Mussolini aveva portato a subire una duplice invasione: tedesca e americana. La stessa integrità dello S. era messa in discussione. Quarantacinque anni più tardi il volto dell’Italia si è trasformato: è diventata una delle nazioni economicamente più forti del mondo. Le culture contadine non sono scomparse del tutto, ma sono state sostituite da un’unica cultura nazionale urbana. Vi è stata una grande migrazione dalle campagne alle città, dal Sud al Nord. Questo libro si occupa di questa trasformazione; tenendo anche però presenti gli elementi di continuità storica (incapacità delle elites di stabilire un’egemonia sulle classi subalterne, la debolezza e l’inefficienza dello S., la forza della Chiesa cattolica nella società civile, la coscienza di classe di significativi settori del mondo del lavoro urbano e rurale, il particolare ruolo dei ceti medi, il problema mai risolto del Mezzogiorno, il rapporto tra famiglia e società). La trattazione è suddivisa per le tre grandi aree della penisola: -l’Italia Nord-occidentale del triangolo industriale (Milano-Genova-Torino) -il Centro e la regione del Triveneto -il Mezzogiorno con le isole Non è una tripartizione valida in assoluto (a livello storico bisognerebbe parlare di cento Italie), ma è sicuramente più efficace della suddivisione Nord-Sud.

CAPITOLO 1: L’ITALIA IN GUERRA 1. Politica e guerra La decisione di Mussolini d’entrare in guerra (10 giugno 1940) si dimostrò fatale per il fascismo. Le truppe furono umiliate in Grecia e in Africa e il consenso al regime si sgretolò in seguito ai bombardamenti alleati, alla mancanza di cibo, all’inflazione. I primi a manifestare il malcontento furono gli operai dell’industria che scioperando avanzavano richieste economiche. Il 10 luglio’43 le truppe alleate sbarcarono in Sicilia, il 19 Roma venne bombardata per la prima volta; il generale Ambrosio cercò di convincere Mussolini a comunicare al Fuhrer il ritiro dalla guerra ma il duce restò in silenzio. La situazione era critica e anche i più grandi esponenti del fascismo vicini a Mussolini lo sapevano e incominciavano a perdere la fiducia in lui. Il 24 luglio 1943 ci fu la riunione del Gran Consiglio, e Dino Grandi aprì una discussione (Ordine del giorno Grandi) che duro 9 ore e che culminò con una mozione critica nei confronti del Duce. Era un atto di sfiducia nei confronti di Mussolini. Il re scelse allora d’agire e prese la palla al balzo, visto che sapeva che doveva salvaguardare la dinastia. Il giorno seguente Mussolini si recava dal re alla consueta riunione settimanale di Villa Savoia. Fu qui che il re gli chiese che aveva intenzione di sostituirlo con il maresciallo Badoglio. Non appena Mussolini uscì dalla riunione, fu arrestato all’uscita da Villa Savoia. 21 anni dopo la marcia su Roma, Mussolini veniva cacciato dallo stesso re che lo chiamò al potere. Il fascismo veniva distrutto da un "colpo di stato" dall’alto che preservava il predominio e la libertà d’azione dei tradizionali dirigenti della società italiana. !2

Il periodo confuso e drammatico che seguì la caduta di Mussolini, che durò dal 25 luglio all' 8 settembre, è ricordato nella storia come i "quarantacinque giorni", i quali ebbero inizio con manifestazioni popolari che festeggiarono la fine del regime. Queste furono represse dal re e da Badoglio, determinati a mantenere una dittatura militare. Il difficile intermezzo dei “quarantacinque giorni” ebbe termine il 3 settembre 1943 con la firma dell’armistizio segreto tra Italia ed Alleati. Le clausole erano dure: l'Italia doveva arrendersi senza condizioni, non veniva accolta tra gli Alleati e le veniva riconosciuto lo status di cobelligerante. Questi stavano organizzando uno sbarco aviotrasportato molto complicato al Nord di Roma per proteggere la capitale. Questo progetto aveva bisogno dell'aiuto militare italiano ma, quando il generale Taylor incontrò Badoglio e si rese conto dell’inadeguatezza italiana decise, con Eisenhower, di sbarcare a Salerno, rendendo pubblico l’armistizio l’8 settembre. La famiglia reale abbandonò la capitale (senza nemmeno una macchina da scrivere) per raggiungere dapprima Pescara e poi Brindisi, sotto la protezione alleata. Nasceva il Regno del Sud, che aveva come scopo di mantenere intatta l'autorità del re. A metà settembre l'Italia era tagliata in due: a Sud di Napoli vi erano gli Alleati e il re, che il 13 ottobre si decise di dichiarar guerra alla Germania; a Nord vi erano i tedeschi, che riuscirono a liberare, con una brillante missione, Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso e a portarselo in Germania. L’esercito si dissolveva, i soldati abbandonavano le caserme scappando dai tedeschi: più di mezzo milione furono fatti prigionieri e deportati in Germania. L’occupazione nazista del nord del paese diede inizio alla prima delle 3 fasi in cui è suddivisa la guerra partigiana: il rifiuto a sottomettersi. I tedeschi, riusciti a liberare Mussolini, lo posero alla guida di una repubblica che mantenne il governo nominale sull’Italia del Nord (La Repubblica di Saló). Questo era un governo fantoccio. Ebbe inizio la Resistenza.

Guido Quazza, studioso autorevole dell'argomento, divide l’antifascismo in 3 categorie: 1- L’antifascismo tradizionale, politico ed organizzato di coloro che si erano sempre opposti a Mussolini. Questi erano i comunisti, cioè i partiti politici posti fuori legge. Molti dirigenti del partito come Gramsci e Togliatti erano stati condannati a lunghe pene dal tribunale fascista. 2- L’antifascismo come spontanea reazione dei giovani educati sotto il regime che vissero i giorni dopo il 25 luglio come l'inizio di una nuova vita. 3- L’antifascismo dei fascisti. Cioè di quelli che avevano appoggiato il regime ma reputavano adesso opportuno abbandonare la nave che affondava. Le "Brigate Garibaldi" (formazioni comuniste) contavano oltre il 70% dei partigiani, seguite dalle brigate "Giustizia e Libertà" del Partito d’Azione, composto dai ceti professionali che volevano la Repubblica e nazionalizzare le industrie. I socialisti (Psiup) non ricoprivano un ruolo notevole, così come Pli e Dc che diedero un contributo irrilevante ai primi mesi di resistenza. !3

Tutti i partiti antifascisti formarono a Roma, il 9 settembre, il "Comitato di liberazione nazionale" e invitarono la popolazione ad unirsi alla resistenza. Furono creati comitati clandestini in tutte le regioni occupate dai nazisti, e nel gennaio 1944 il comitato nazionale di Roma attribuí al comitato di Milano poteri straordinari di governo per il Nord. Da questo momento il comitato milanese diventa l'organo supremo della Resistenza e assume il nome di "Comitato di liberazione nazionale Alta Italia" cioè Clnai. Se pensiamo alla seconda categoria di Quazza ci accorgiamo che le prime bande partigiane contavano su membri consapevoli dell’importanza storica della loro scelta (es. Il partigiano Johnny). Altri giovanissimi volevano sfuggire alla chiamata alle armi della repubblica di Salò. Altri erano prigionieri di guerra fuggiti. I nazisti e le brigate nere della repubblica di Salò si comportavano con grande ferocia verso i partigiani e i suoi simpatizzanti (es. villaggio piemontese di Boves bruciato). Malgrado ciò, il movimento partigiano crebbe molto. 2. La società italiana nei primi anni ‘40 Mentre l'autorità nazionale dello Stato si dissolveva, due eserciti d’occupazione e tre governi italiani (Repubblica di Salò, Clnai, Regno del Sud) chiedevano agli italiani obbedienza e fedeltà. In questa situazione eccezionale i cittadini dovettero affrontare scelte importanti sul piano morale e politico da cui potevano dipendere la loro vita e quella dei propri familiari. Questa era la situazione della società italiana prima e durante la guerra in linea generale: a) Capitale e lavoro nel Nord, 1943-44. L'Italia era un paese in cui ben oltre il 40% della popolazione era impegnata nel settore agricolo. Il cuore dell’Italia industriale era circoscritto al triangolo Torino-Milano-Genova, che patì molto durante la guerra. All'inizio della guerra, Torino aveva poco più di 600.000 abitanti, di cui 1/3 era occupato nell'industria. La classe operaia era evidente così come il peso economico della Fiat. Le famiglie operaie di Torino avevano una struttura ristretta al nucleo famigliare formato dai genitori e figli. Le unità famigliari erano ampie spesso con tre o più figli. I ragazzi/e iniziavano a lavorare già da giovani (10-12 anni): le donne erano impegnate in fabbriche tessili fino al momento del matrimonio per poi occuparsi della famiglia/casa; gli uomini ambivano a entrare in fabbrica come operai meccanici specializzati. Gli orari di lavoro erano estasianti e i salari erano molto bassi. Le famiglie operaie mangiavano raramente carne perché era cara e l’alimentazione base era minestrone e polenta. Non ci si poteva permettere molti lussi. Le famiglie operaie vivevano nei quartieri operai alla periferia della città. In genere le famiglie operaie residenti in queste zone erano emigrate dalla campagna circostante all'inizio del secolo. La mobilità sociale era scarsa e cresceva un forte senso di solidarietà collettiva per la comunità. Questa solidarietà nasce da una cultura politica comune, infatti, la nuova classe operaia torinese fu all'avanguardia del movimento socialista in Italia: la politica e il socialismo erano argomento comune sui posti di lavoro e nelle osterie. Il fascismo penetrò con l’uso della forza nei quartieri operai e una volta distrutte le organizzazioni socialiste, le famiglie si rinchiusero in se stesse: il silenzio piombò sui quartieri operai e la resistenza fu limitata a una serie di gesti simbolici. !4

Il fascismo non fu comunque pura e semplice oppressione. Esso rappresentò per la giovane generazione una specie di liberazione: la mobilità sociale si accrebbe, così come l'integrazione della classe operaia giovane all'interno della città. Nuovi miti come sport, consumi e modernismo sostituirono i vecchi. La città si espandeva. A Milano troviamo una situazione per molti aspetti simile. La città superava il milione di abitanti e non era come Torino una città unidimensionale, cioè di una sola classe. Essa era ormai la capitale commerciale e finanziaria d'Italia, e ciò comportava la presenza di ceti medi, d’impiegati e di un settore terziario (servizi) assai maggiore rispetto a Torino. La classe operaia, comunque numerosa, viveva in alloggi fatiscenti e sovraffollati. Sotto il fascismo, i quartieri popolari del centro furono abbattuti per far spazio a uffici o appartamenti lussuosi. Genova era un importante centro siderurgico (es. fonderie di acciaio) e anche un polo importante per la cantieristica e l'industria meccanica. Sotto il fascismo, crebbe il settore pubblico con l’Iri (Istituto per la ricostruzione industriale) che controllava l’Ansaldo che dava lavoro a molti operai. Genova era anche il porto italiano più importante. Come abbiamo detto, queste città patirono molto durante la guerra: nel 43-44 una vasta disoccupazione colpiva tutti i settori considerati non essenziali allo sforzo bellico mentre gli operai dell’industria pesante ritrovavano forza e unità, nonostante le ore intensissime di lavoro, la supervisione militare e l'aumento dei ritmi di produzione. Le cause di questa situazione furono parecchie: la produzione per scopi bellici favoriva le grandi imprese a discapito di quelle medio-piccole; le differenze salariali erano poco significative, ma soprattutto il proletariato era meno stratificato per la mancanza di manodopera specializzata a causa della richiesta tedesca di forza-lavoro specializzata in Germania in cambio delle forniture di carbone e acciaio. A tutto ciò si può sommare l'occupazione tedesca: operai sospettati di organizzare la Resistenza furono arrestati e spesso deportati in Germania. La ferocia delle rappresaglie tedesche incoraggiò diversi settori del movimento operaio a pronunciarsi in favore di una politica di resistenza limitata in attesa della liberazione per mano degli Alleati: questo "attendismo" (limitare lo spargimento di sangue), fu combattuto dalla maggioranza del movimento di liberazione soprattutto dai comunisti. Malgrado l'occupazione tedesca, continuarono scioperi e interruzioni della produzione. Nel marzo ’44 un’ondata di protesta dilagò per l’Italia occupata: gli scioperanti, spesso donne ma anche impiegati di basso livello, chiedevano la pace immediata e la fine della produzione di guerra per la Germania. La maggior parte degli industriali invece, man mano che divenne sempre più chiaro che le potenze dell'asse sarebbero state sconfitte, cominciarono a preparare i piani per la situazione post bellica. Essi per ovvie ragioni non volevano inimicarsi i tedeschi ma d'altra parte erano preoccupati che il movimento operaio potesse far pagare caro ogni loro eccesso di collaborazione. Quindi si preferì praticare un intricato doppio gioco tra tedeschi e alleati.

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b) I mezzadri nell’Italia centrale. Nelle regioni centrali (Toscana, Umbria e Marche) la maggior parte dei contadini era formata da mezzadri. La mezzadria era il sistema in cui il proprietario metteva il podere e la famiglia contadina il lavoro, dividendo spese e raccolto. Le famiglie mezzadrili vivevano in case coloniche sparse nei poderi e avevano un contratto annuale. Il proprietario non era assente e ricopriva un ruolo attivo, quindi dirigeva l’azienda, mentre il mezzadro doveva compiere una serie di servizi a vantaggio del padrone. Tutti questi aspetti rendevano i mezzadri una casta privilegiata, diversamente da quei contadini che non godevano della sicurezza della terra. La struttura familiare era multipla e verticale (più coppie sposate e più di due generazioni vivevano sotto lo stesso tetto), il capo famiglia maschio (il capoccia) comandava in modo autoritario e patriarcale; la massaia, che in genere era la moglie del capo famiglia, esercitava potere all'interno della casa ma lavorava assai duramente anche nei campi e le altre donne della famiglia erano ai suoi ordini. Tutte le famiglie avevano sviluppato un ricco reticolo di aiuti: tipico il caso dell'aiutarella (lo scambio di lavoro tra famiglie nei momenti cruciali del calendario agricolo) e della veglia. Dal 1880 le condizioni mezzadrili mutarono. Vista la crescente concorrenza del grano americano e la guerra dei dazi con la Francia, i proprietari si orientarono verso un’agricoltura basata sul commercio e allo sfruttamento dei contadini: diminuì la sicurezza del possesso e la dimensione dei poderi. Non erano più una casta privilegiata. Si susseguirono scioperi ed agitazioni che finirono dopo la Grande Guerra. Il fascismo portò pace nelle regioni rurali ma con la nuova guerra e le sue produzioni belliche e le mobilitazioni per il fronte, fecero si che contadini in cerca di lavoro riempissero le città. A partire dall’armistizio, ex soldati, evasi, ebrei, renitenti alla leva invasero le campagne. Man mano che l'autorità del governo si andava indebolendo nelle campagne i coloni ritennero più facile e conveniente vendere il grano al mercato nero invece che consegnarlo all'ammasso. Il mezzadro si scoprì padrone di decidere chi aiutare, chi rifornire e a quali condizioni. La situazione quindi si capovolse e i mezzadri preferirono aiutare i partigiani (anche andando in contro a severe punizioni) perché erano convinti di un eventuale successo degli Alleati, e quindi conveniva aiutare la parte vincente. Infatti, nel ‘43 i partigiani si accordarono con i mezzadri: i partigiani avrebbero pagato i prodotti di cui avevano bisogno dichiarando la requisizione di tutte le derrate disponibili, permettendo ai mezzadri di usare il rimanente. In più i comunisti promisero che alla fine della guerra, il governo di liberazione avrebbe trasferito la proprietà della terra ai mezzadri. Al contrario il fascismo si inimicava sempre di più il ceto agrario e pretendeva che, vista la carenza di frumento, che ogni produttore consegnasse immediatamente agli ammassi il frumento. Chi si rifiutava non avrebbe avuto il permesso di macinare il grano, e di conseguenza i mezzadri scioperarono aiutati e protetti dai partigiani. c) Il Sud agricolo. Nel‘36 il 59% della popolazione attiva del Mezzogiorno lavorava ancora la terra. Secondo un famoso studioso del Sud agricolo, a quell'epoca il Sud si divideva tra un fertile Sud !6

"alberato” coltivato intensivamente con vigne, oliveti, e alberi da frutto, e un Sud "nudo” terra di pascolo e di coltura estensiva di cereali. Solo in alcune zone, come la Terra di Bari, la Terra di Otranto e la Sicilia orientale, si poteva riscontrare il paesaggio tipico del Sud "alberato". Il livello di vita dei contadini era generalmente più alto rispetto a quelli che vivevano nell'interno. Solo quando il raccolto era buono, il commercio fioriva e il Sud alberato poteva mantenere una parte della popolazione. In tempi di crisi una parte dei contadini era ridotta in miseria. Molti contadini erano ridotti in miseria, soffrivano di malaria, privi di occasioni di svago se non la passeggiata domenicale o il dopolavoro istituito dal regime. Forte era l’attaccamento ai santi patroni visibile nelle feste, principali momenti di socializzazione. Il Sud "nudo”, che comprendeva 9/10 del Mezzogiorno, va distinto in due parti: da una parte abbiamo la pianura, e dall'altra abbiamo la collina e la montagna. La pianura, minacciata da siccità e malaria, era coltivata a cereali d’estate e tenuta a pascolo d’inverno; i grandi proprietari e i fittavoli controllavano quasi tutta la terra e i contadini, trovavano impiego giornalmente o settimanalmente, quindi non avevano alcuna garanzia di lavoro stabile. Questa economia agricola della pianura meridionale si trovava principalmente in zone costiere: nella Maremma toscana e laziale, nel Tavogliere della Puglia, ecc... Le zone collinari e montane erano povere e si caratterizzavano per piccoli appezzamenti, proprietà medie e latifondi dalle terre scadenti in cui si usavano tecniche agricole primitive. L'altopiano era il dominio del latifondo: questi costituivano l'80% di tutta la terra coltivata in Sicilia. Le terre del latifondo erano scadenti per via dell'erosione, della mancanza di irrigazione durante l'estate, delle piogge torrenziali in autunno che spazzavano via lo strato superiore del terreno. I contratti agrari stipulati sotto il sistema del latifondo tra proprietari e contadini erano i peggiori d'Italia. Erano complessi, arretrati e variavano da regione in regione. Il contadino era un uomo alla costante ricerca di terra e lavoro. Alla fine del fascismo il livello di vita era bassissimo, le famiglie e gli animali vivevano in un’unica stanza senza finestre, mentre tra i proprietari predominava l’assenteismo della gestione della proprietà. I contadini avevano una filosofia in cui si mescolava fatalismo, solidarietà, sfiducia, religiosità pagana, competizione per il lavoro, ossequiosità per i padroni. I continui fallimenti dell’autorità statale produssero una "fede pubblica" minima, mentre dilagava il fenomeno mafioso, un’agenzia che offriva garanzie, protezione e occasioni di mobilità sociale in un contesto caratterizzato dalla sfiducia generalizzata. La parola mafia apparve per la prima volta in un documento ufficiale del 1865. In Sicilia essa non fu mai un'unica organizzazione, ma c'erano molti gruppi concorrenti. I servizi proposti erano la difesa, per mezzo della violenza, di ogni tipo di monopolio, e all'epoca, nella Sicilia rurale, il monopolio che occorreva salvaguardare era quello della terra. Nel XIX secolo i fittavoli ("gabellotti" in gergo siciliano) si erano man mano impossessati della terra di proprietari assenteisti, e i primi mafiosi furono coloro che offrivano la protezione armata contro qualsiasi minaccia al potere dei fittavoli. Come abbiamo detto la mafia, con il passare del tempo, divenne anche un fenomeno di mobilità sociale. Infatti, per questi ceti medi rurali, diventare mafioso, per quanto pericoloso fosse, era un !7

modo per acquistare status, potere e ricchezza. La dove le autorità statali erano assenti c'era la mafia che offriva protezione contro ba...


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