Una patria per le donne, Molinari. PDF

Title Una patria per le donne, Molinari.
Author Francesca Zattarin
Course Storia contemporanea
Institution Università degli Studi di Verona
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UNA PATRIA PER LE DONNE: la mobilitazione femminile nella Grande Guerra. Augusta Molinari. → DONNE CHE ASPETTANO LA GUERRA. 1. LE AVANGUARDIE DEL PATRIOTTISMO FEMMINILE. Nel primo decennio nel Novecento esiste in Italia un’opinione pubblica femminile che guarda con favore alla possibilità di una guerra “patriottica”. La guerra appare come un evento che porta a compimento due percorsi storici: quello della nazionalizzazione democratica avviata dal Risorgimento e quello dell’allargamento dei diritti della cittadinanza femminile. Le donne che “aspettano la guerra” appartengono alle borghesie intellettuali e delle professioni di alcune grandi città; donne che hanno la possibilità di far sentire la propria “voce”. Alcune sono letterate, giornaliste, altre sono attive nell’associazionismo politico femminile e nell’assistenzialismo sociale. Una delle voci più interessanti è Paola Grosson (giornalista e letterata): intellettuale non femminista, è osservatrice acuta e disincantata dei cambiamenti in atto nella condizione femminile. La sua idea è che la guerra rappresenti un passaggio epocale dal vecchio al nuovo secolo. Due sono stati gli eventi determinanti un così rapido cambiamento: • •

Crisi europea; Crisi del femminile.

La Grosson vi ricorre per attirare l’attenzione sul tema che più le interessa: le trasformazioni dell’identità femminile e le aspettative delle donne rispetto al rapporto con l’uomo e con la società. Ad una progressiva partecipazione delle donne alla vita sociale non ha corrisposto un riconoscimento di diritti. Quel percorso che aveva portato le donne ad avere nuovi ruoli e una maggior consapevolezza di diritti sembra essersi arrestato negli anni che precedono la Grande Guerra. Le “donne nuove” scontavano la difficoltà di superare una condizione di “minorità” che il femminismo aveva posto al centro del dibattito culturale e politico, senza però ottenere risultati adeguati ai cambiamenti in atto nei ruoli femminili tradizionali (donna dalla periferia al centro del sistema sociale, da consumatrice a produttrice). Diventando produttrice ha sconvolto l’equilibrio che reggeva il rapporto tra i sessi. La Grosson considera la Grande Guerra come un’opportunità per le donne di ottenere diritti politici e sociali: con la guerra ci sarà il passaggio dalla “donna nuova” alla donna della “nuova” Italia. La sua opinione è condivisa dalle élite femminili con lo stereotipo della “donna nuova”, ovvero l’idealizzazione del femminile di tipo universalistico. Le definizioni che le “donne nuove” davano a sé stesse risultavano appesantite dalla tradizione, rendendo più faticosa l’individuazione di un modello femminile che prevedesse caratteri veramente “nuovi”. Esse riflettono la precarietà dei ruoli sociali attribuiti al genere. Sono queste donne di “spirito nuovo” che si impegnano a formare un’opinione pubblica femminile favorevole alla guerra. Il primo conflitto mondiale è un evento che può ridefinire e stabilizzare gli ambiti della cittadinanza femminile. Solo una ristretta minoranza di donne intellettuali si oppose alla guerra. Regina Terruzzi: idealtipo della “donna nuova”. Fa dell’istruzione uno strumento di emancipazione, fonda scuole per maestre d’infanzia. Riflette il ruolo svolto dalla guerra nell’indirizzare nell’ambito del nazionalismo le richieste di cittadinanza attiva avanzata dalle donne nuove del primo Novecento. Un elemento che accomuna le élite culturali che anticipano la mobilitazione femminile per la guerra è l’attenzione per la vita delle donne e la sensibilità alle problematiche dell’emancipazionismo. Solo una minoranza di queste donne fa della cittadinanza politica una priorità. La maggior parte inserisce la rivendicazione del diritto di voto in un graduale percorso di riconoscimento pubblico del valore e delle competenze femminili. 1

L’Unione femminile: associazione che più di altre fece del “femminismo pratico” una strategia politica. Aveva come scopo prioritario l’emancipazione morale e sociale delle donne dei ceti popolari. Il prevalere dell’azione sociale su quella politica favorì il coinvolgimento del “femminismo pratico” nella mobilitazione per la guerra. L’emancipazionismo si scontra in Italia con una particolare difficoltà ad acquisire diritti. Già all’inizio del nuovo secolo si afferma un femminismo moderato. È con la guerra in Libia che il patriottismo femminile si manifesta ideologicamente e nelle pratiche. Alla vigilia della Prima Guerra l’emancipazionismo sconta una debolezza che favorisce il riflusso dell’associazionismo femminile su posizioni di conservatorismo ideologico e di conformismo rispetto ai processi di nazionalizzazione culturale e politica in atto nella società. Nel corso della guerra queste avanguardie femminili troveranno spazi di protagonismo e “canoni” di appartenenza alla comunità nazionale → abbandono posizioni pacifiste e alla rinuncia a rivendicazioni di “cittadinanza di genere.” L’etica del dovere verso la patria fa apparire rinviabile ogni rivendicazione di diritti. La priorità dell’azione politica è quella di servire la patria. La maternità ha un carattere di supporto morale ai valori maschili della guerra. Gran parte delle donne che si impegnano a sostenere la guerra provengono da ambienti democratici e di socialismo riformista. Già prima dell’intervento italiano nel primo conflitto mondiale, il femminismo moderato si prepara a sostenere la guerra, si schierano con il nazionalismo (Anna Maria Mozzoni ne è un esempio). Il ruolo delle élite politiche e culturali femminili negli anni che precedono il conflitto fu quello di “imprenditrici morali della guerra”. La loro posizioni di intellettuali ne faceva il tramite con il mondo femminile eterogeneo. Convincevano le donne del valore morale della guerra. Nel corso del conflitto il ruolo delle élite femminili subisce un ridimensionamento: intensificano il proselitismo. Aiutare con “opere” chi combatte per la patria. Alle donne si chiede di assistere materialmente e moralmente i combattenti e le loro famiglie. Il volontariato femminile assume un carattere di una risorsa sociale della mobilitazione. Nel sostegno delle donne alla guerra sono state individuate come due “anime”: • •

Una politica (donne colte ed emancipate); Caritativa (assistenza formata da donne qualunque).

2. DAL “MATERNAGE” ALL’ASSISTENZA. Nel “discorso pubblico” sulla guerra le attività di assistenza civile e di propaganda delle donne sono presentate come un’estensione alla patria dell’attitudine del “maternage”. È il sostegno morale e materiale del maschio combattente che legittima la presenza delle donne sulla scena di guerra. Delle dimensioni e del ruolo che ebbe il volontariato femminile di guerra, si conosce ben poco. Che la partecipazione delle donne alle attività del “fronte interno” fosse un fenomeno di vaste proporzioni e avesse funzioni importanti nel campo dell’assistenza si può verificare con estrema facilità. L’intervento femminile a sostegno della guerra si configura come un insieme di pratiche di assistenza. Pur mantenendo le caratteristiche di mansioni di genere, il volontariato femminile di guerra ha poco in comune con le tradizionali pratiche di maternage. La guerra ridefinisce la categoria di maternità e trasforma la disponibilità delle donne alla “cura” in servizi di assistenza sostitutivi dell’intervento dello Stato. La maternità diventa una pratica sociale → ogni donna è madre dei combattenti e come tale deve sostenere la guerra. La guerra trasforma i tradizionali ruoli femminili “di cura” in pratiche di assistenza sociale di massa → figura materna anonima che opera per la patria. È una madre che diventa infermiera, assistente sociale, educatrice. Modernizzazione del maternage → nuove professioni femminili.

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Le donne fondano associazioni, prendono contatti con le istituzioni nazionali e locali, praticano forme di assistenza nuove e originali. La loro presenza nelle organizzazioni di assistenza civile è essenziale per la tutela dell’infanzia di guerra e per l’assistenza socio-sanitaria alle famiglie dei soldati. Le donne che si mobilitano per la guerra si inseriscono in queste reti di associazionismo politicoamministrativo del “fronte interno”. Alle iniziative di mobilitazione promosse da élite femminili all’inizio della guerra, seguirono attività di volontariato svolte da donne dei ceti medi urbani: insegnanti, impiegate, studentesse, casalinghe. Sono i comitati femminili a gestire l’assegnazione di lavori per le mogli dei soldati. Funzioni di assistenza civile particolarmente importanti, come quelle di mantenere i rapporti con le famiglie dei combattenti morti e dispersi, sono svolte dalle donne. Pratiche svolte in privato: rapporti di tipo epistolare. Oltre agli effetti pratici di fornire una serie di servizi di assistenza ai combattenti e alle loro famiglie, il volontariato femminile di guerra ebbe valenze importanti: occasione di contatto tra donne e uomini appartenenti ad ambienti e culture diverse. La maggioranza delle donne mobilitate per la guerra proviene dai ceti medi delle borghesie urbane, intellettuali e delle professioni. 3. PROVE DI MOBILITAZIONE PER LA GUERRA. Nel primo Novecento le donne consideravano la guerra come un “luogo” esclusivamente maschile. A far superare alle donne il “confine maschile” della guerra, fu il carattere di tragica modernità del conflitto. Anche il lutto e la sofferenza delle donne assumono forme nuove. Nascita della Croce Rossa italiana. Le infermiere volontarie, appartenenti a ambienti aristocratici e alto borghesi, dotate di una buona cultura, aderirono con spirito patriottico alla missione umanitaria. L’esperienza di volontariato in Libia riveste una particolare importanza perché rompe il fronte antimilitarista e pacifista del femminismo italiano. Maggio 1914: servizio civile femminile obbligatorio. Reazioni diverse e contrastanti. Idea bocciata. Alla vigilia della guerra il femminismo italiano appare incerto sugli obiettivi da perseguire: debolezza strutturale che riflette i limiti e le contraddizioni della società italiana di quegli anni. Il ruolo delle élite femminili fu importante nella “preparazione” delle donne alla guerra e nell’organizzazione delle attività di mobilitazione patriottica, anche se sono le “ferite” della guerra a sollecitare le donne alla mobilitazione. Nelle opere di assistenza sono impegnate migliaia di donne “comuni” che prima della guerra hanno vissuto lontane dalla vita pubblica. Il silenzio delle “opere” era una forma di sostegno della guerra ben più efficace della propaganda verbale. Le fonti disponibili delineano un quadro dell’impegno femminile nell’assistenza civile di vaste proporzioni e diffuso su tutto il territorio nazionale.

→ LE IMPRENDITRICI MORALI DELLA GUERRA. 1. PATRIOTTISMO D’OLTREMARE. La missione delle infermiere in Libia appare come un’anticipazione del volontariato femminile della guerra in corso. Sofia Bisi Albini era stata una delle più convinte sostenitrici della mobilitazione femminile a sostegno della guerra in Libia. Condivideva l’opinione che, mettendo al servizio della patria le “doti” di cura, le donne avrebbero potuto ottenere un’estensione della “cittadinanza”. L’accettazione della necessità di una guerra coloniale fu la presa d’atto di una situazione di debolezza e di isolamento politico. Non poche donne che fanno parte delle due più importanti associazioni femminili hanno una visione del femminismo che non si discosta molto da quella del filantropismo. Sono “signore” sensibili alla discriminazione politica e sociale delle donne, ma lontane da posizioni di emancipazionismo.

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È proprio negli anni precedenti alla guerra in Libia che sembra sparire dall’orizzonte del femminismo la critica alla categoria universalistica di cittadinanza. Prevale l’idea di femminismo basato sul riconoscimento del valore sociale della maternità. Idealtipo della donna: donne che si distinguono da quelle delle generazioni precedenti perché hanno abbandonato la superficialità e la frivolezza dei comportamenti femminili. Il tratto che le caratterizza è la consapevolezza del valore sociale della maternità. Sanno estendere alla società le cure e i doveri materni. Il loro comportamento è una risorsa morale per il paese. È la figura della “crocerossina” che individua l’idealtipo della donna “moderna”. Si afferma un’immagine del femminile che la maternità rende “neutra” rispetto ai bisogni della nazione. Anche le associazioni collegate al partito socialista contribuirono all’affermazione di un modello di cittadinanza femminile basato sul ruolo materno. Durante la guerra in Libia, l’Unione femminile, pur ribadendo la sua fedeltà agli ideali del pacifismo, entra a far parte della commissione femminile istituita dall’associazione Pro Esercito per assistere le famiglie dei combattenti. Compito delle donne dell’Unione è quelli di occuparsi di visite domiciliari per verificare lo stato di bisogno delle famiglie e metterle in contatto con gli uffici municipali di assistenza. Di fronte alla sofferenza e alla miseria causate da un’impresa coloniale, le donne dell’Unione femminile non si sottraggono a dare un aiuto che sentono come dovere morale. La guerra in Libia segna il momento di passaggio di una parte consistente del movimento femminista italiano dal pacifismo all’accettazione della guerra come categoria della nazionalità. È proprio a partire dal patriottismo libico che ha origine la deriva nazionalista dell’interventismo femminile negli anni della Grande Guerra. Contribuì molto, nell’indirizzare su posizioni filogovernative e patriottiche il femminismo liberale e parte di quello di matrice democratica, il fallimento, in concomitanza con la guerra di Libia, del progetto di legge per il voto alle donne. La conferma della difficoltà di accedere alla cittadinanza politica favorì il consolidarsi, tra il femminismo, di posizioni che facevano coincidere i doveri materni con il patriottismo. Poco spazio avevano avuto, nel femminismo italiano, le istanze del suffragismo. 2. LE PROMOTRICI DELLA GUERRA. La maggior parte delle intellettuali che si riconoscono nel femminismo moderato sostengono la guerra di Libia (patriottismo libico). Queste élite femminili svolgono il ruolo di imprenditrici morali → convincere le donne del valore morale della guerra. Con la Grande Guerra emerge, per la prima volta a livello di massa, una presenza femminile in ambito pubblico, e appare meno definita la differenziazione tra i generi. Durante la guerra le donne diventano parte integrante di una rappresentazione politica e culturale che ha al centro i diritti della nazione. La maggior parte delle donne impegnate nell’emancipazionismo durante la guerra tacciono. La spinta umanitaria e solidaristica che sta alla base dell’impegno delle donne nell’assistenza civile è assimilata ai valori della guerra e del militarismo ed è ideologizzata come valore patriottico. A dare forma concettuale alla pietas femminile sono le intellettuali interventiste. La mobilitazione delle donne è “milizia civile”. La morte di massa provoca un vuoto di idee, oltre che di speranze, che lascia spazio solo all’affermazione dei valori del militarismo e del nazionalismo. 3. GENEALOGIA DI UN’IMPRESA MORALE. Guerra di Libia: le infermiere non ebbero un contatto diretto con la guerra. Vi sono solo narrazioni stilizzate. Quello che avvenne in Libia fu una prova della disponibilità femminile al patriottismo. La fase di coinvolgimento delle donne nei valori della guerra. È la 4

“crocerossina” l’immagine della mobilitazione femminile nella Grande Guerra. La donna che sa curare le ferite del corpo e dell’anima dei combattenti. 4. GUERRE IMMAGINATE E GUERRE VISITATE. Dall’esperienza fatta in Libia, le infermiere volontarie hanno tratto riconoscimento di competenze professionali. Inoltre, l’opera di assistenza è stata anche l’occasione per l’inserimento in un contesto culturale e ideale di patriottismo. Anche le donne che “aspettano” la guerra sono ben lontane dall’aspettarsi un conflitto come quello che scoppierà pochi anni dopo. Questa guerra suscita un bisogno di assistenza da parte della società civile. Nel primo anno di guerra, due note intellettuali, si recano in Francia per sperimentare di persona come sia organizzata in quel paese la mobilitazione. A testimonianza della loro esperienza pubblicano due testi dove descrivono aspetti ed episodi significativi della mobilitazione in questo paese: La milizia femminile in Francia e L’assistenza civile in Francia nel momento attuale. Leggi da pagina 102 a pagina 122.

→ LA MOBILITAZIONE COME ASSISTENZA. 1. UN SERVIZIO SOCIALE ALLA PATRIA. La guerra ha fatto assumere all’assistenza femminile le caratteristiche di un servizio sociale volontario. Erano le donne l’asse portante dei comitati di assistenza civile sorti in tutto il paese. Quasi esclusivamente femminile è l’assistenza all’infanzia. Le donne svolgono una mansione di particolare importanza: mantengono i contatti tra l’esercito e le famiglie. Lo sforzo maggiore è per quelle che sono le più diffuse attività femminili di assistenza: mandare “lana” e indumenti ai combattenti, assicurare forme di tutela alle famiglie dei soldati. Non sono trascurate le attività di assistenza morale, con l’invio ai combattenti di cartoline patriottiche, medagliette sacre, rosari. Le volontarie vorrebbero aprire nuovi asili e ricreatori, ma non dispongono dei fondi necessari per realizzare questi loro progetti. L’impegno femminile nell’assistenza avviene attraverso la partecipazione ai comitati di assistenza civile. Con le attività di assistenza civile le donne svolgono un ruolo essenziale di mediazione tra i ceti subalterni e lo Stato. Sono prevalentemente le donne a rapportarsi con la burocrazia assistenziale creata dalla guerra. Il rapporto con l’assistenza civile diventa un’occasione di educazione civica. Al tempo stesso, tramite l’assistenza, si sviluppano processi di acculturazione. Donne appena alfabetizzate si confrontano con la lettura e la scrittura. Anche se le donne facevano parte degli organi direttivi dei comitati, di fatto la loro influenza era limitata a specifici settori di assistenza. L’impegno femminile nell’assistenza è talmente vasto da sfuggire ad ogni possibilità di conoscerne le reali dimensioni e il complesso delle attività. Con le opere di assistenza le donne assumono consapevolezza del valore sociale delle attitudini femminili “di cura” e si sentono partecipi della vita nazionale. Con la partecipazione alle attività di assistenza civile le donne sperimentano una condizione di “cittadinanza”. Nella valorizzazione delle attività di assistenza delle donne si impegnano le intellettuali interventiste. La propaganda di guerra enfatizza l’assistenza femminile. Il volontariato femminile diventa parte di un’organizzazione della mobilitazione civile dove assistenza e propaganda coesistono. 2. CONTRO I RIGORI DEL FREDDO: LANA E CALORE PER I SOLDATI. Abilità nei lavori di cucito e maglieria. Era un’attività da fare in casa, così le donne avrebbero avuto un ruolo “decorativo” nella mobilitazione. Con la lana si dava ai soldati un “calore” fisico e affettivo. 5

Nascono associazioni che forniscono indumenti di lana all’esercito (un esempio è il Corredo del soldato, nata a Roma all’interno del Comitato di difesa interna). La difficoltà era reperire la lana → prezzi più alti. La rete esistente di confezione di indumenti militari è del tutto inadeguata a far fronte alle necessità di un esercito in guerra. Motto: “Riscaldi-Ristori-Rincori”. Sono le prime donne dell’unione femminile a fare i primi scaldarancio. 3. L’AIUTO MATERNO AI FIGLI DEI SOLDATI. Infanzia: problema per tutti i comitati di assistenza civile. Richiedeva una disponibilità di risorse che solo la beneficienza privata poteva assicurare. Prendersi cura dei figli dei soldati non è considerata una forma di beneficienza, ma una pratica di assistenza. Un esempio è l’asilo di Palermo, che raccoglie i bambini dei quartieri più poveri. La guerra crea un problema sociale di enormi dimensioni: quello dell’assistenza a masse di bambini che si trovano in situazioni drammatiche. Molti diventano orfani di entrambi i genitori. Con le opere di assistenza si cerca di provvedere ai bisogni essenziali. Le strutture di custodia e ricovero sono poche e i servizi di assistenza insufficienti. In ogni a...


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