Economia Internazionale I open PDF PDF

Title Economia Internazionale I open PDF
Author Andrea Faglio
Course Economia Internazionale
Institution Università degli Studi di Pavia
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Economia( Internazionale( Corso(CLEC(–(Prof.(Nicolini(–(A.A.(2016/17(

Luca Biglieri

1. Introduzione L'Economia Internazionale è la disciplina che si occupa dello studio della struttura dei flussi commerciali, del conseguente esame della bilancia dei pagamenti, dei meccanismi di determinazione dei tassi di cambio, dei processi di coordinamento internazionale delle politiche economiche e del funzionamento delle imprese multinazionali. In sintesi, si può dire che essa si occupa dello studio del commercio internazionale (o economia internazionale reale, intesa come interazione tra Paesi per lo scambio di beni e di servizi) e dell'economia monetaria internazionale (intesa come interazione tra Paesi per quanto riguarda i flussi monetari e di investimenti).

Il grafico relativo al valore delle esportazioni mondiali tra il 2000 e il 2014 mostra come il commercio internazionale sia cresciuto negli ultimi anni in tutte le aree di produzione e in particolar modo per quanto riguarda il settore manifatturiero. Si nota chiaramente anche l'influenza della crisi del 2009, che ha ridotto sensibilmente le esportazioni in termini assoluti; tale riduzione, tuttavia, è stata prontamente riassorbita con il "rimbalzo" degli anni successivi.

Anche allargando l'orizzonte temporale (qui vengono considerati gli anni dal 1990 al 2013) si può notare il trend positivo del volume delle esportazioni mondiali (rappresentato dalla linea di tendenza verde), nonostante l'effetto negativo della crisi.

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Esaminando più nello specifico gli effetti della crisi, si può evidenziare un effetto negativo considerevole soprattutto nel 2009: tale effetto riguarda sia il PIL che il commercio mondiale, con un effetto più marcato sul secondo. Questo è dovuto al fatto che il commercio è una variabile molto più volatile rispetto al PIL: i consumi (che compongono, in parte, il PIL) sopravvivono alla crisi, mentre le importazioni di uno Stato in recessione vengono tagliate molto più facilmente. La natura più volatile del commercio mondiale rispetto al PIL fa sì che la variazione media annua del primo sia molto più elevata rispetto a quella del secondo (5% annuo contro 2,5% annuo).

Il commercio è cresciuto anche in termini relativi, come percentuale del PIL mondiale: tra il 1980 e il 2012 si passa dal 22% al 32% circa, a riprova del fatto che le economie nazionali sono sempre più integrate e interconnesse.

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Per quanto riguarda l'economia italiana, gli andamenti e i valori delle importazioni e delle esportazioni rispetto al PIL sono simili: entrambi hanno avuto una tendenza positiva nel corso degli anni, con fluttuazioni derivanti principalmente dalle variazioni dei tassi di cambio. Negli ultimi anni, si ha un volume di esportazioni maggiore rispetto alle importazioni, che genera un avanzo commerciale positivo per il nostro Paese.

Gli USA, invece, sono caratterizzati da un'economia più chiusa, in cui esportazioni ed importazioni rappresentano percentuali minori del PIL nazionale. Inoltre, sono tradizionalmente un'economia importatrice, con un costante disavanzo commerciale: nel corso degli ultimi anni, tale disavanzo ha generato diverse preoccupazioni sui mercati globali, in quanto causa dell'aumento del debito pubblico statunitense.

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La Cina si è affermata negli ultimi anni come grande potenza esportatrice: ha un forte avanzo commerciale, incrementato soprattutto a partire dal suo ingresso nel WTO (World Trade Organization), che le ha garantito tariffe più basse negli scambi commerciali con gli altri Paesi membri. Nel corso degli anni 2000, le esportazioni cinesi sono cresciute notevolmente, fino a raggiungere il 35% del PIL: la Cina era al centro dei cosiddetti global imbalances, degli squilibri commerciali globali nei confronti degli USA, che risultavano sempre più indebitati verso la Cina stessa. Con l'arrivo della crisi del 2009, gli USA hanno ridotto il gap tra importazioni ed importazioni, come anche la Cina: di conseguenza, oggi lo squilibrio è meno accentuato rispetto a 10 anni fa. In generale, si può notare come, dal 1960 ad oggi, il volume del commercio internazionale cinese sia quadruplicato (quello degli USA è triplicato, mentre quello italiano è raddoppiato).

Esaminando i dati relativi al grado di apertura di varie economie, si può notare come esso sia mediamente cresciuto negli ultimi 45 anni. Nel 1970, i Paesi europei erano più interconnessi soprattutto a causa della vicinanza reciproca, mentre gli Stati Uniti mantenevano una posizione più isolata, forti dell'autosufficienza che derivava dalla grandezza della loro economia nazionale. Gradualmente, i mercati si sono aperti: piccoli Paesi come la Svizzera e la Corea del Sud ne hanno beneficiato maggiormente, fondando la loro economia nazionale sul commercio. In generale, si può dire che Paesi grandi con economie diversificate sono meno dipendenti dal commercio internazionale, mentre Paesi più piccoli necessitano di più importazioni e sono maggiormente connessi con altri Stati.

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La crescita del commercio mondiale è stata praticamente esponenziale tra il 1950 e il 2012: mentre il PIL mondiale è decuplicato in questo periodo di tempi, il volume delle esportazioni è aumentato di 35 volte, segno della maggiore volatilità di questo fenomeno.

Il grafico sopra riportato rappresenta le varie economie mondiali in termini di esportazioni (asse orizzontale), importazioni (asse verticale) e PIL (superficie dei cerchi). Si nota come USA, Cina e Germania siano i Paesi più attivi nel commercio internazionale, seguiti da Giappone, Francia e Paesi Bassi. Lo squilibrio tra USA e Cina è rappresentato dalla loro divergenza rispetto all'ideale bisettrice del grafico, che rappresenterebbe l'equilibrio della bilancia dei pagamenti: la Cina esporta più di quanto importa, mentre gli USA si configurano come un'economia più dipendente dalle importazioni di beni e servizi.

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In termini relativi (in percentuale sul PIL), i Paesi Bassi e il Belgio hanno delle esportazioni che equivalgono alla quasi totalità della produzione nazionale (anche grazie ad alcuni centri commerciali strategici, come il porto di Rotterdam); viceversa, Paesi più grandi tendono a commerciare di meno. L'assunto secondo il quale le economie piccole dipendono maggiormente dal commercio internazionale fa sì che spesso venga presupposta l'ipotesi di piccola economia aperta come ipotesi di base di alcuni modelli economici. Il commercio internazionale è importante per diversi Paesi con diverse economie perché permette ad entrambe le parti in causa di trarre un beneficio: si ha un vantaggio dello scambio. Il Paese importatore, ad esempio, ha l'opportunità di immettere nella propria economia un bene o un servizio che non riesce a produrre, in modo da renderlo disponibile per i consumatori interni; viceversa, il Paese esportatore potrà scambiare una parte della sua produzione interna con del reddito da reinvestire nel modo più conveniente. Va ricordato che lo scambio può riguardare, oltre ai beni e ai servizi, anche le risorse umane (è il caso dei flussi migratori), gli investimenti e le attività finanziarie. Dal commercio possono tuttavia derivare anche degli svantaggi per specifici gruppi di individui in un Paese: le importazioni di un bene andranno infatti a competere con le produzioni interne, spesso godendo di un vantaggio di costo. Di conseguenza, il commercio può provocare squilibri nella distribuzione del reddito all'interno di un Paese: può ad esempio avvantaggiare i consumatori a danno dei produttori di un bene.

In generale, l'aumento delle esportazioni di un Paese porta a un incremento del reddito pro capite per i suoi abitanti, ovvero del loro benessere.

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Tuttavia, è stata anche esaminata la correlazione tra la crescita media del PIL reale pro capite e l'aumento della disuguaglianza nella distribuzione del reddito, misurata con l'Indice di Gini, anche se non è possibile affermare che ci sia necessariamente una relazione di causalità tra questi due fenomeni.

Un esempio più specifico riguarda i Paesi in cui la composizione del PIL è influenzata in modo considerevole dalle attività legate allo sfruttamento delle risorse naturali: si tratta dei Paesi esportatori di petrolio, di gas naturale o di prodotti agricoli, come i Paesi arabi o alcune economie ancora arretrate come l'Honduras. In queste economie, si nota un Indice di Gini più elevato, segno che lo sfruttamento di questo tipo di risorse non favorisce lo sviluppo economico dell'intera popolazione, ma solamente quello delle fasce sociali più elevate.

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2. Il Modello Gravitazionale 2.1 Distanza tra Paesi, Dimensioni e Volume del Commercio

Le macro-aree mondiali, come l'Europa, l'Asia, il Nord America o la ex CSI, tendono a sviluppare legami commerciali interni molto forti: il commercio riguarda principalmente Paesi geograficamente vicini, più che svilupparsi tra diverse aree più distanti.

Questo grafico, relativo ai rapporti commerciali dell'Unione Europea con Paesi esterni rispetto all'UE stessa, rivela inoltre quanto il commercio estero sia un fenomeno concentrato: esso si sviluppa principalmente verso un numero ristretto di partner (USA, Cina, Russia, Svizzera e Norvegia), legati da rapporti storici di amicizia o geograficamente più vicini.

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Nel corso degli ultimi anni, la quota di commercio europeo con gli USA si è ridotta a fronte dell'espansione del commercio con la Cina: oggi, le due quote tendono a convergere, segno degli squilibri mondiali che si sono accentuati a partire dagli ultimi decenni. Si può notare inoltre come le quote di commercio con altri Paesi siano sensibili ad eventi politici, non legati esplicitamente alla sfera economica (si pensi alle recenti sanzioni contro la Russia). Esaminando le quote di esportazioni ed importazioni dei vari Paesi che compongono l'UE, si può notare come essi abbiano come principali partner commerciali altri Paesi dell'Unione, specialmente quelli confinanti: si punta sempre a minimizzare i costi legati al trasporto dei beni da commerciare. Inoltre, anche il reddito dei vari Paesi sembra rilevante, in quanto i Paesi a reddito più alto sono quelli che commerciano di più.

Anche per gli USA vale il criterio di vicinanza: i rapporti commerciali con Canada e Messico sono molto sviluppati, anche grazie al NAFTA (North American Free Trade Agreement), un accordo di libero scambio nell'area nordamericana tra i tre Paesi.

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Il criterio del maggiore commercio con Paesi confinanti vale anche per i BRICS, ovvero per i 5 Paesi che si stanno sviluppando più velocemente tra quelli di nuova industrializzazione: si nota la grande quota di commercio tra Brasile e Argentina, come anche quella tra Cina e Hong Kong. Da quanto visto nei vari grafici analizzati finora, si può affermare che la dimensione (reddito) di un'economia è correlata al volume di esportazioni ed importazioni, ovvero al volume del suo commercio: Paesi dall'economia più sviluppata avranno la possibilità di differenziare maggiormente la propria produzione interna e di generare più reddito dalla vendita di beni e servizi, in modo da potersi permettere anche di importare di più.

Ad esempio, si può notare graficamente una correlazione tra reddito nazionale e volume di commercio (in questo caso con gli USA) per le varie economie europee: la bisettrice del grafico rappresenta una correlazione positiva perfettamente proporzionale e i vari Stati tendono a posizionarsi intorno a questa retta. Si nota, inoltre, come le piccole economie (Olanda, Belgio, Irlanda) tendano a commerciare di più, pur avendo una percentuale di PIL inferiore; la regola opposta vale per economie più grandi (Spagna, Italia, Francia). Per quanto detto finora, possiamo arrivare a definire una lista dei fattori che determinano e spiegano il commercio internazionale: -

La dimensione economica di un Paese: un Paese più grande produce più beni (maggiore volume di esportazioni) e ne consuma di più (maggiore volume di importazioni); La distanza tra Paesi: si tende a commerciare con i propri vicini per minimizzare i costi legati al trasporto delle merci e per avere una migliore comunicazione tra partner commerciali; 10

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L'affinità culturale tra Paesi simili di una stessa area; La geografia di un Paese (sbocchi sul mare, presenza di ostacoli quali catene montuose, eccetera); La presenza di imprese multinazionali con sedi in diversi Paesi: tali sedi tenderanno a scambiarsi merci a vicenda, aumentando i volumi di commercio tra i Paesi interessati; I confini, intesi come presenza di dogane (e tariffe associate), ma anche come differenze linguistiche e valutarie: l'abolizione di parte di questi confini all'interno dell'Unione Europea, ad esempio, ha permesso di aumentare i volumi degli scambi tra Paesi membri dell'Unione.

2.2 Il Modello Gravitazionale Per quanto appena visto riguardo ai fattori determinanti del commercio internazionale, sarà possibile formulare il Modello Gravitazionale di base come: 𝑇"# = 𝐴

𝑌" 𝑌# 𝐷"#

dove: -

𝑇"# rappresenta il volume di commercio (trade) tra due Paesi 𝑖 e 𝑗; 𝐴 è una costante; 𝑌" , 𝑌# sono i redditi (PIL) dei due Paesi; 𝐷"# è la distanza tra i due Paesi.

Volendo generalizzare maggiormente il modello, sarà possibile porre: 𝑇"# = 𝐴

𝑌"+ 𝑌#, 𝐷"#-

dove 𝑎, 𝑏, 𝑐 ≠ 1 sono parametri da ricavare tramite modelli econometrici per determinare i legami di proporzionalità tra le variabili. Si è notato come il modello funzioni bene per predire i flussi di commercio effettivi tra i Paesi; inoltre, è stato dimostrato che, se la distanza tra i Paesi aumenta dell' 1%, il volume di commercio si riduce dello 0,7 − 1%. 𝑇 viene ridotto anche quando vengono introdotti barriere, confini e ostacoli al commercio, mentre gli accordi commerciali come il NAFTA aumentano i volumi di commercio tra i Paesi.

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Si può notare, infatti, come il NAFTA abbia permesso a Messico e Canada di raggiungere quote di commercio con gli USA molto più alte rispetto ai Paesi europei, a parità di percentuale di PIL sul totale della UE. Con l'avanzamento tecnologico, l'incidenza della distanza geografica sul volume del commercio si è progressivamente ridotta: il parametro 𝑐 , nel corso degli anni, ha dunque ridotto il proprio valore. Vanno poi ricordati anche altri fattori, come le guerre e, in generale, i mutamenti degli equilibri politici, che hanno il potere di influenzare il volume del commercio.

2.3 Evoluzione Storica del Commercio Mondiale

Nel corso dell'ultimo secolo, il commercio mondiale ha visto una fase di ascesa durante la Belle Epoque (1870-1913), per poi subire un deciso calo a seguito delle due guerre mondiali e della grande depressione del 1929. In seguito, a una fase di ripresa durata fino al 1970 si è presentata una crescita senza precedenti, praticamente esponenziale, fino ai giorni nostri, con l'unico picco negativo rappresentato dalla recente crisi finanziaria.

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Nel corso dei decenni è cambiata anche la composizione del volume complessivo dei commerci: oggi, più della metà degli scambi riguarda beni manufatti, mentre, all'inizio del XX secolo, si aveva in prevalenza un commercio di beni agricoli e di materie prime.

Questa tendenza non ha riguardato solo i Paesi già sviluppati, ma anche i Paesi in via di sviluppo, che sono passati da un commercio fondato sui prodotti agricoli a uno prevalentemente incentrato sul settore manifatturiero. Tali economie, oggi, coprono quasi la metà (42%) del commercio manifatturiero mondiale.

2.4 L'Offshoring Si parla di offshoring in riferimento alla pratica di trasferire delle attività produttive, ovvero dei servizi, all'estero; questa pratica è diffusa specialmente per quanto riguarda i servizi forniti elettronicamente, che possono quindi essere dispensati a distanza. 13

Luca Biglieri Questo fenomeno non ricopre una quota significativa del commercio globale, dal momento che la maggior parte dei servizi non è commerciabile.

Facendo riferimento al volume complessivo dei commerci, le esportazioni di servizi rappresentano solamente un quarto delle esportazioni di beni e sono principalmente i Paesi già sviluppati ad essere interessati a questo tipo di scambio.

Le economie meno avanzate (LDC, Least Developed Countries) hanno comunque visto incrementare le loro esportazioni di servizi negli ultimi decenni, grazie soprattutto alle esternalizzazioni provenienti da Paesi più sviluppati. Oggi, in sostanza, si può dire che le esportazioni non dipendono più solamente da fattori naturali come il clima o le risorse di cui un Paese dispone, ma anche da fattori come i capitali a disposizione e gli equilibri politici; lo scontro tra diverse ideologie non è più quello tra liberisti e protezionisti, ma assume quindi diverse connotazioni.

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3. Il Modello di Ricardo Il Modello di Ricardo, da un punto di vista cronologico, è il primo ad essere stato elaborato ed è particolarmente adatto a spiegare i meccanismi del commercio nel XIX secolo e agli inizi del XX. Secondo questo modello, il commercio è legato alle differenze tra nazioni e alle differenze tra i vantaggi produttivi che diverse economie detengono: si parla di vantaggio comparato. I modelli che fanno riferimento a questo concetto sono quello di Ricardo, per il quale le differenze nella produttività relativa del lavoro (derivanti dalle differenze tecnologiche) determinano la specializzazione produttiva di un Paese e portano a generare guadagni attraverso lo scambio, e quello di Heckscher-Ohlin, secondo il quale la specializzazione produttiva deriva da differenze nelle dotazioni relative di fattori quali il lavoro, il capitale, la terra e le qualifiche lavorative.

3.1 Costo-Opportunità e Vantaggio Comparato Il modello di Ricardo si basa su due concetti fondamentali, quello di costo-opportunità e quello di vantaggio comparato: -

Costo-opportunità di produrre un bene: costo del bene che si rinuncia a produrre per scegliere di produrne un altro. Ad esempio, consideriamo un'economia sviluppata, come gli USA, e una meno sviluppata, come il Guatemala: a causa di una maggiore produttività nella produzione di computer, gli USA potranno produrre 10 milioni di manghi rinunciando a produrre 100000 computer, mentre il Guatemala potrà produrre 10 milioni di manghi rinunciando a produrre solo 30000 computer. Da questo semplice esempio, si può dedurre come gli USA siano più efficienti nella produzione di computer, ma anche come il Guatemala abbia un costo-opportunità minore legato alla produzione di manghi.

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Vantaggio comparato nella produzione di un bene: un Paese ha un vantaggio comparato nella produzione di un bene rispetto a un altro Paese se il costo-opportunità di produrlo è inferiore rispetto a quello dell'altro Paese. Ad esempio, supponiamo che, nell'esempio precedente, il Guatemala decida di concentrarsi nella produzione di computer, mentre gli USA decidono di specializzarsi nella produzione di manghi. Risulterà subito evidente che, cambiando radicalmente la produzione, si ottiene un miglioramento paretiano: gli USA rinunceranno a produrre 10 milioni di manghi e produrranno 100000 computer, mentre il Guatemala rinuncerà a produrre 30000 computer per produrre 10 milioni di manghi; la quantità di manghi prodotta è rimasta uguale, mentre la produzione globale di computer è aumentata. Possiamo quindi dire che, se ciascun Paese si specializza nella produzione del bene per cui ha un vantaggio comparato, si ha un aumento della produzione globale e, di conseguenza, anche dei c...


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