Tesina levi pdf - I sommersi e i salvati PDF

Title Tesina levi pdf - I sommersi e i salvati
Author luciana malagoli
Course Filosofia della mente
Institution Università degli Studi di Bergamo
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I sommersi e i salvati...


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CRITICA LETTERARIA Docente: PROF. BELPOLITI

Se questo è un uomo Nomi contro numeri

MALAGOLI LUCIANA

“Oggi, questo vero oggi in cui io sto seduto ad un tavolo e scrivo, io stesso non sono convinto che queste cose sono realmente accadute” Così lo Primo Levi, nel capitolo “ Esame di chimica” 1 si ferma, attonito, a riflettere su quanto sta scrivendo; è un presente ancora vivo ed assoluto, un “vero” presente sia grammaticale sia vis- Il Sole 24 Ore: Levi alla sua scrisuto che, recentissimo nell’edizione 1947, si rin- vania alla De Silva, 1958 nova in egual misura anche nell’edizione 1958. “Scrivo” è il verbo usato dall’autore, un tempo dell’oggi coniugato alla prima persona, un oggi temporale che lo riporta all’oggi del Lager: Levi è qui e là contemporaneamente, un’ubiquità resa possibile dal narrare la verità di allora mentre la viveva uguale a quella di oggi in cui la narra, sempre incredibile ed assurda. È una frase che, a mio avviso, concentra tutto l’orrore visto e provato in prima persona nel Lager2 di Monowitz3 in cui l’autore fu internato dalla fine gennaio 1944 alla liberazione del gennaio dell’anno successivo. Dopo otto mesi di peregrinazioni, nell’ottobre 1945 torna finalmente alla sua Torino dove, con l’animo greve di sopravvissuto, tenta di riprendere una vita “normale”. Dentro, però, questo fardello preme e dev’essere depositato, per sé e per gli altri, per tentare di liberarsi scrivendo e per far conoscere, a chi non l’ha vissuto e a chi non sa, l’abominio perpetrato dai nazisti: “lo lasciano intendere gli scritti che redige subito dopo aver messo piede a Torino il 19 ottobre 1945”4 E’ “ doppia tastiera”5 quella usata da Levi, racconto e testimonianza che lo ha già visto impegnato nella redazione di “Rapporto Auschwitz”, un documento richiesto dai Russi, strettamente legato con il teso. Nasce così “Se questo è un uomo”, scritto di getto nelle pause pranzo del suo lavoro di chimico alla Montecatini di Avigliana (TO) ed in qualunque momento gli fosse possibile dedicarvisi; la prima stesura, com’è noto, non è accolta se non, nel 1947, dalla piccola casa editrice De Silva diretta da Francesco Antonicelli che aveva creduto in lui. L’edizione1958, questa volta Einaudi, ripropone lo stesso testo corredato di alcune integrazioni, circa una trentina di pagine in tutto, che definiscono il

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Il testo di riferimento di “Se questo è un uomo” è l’edizione Einaudi 2012 commentata a cura di Alberto Cavaglion 2 Il termine “Lager” verrà sempre scritto in maiuscolo dall’autore, come prevede la lingua tedesca per i nomi, per distanziarsene, per non includere il termine nella nostra lingua 3 Il campo di lavoro di Monowitz fu uno dei tre campi principali che formavano il complesso concentrazionario situato nelle vicinanze di Auschwitz (Polonia) 4 “Note ai testi” di “ Se questo è un uomo” M. Belpoiliti (a cura di ), p. 1449 5 “Note ai testi” op. cit., p.1451

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lavoro del letterato/testimone, un “work in progress” continuo proprio di uno scrittore. Sono parti a volte di una pagina o più6, altre brevissime7, alcune realizzano l’importanza di cose che, nel quotidiano, diamo per scontate (“ La morte comincia dalle scarpe”) 8 altre ancora sono interi capitoli9, quasi un raccordo tra il precedente ed il successivo, in cui fratellidartemagazine.it ripercorre gli insegnamenti di “civiltà” di Steinlauf per non diventare “bestie” come avrebbero voluto i nazisti: in quel luogo si poteva e si doveva voler sopravvivere per tornare e far sapere. “Queste cose mi disse Steinlauf, uomo di volontà buona: strane cose al mio orecchio dissueto, intese ed accettate solo in parte…” Che avesse ragione Steinlauf? Che, anche se l’elaborazione e la pratica di un sistema non lo convincono molto, abbiano queste avuto una loro valenza nel vederlo qui a scrivere? Una breve ma intensa aggiunta nell’edizione 1958 è quella di Emilia10, un dattiloscritto inserito nel testo in cui Levi dipinge una bambina ebrea di tre anni usando i teneri aggettivi11 che si usano per i bimbi e descrivendo le cure dei genitori durante il viaggio sul treno per Auschwitz in uno stridente quanto lacerante contrasto con l’incipit “ Così morì Emilia… “. Uno degli aggettivi, “ambiziosa” è particolare per una bimba, è una caratteristica che si rivela solita- Levi Papers, pubblicato in “IDEE” (2016) a cura di Marco Belpoliti mente più avanti nell’età, ma qui, probabilmente, Levi ha voluto anticiparne la personalità, il carattere, forse già accentuato, premonitore di uno sviluppo futuro che Emilia non ha avuto. E’ morta subito Emilia, una piccola “sommersa” che non ha avuto nemmeno il tempo di un numero; suono dolce Emilia e Levi la ricorda commosso ridandole un po’ della sua infanzia. I nomi, i nomi propri, sono tanti in “Se questo è un uomo”, non tanti come coloro cui è stata tolta l’identità anche con un tatuaggio: una volta impresso, era l’unico modo in cui i prigionieri venivano chiamati e lo si doveva imparare a decifrare molto in fretta tra“…quei barbarici latrati dei tedeschi…”12 pena crudeli punizioni; tanti nomi per farci notare come era importante cercare di non “Il viaggio”, p. iniz., pagg.7/8, S.Q.U. (Op. cit.), “L’ultimo”, pp.126/129 S.Q.U. (Op. cit) “I sommersi e i salvati”, p. 79, S.Q.U. (Op cit.) 8 “Sul fondo”, p. 26, S.Q.U. (Op. cit.) 9 “Iniziazione”, pp.29/32, S.Q.U. (Op. cit.) 10 “Il viaggio”, p.13, S.Q.U. (Op. cit.) 11 “…curiosa, ambiziosa, allegra e intelligente…” 12 “Il viaggio”, p.12, S.Q.U. (Op. cit.) 6

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perdersi, come cercava anche Levi di non scomparire. Racconta le storie di queste persone, Levi, sono dei personaggi che restituisce alla realtà di uomini non di numeri : “…i nomi propri, prima ancora che i corpi, sono l’identità personale di ogni singolo individuo”13 Anch’egli ha il suo numero, 174 517, che non eliminerà una volta tornato: la memoria da tramandare, forse, ha bisogno di prove. Nell’edizione del 1958 Levi aggiunge quattro pagine dattiloscritte sulla “cerimonia del tatuaggio” e di ciò che questi rappresentano nella vita del Lager: sono identificativi di nazionalità di ordine di arrivo e, soprattutto, sono l’evidenza dello sterminio in termini di quantità di deportati. Forse Levi ha fatto questa aggiunta perché aveva realizzato che questo argomento meritava delle spiegazioni ulteriori: era una marchiatura, una demolizione della personalità che, forse, non veniva ben compresa nel suo profondo. Nel capitolo “I sommersi e i salvati” l’autore delinea quattro figure che rispondono ad altrettanti modi con cui ciascuno tenta di sopravvivere nell’inferno del Lager: ognuno, per le sovvertite ed assurde leggi di questo luogo, vede nell’altro il nemico ed è solo, “disperatamente ferocemente solo ” (pag. 76). “Moltissime sono state le vie da noi escogitate ed attuate per non morire: tante quanti sono i caratteri umani”14: Schepschel, Alfred L., Elias Lindzin ed Henri, quattro figure che mettono in atto questo, sono già ben fissati fin dall’ edizione 1947; nella successiva del 1958 Levi ha aggiunto nulla, la sua memoria è ancora lì vivida e lacerante come allora, le parole usate di getto dopo la recente esperienza dell’orrore, parole semplici, sobrie, lineari, ermetiche sono le stesse: con un termine è in grado di raccontare la vita, la morte, che cosa ha prodotto il Lager. Schepschel, un apparente meschino (pag.80) che si affida a piccoli stratagemmi per non morire, ma che, all’occasione, non si fa scrupoli a far fustigare Moischl, suo compare in un furto, sperando così di farsi assegnare il compito di lavatore delle marmitte. Alfred L. è l’emblema della incorporeità dell’uguaglianza tra gli uomini; l’apparenza, nel suo caso un aspetto rispettabile maniacalmente perseguito, può portare ad essere un salvato, un prominente potenziale (pag. 82). Elias Lindzin, diametralmente opposto ad Alfred, usa il suo corpo tozzo e deforme come una macchina potentissima che gli rende qualsiasi lavoro fattibile; parla solo un altrettanto deforme linguaggio e si comporta in modo incoerente ma si attira le simpatie di tutti e, per le paradossali leggi del campo, smette di lavorare quando la sua fama di lavoratore si diffonde: egli è un salvato perché lo è il suo fisico fuori e la sua mente folle dentro, Elias è felice.

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“Primo Levi di fronte e di profilo”, Marco Belpoliti, Ed.U. Guanda 2015, p. 85 “I sommersi e i salvati”, pag.80, S.Q.U. (Op. cit.)

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Secondo la teoria di Henri, giovane intelligente e di buona cultura, organizzazione, pietà e furto (pag.85) sono gli strumenti che gli possono impedire l’annientamento, agevolati dal suo aspetto gradevole ed elegante, dal suo modo di fare apparentemente comunicativo ma, probabilmente, solo esplorativo; Levi lo paragona all’icneumone che studia e colpisce la preda per paralizzarla ed averne il vantaggio. Un salvato reale, l’autore sa che oggi è vivo. Di questi uomini “salvati”15 , Levi tenta di immaginare la loro vita fuori dal campo, prima di entrarvi (Elias), ma soprattutto dopo il ritorno; di alcuni ha la curiosità di incontrali (Doktor Pannwitz, pag.92), di altri no (Henri, pag.97), in apparente contrasto con il rapporto avuto con essi: indifferente giudice del suo esame di chimica il primo; un Haftling come lui, apparentemente umano e disponibile il secondo che genera, però, nell’interlocutore un leggero sapore di sconfitta nei pur apprezzati colloqui: l’animo umano registra emozioni o assenza di esse, non logica. Un guizzo di visione sul futuro da un luogo costruito per annullarlo: che il continuo richiamare questi nomi e non i loro numeri gli abbia permesso di mantenere un barlume di speranza? Forse, Levi, in questa sua disamina di personaggi, cerca di trovare un perché tra l’uomo ed il prodotto del Lager in un moto quasi di rifiuto per quest’ultimo che, presente nella scrittura di getto del ’47, permane, con la stessa intensità anche nell’edizione del ’58: l’uomo/scrittore/testimone/letterato più maturo rivede il suo lavoro, ma le emozioni sono le stesse, lo stesso è il grido di dolore contro l’abominio del Lager, un grido pacato, quasi razionale, sì, ma tanto più lacerante e profondo quanto meno esibito. Non ci fa sapere quali fossero i numeri di questi prigionieri, tranne che di Elias, 141 565, forse perché “…piovve dal cielo un giorno, inesplicabilmente nel Kommando Chimico” (pag.82), un’identificazione in più di un personaggio che, poi si legge, è tutto tranne che coerente, o forse perché la citazione di un numero solo su tanti tatuati conferma che Levi non ha mai perso la considerazione di essi come uomini. Nel capitolo “Ka-Be” Levi parla di Null Achtzehn, suo compagno di lavoro di un giorno, che non ha un nome vero e proprio “…non si chiama altrimenti che così, Zero Diciotto, le ultime tre cifre del suo numero di matricola…”16 un personaggio già presente nell’edizione ’47 e di cui, nella successiva del ’58, l’autore ci dice essere giovane in una breve integrazione; qui una riflessione, quasi un parlare tra Null Achtzhen “ Digilansé e sé, sul “ pericolo grave “ che la giovinezza rappresenta bero.iIbero.it 15

Qui il termine è usato con nota negativa, i salvati sono coloro che hanno dovuto rinunciare al proprio lato morale, compresi i “carnefici” che devono anch’essi sopravvivere. 16 “Ka-be”, p.33, S.Q.U. (Op. cit.)

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in questo luogo dove solo “l’allenamento alla lotta” può dare qualche chance di sopravvivenza17. Parla anche di sé Levi? Forse anche, forse Null Achtzhen è il simbolo di chi ha vissuto, in e per tempi diversi, quella situazione di sommerso, Levi compreso, in quella giovinezza che accomuna tanti di loro deportati. Null Achtzehn è il sommerso per eccellenza: si comporta come se avesse dimenticato il proprio nome, Liceo Calini”: Alberto a lo sguardo riflette il nulla (Null), la sua indifferenza Desenzano nell’accettare le regole sovvertite del campo, ed a comportarsi di conseguenza, lo porteranno, dice Levi, a morire con lo stesso distacco, come se non fosse più un uomo ma solo il numero che gli hanno tatuato: prodotto riuscito della sistematica decostruzione umana operata da Lager, Null Achtzehn mette in pericolo chi lavora con lui fisicamente e, mio avviso, anche mentalmente. Diverso dai “Mussulmani”18 che popolano la memoria dell’autore in contrasto con il loro “…muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno”: di loro non un nome, non un numero, ma un sommerso di passaggio, specchio del programma del Lager; antitesi dei “Prominent”, gli Haftling che, per cercare di migliorare le loro condizioni, non esitavano a sacrificare i loro pari, a volte ancor più crudeli dei nazisti perché dovevano esibire “attitudine” a quei ruoli che avrebbe portato qualche speranza di sopravvivenza. Un alter ego, a mio avviso, di Levi, l’esatto opposto di Null Achtzhen, è Alberto, il cui nome è il più ricorrente nel libro “Se questo è un uomo”; Alberto “…il mio migliore amico” dice Levi in una consistente integrazione nell’edizione 195819: dopo essere uscito dal Ka-Be, l’assegnazione al Block 45 gli riserva la sorpresa di trovarvi Alberto e ne fa un ritratto da cui emerge il perché di questa amicizia. Alberto è l’anti-numero per antonomasia, è La Persona, l’uomo che non ha perso la sua umanità pur dovendo essere risoluto per sopravvivere; “oggi ancora la sua memoria mi è cara e vicina” 20 perché Alberto non è diventato un tristo (pag. 47) nell’accezione, io credo, di malvagio e che trascina al male21. Pur adeguandosi alle assurde leggi del Lager, pur dandosi da fare per non soccombere, non si è lasciato contaminare dalla barbarie del campo, ha combattuto per rimanere un Uomo, in una guerra che, se fuori da Lager mette comunque spesso a dura prova i principi etici , qui fa emergere in tutti il lato peggiore, “Ka-be” p.33, S.Q.U. (Op. cit.) “I sommersi e I salvati”, erano i votati alla selezione, nota di A. Cavaglion p.76 S.Q.U. (Op. cit.) 19 “Le nostre notti”, p. 47, S.Q.U. (Op. cit.) 20 “Le nostre notti”, p. 47, S.Q.U. (Op. cit.) 21 Riferimento a D.C., Inferno, canto VII, 106-107, nota a testo di A. Cavaglion, p. 191 17

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in un contagio tra vittime e carnefici; “vedo in lui , la rara figura dell’uomo forte e mite, contro cui si spuntano le armi della notte”22. I tre fogli aggiunti da Levi, nell’edizione ’58, danno più spazio all’amico nel capitolo “L’ultimo” facendone un personaggio con una dimensione narrativa più ampia. Attraverso il racconto delle “tre nuovissime nostre imprese”23 Levi ci fa sentire tutta l’intensità del rapporto di amicizia con Alberto, quella condivisione che è possibile stabilire solo con chi si stima, tanto più pregiata quanto più messa a dura prova in quell’inferno; emerge anche, nei raggiri operati, il disprezzo per il cosiddetto “ordine” ottuso dei tedeschi più volte ripreso nel testo ed in altre opere, un ordine meccanicamente programmato, da caserma prussiana, ma qui scientificamente volto alla distruzione. E’ il suo sodale Alberto, colui di cui ci si fida sempre e comunque, con cui si divide tutto, anche le gocce d’acqua che lacrimano da un tubo, è la sua guida, una spalla importante che, pur nella stessa situazione fisicamente e mentalmente precaria, con la sua dirittura invita a seguirlo con spontaneità, senza porsi al di sopra: una sorta di Virgilio nell’inferno del Lager e, come il Maestro, lascerà Levi alla fine del viaggio: "E venne finalmente Alberto, sfidando il divieto, a salutarmi dalla finestra. Era il mio indivisibile: noi eravamo i due italiani, e per lo più i compagni stranieri confondevano i nostri nomi. Da sei mesi dividevamo la cuccetta, e ogni grammo di cibo organizzato extra razione; ma lui aveva superata la scarlattina da bambino, e io non avevo quindi potuto contagiarlo. Perciò lui partì e io rimasi. Ci salutammo, non occorrevano le parole, ci eravamo dette tutte le nostre cose già infinite volte. Non credevamo che saremmo rimasti a lungo separati" 24 Non si sarebbero più rivisti, invece, Alberto morirà durante la marcia di trasferimento iniziata il 18 gennaio 1945 con cui, a fronte dell’imminente arrivo dell’Armata Rossa, i tedeschi cercarono di cancellare le prove di quell’abominio; Alberto faceva parte di un “esercito” di circa 30.000 deportati che, ultimo atto dei nazisti, dovevano scomparire, non importava se durante la marcia o in altro modo, lo scopo era eliminare la testimonianza delle loro colpe. Si chiude con un viaggio il libro, così come comincia nell’edizione ’58 con un’integrazione nel capitolo omonimo che ci dà conto del Levi che aveva “ventiquattro anni, poco senno e una decisa propensione […] a vivere in un mio mondo scarsamente reale […] non mi era stata ancora insegnata la dottrina che dovevo più tardi rapidamente imparare in Lager”25, un ragazzo che, purtroppo, ha vissuto una delle peggiori esperienze che la vita possa portargli nel suo percorso per diventare un Uomo. Citazione a “Les armes de la nuit” di J. Bruller “L’ultimo”, p.127, S.Q.U. (Op. cit.) 24 “Storia di dieci giorni”, p.134, S.Q.U. (Op. cit.) 25 “Il viaggio”, p.7, S.Q.U. (Op. cit.)

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Bibliografia Belpoliti, M., (2015), Primo Levi di fronte e di profilo. Ed. Guanda , Milano Belpoliti, M.,(2016), Note ai testi. Ed. Einaudi, Torino Levi, P., (2016), Se questo è un uomo. Ed. Einaudi, Torino, comm. di A. Cavaglion

Riferimenti Alighieri, D., Divina Commedia, Inferno VII, vv.106-107 Bruller, J., Les armes de la nuit

Sitografia Digilander.libero.it Fratellidartemagazine,it Il Sole 24 Ore Levi Papers, Idee(2016). Belpoliti, M. Liceo Calini, Brescia

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