Teoria del restauro cesare brandi sintesi PDF

Title Teoria del restauro cesare brandi sintesi
Course Teoria del restauro
Institution Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
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riassunti libro brandi...


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TEORIA DEL RESTAURO Cesare Brandi

Concetto di Restauro Quando si parla di restauro solitamente si pensa ad interventi volti a rivalutare prodotti frutto dell'attività umana. In tale definizione manca però una distinzione fondamentale, quella tra i diversi tipi di restauro esistenti; é assolutamente errato pensare che un restauro dedicato alla rivalutazione di un impianto industriale abbia lo stesso carico significativo del restauro di un opera d'arte. Se infatti sul primo tra i due appare evidente come questo abbia lo scopo di ridonare piena funzione al singolo prodotto, nel secondo non è l'aspetto utilitaristico ad avere avere ruolo cardine, anzi questo è posto in secondo piano rispetto ai caratteri estetici e storici che rendono l'opera d'arte tale. L'eccezionalità di simili opere non é data altro che dalla coscienza, di come la percezione di questi singoli elementi generi un esperienza individualizzata che corrisponde al l'ideale comune; d'altronde ogni opera d'arte é inizialmente solo potenziale opera d'arte, lo diventa a tutti gli effetti solo quando subisce una "ricreazione o un riconoscimento" che rinnova la sua eccezionalità rispetto al resto. É proprio in seguito al riconoscimento di essa in quanto tale che può cominciare un discorso piú profondo, che porta anche all'attività di restauro legando indissolubilmente questa con l'opera stessa. É l'opera d'arte che condiziona il restauro e non viceversa. Come prodotto dell'attività umana essa pone una duplice istanza; quella estetica, legata all'artisticità della stessa, e quella storica, legata al tempo e luogo in cui l'attività umana é stata attuata. L'aspetto utilitaristico o funzionale non é nemmeno da considerarsi in questa particolare schematizzazione. Da tale discorso scaturisce la definizione di restauro: "Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro" Nella sua attuazione pratica quindi il restauro deve porsi come primo obiettivo il mantenimento delle proprietà che rendono l'opera d'arte riconoscibile, e quindi frutto di nuove esperienze e coscienze individuali future. La conservazione diventa imperativo categorico e di conseguenza cruciale risulta la consistenza fisica dell'opera stessa (Primo step attuativo). La logica é quella di ricercare il modo per il quale la materia origine dell'opera venga mantenuta il più a lungo possibile, è da questo nasce il primo assioma; 1) Si restaura solo la materia dell'opera d'arte Se il sacrificio di parte di questa materia diventa irrinunciabile assume ruolo cardine l'istanza estetica, che diventa riferimento affinché l'operazione di restauro possa aver successo. D'altro canto non potrà sottovalutarsi l'istanza storica, suddivisibile in due grandi momenti: il momento della creazione, e il momento della storicità che insiste nel presente. Risulta ovvio quindi che dal momento della creazione a quello presente si sono sviluppati diversi e numerosi presenti storici i quali in un modo o nell'altro possono aver condizionato i caratteri dell'opera. Su questo si basa il secondo principio del restauro; 2) Il restauro deve mirare al ristabilimento della unità potenziale dell'opera d'arte, purché ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell'opera d'arte nel tempo

Materia dell’Opera d’Arte 1

Parlando della materia nel primo assioma del restauro è necessario capire cosa si intende per materia dell'opera d'arte. Più che dal punto di vista fisico e materiale essa si intende l'aspetto fenomenologico, o quanto serve all'epifania dell'immagine. É ovvio che risulta più semplice collegare la materia al materiale da costruzione, ma questo é in realtà solo una piccola parte dell'opera in se; se infatti usassimo un marmo proveniente dalle stesse cave del marmo utilizzato dell'opera presa in esame per effettuarne il restauro, esso risulterebbe comunque un falso storico, perché quel marmo non é nello stesso spazio-tempo dell'originale. É dunque materia anche la luce e l'atmosfera, il luogo in generale, tanto che la rimozione di un opera dal suo luogo originale può essere giustificata solo dalla necessità superiore della sua conservazione.

Unità potenziale nell’Opera d’Arte Altro concetto fondamentale quando si parla di restauro è l'idea di unità delle singole opere d'arte. É importantissimo che questa unità venga concepita come un intero e non come una totalità. Quando infatti parliamo di totalità intendiamo implicitamente un insieme di parti, più o meno numerose che compongono un complesso; ma se assumessimo questo come concetto chiave vorrebbe dire che ogni singolo elemento meriterebbe ruolo di opera d'arte a se stante, ma nel farlo perderebbe tale valore nell'insieme. Essendo l'opera d'arte riconoscibile nella sua interezza si nega l'ipotesi stessa che essa possa essere composta da parti singolarmente qualificate. I mosaici generalmente sono l'esempio migliore per spiegare tale concetto, essi sono infatti opera quando l'insieme dei tasselli definisce il disegno, ma diventano nulla singolarmente, non hanno carattere artistico se non legati strettamente e logicamente tra loro. Il concetto di unità é d'altronde molto vicino alla nostra esperienza sensoriale quotidiana, ogni qualvolta ci troviamo di fronte una coscia di agnello o una testa di maiale non dubitiamo minimamente che essa derivi dal corpo del relativo animale, ma sappiamo che la sua funzione è conclusa dal momento in cui non sussiste più il legame organico tra le parti; nell'opera d'arte l'idea di unità é invece più semplice e diretta, è data dalla visione. Se in un dipinto un uomo viene rappresentato privo di un arto é normale che sia così, é stato appositamente rappresentato in quel modo, e pensare oltre sarebbe come snaturare la logica con cui è nata la composizione. La riprova a tale concezione la si ha ogni qualvolta ci troviamo di fronte ad episodi scultorei; ognuno di noi osservando un busto non prova disgusto o apprensione, e questo perché é evidente che si tratta di una riproduzione innaturale, che non prevede un organismo iniziale dal quale il busto é stato esportato: é un opera d'arte, é nata in quel modo. Se al contrario vedessimo un busto umano reale, o una testa mozzata, diretta sarebbe la reazione emotiva, più o meno disgustata, proprio perché la nostra coscienza sa cosa esisteva in precedenza. Confermata quindi l'unità dell'opera d'arte scaturiscono due corollari; • •

L'opera d'arte, non constando di parti, se fisicamente frantumata, dovrà continuare a sussistere potenzialmente come un tutto in ciascuno dei suoi frammenti Se la forma dell'opera é considerabile indivisibile, qualora essa risulti divisa si dovrà cercare di sviluppare la potenziale unità originaria che ciascuno dei frammenti contiene, proporzionalmente alla sopravvivenza formale presente ancora in essi

Da tutto ciò è pertanto ovvio che la via pratica di agire si discosta dall'analogia, e si sposa invece con i suggerimenti forniti dai frammenti stessi, sempre facendo particolare attenzione al ruolo delle istanze, estetica e storica. Proprio grazie a questa logica possono inoltre evidenziarsi i seguenti principi; •



L'integrazione dovrà essere sempre leggibile e riconoscibile; invisibile alla distanza da cui l'opera deve essere comunemente guardata ma distinguibile non appena ci si avvicini maggiormente ad essa La materia dell'opera, come definita in precedenza, non é sostituibile solo nel caso collabori direttamente con la figuratività dell'immagine in quanto é aspetto e non per tutto struttura. Deriva 2



perciò che esiste la libertà di azione relativamente ai supporti, alle strutture portanti ecc..( sempre in rispetto dell'istanza storica) Ogni intervento di restauro non deve ostacolare futuri interventi ma renderli più facili

Da tutto ciò non viene risolto però un problema, quello della lacuna, che, per quanto riguarda l'opera d'arte, è una interruzione nel tessuto figurativo. La conformazione delle lacune ha da sempre creato un problema di visibilità perché esse si pongono quasi come figure rispetto a un fondo, che diventa la pittura stessa. Nella risoluzione di tale disagio il primo tentativo fu quello di utilizzare delle tinte neutre sulla zona incriminata, ma con il passare del tempo esse snaturavano l'essenza propria dei colori restanti del quadro obbligando a trovare ulteriori soluzioni. Una scelta che sembrò fin da subito valida fu quella di rendere la lacuna come una macchia disposta su un livello diverso rispetto al quadro, come a coprire la zona sottostante ( Soluzione utilizzata per le campi tute dell'Annunciazione di Antonello da Palazzolo Acreide ). Tale soluzione poteva percettivamente dare l'illusione che la pittura continuasse al di sotto della macchia e quindi fosse priva di mancanze, ma anch'essa infine non venne giudicata una soluzione ottimale. Per trovare la soluzione migliore bastò quindi invertire la problematica iniziale rendendo la lacuna un fondo su cui la pittura facesse da figura. Pertanto dopo diversi episodi ci si è resi conto di come la messa in vista del fondo della tela di supporto tramite la lacuna stessa risultasse una soluzione pulita e piacevole, priva di ambiguità, dove anche il colore di fondo campisce ma non collabora con i colori del dipinto, non compone o disturba la composizione. Tale soluzione mette a frutto un meccanismo spontaneo della percezione.

Il Tempo del Restauro In questa descrizione articolata sul tema del restauro non può non considerarsi il ruolo del tempo rispetto alle opere d'arte e al restauro stesso, esso infatti é uno degli aspetti più complessi da percepire soprattutto nei riguardi delle sue compartizioni. Parlando di tempo per un opera d'arte é infatti necessario separare tre step definiti in cui essa nasce e si evolve; 1- Tempo in cui l'opera viene formulata dall'artista 2- Tempo che intercorre tra la conclusione dell'opera e l'attualizzazione della stessa da parte della nostra coscienza 3- Tempo relativo all'attimo in cui avviene l'illuminazione nella nostra coscienza dell'opera d'arte Questa tripartizione del tempo può facilmente confondere, ma non deve essere messa in sovrapposizione con la suddivisione delle istanze storiche già citate perché esse fanno parte di un sistema maggiore e globale. É a tutti evidente come flusso del tempo modifichi i fatti e le condizioni, tanto che una poesia o una melodia composte nei secoli precedenti non potranno mai essere riprodotte con la stessa cadenza o intonazione con cui erano state immaginate, semplicemente perché cambiano i mezzi, cambiano i modi e cambiano gli interpreti; ma quindi la suddivisione del tempo a cosa serve al restauro in senso stretto? Serve fondamentalmente a capire quando é il momento adatto per effettuare interventi di simile calibro, a capire quando il restauro effettivo è possibile e quando invece é evitabile. Uno degli errori più grandi é pensare che il restauro possa avvenire nel primo arco di tempo dedicato alla creazione; tutte le modifiche effettuate su un lavoro in corso d'opera non sono infatti interventi di restauro, bensì rivalutazioni parziali o meno dell'opera stessa. Ipotizzare di poter parlare di restauro nel mezzo di questa fase é pura eresia, si parla di "restauro di fantasia". Per ciò che invece riguarda la seconda fase, quella intermedia tra conclusione dell'opera e acquisizione della coscienza , nonostante possa sembrare assurdo, tentativi di inserire il restauro sono stati svolti in modi ancor più concreti, delineando il suddetto "restauro di ripristino" , atto proprio ad eliminare questa fase temporale. Non serve quindi dire molto altro per far capire che la fase unica e valida per accettare interventi di restauro é l'ultima, quella che vede protagonista il presente, il quale non deve esser visto come processo conclusivo e ultimale perché esso stesso rientra in quel lasso di tempo che più avanti sarà un nuovo presente. Gli interventi di restauro diventano essi stessi processo di trasmissione dell'opera d'arte al futuro. Alle attenzioni già 3

sottolineate per gli interventi si sommano le differenziazioni di quest'ultimi, tenendo conto delle diverse zone integrate ma anche della conservazione di campioni preesistenti, come ad esempio il rispetto della patina, la cui importanza va oltre il gusto o le opinioni personali.

Restauro secondo l’istanza della storicità Come sottolineato in precedenza ogni opera può considerarsi un unicum ed é per questo sostanzialmente che ogni intervento di restauro ha necessità di essere unico, essere un caso a parte e non un elemento di una serie. Si potrà tuttavia delimitare alcuni vasti raggruppamenti di opere proprio in base ai concetti stessi per cui un opera d'arte é tale. Nel passaggio dalla norma attuativa all'azione questi raggruppamenti devono servire come punto di riferimento per evitare di incorrere in errore. Se pensiamo quindi all'istanza storica viene automatico esaminare le modalità di conservazione del rudero, dove per rudero non si intende necessariamente una struttura o un'installazione, bensì qualsiasi elemento che testimoni il passaggio dell'attività umana. Ne risulta che l'opera d'arte, in quanto rudero, vede dipendere parte della sua conservazione dal giudizio storico che la involge, e il restauro, in quanto rivolto ad un rudero, non può essere che consolidamento dello statu quo. Ma all'intervento diretto sul rudero si affianca un altro intervento, quello indiretto, quello che interessa lo spazio ambiente dello stesso e che, per l'architettura, diventa problema urbanistico. Non basta sapere come l'opera fosse prima di tramutarsi in rudero, bensì é necessario comprendere quali siano i passaggi che sono intercorsi nella sua trasformazione. Se é semplice equiparare il concetto di rudero di un monumento storico e quello di un opera d'arte, non é invece immediato definire quando nell'opera d'arte cessa l'opera d'arte e appare il rudero. Nel caso della chiesa di Santa Chiara a Napoli, bombardata nell'ultima guerra, per il fatto di essere riapparse le antiche vestigia della chiesa gotica pareva di esser rimasto più di un rudero; automaticamente quindi vien da chiedersi se l'evocazione del pristino stato della chiesa sarebbe stata più efficace con la conservazione come rudero storico, piuttosto che col ripristino. Questa situazione investe l'istanza dell'artisticità per cui al momento noi dobbiamo limitarci ad accettare che il rudero rimane quello che é è che il restauro non può considerarsi che non come un attività di conservazione. Nell' ambito della conservazione rientrano anche quegli ambienti che non sono direttamente legati al fare umano, ma che vengono definiti come bellezze naturali, ai quali il giudizio storico ha dato il valore che meritavano. Infatti é propriamente grazie all' istanza storica che il paesaggio diventa opera d'arte, e come tale va conservato. La patina di cui abbiamo parlato in precedenza, o la variazione del materiale nel corso del tempo sono quindi testimonianze del tempo trascorso e non diventano opinabili ma strettamente necessarie. In tema di intervento umano si potrebbe pensare che anche per il rifacimento il problema non vari molto; anche il rifacimento testimonia l'attività umana, anche esso possiede un momento nella storia. Ma il rifacimento non é la stessa cosa di un aggiunta, essa infatti può completare, concludere aspetti rimasti aperti, svolgere funzioni diverse da quelle originali; nell'aggiunta non si ricalca ma si innesta. Con il rifacimento si cerca invece l'eliminazione del lasso di tempo che ha portato l'oggetto a diventare rudere. Per l'istanza storica é dunque possibile identificare due casi distinti; • •

Un caso in cui l'intervento vuole essere retrodatato; ma questo rappresenta un falso storico e non può mai essere ammissibile Un caso in cui il rifacimento vuole assorbire e trasfondere senza residui l'opera preesistente, e sebbene non rientri nel campo del restauro, può essere legittimo anche storicamente, perché testimonianza autentica del presente di un fare umano

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Potremo infine dire che sotto l'angolo di vista storico troveremo giusto che un monumento venga riportato a quello stato imperfetto in cui nel processo storico era stato lasciato e che sconsiderati ripristini avevano completato, ma occorrerà sempre rispettare anche la nuova unità che, indipendentemente da velleità dei ripristini, sia stata raggiunta nell'opera d'arte con una rifusione che sarà materia di una testimonianza storica non dubbia. L'aggiunta sarà pertanto peggiore quanto più si avvicina al rifacimento e viceversa. Si potrà osservare, tuttavia, che per quanto pessimi , i rifacimenti documentano un'attività umana ( un'attività errata ) e dunque fanno parte della storia; essi non dovrebbero essere rimossi o asportati, tutt'al più isolati.

Restauro secondo l’istanza estetica Si è già visto che il rudere non rappresenta qualsiasi avanzo di materiale o di prodotto, ma bensì, nel campo del restauro, si parla di rudere quando si intende sottolineare un oggetto che ha bisogno, per la logica della definizione stessa, di conservazione. Proporre e approfondire un discorso sull'istanza estetica per un rudere può sembrare una contraddizione in termini, é normale credere infatti che finché sussistano le vestigia artistiche di un qualsivoglia prodotto non si debba parlare di rudere, e che invece a quel punto si possa semplicemente far uso dell'istanza storica. Ma la risposta è presto data; sará infatti esteticamente un rudere ogni avanzo di opera d'arte che non può essere ricondotto all'unità potenziale originale senza che l'opera divenga una copia o un falso storico. Ma il concetto di rudero dal punto di vista artistico presenta delle complicazioni non indifferenti e che fanno riferimento al l'eventualità che tale rudero si integri ad un determinato complesso paesistico o determini il carattere di una zona. Alla concezione negativa che il rudero non possa più far parte dell'unità potenziale si contrappone infatti l'idea che esso possa funzionare da elemento qualificante per il contesto attuale. In tal caso é diretto il dubbio se questa sua nuova accezione debba o meno prevalere sul l'idea che lo vedeva parte dell'opera potenziale precedente, come ad esempio con l'Arco di Augusto a Rimini. Ma é subito chiaro che se la nuova opera d'arte assorbe il rudero é ormai questa seconda ideazione ad avere il ruolo di opera d'arte, mentre quella fioca voce dell'opera precedente non può far da riferimento. Di conseguenza é puramente errato pensare che una rinomina o continua aspirazione all'unita potenziale del rudere possa accrescere continuamente il valore del complesso in cui é stato integrato, perché questo ormai é un altra creazione e non c'entra nulla con quella precedente. Il tempio di Castore e Polluce al Foro é un caso tipico di monumento che ha acquisito una facies indissolubile, nella sua mutilazione, da quello che é l'ambiente paesistico ad esso connesso. E perciò é un errore pensare che ognuna di quelle colonne possa essere ricomposta, perché l'ambiente dove questo dovrebbe accadere ha raggiunto ormai storicamente ed esteticamente un assetto che non deve essere distrutto. Non possiamo quindi che ribadire il concetto che il rudero, anche per l'istanza estetica, deve essere trattato come rudero, e l'azione da compiere restare conservativa e non integrativa. Si tratta ora di riproporsi il problema della conservazione e della rimozione delle aggiunte,tenendo presente che non si tratta solo di un rudere, ma può trattarsi di aggiunte fatte su opere d'arte che potrebbero ritrovare l'unità potenziale e originale se le aggiunte stesse venissero, ove possibile, rimosse. Ci si accorge quindi che da questo punto di vista l'istanza estetica entra in conflitto con quella storica, la quale poneva in primo luogo la conservazione di tutte le aggiunte. Ma la risoluzione non può essere giustificata come di autorità, dev'essere l'istanza che ha maggior peso a suggerirla. È chiaro che se l'aggiunta deturpa o offusca alla vista parte dell'opera d'arte,questa aggiunta va rimossa, così come sono da rimuoversi senza condiziona...


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