Stuart Hall - Codifica e Decodifica PDF

Title Stuart Hall - Codifica e Decodifica
Author davide de simone
Course Sociologia della comunicazione
Institution Università degli Studi Roma Tre
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Stuart Hall - Codifica e Decodifica...


Description

CODIFICA E DECODIFICA – STUART HALL In questo saggio, Stuart Hall si occupa di proporre una nuova teoria della comunicazione, partendo dal mettere in questione le ormai consolidate visioni relative alla produzione, alla circolazione e al consumo dei messaggi mediali. In particolare, egli suggerisce che il significato del messaggio per il fruitore (decodificatore) raramente coincide con quello che aveva in mente il produttore del messaggio stesso (codificatore), perché la comunicazione è sistematicamente distorta. Partendo da un discorso generale, il processo della comunicazione è stato concettualizzato tradizionalmente come un circuito chiuso, un loop. Sebbene questo modello sia stato criticato soprattutto per la sua linearità (emittente-messaggio-destinatario), in realtà è un’articolazione di momenti/pratiche tra loro collegati ma ben distinti: produzione, circolazione, distribuzione (consumo) e riproduzione. L’oggetto di queste pratiche sono i significati e i messaggi, organizzati attraverso l’operazione di codifica all’interno di un discorso (Hall prende il concetto di “discorso” dal filosofo francese Michel Foucault (1926-1984) che si riferisce a un intero corpo di rappresentazioni che diventano dominanti in un determinato contesto storico su un argomento specifico). È proprio tramite il discorso che avviene la circolazione del prodotto (messaggio) e la sua distribuzione a diversi tipi di pubblico. Per far sì che il circuito sia completo il discorso, una volta realizzato, deve essere tradotto, cioè nuovamente trasformato, in pratiche sociali. I momenti sono necessari tra loro nell’insieme, ma nessuno garantisce quello successivo, per cui un messaggio codificato non è detto che venga decodificato e quindi il prodotto consumato. La forma del discorso ha una posizione privilegiata nello scambio comunicativo poiché è la forma in cui l’evento appare nel suo passaggio fra la fonte e il ricettore e i momenti di codifica e decodifica sono determinati. A questo punto si può parlare del processo comunicativo televisivo, il quale viene articolato in vari momenti: - Viene richiesto alle strutture istituzionali televisive di produrre un programma (questo è il processo lavorativo) - La produzione costruisce il messaggio. Si può dire che il circuito cominci da qui, ma in realtà il processo produttivo ha un suo aspetto “discorsivo” poiché è inserito in una cornice di idee e significati che permettono la produzione del discorso (es. procedure di produzione, previsioni di audience) e, nonostante siano questi elementi a dar vita al discorso, gli argomenti derivano da altre fonti discorsive all’interno di una struttura socio-culturale e politica più ampia (dai fatti al mondo esterno). Quindi si arriva alla conclusione che il pubblico è sia la fonte che il ricettore del messaggio televisivo e, i momenti di produzione e ricezione del messaggio non sono identici, ma in relazione (momenti differenti del processo comunicativo). Le strutture televisive per produrre messaggi sotto forma di discorso dotato di senso devono codificare il messaggio con le regole discorsive del linguaggio. A questo punto, in un secondo momento il messaggio, percepito come discorsivo, viene decodificato, ed è proprio in questo momento che si ha l’effetto, la persuasione, l’influenza. Per poter essere efficaci, i messaggi televisivi devono essere “significativi” e devono essere decodificati come tali. Devono, cioè, avere un effetto, intrattenere, convincere, istruire. Parliamo di due momenti: - 1. Il messaggio viene prodotto attraverso un codice. - 2. Il messaggio, attraverso la decodifica, è trasportato nella pratica sociale e acquisisce un’efficacia politica. N.B.: I codici del punto 1 (codifica) e del punto 2 (decodifica) possono non essere identici e avere degli squilibri, dovuti a differenze di struttura, relazione o posizione. Possono nascere “distorsioni” o “incomprensioni” nello scambio comunicativo. Il messaggio televisivo è costituito dalla combinazione del discorso visivo e di quello uditivo (cioè, immagini più parole). Inoltre, esso è “un segno iconico”, e in quanto tale ha “alcune delle proprietà della cosa rappresentata” (ivi, p. 72). Esempio: noi sappiamo che un cane in televisione può abbaiare, ha il pelo, quattro zampe, ecc., ma non può mordere. Nella sua ricerca sul messaggio televisivo Hall coglie l’occasione per esplorare il particolare rapporto che le immagini hanno con la realtà rappresentata e il motivo per cui noi siamo così inclini a scambiare l’immagine per la realtà.

(Quando Hall ha tematizzato i momenti della codifica e della decodifica nel processo comunicativo, si riferiva al messaggio televisivo. In realtà, attraverso la sua ricerca, egli scopre delle convenzioni che sono valide anche nella comunicazione interpersonale. Nel rapporto immagine-realtà, Hall cita anche la linguistica, in particolare il principio di “arbitrarietà” del linguista Ferdinand de Saussure. Secondo tale principio ogni lingua costruisce il proprio sistema di valori in modo convenzionale, autonomo e del tutto sganciato dalla realtà. Ad esempio “cane” non ha legami naturali con l’animale; del resto in ogni lingua il concetto è veicolato in modo diverso, si pensi a “dog” in inglese, “Hund” in tedesco, e così via. Comunemente si evidenziano delle eccezioni al rapporto di convenzionalità tra il significante (immagine acustica o visiva) e il significato (il messaggio) nel segno linguistico: Il caso delle onomatopee, cioè parole o frasi che, nel rappresentare un oggetto o un'azione, ne evocano il suono, ad es. il verso di un animale (“bau”, “miao”, grrr”) o il rumore prodotto da un oggetto (“tic tac”), da cui derivano il “miagolio” del gatto o il “ticchettio” dell’orologio. N.B.: Le onomatopee sono considerate un’eccezione del rapporto convenzionale tra segno linguistico e realtà, tuttavia bisogna sottolineare che esse sono marginali nella lingua e anch’esse possono essere arbitrarie. Si pensi ad es. al cane, che dal “bau” italiano passa al “woof” inglese. Anche le esclamazioni sembrano essere delle espressioni spontanee della realtà, cioè non convenzionali, come l’interiezione “ahi” per esprimere dolore, ma anche queste variano da lingua a lingua e sono di origine in parte contestabile.) Il messaggio iconico> Il segno iconico, cioè quello basato sull’immagine “mucca”, non ha il rapporto di convenzionalità con la realtà rappresentata (l’essere vivente “mucca”), in quanto esso possiede alcune delle caratteristiche di ciò che denota (ha due orecchie, un muso, il pelo, quattro zampe, ecc). Alcuni segni visuali sembrano essere universali, dimostrando il riconoscimento apparentemente “naturale” tra codifica e decodifica. Ciò ci porta a pensare che il segno visivo “mucca” sia realmente - e non che rappresenti soltanto - l’animale, perché ha due orecchie, un muso, il pelo, quattro zampe, ecc. Dunque, il segno iconico, cioè l’immagine, si presta meglio a essere considerata come “naturale”, perché il codice visivo è molto diffuso e “meno arbitrario di quello linguistico: il segno linguistico ‘mucca’ non possiede nessuna delle proprietà della cosa che rappresenta, mentre il segno visivo sembra possedere almeno alcune di queste proprietà” (ivi, p. 74). Per questo rapporto meno convenzionale e più diretto con la realtà, l’immagine ha una maggiore probabilità di trasmettere con successo il contenuto ideologico rispetto a un testo scritto. Un'immagine appare più ‘come la realtà’, e quindi è più facile confondere (o equiparare) un'immagine con la realtà. Denotazione/connotazione> Roland Barthes (1915-1980), saggista e semiologo francese, parla di “denotazione” per indicare il significato letterale di un segno e di “connotazione” per riferirsi a quei significati meno fissi e più trasformabili, ad es. “piccino”, “bambino”, “fanciullo” hanno eguale denotazione, ma diversa connotazione, in quanto evocano risonanze affettive diverse che cambiano in base ai codici. O ancora, si pensi a “cuore”: alla denotazione di organo anatomico si accompagnano varie connotazioni legate alla disponibilità affettiva. Hall non usa questa distinzione così netta, perché per il sociologo la distinzione denotazione/connotazione è puramente analitica, cioè è utile per distinguere fra il significato “letterale” di un termine e eventuali significati più associativi. Tuttavia, non dobbiamo confondere le distinzioni analitiche con le distinzioni empiriche (che derivano dall’esperienza del mondo reale). In pratica, la maggior parte dei segni hanno sia aspetti denotativi che connotativi. Ciò che ci preme sapere è che al livello della connotazione, dove i significati sono più fluidi e trasformabili, i segni sembrano articolarsi con discorsi più ampi e possono essere utilizzati più facilmente dalle ideologie. Il livello della connotazione del segno visivo: un esempio>

Nel discorso pubblicitario qualunque segno visivo connota una qualità, una situazione, un valore. Si pensi a “golf” “un indumento caldo” sul livello connotativo “inverno” o “giorno freddo”, oppure nel codice della moda “uno stile informale di abbigliamento”. Ma può connotare anche “una passeggiata nei boschi” in un codice romantico. Dunque, tutti questi codici sono i mezzi attraverso cui varie ideologie esprimono significati e che collegano i segni con le “mappe di significato” (varietà di pratiche e usi sociali, potere e interesse). Il “fraintendimento” per Hall> Come spesso accade in sociologia, i termini utilizzati possono differire dal senso comune. Ad es. per Hall, il “fraintendimento” va tolto dal suo senso comune e considerato nel contesto di una “comunicazione sistematicamente distorta”. Il “fraintendimento” è una componente essenziale di ogni scambio comunicativo. Distinguiamo due tipi di decodifiche: 1. Le decodifiche “aberranti”, nel caso in cui lo spettatore opera un “fraintendimento”, così come inteso nel senso comune, e legge ciò che vuole in un messaggio, es. capisce “Toma” per “Roma”. 2. Le decodifiche “non aberranti”, in cui il pubblico non “fraintende” nel senso comune del termine, cioè capisce “Roma” per “Roma”, ma interpreta vari significati. Hall non è interessato all’analisi delle «decodifiche aberranti», ma si occupa soltanto delle «decodifiche non aberranti», cioè quando il decodificatore capisce correttamente il messaggio, ma lo interpreta attribuendovi significati vari. Nel caso delle «decodifiche non aberranti» Hall distingue tre posizioni ipotetiche di decodifica in un discorso televisivo: 1. posizione dominante/egemonica; 2. posizione negoziata; 3. posizione oppositiva. Tre posizioni ipotetiche di decodifica in un discorso televisivo> 1.Posizione dominante/egemonica: quando lo spettatore assume un significato connotato attraverso un notiziario e decodifica in accordo con il codice dominante delle istituzioni 1.a Il “codice professionale” opera all’interno di un codice dominante e lo riproduce, ad es. un professionista dei media codifica un messaggio già dotato di senso dominante (es. un decreto-legge) e lo riproduce attraverso questioni apparentemente neutrali come la qualità dell’immagine, la presentazione delle notizie, l’organizzazione dei dibattiti, il tempo dedicato a ciascun interlocutore, ecc. Si pensi ai talk-show in cui c’è la presenza preponderante di persone dell’élite politica dominante che definiscono la situazione e operano una “distorsione coperta delle loro operazioni [di significazione] verso l’interpretazione dominante” (ivi, p. 81). Come detto, il discorso per essere efficace deve essere trasformato in pratiche sociali, cioè deve essere tradotto nel linguaggio istituzionale delle organizzazioni considerate, in questo caso quelle televisive. 2.Posizione negoziata: la maggior parte degli spettatori capisce adeguatamente le definizioni dominanti veicolate in modo professionale, che collegano gli eventi con le grandi generalizzazioni, gli interessi nazionali e le questioni geopolitiche, anche se in modo parziale. Un punto di vista egemonico deve: a) definire l’orizzonte mentale dei significati possibili in un settore e b) assicurarsi che questo sia considerato “naturale”, “legittimo” e “scontato” nell’ordine sociale. In questa posizione la decodifica riconosce la legittimità delle definizioni dominanti, ma si riserva anche il diritto di contraddire. Si pensi a un lavoratore di fronte a un disegno di legge che blocchi i suoi scatti salariali. Nel dibattito economico impostato sull’interesse del Paese, colui/colei che decodifica può concordare con una logica di risparmio, anche se ciò è poco o per nulla legato all’opposizione al disegno di legge al livello sindacale. Molte incomprensioni nascono proprio per le sfasature tra codifiche egemoniche e decodifiche “corporativo-negoziate” (ivi, p. 83). 3. Posizione oppositiva: uno spettatore può comprendere un messaggio, ma decodificarlo in modo del tutto opposto; egli/ella lo scompone e lo ricompone in una cornice alternativa. Es.: si pensi a un lavoratore che

ascolta un talk-show sul decreto-legge per bloccare i salari, ma interpreta ogni riferimento all’interesse del Paese come un interesse della classe dominante. Gli eventi che sono di solito decodificati in modo negoziato possono avere una “lettura opposizionale”; a questo punto, si raggiunge il livello della “politica della significazione”, ossia “la lotta per il discorso” (ivi, p. 83). Il rapporto tra codifica e decodifica non è “naturale”> Non esiste una corrispondenza necessaria tra codifica e decodifica, ma un’articolazione continua. Una codifica può cercare di garantire e stabilire in parte le condizioni della decodifica, ma quest’ultima avrà sempre le proprie condizioni di funzionamento....


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