Studiare la famiglia che cambia 1 PDF

Title Studiare la famiglia che cambia 1
Author Sabrina Rosalba
Course Servizio sociale
Institution Università della Calabria
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Famiglia e mutamento sociale. Studiare la Famiglia che cambia. Capitolo 1 I giovani e la famiglia Vi è una fase della vita nella quale si dipende da altre persone, e dove di conseguenza si è liberi da impegni e responsabilità. Possiamo dunque considerare “la giovinezza” come il processo di progressiva uscita da tale condizione. Non c’è un’età a partite dalla quale non si è più bambini e né una che effettivamente ci fa entrare nel mondo adulto. Tra queste due età si colloca però quella parte di popolazione che viene considerata giovane. In linea genarle però possiamo però dire che vi è un limite inferiore collocato intorno ai 15-16 anni. Dove però non si viene considerati adulti, anche se fino ai 16 anni non ci si può sposare, non si piò lavorare, non si può votare etc. E vi è anche un limite massimo posto prima dei 40 anni. A tale età anche se capita che molti non siamo sposati e non siano realizzati vengono comunque considerati adulti. Nella più recente ricerca dell’ISTAT (2009) il limite di età superiore arriva a 39 anni. Vi sono in realtà delle tappe che porterebbero all’entrata effettiva dell’età adulta: la prima esperienza sessuale, l’entrata nel mondo del lavoro, l’uscita dalla famiglia di origine, la nascita del primo figlio. Nessuno di questi eventi è indispensabile però, e non è necessario che tutti si realizzino. Sicuramente entrare nell’età adulta significa arrivare ad una propria consapevolezza, autonomia e assunzione di responsabilità. Non a caso il latino il termine giovane ha la stessa radice del verbo ivare che significa essere utile.

I concetti chiave I concetti chiave di questo capitolo sono: corso di vita; eventi e transizioni; generazione. Con corso di vita ci riferiamo alla storia di ciascuna famiglia o individuo, al suo evolversi e cambiare nel tempo. Il corso di vita è definito da traiettorie (percorso seguito) e da transizioni (mutamenti, entro una traiettoria). Con evento intendiamo un cambiamento da uno stato discreto a un altro: ad esempio, l’uscita dei figli dalla casa dei genitori, un matrimonio/convivenza, la nascita di un figlio, l’entrata nel mondo del lavoro etc. Queste transizioni possono assumere un significato diverso in base a quando avvengono e all’interno di quale traiettoria: frequentare l’università subito dopo aver concluso il percorso di studi superiore o dopo aver maturato un’esperienza lavorativa; avere un figlio a 20 anni o

a 40; perdere il lavoro da giovane o da adulto con figli adolescenti. Esistono norme sociali che impongono ordine e vincoli su percorsi e progetti di vita. Le istituzioni forniscono il quadro normativo e il calendario dei tempi in cui mediamente deve svilupparsi un corso di vita “normale”,procedendo da uno status all’altro: età per il matrimonio, per avere figli,per sposarsi, per andare in pensione, e sono in grado inoltre di decidere se un corso di vita è regolare o meno e se un individuo abbia o no diritto a sostegno pubblico. L’Italia è uno dei paesi dove più a lungo si rimane nella condizione di giovane e non a caso anche uno degli Stati dove i giovani faticano ad affermarsi nella società,nonostante l’economia sviluppata. Mentre in altri paesi diventare adulto significa diventare responsabili, investire negli studi etc. Un altro concetto chiave è quello di generazione , ossia l’appartenenza a una specifica generazione che è una condizione permanente, rispetto al termine “giovane” che è uno stato transitorio. L’elaborazione teorica del termine generazione lo dobbiamo a Karl Mannheim. Alla base sta l’affinità di collocazione dei suoi appartenenti, in particolare l’essere nati nello stesso anno e quindi l’essere cresciuti condividendo gli stessi eventi storici e stesso clima sociale. In particolare possiamo parlare della generazione dei Millennials, si tratta della generazione successiva a quella detta “Generazione X” (termine usato per indicare i nati tra la seconda metà degli anni sessanta e l’inizio degli anni ottanta), prima ancora trovavamo la generazione dei baby boomers(i nati nei primissimi decenni del secondo dopoguerra). Questa generazione dei Millennials si riferisce agli under 30, tutto coloro che non hanno memoria diretta di com’era il mondo prima della caduta del muro di Berlino, di come si viveva senza cellulari, senza internet. Parliamo dei nativi digitali, con una forte competenza verso le nuove tecnologie sin dall’età adolescenziale. Se la Generazione X mirava soprattutto a farsi accettare dal mondo adulto, i Millennials, sembrano avere addirittura la pretesa di poterlo cambiare e di adattarlo alle proprie esigenze e aspettative. Questa nuova generazione fa fatica ad accettare qualcosa che esca fuori dal proprio schema mentale. Anche a livello lavorativo se non si sentono motivati o non ottengono riscontri a breve termine tendono a molare la spugna. Faticano dunque a stare dietro a quelli che sono ad esempio i ritmi dell’azienda, e preferiscono rimanere inoccupati nella famiglia di origine aspettando la sistemazione perfetta o comunque una migliore opportunitò piuttosto che adeguarsi a qualsiasi cosa. Se il lavoro invece li soddisfa e gli fornisce gli stimoli giusti sono disponibili a lavorare anche nelle ore serali e nei fine settimana. A caratterizzarli sono le 3 C: - Confident: credonoin se stessi e muoiono dalla voglia di emergere - Connected: sono nativi digitali e considerano la rete uno strumento essenziale - Opento Change: sono i migliori alleati del cambiamento.

In Italia vi sono dunque piccole indagini condotte sui giovani ,per analizzare effettivamente il cambiamento sociale , ma non sono abbastanza chiare, sono utili a confermare solo gli stereotipi, come quello dei “mammoni” e dei “bamboccioni” piuttosto che a produrre solide conoscenze sulla realtà delle nuove generazioni.

Giovani in Famiglia Nei primi decenni del secondo dopoguerra in tutto il mondo occidentale, diventare adulti significava per una donna soprattutto prepararsi a diventare moglie e madre, mentre sul versante maschile implicava diventare economicamente indipendente, per essere in grado di mantenere sé stesso e la propria famiglia. Le opportunità occupazionali aperte dall’industrializzazione consentivano un’anticipazione dei tempi di conquista della propria autonomia dai genitori e di formazione di una propria famiglia. Alla fine però degli anni cinquanta - sessanta, a partire dai paesi scandinavi, iniziarono a manifestarsi i primi cambiamenti dell’assetto familiare. Le donne entrando sempre di più nel mondo del lavoro avevano sempre meno tempo da dedicare alla famiglia, e inoltre si andò a ridurre anche la tradizionale subordinazione della moglie e dei figli nei confronti del capo famiglia di sesso maschile,fino a far emergere una nuova figura di padre e marito, caratterizzata da una minore rigidità e da una maggiore espressività effettiva. Con le generazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale, entrate nella vita adulta a partire dagli anni settanta, si produce un punto di svolta che chiude quella che era stata la fase di più ampio e precoce accesso al matrimonio di tutto il Novecento. Tale evento viene progressivamente ritardato, generazione dopo generazione, in età sempre più avanzata. Fino a qualche decennio fa dopo la fine degli studi si cercava lavoro. Appena si diventava economicamente autonomi si usciva dalla casa dei genitori per formare una propria famiglia e il primo figlio arrivava poco dopo il matrimonio. Oggi le cose sono cambiate, non si aspetta di finire gli studi per lavorare, si va a convivere prima di sposarsi e un figlio arriva anche senza essere sposati, si ha dunque un percorso di vita sempre meno standard. Il tutto a causa della situazione soprattutto economica, ma anche culturale e sociale. Oggi l’età media di uscita dalla famiglia di origine si aggira intorno ai 29-31 anni.

Fattori di push e pull nell’autonomia dei giovani Come in tutti i processi che comportano l’uscita da una condizione per entrare in un’altra, la decisione di attuare il passaggio dipende sia da fattori di spinta (push) ad abbandonare il luogo di appartenenza, che da quelli di attrazione (pull) del luogo di destinazione. La realtà italiana sta nel fatto che la forza dei fattori di spinta (nell’uscita della casa dei genitori) è minore insieme a quella di attrazione (nella

conquista dell’autonomia e nell’assunzione della responsabilità.) Nei paesi mediterranei, il sostegno verso i figli è particolarmente prolungato nel tempo. Nei paesi scandinavi il senso della conquista di una propria indipendenza è particolarmente spiccato. Vari studi hanno messo inevidenza come nei paesi mediterranei sia importante la famiglia e di come siano importanti i legami di sangue. In Italia in primis, vi è un intenso e duraturo rapporto tra genitori e figli. I primi tendono a investire molto sui secondi, sia in termini materiali che affettivi. Viene trasmesso soprattutto il valore della famiglia, l’importanza di costruire solide e durature relazioni emotive. In Italia, infatti, i soggetti più vulnerabili trovano aiuto nel mutuo sostegno familiare piuttosto che dalle politiche pubbliche. Oltre le Alpi e in particolare nel Nord Europa, i legami familiari tendono invece a essere più “deboli”. Se quindi alcuni aspetti culturali della famiglia italiana depotenziano i fattori push trasformando le mura domestiche in una “gabbia dorata”, è anche vero che i rischi a cui i giovani italiani sono maggiormente soggetti, per le carenze del welfare pubblico, rendono poco attrattiva l’uscita (depotenziando i fattori pull). E’ stato affermato che protetti da welfare si può osare di più. La mancanza di adeguati ammortizzatori sociali contribuisce a rendere meno dinamico il mercato e bassa l’occupazione, penalizzando quindi nel complesso lo sviluppo economico e sociale del paese.

Vite instabili Le sfide più importanti che stanno vivendo le società avanzate sono la globalizzazione e l’invecchiamento della popolazione. Da tali processi discendo tante opportunità, ma anche nuovi bisogni. I rischi infatti sono dovuti alla difficoltà di entrare nel mondo del lavoro, e di conseguenza alla difficoltà di arrivare ad una propria dipendenza e stabilità economica. Tale condizione contribuisce a generare insicurezza e incertezza sul futuro, da qui appunto la posticipazione di quelle che sono le tappe fondamentali e anche della stessa responsabilità. Tutto questo, compresa la difficoltà di trovare occupazione non fa altro che rallentare il distacco dalla famiglia di origine. Il tutto soprattutto nelle zone del mezzogiorno, rispetto ovviamente al Nord, distinzione che non viene mai a mancare.

Capitolo 2

Formare una coppia Se è vero che non esistono leggi che impongono alle persone di sposarsi o di formare un’unione, va però fatto presente che, nel tempo, le istituzioni hanno riservato una particolare attenzione alla protezione e incentivazione delle unioni tra donne e uomini. Facciamo alcuni esempi: - Tassa celibi 1927(abolita nel 1943) contributo fisso che variava a seconda dell’età agli uomini non sposati di età compresa tra i 25 e 65 anni. Importi che derivavano dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Il proposito era quello di favorire i matrimoni e, incrementare il numero delle nascite al fine di accrescere la forza della nazione; - Legge su affidamento e adozione dei minori n°149, al fine di poter adottare un minore, che ovviamente dovevano avere precisi requisiti. Stiamo vivendo oggi un forte cambiamento, che riprendono i corsi di vita personali e familiari, la sessualità e la genitorialità. Sono notevolmente cambiati sia il rapporto tra i coniugi sia quello tra figlie genitori. E’ inoltre aumentata l’instabilità coniugale, anche in presenza di figli. Sempre più giovani iniziano la propria vita di coppia in modo informale e sempre più figli nascono da genitori non sposati e da madri e padri di nazionalità diversa.

I concetti chiave Uno dei concetti chiave è quello di istituzione. Le istituzioni possono essere definite come organizzazioni, o strutture sociali, che governano i comportamenti degli individui. Tra le istituzioni più importanti vi è certamente la famiglia che riveste in quasi tutte le società carattere di istituzione e al centro dell’essere famiglia sta soprattutto l’essere per l’altro, il prendersi cura. Il ruolo fondamentale è certamente quello di costruire il principale contesto di accudimento nel quale far crescere i membri delle nuove generazioni fino alla conquista di una propria autonomia. Definire una famiglia non è un compito semplice infatti ritroviamo diverse definizioni. Due tra le più importanti sono state definite dall’ISTAT. Una di queste è la seguente: - Per famiglia si intende un insieme di persone legati da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, affiliazione, tutela o da vincoli affettivi coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune…etc.

Una seconda istituzione molto importante è quella del matrimonio: esso definisce e regola i rapporti tra due coniugi e il comportamento dell’uno verso l’altro. Il matrimonio può essere considerato una condivisione libera, consapevole, volontaria e duratura nel tempo. L’intollerabilità però può portare alla separazione e al divorzio. In Italia esistono tre tipi di matrimonio: - Matrimonio cattolico, celebrato davanti a un ministro del culto cattolico secondo le leggi della Chiesa e sottratto alle regole del codice civile; - Matrimonio civile, regolato interamente dalle norme del codice civile, celebrato in municipio dall’ufficiale di stato civile e che piò essere annullato dal tribunale civile; - Matrimonio acattolico, celebrato davanti a ministri di culti diversi da quello cattolico ammessi allo Stato. E’ regolato dal codice civile: per produrre effetti nel nostro ordinamento deve essere trascritto nei registri di stato civile italiano entro cinque giorni dalla celebrazione. Il matrimonio è l’atto con il quale si costituisce un vincolo tra due soggetti, i coniugi, con diritti e obblighi reciproci. In Italia possono contrarre matrimonio le persone che abbiano compiuto 18 anni, sia di sesso maschile che femminile. Entrambi dunque dopo la riforma del diritto di famiglia si trovano in una situazione paritaria, cioè acquistano gli stessi diritti e doveri: dovere di fedeltà, di assistenza morale, di collaborazione dell’interesse familiare, di coabitazione… Altra cosa importante è sicuramente la cura e l’interesse a mantenere, istituire ed educare la prole tenendo conto della capacità naturali e delle aspirazioni dei figli. Con il termine famiglia di fatto, si indica genericamente l’unione stabile, affettiva e materiale tra due persone non fondate sul matrimonio. Come ad esempio, un vivere insieme in attesa del matrimonio, una scarsa fiducia nei confronti dell’istituzione matrimoniale etc. Ovviamente l’ordinamento giuridico italiano riconosce e tutela solamente la famiglia legittima, quella cioè fondata sul matrimonio contratto secondo leggi civili. Altro concetto è transizione demografico, ossia passaggio dagli alti livelli di natalità e mortalità del vecchio regime ai bassi valori attuali. Altro è quello di omogamia, ossia la tendenza a scegliere il partner con caratteristiche simili; con eterogame si intende invece la tendenza a scegliere partner con caratteristiche dissimili.

Più posticipazioni che sperimentazione di nuove forme di unione

Nel ’63 ci fu un picco dei matrimoni celebrati in Italia 420.000, e nell’anno successivo ecco il baby boom. In quel periodo nascevano oltre un milione di bambini e quasi tutti da genitori sposati. Inizia pero successivamente a diminuire sempre più. L’età degli sposi è sempre più tardiva; la nazionalità è sempre meno quella italiana e il rito è sempre meno quello religioso. L’età media degli sposi ora è rispettivamente di 3033 anni. Anche perché si è allungato il periodo del fidanzamento, e poi purtroppo le situazioni lavorative precarie e la scarsa proiezione al futuro a causa di ciò non aiuta certamente. Oggi rispetto al passato sono pochissimi i giovani sposi che vanno ad abitare con la famiglia di origine, ma rimangono comunque a vivere in stretta prossimità. Inoltre oggi coloro che si sposano scelgono di fare la separazione dei beni. Fuitine: tipiche di alcune zone dell’Italia meridionale, determinavano la costituzione di fatto di una unione, che solo successivamente veniva formalizzata con il matrimonio. I demografi Lesthaeghe e van de Kaa introducono la nozione di “seconda transizione demografica”, questo per spiegare come il cambiamento e la crescita femminile abbia portato a non scegliere per forza di cose il matrimonio ma ad orientarsi su altro. In alternativa a questo termine alcuni autori preferiscono parlare di: - Partnership revolution: nonché l’enfasi sulle nuove forme di entrata e permanenza in unione; - Postponement transition: per enfatizzare il fatto che il cambiamento principale riguarda il rinvio in età sempre più tardiva delle scelte di autonomia e formazione di una propria famiglia.

L’innesto dolce della convivenza in Italia Vi sono delle fasi prestabilite. La prima fase coincide con la fine degli anni sessanta in tutti i paesi occidentali: chi vuole formare una propria famiglia si sposa e i figli nascono nel vincolo del matrimonio. Le deviazioni assumono un atteggiamento negativo verso chi non si conforma. In una seconda fase la scelta di convivere comincia a farsi strada soprattutto intesa come periodo di prova. Vale a dire che si trasforma in matrimonio non appena il rapporto si consolida. Tende quindi ad essere di non lunga durata e senza figli. La fase successiva si riferisce ad una maggiore durata della convivenza e diventa anche comune avere figli prima ancora di sposarsi. L’ultima fase è quella dove matrimonio e convivenza diventano indistinguibili. Le convivenze più che rimpiazzare l’istituto del matrimonio, si sono affermate come uno strumento aggiuntivo al quale far o meno ricorso in base a determinate situa zioni, quali preferenza, valori personali, ma anche in risposta alle insicurezze del mondo

del lavoro. Generalmente i figli i laureati e diplomati hanno una probabilità molto più alta di andare a convivere prima del matrimonio rispetto ai figli di genitori meno istruiti, mentre il livello di istruzione dei giovani stessi ha effetto meno importante su tale probabilità. Oggi comunque la convivenza è una cosa molto comune soprattutto nel Nord-Centro e meno nel Sud. Schoder arriva a concludere che i genitori più tradizionalisti tendono a opporsi con più forza alle unioni informali anche quando esse precisano che si tratta solo di una condizione temporanea che prelude al matrimonio. Soprattutto le figlie di genitori meno istruiti, con madri casalinghe e/o abitanti in aree rurali, sono quelle che incontrano le resistenze più forti. Al contrario, i genitori con valori meno tradizionali tendono più facilmente ad accettare ogni tipo di convivenza, anche quelle alternative al matrimonio. Per concludere possiamo dire che a parer mio ciò che porta a posticipare la scelta di sposarsi e di andare a convivere è l’incertezza lavorativa, proprio per la difficoltà di arrivare ad un’autonomia individuale, arrivando dunque ad un senso di insicurezza, senza però rinunciare a vivere insieme.

Living Apart and Together Rispetto al matrimonio nella convivenza viene meno l’impegno reciproco, certo è che dipende dalle coppie. Dopo queste categorie ne troviamo una alquanto interessante nella quale mi colloco, ossia la living apart and together (LAT), ossia un progetto di coppia che si pone in posizione intermedia tra la vita da single e la vita a due. E’ stato introdotto nel’78 dal giornalista olandese Berkiel e indica la condizione di due persone, in relazione di coppia stabile, le quali tuttavia non abitano sotto lo stesso tetto. In pratica i due partner coltivano il loro legame affettivo e la propria vita sessuale come se fossero sposati o conviventi, solo che ognuno ha la propria casa. Le ragioni di tale scelta possono essere varie: preferenze personali, situazioni lavorative, necessità di prendersi cura di genitori non autosufficienti. Le donne tra i 20 e i 39 anni che sono non sposate e non conviventi si dividono quasi a metà tra single e LAT.

I matrimoni “misti” Vi sono coppie che normalmente invece decidono di spo...


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