Una strana guerra fredda, Lorenzini PDF

Title Una strana guerra fredda, Lorenzini
Author Lucrezia Rumore
Course Storia contemporanea
Institution Università degli Studi di Palermo
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Summary

Introduzione1975 Samora Moises Machel - primo presidente del Mozambico indipendente tenne un lungo discorso allo stadio di Machava. Mol=ssimi ospi=, esponen= che da tu? i paesi avevano aiutato il Fremlino - fronte di liberazione nazionale del Mozambico, durante la loBa armata. Machel era giunto nell...


Description

Lucrezia Rumore

Introduzione 1975 Samora Moises Machel - primo presidente del Mozambico indipendente tenne un lungo discorso allo stadio di Machava. Mol=ssimi ospi=, esponen= che da tu? i paesi avevano aiutato il Fremlino - fronte di liberazione nazionale del Mozambico, durante la loBa armata. Machel era giunto nella capitale dopo un viaggio di un mese, marcia trionfale dal Nord fino alla foce del Maputo. A ogni tappa aveva tenuto accura= discorsi, esaltando il successo → la viBoria contro il colonialismo portoghese e incitava all’unità la costruzione del nuovo stato. La repubblica popolare del Mozambico si sarebbe sbarazzata di ciò che rimaneva del colonialismo (bandito lo sfruBamento dell’uomo sull’uomo, rifondato la società su nuove basi ideologiche, introdoBo una moderna cultura amministra=va). Sarebbe diventata un’economia avanzata, prospera e indipendente con l’aiuto dei paesi vicini socialis= Tanzania e Zambia. La sanguinosa guerra di liberazione era durata 10 anni. Il fremlino aveva avuto l’appoggio dell’URSS e dei paesi dell’est Europa aBraverso armi, aiu= di emergenza, consiglieri e tecnici. Il confliBo era divenuto uno dei fron= della guerra fredda (in Europa, spesso in Africa era guerra “calda”). La liberazione non segnò la fine degli scontri. Il Renamo nato nel 1975, sostenuto dalla Rhodesia e dal Sudafrica dell’apartheid, ricorreva alla guerriglia per difendere il governo della minoranza bianca contro la loBa armata del fronte patrio?co. Nel 1977 al terzo congresso del fremlino i proge? acquisirono una forma più precisa → valorizzazione della grande diga di Cabora Bassa - sul fiume Zambesi. Per rendere u=le e produ?vo un progeBo costosissimo (che già negli anni ‘30 doveva fungere da simulacro del colonialismo portoghese). Era nata per fornire il Sudafrica di energia eleBrica ed era simbolo dell’unione fra le comunità bianche dell’Africa del sud. La sfida era di trasformarla in progeBo di rivoluzione sociale u=lizzare l’energia sul territorio mozambicano. Le parole di Machel riecheggiavano quelle di altre icone come Nasser in EgiBo, Nehru in India e Nkrumah in Ghana ma con una retorica più leninista. Le ricadute sulla popolazione rurale non avevano nulla di posi=vo. La diga aveva distruBo la coltura tradizionale e avevano ridoBo in miseria i contadini che subivano l’insediamento forzoso La storia di Cabora Bassa descrive la classica parabola dell’aiuto allo sviluppo durante la guerra fredda, storia di una grande opera coloniale, progeBata con la tronfia noncuranza delle conseguenze ambientali e sociali, =pica dei proge? di modernizzazione. Violenza sulla natura, sulle tradizioni, che la nuova classe poli=ca convera in simbolo di emancipazione. Mito globale: priorità allo sviluppo. Sviluppo significa: progresso, modernità, crescita economica, benessere. ConceBo chiave aBorno al quale organizzare l’economia e la società.

1. Lo sviluppo come ideologia imperiale L’origine della parola “sviluppo” si può far risalire alla rivoluzione industriale. Nel XIX secolo lo sviluppo economico veniva chiamato con i termini “modernizzazione”, “occidentalizzazione” oppure “industrializzazione. Gli economis= snobbarono a lungo questo termine preferendo la parola “progresso”. L’espressione entrò nel linguaggio tecnico degli economis= solo negli anni trenta e restò poco diffusa fino alla seconda guerra mondiale. Fu proprio dopo 1945 che lo sviluppo economico divenne un fine poli=co fondamentale. “Sviluppo” era sinonimo di “crescita” e come fenomeno riguardava solo le economie industriali.

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La trasformazione in senso a?vo del termine avvenne all’inizio degli anni 20. Gli amministratori delle colonie iniziarono ad usare il verbo “sviluppare” in senso transi=vo, ovvero “sviluppare un popolo”. Lo sviluppo di inizio 900 era una missione di civiltà. la pedagogia dell’imperialismo prevedeva di accompagnare i popoli colonizza=, insegnar loro le regole ed educarli alla modernità. Ma si ricorda che a fine 800 non si riteneva che tu? i popoli potessero essere civilizza=, come ad esempio l’Africa. Jules Ferry, che deBe inizio alla missione civilizzatrice francese, disse che le razze superiori avevano degli obblighi verso quelle inferiori, tra cui quello di diffondere scienza e progresso. Bisognava innanzituBo cominciare abolendo la schiavitù e frenando gli eccessi di colonialismo e di pra=che schiaviste, che spesso venivano usare per scalzare l’influenza delle altre potenze. Si potrebbe riportare l’esempio dell’annessione delle Filippine agli USA con il presidente McKinley; e la poesia di Kipling “The White Man’s Burden” fu scriBa proprio per convincere l’opinione pubblica americana della necessità di anneBere le Filippine. Questa esortava il popolo ad assumere l’ingrato compito di diffondervi la civiltà, e il compito era ingrato poiché era accolto con odio e non riconoscenza dai popoli colonizza=. LA MISSIONE CIVILIZZATRICE FRA LE DUE GUERRE Ci fu una momentanea interruzione nel clima di cooperazione tra imperi per via degli antagonismi imperiali di inizio 900 e per via delle 1WW. Fu proprio con quest’ul=ma che nacque un nuovo =po di solidarietà nazionale tra potenza coloniale e territorio colonizzato. Un esempio fu il 1° Congresso internazionale delle razze, tenutosi a Londra nel 1911; qui furono esaltate le differenze, con l’obie?vo di esaltare il proprio modello. Questa tendenza si protrasse anche dopo la guerra, dove le potenze vincitrici e in par=colare FR e GB si fecero portatrici di un vero e proprio s=le di governo coloniale. Provvidero a spar=rsi le spoglie degli sconfi? e mirarono a formalizzare e disciplinare il dominio coloniale, allontanandosi dai principi wilsoniani di autodeterminazione, considerando la maggior parte dei popoli extraeuropei immaturi per amministrarsi da sé. Il Covenant, con cui fu is=tuita la Società delle nazioni, regolava le ques=oni coloniali agli arB. 22 e 23. L’ar=colo 22 introduceva il nuovo is=tuto del mandato, che stabiliva la tutela di una potenza sui territori che dovevano essere prepara= all’indipendenza. Fu proprio in questo ar=colo che il conceBo di stadi di sviluppo dei popoli comparve per la prima volta nel linguaggio giuridico internazionale. Ma il termine sviluppo, in questo caso, si discostava dal significato economico, ed era invece usato per riferirsi alle condizioni sociali, demografiche e culturali. Comunque, educare un popolo allo sviluppo non significava abbandonare un aBeggiamento razzista o segregazionista. Ad esempio, l’inventore del sistema mandatario, il sudafricano Jan Chris=an Smuts, proponeva l’impero britannico come modello e vedeva nei manda= uno strumento per preparare all’indipendenza i paesi dell’Europa orientale, ma non vi era possibilità di autogoverno per i barbari in Africa, che anzi dovevano essere affida= alla razza bianca. Smuts temeva una guerra globale fra razze, ma tuBavia questa paura, nella società delle nazioni era in secondo piano rispeBo alla visione o?mis=ca della missione civilizzatrice, per cui la preoccupazione era quella di formare l’uomo moderno seguendo principi pedagogici condivisi; annullare le differenze culturali, inseguire un’immagine standard di umanità che assomigliava a quella occidentale. Con l’introduzione del sistema dei manda=, il periodo fu caraBerizzato dalla convinzione del valore economico delle colonie e animato da nuove idee su come amministrare l’impero, coniugando “modernizzazione” e “razionalizzazione” dell’impiego.

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Il libro che divenne simbolo di questa nuova poli=ca fu il “dual mandate in tropical africa” dell’amministratore britannico coloniale Lugard, scriBo nel 1921. Questo doppio mandato consisteva nel perseguire un duplice obie?vo, ovvero sfruBare in maniera efficiente le risorse e nel contempo amministrare i popoli con l’o?ca di condurli alla civiltà. La missione civilizzatrice portò con sé dei proge? di sviluppo moderni, e lo dimostra l’analisi compiuta dal ministro delle colonie francese, Albert Sarraut, nel suo libro del 1922 “La mise en valeur des colonies francaises”. Questo libro era una descrizione dei proge? in corso e un’an=cipazione di proge? futuri allo stesso tempo. Egli proponeva l’immagine di un impero nell’interesse dei conquista=, discostandosi dal diriBo del più forte, inoltre evidenziava l’importanza della dimensione culturale e la valorizzazione delle is=tuzioni locali, la cura della salute, igiene e profilassi, l’aBenzione all’educazione e all’addestramento professionale, l’avvio del micro credito, il riguardo par=colare per il ruolo delle donne. L’idea di sviluppare a far fruBare meglio le colonie, facendo si che riuscissero a finanziarsi da sé, condusse a una progressiva burocra=zzazione della ges=one coloniale. Anche se comunque la presenza dei burocra= era comunque limitata; in Africa era solo una thin white line. Per funzionare, la struBura amministra=va doveBe appoggiarsi progressivamente su un numero crescente di burocra= locali che si trovavano a fare da mediatori fra culture poli=che molto differen=. Negli anni 20, il funzionario coloniale modello era un uomo che conosceva i suoi na=vi, che capiva la poli=ca e gli usi locali, conosceva le lingue, sapeva traBare con i locali per amministrarli, spesso per evitare che si alleassero contro la potenza coloniale. Ma questo ruolo era riservato solo agli europei, ed era quindi escluso che gli “evolués” ovvero gli indigeni educa= all’occidentale, potessero aspirare a questo incarico, come era escluso che potesse essergli concessa la ciBadinanza o l’accesso ad alte cariche della carriera amministra=va, salvo eccezioni e previa severa selezione. Negli anni fra le due guerre, gli imperi coloniali declinarono la missione civilizzatrice in modo che fosse funzionale al governo. Ovvero, in poche parole, modernizzazione e violenza divennero compa=bili. Ci furono: imposizione di colture, lavoro forzato, trasferimen= di popolazione. Quindi lo sviluppo divenne sinonimo di ges=one del potere. MODERNITA’ E AUTORITARISMO Si era ampiamente diffusa e divenne dominante dopo la 1WW, l’idea di trasformare la civilizzazione in una impresa scien=fica. Questo periodo, noto come High Modernism, è caraBerizzato dalla fiducia nella scienza e nel pensiero razionale come uniche fon= di conoscenza. Si era ampiamente manifestata nel 19° secolo, secolo posi=vista, l’ambizione di trasformare la natura per renderla funzionale alle esigenze umane. Prima di iniziare con il grande periodo delle dighe, furono le grandi opere come il canale di Suez e quello di Panama ad essere dei grandi precursori. Le comunità iniziarono ad essere ges=te in maniera autoritaria. Vennero promossi, dai regimi coloniali, importan= esperimen= di ingegneria sociale: l’ideologia del “welfare colonialism”, combinata con il potere autoritario, incoraggiò ambiziosi schemi di trasformazione delle società tradizionali. Alla fine del primo confliBo, si impose la pianificazione produ?vis=ca. In Usa si tradusse con il taylorismo, mentre in Europa con il produ?vismo. L’idea proposta da Walther Rathenau e Wichard Von Moellendorff era quella di cos=tuire una struBura piramidale di organismi per la pianificazione industriale che comprendesse rappresentan= degli imprenditori, dei lavoratori e dello stato, pron= a collaborare per il bene 3

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comune. La visione di questo stato corpora=vo (che l’Italia is=tuzionalizzò, come una via tra capitalismo e marxismo) si rifleBé anche nella struBura dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) che nacque contestualmente al traBato di Versailles, nel 1919. Vi era la necessità di venire incontro alle richieste dei lavoratori u=lizzando pra=che consocia=ve per allontanarli dalla fascinazione bolscevica. Lenin u=lizzo invece un modello taylorista-produ?vis=co. Negli anni fra le due guerre, l’URSS rappresentava la quintessenza della modernizzazione. Ma in URSS modernizzare significava anche trasformare la ciBà, costruire un uomo nuovo, educando il popolo a seguire un modello ideale per la nuova società socialista. L’industrializzazione sovie=ca a?rò l’aBenzione di mol= intelleBuali dell’opinione pubblica mondiale, ed era accompagnata da una propaganda che esaltava l’eroica costruzione del socialismo e l’età dell’oro del comunismo. Il sistema sovie=co, venne messo in mostra, organizzando visite a si= considera= esemplari. Ma gli oppositori di tale modello lo cri=cavano e denunciavano la con=nuità tra lo s=le sovie=co e quello zarista nel montare ad arte raffigurazione fallaci della realtà. Per questo mo=vo i sovie=ci, consapevoli delle cri=che, cercarono di evitare di rappresentare situazioni idilliache poco credibili. Ma comunque gli i=nerari erano studia= ad arte e tendevano ad isolare i visitatori dai ciBadini e ad evitare alcune aree pericolose. Dopo la crisi economica e finanziaria, il piano quinquennale di Stalin divenne oggeBo di interesse. E le agenzie avevano diminuito le visite ai monumen= e ai luoghi storici per aumentare quelli che rappresentavano la realtà produ?va sovie=ca, come aziende, industrie etc… Ci furono mol=ssime visite in URSS anche da parte di americani e inglesi. E a causa del successo sovie=co, negli anni 30 si iniziò a pensare allo sviluppo come strumento di baBaglia ideologica, anzituBo in contrapposizione al comunismo. I regimi totalitari europei proposero ognuno un proprio genere di modernità: la Germania nazista puntò sull’autostrada, l’Italia fascista sull’ambiente rurale, con bonifiche e misure di insediamento e urbanizzazione. Anche in Giappone ci fu l’interesse per il colonialismo scien=fico, e la Corea fu la prima colonia giapponese u=lizzata come laboratori di modernizzazione. Il modello americano del New Deal era in linea con lo spirito del tempo, proponeva una versione wilsoniana dell’idea di pianificazione. Il piano della TVA Tennessee Valley Authority, l’agenzia di sviluppo regionale che coordinava la modernizzazione agraria e industriale del bacino del fiume Tennessee grazie allo sfruBamento dell’energia idroeleBrica, doveva dimostrare come fosse possibile promuovere lo sviluppo economico e sociale senza ricorrere a metodi autocra=ci. Successivamente fiorirono proge? di grandi dighe ispira= alla TVA. Fra i principali artefici della diffusione del modello newdealista fuori dai confini americani, spicca la figura dell’economista Eugene Staley, secondo il quale l’elemento chiave per promuovere il cambiamento globale era l’educazione in materie tecniche, con lo scopo di creare una generazione capace di badare a se stessa. Inoltre era convinto che fosse necessario condurre veri e propri esperimen= scien=fici, cos=tuendo dei laboratori in giro per il mondo dove provare le tecniche di sviluppo. E pensava alla Cina, Asia, America La=na ed Europa Meridionale. LA SECONDA GUERRA MONDIALE Dal punto di vista dello sviluppo, la “WW fu un momento di crescita di impegno, di diffusione globale della pianificazione come metodo. Essa influenzò molto sopraBuBo gli imperi europei che anche se molto indeboli=, inves=rono risorse nelle colonie, come GB e FR. Era tramontato il principio =pico degli anni 20 secondo cui le colonie dovevano mantenersi da sole. 4

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Si pensò quindi a un fondo coloniale per finanziare lo sviluppo, che fu isi=tuito su inizia=v di Malcolm Macdonald con il Colonial Development and Welfare Act del 1940. Esso usava le risorse della metropoli per migliorare gli standard di vita nelle colonie, spendendo su infrastruBure, edilizia abita=va, acqua, scuole e proge? sociali, mira= sopraBuBo ai lavoratori dipenden=. Si traBava di assicurarsi la lealtà poli=ca ed economica dei territori assoggeBa=. Ma la ques=one era complicata, sia in Asia, sia in Africa, dove il nazionalismo era rafforzato. Negli anni 30, tra i funzionari coloniali britannici, era emersa una nuova consapevolezza dei problemi produ?vi, demografici e ambientali nelle colonie. Di fronte all’instabilità poli=ca e sociale le autorità coloniali cominciarono a pensare a nuove forme di stabilizzazione che impedissero fenomeni di migrazione interna. Fu quindi elaborato il conceBo di “community development”, sviluppo comunitario, che promuoveva il benessere di una comunità ì, migliorando educazione, condizioni sanitarie e partecipazione, senza rigeBare le tradizioni locali.(vennero studia= gli effe? della perdita delle dimensioni tribali). L’obie?vo era di limitare i fenomeni migratori dalle campagne alle ciBà. Nuovi proge? miravano a creare comunità produ?ve agricole che fornissero cibo per il consumo locale. Durante la guerra aumentarono anche le opportunità per gli esportatori, in par=colare per i proprietari terrieri bianchi. Il confliBo aumento la domanda di prodo? coloniali e ridusse l’offerta di quelli europei. Il Colonial Development and Welfare Act però fu sospeso e rimase leBera morta fino al dopoguerra. Gli esper= del Colonial Office, il ministero delle colonie britannico, erano convin= che migliori standard di vita potessero essere raggiun= aumentando la produzione e i raccol=, ricorrendo a fer=lizzan= chimici, meccanizzazione dell’agricoltura e nuove forme di organizzazione coopera=va. Nell’impero britannico, il passaggio a una pianificazione moderna dello sviluppo avvenne con il famoso “Caine Memorandum” nel 1943. Caine citò come modelli da seguire URSS e TVA, e riteneva che lo stato dovesse assumere un nuovo ruolo nella pianificazione. Egli era favorevole a promuovere lo sviluppo urbano e industriale piuBosto che quello agricolo, e premeva per inves=re nella pianificazione urbana, piuBosto che in programmi di welfare. La sua visione, anche se in confliBo con quella di altri esper= numerosi nel Colonial Office, fu adoBata. Comunque, alla fine del confliBo mondiale, le potenze europee potevano a malapena mantenere le colonie; GB e FR alla fine del confliBo si impegnarono a recuperare il controllo sugli an=chi possedimen=, cercando di creare un impero più organico e razionale. Ci fu una “seconda occupazione coloniale” caraBerizzata da un aumento dell’impegno nei proge? di sviluppo, da finanziarsi tuBavia con risorse locali. La missione del secondo dopoguerra coincideva con la valorizzazione dell’intervento dello stato coloniale in economia, per istruirle gradualmente nel contaBo con il mondo occidentale. Lo sviluppo però divenne par=colarmente funzionale nel secondo dopoguerra. Dopo Hitler le teorie e l’ideologia razzista avevano perso diri7o di ci7adinanza fra le idee propugnabili a livello internazionale. Si rendeva così necessaria un’importante trasformazione ideologica. Le potenze coloniali dovevano cambiare la fonte di legi?mazione del loro potere - così le dicotomie classiche fra civilizzato e primi=vo furono tradoBe in conce? nuovi ; si assisteBe alla rivoluzione linguis=ca, che offrì un binomio aggiornato - una nuova dis=nzione di civiltà: sviluppato-arretrato (o soBosviluppato). Il Colonial office britannico , nel corso degli anni 40 , aveva elaborato piani per Africa e Asia sudorientale dove la pianificazione con=nuava nonostante le promosse di autogoverno - furono

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sperimentate varie forme di ges=one coopera=va che si richiamavano a pra=che tradizionali in Giamaica e Kenya. TuBavia i risulta= furono modes=. La GB nell’immediato dopoguerra non potè svolgere il ruolo di compratore e inves=tore onnipresente e fra il 1943-56, avviò un nuovo programma di sviluppo economico finanziata aBraverso gli u=li del marke=ng boards, ovvero i cartelli per la commercializzazione delle materie prime coloniali e da nuove tasse sui territori dipenden=. Ma fu subito bersagliato da cri=che. Quindi sembrava imminente la profezia dell’economista Myrdal: “solo quando il sistema imperiale fosse parso un lusso sempre più dispendioso, il fenomeno coloniale sarebbe stato condannato e le ideologie nazionali raggiustate in funzione dei fa?. Anche la Francia rilanciò la sua presenza nelle colonie in forma analoga, proponendosi come esportatore del welfare state. Nella Francia dell’immediato dopoguerra regnava un consenso senza preceden= sulle poli=che imperiali: si traBava di ristabilire la potenza nazionale e le colonie ne erano un elemento fondamentale. René Pleven nella Conferenza di Brazzaville 1943 affermò che nell’impero francese non c’erano popoli da liberare e che l’unica indipendenza che interessava era quella della Francia. Il progeBo coloniale sembrava unir...


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