Riassunto La seconda guerra fredda di Federico Rampini PDF

Title Riassunto La seconda guerra fredda di Federico Rampini
Course Storia Contemporanea
Institution Università degli Studi di Milano
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Riassunto del libro La seconda guerra fredda di Federico Rampini...


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Riassunto “La seconda guerra fredda. Lo scontro per il dominio mondiale” di F.Rampini Federico Rampini, vissuto in Cina per circa cinque anni, dal 2004 al 2009, dove è stato corrispondente a Pechino, di “Repubblica”. Ritornato in Cina dopo dieci anni dal suo trasferimento a New York, nota un enorme cambiamento, la Cina che aveva lasciato, quella in via di sviluppo non c’era più. Difronte aveva un impero in ascesa, sfavillante di modernità. La prima cosa diversa che ha notato dopo dieci anni di assenza, il cielo azzurro. Come in ogni sistema autoritario, la decisione di chiudere le fabbriche presenti nella cinta della capitale per spostarle altrove, è stata drastica. Girando per le strade di Pechino si vedono più auto elettriche Tesla (auto da 100mila euro) che in altre parti del mondo, ma non solo Tesla, anche altri 10/12 marchi hanno fatto il loro ingresso sulle strade delle città cinesi. Attraverso le fonti rinnovabili produce più elettricità pulita di quanta ne generi la Germania con tutte le fonti, fossili comprese. Mostra padronanza nelle tecnologie digitali. Pechino è una città moderna, raffinata, cosmopolita, che non ha nulla da invidiare alle occidentali New York e Londra, anzi si può tranquillamente parlare di sorpasso avvenuto su più fronti. Sono cambiati anche le abitudini dei cittadini e se prima il sogno era possedere un oggetto occidentale, ora non più. Per le giovani coppie benestanti arredare casa con il marchio svedese Ikea, era una conquista, oggi è pieno di designer cinesi. Per fare la spesa si andava da Carrefour, oggi il marchio francese è stato sconfitto da marchi locali efficientissimi che fanno consegne a domicilio. Sta chiudendo anche Amazon perché i cinesi ormai acquistano da Alibaba, il grande store del commercio online, ormai multinazionale. Quando nel 2009 inaugurarono a Pechino il primo Apple store, code chilometriche di giovani cinesi che volevano comprare il marchio di modernità per eccellenza made in California. Oggi la vendita dello smartphone americano è crollata al quinto posto, davanti nella classifica vi sono 4/5 marchi cinesi, perché i cinesi si sono convinti che i propri prodotti sono migliori. L’esterofilia di un paese emergente ha lasciato il posto al nazionalismo del consumatore. La carta di credito è quasi obsoleta, i pagamenti anche di piccole somme avvengono tramite App scaricate sullo smartphone. Per chattare i cinesi non usano l’americana WhatsApp, ma usano WeChat, che non è una semplice app di messaggistica, ma è un App multifunzione che consente di fare pagamenti, di prenotare un taxi, e molto altro. Sicuramente i limiti di questo tipo di App sono da trovarsi nell’utilizzo da parte delle autorità per un controllo sociale. La nuova guerra fredda è anche per la supremazia tecnologica, se la Cina era la patria della pirateria, anche interna, una pirateria che ha avuto effetti positivi rendendo l’ambiente imprenditoriale competitivo e stimolante. La Cina è intenzionata a raggiungere e superare gli Stati Uniti in molti settori di punta. Pechino ha investito 2miliardi di dollari per un parco tecnologico riservato alle start-up del settore. Nel 2019 Xi si rimangiò la promessa di riformare le leggi cinesi sulla proprietà intellettuale. Trump in risposta lanciò dazi che colpirono tutti i prodotti made in Cina, la concessione di visti per studio ai giovani cinesi fu più severa, 360mila studenti sono iscritti nelle università americane, anche la figlia di Xi ha studiato a Harvard. Trump ha messo sotto embargo il colosso della telefonia cinese Huawei e Xi ha minacciato di privare l’industria americane delle “terre rare” ossia di tutti quei minerali rari necessari nella produzione microchip, modem e batterie. Huawei potrebbe conquistare la supremazia mondiale nella telefonia di quinta generazione 5G. Gli investimenti cinesi nel 5G hanno superato quelli americani per 24 miliardi di dollari. Huawei è una multinazionale che opera in 170 paesi anche con società ombra e nomi diversi, investe nelle relazioni pubbliche, invita giornalisti da tutto il mondo a visitare le sue fabbriche e i suoi centri di ricerca. La Cina potrebbe vincere la guerra del 5G contro l’America perché la Silicon Valley è diventata la “Valle degli avvocati”, sempre meno innovativi sempre più nei tribunali. Per timore di spionaggio Washington ha bloccato il completamento di una enorme infrastruttura telecom Usa-Cina, un’autostrada a fibre ottiche sotto il Pacifico, ora tutto è bloccato. La Cina produce il 67% delle cellule per le batterie al litio necessarie sulle auto elettriche, e anche in questo settore l’America ne produce solo il 9%, e sente il fiato sul collo, temendo il sorpasso. La digitalizzazione è all’avanguardia, la Cina è l’unico paese al mondo che ha un livello di sofisticazione in stile Grande Fratello digitale, con il quale avrebbe impedito l’infiltrazione di al- Qaeda e dell’Isis. In Tibet e in Mongolia il giornalista o il diplomatico straniero non hanno accesso, se non con visti speciali. Un terzo del territorio cinese è offlimits per molti di noi. La Cina di oggi è frutto di conquiste territoriali, Tibet, Xinjiang, Mongolia, costrette a forme di vassallaggio e subalternità. Tutto inizia con le esplorazioni di Zheng He e la sua flotta che non arrivò a costruire imperi oltremare solo perché dovette ripiegare la forza militare sul territorio domestico, minacciato dalle invasioni nomadiche. Le Olimpiadi del 2008 furono un evento svolta, che doveva consacrare il nuovo status internazionale della super potenza cinese agli occhi del mondo intero. Nel 2009 Rampini chiuse il suo ufficio di Pechino, mentre la grande crisi americana stava contagiando l’intero mondo.

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Lo storico Niall Ferguson e l’economista Moritz Schularick, fondarono il neologismo “Chimerica”. Era il 2007, quando tutti parlavano di nascita di un G20, perché le superpotenze sembravano diventate una cosa sola, almeno sul piano dell’economia e della finanza, che attraverso un accordo avrebbero potuto governare il mondo e salvarlo dalla crisi. La complementarità tra la fabbrica del mondo (la Cina) e il mercato di sbocco (l’America). Sembrava una macchina perfetta, l’America delocalizzava in Cina, sfruttava i lavoratori a basso costo, spostava l’inquinamento in quei luoghi, e rivendeva il prodotto finito a basso prezzo, ai consumatori americani. I cinesi erano felici di riciclare comprando i titoli del tesoro americano. Nel 2009 sembrava tutto così perfetto. Poi la storia ha preso un altro corso, i dazi di Donald Trump sono stati solo l’ultimo episodio di una crisi già in atto. Apple, General Motors e grandi marchi tedeschi come Siemens e Audi-Volkswagen, che hanno fatto affari d’oro in Cina, stanno cercando alternative, piano di fuga, segnando la fine e il fallimento di una globalizzazione durata trent’anni. La globalizzazione non è una macchina perfetta e la classe operaia americana impoverita, ha dato fiducia a chi gli prometteva protezionismo. Trump è stato il presidente degli Stati Uniti dal 2017 al 2021. I super dazi di Trump sulle merci cinesi sono gli stessi che la Cina aveva messo sulle merci americane, con tasse doganali del 25%. Il protezionismo non lo ha inventato l’Occidente, perché la Cina lo applicava già da tempo. Una guerra commerciale che stata iniziata dai cinesi e che stanno vincendo. Una delegazione cinese era stata ricevuta da Trump per firmare un armistizio che prevedeva una riduzione dei dazi, ma questi dazi sono un piccolo tassello di un puzzle molto ampio. L’America ha fatto moltissimi errori, anche la Silicon Valley californiana si è addormentata sugli allori senza badare a che la Cina sta superando gli americani sulla tecnologia avanzata, nell’intelligenza artificiale, nella robotica, il 5G (quinta generazione), come nel 1957 quando gli americani vennero sorpassati nello Spazio, dall’Unione Sovietica con il satellite artificiale Sputnik, fu uno shock per gli americani. Il confronto con la prima guerra fredda (1947 -1989/90) va preso alla larga perché in quel caso i due blocchi economici erano separati. L’Unione Sovietica era un gigante militare, politico e ideologico ma non economico. I rapporti tra i due blocchi, quello capitalista e quello comunista erano limitati, l’integrazione quasi nulla, mentre ora la Cina è in mezzo a noi. In Europa i cinesi sono un po’ ovunque, nell’Enel, al porto di Genova, in quello di Trieste, sono proprietari della Volvo, sono attorno a noi in tutti i settori, la compenetrazione è talmente forte che metterla a freno ormai è difficile. Il blocco sovietico della prima guerra fredda, impediva la libera circolazione dei cittadini, i polacchi, i cittadini della Germania est, quelli sovietici, non potevano venire in Occidente. I cinesi invece sono liberi di muoversi, e ci hanno invasi. Il loro regime pur essendo autoritario non pone limiti alla circolazione. Possono fare impresa, possono studiare all’estero, anzi vengono spinti a studiare nelle migliori università del mondo occidentale, e il loro rientro in Cina viene incentivato con denaro e posti in posizioni di potere. È uno strano regime che non può essere liquidato con stereotipi, il presidente Xi Jinping è una star, gestisce la propria immagine come un leader occidentale, perfino la First Lady è una celebrity, ha fatto cambiare la Costituzione per iscriverci il suo nome (un onore riservato al fondatore del regime, Mao Zedong). Ha fatto abrogare ogni limite al suo mandato, Xi costruisce la propria legittimità intorno a una narrazione ipernazionalista. La crisi economica occidentale ha dato a Xi la certezza che il sistema autoritario è più efficiente della liberaldemocrazia nel governare l’economia e la società. I cinesi ci hanno sempre studiato, sanno chi è Niccolò Machiavelli, ma noi non sappiamo chi sia Confucio. La religione riscoperta e valorizzata come pilastro nella ricostruzione di una identità forte. Nella Pechino dove nacque l’ateismo di Stato ai tempi di Mao, oggi vi sono templi buddisti sempre più affollati. Anche Confucio, il profeta laico, fondatore di una scuola, vissuto tra il VI e il V secolo a.C. è stato arruolato con la stessa funzione. Il confucianesimo non è una religione, ma è una quasi scienza politica, una filosofia di vita, che ha influenzato quasi due miliardi di persone e la storia di una civiltà più antica della nostra. Secondo il confucianesimo la società è come una grande famiglia, organica e armonica, in cui i cittadini devono adempiere ai propri doveri perché la comunità stia bene. Il confucianesimo è il rispetto del rigore, della moralità, e dell’ordine costituito. La società come la famiglia ha un capo, il pater familias, il sovrano, le cui responsabilità sono estese all’intera nazione; una società gerarchica, rigida, che vede il rispetto per gli anziani, il culto degli antenati (onorati fino a 5 generazioni), il valore della cultura, dell’istruzione. Il confucianesimo è seguito in Giappone, in Vietnam, a Singapore, in Corea del Sud. La Cina è comunista, lo dice e lo è dal 1949. Non è il comunismo di Mao, la Cina è una Repubblica Popolare fondata sul partito unico comunista. Il comunismo cinese non è più quello egualitario di Mao, ma è leninismo puro. I settant’anni di comunismo vanno divisi in più periodi, una cesura è rappresentata dalla morte di Mao (1976). Il suo successore, Deng Xiaoping inaugura le riforme economiche che aprono la strada a un’economia di mercato. Dal 1979 in poi, è un graduale aprirsi alla proprietà privata, agli investimenti stranieri, alle mode e consumi occidentali. Altro snodo nella storia del paese è il 1989, la rivolta democratica, la repressione militare il massacro di piazza Tienanmen. Questo episodio diede una lezione alla classe dirigente, se da una parte vi era il rifiuto verso la liberalizzazio-

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ne politica di Michael Gorbaciov che porterà alla fine dell’URSS, dall’altra parte si era compreso che bisognava dare più benessere e più libertà materiali. L’ultimo snodo è del 2012 con l’avvento al potere di Xi Jinping, un leader nuovo precursore del nostro sovranismo e del nostro populismo. Del comunismo questa Cina ha abbandonato molti principi. Ha società quotate in borsa, e le disuguaglianze sono paragonabili a quelle delle altre nazioni capitalistiche. La Cina in un quarto di secolo ha sollevato dalla povertà 750milioni di persone, un miglioramento senza precedenti nella storia dell’umanità. Le infrastrutture cinesi sono eccellenti, quelle americane cadono a pezzi. Termini come “comunista” e “dittatoriale” sono inadeguati per la Cina, che consente ai propri cittadini di viaggiare liberamente all’estero, di studiare nelle università americane, di scegliersi il lavoro che vogliono e di arricchirsi. Sono invece termini più adatti alla Corea del Nord. La composizione del governo cinese vede la presenza di ministri plurilaureati, in ingegneria, in materie scientifiche, economiche e per il commercio. Molti di loro avevano compiuto studi all’estero e la percentuale di dottorati di ricerca era superiore a qualsiasi altro governo occidentale. il livello di competenza era frutto di una attenta selezione. La meritocrazia cinese non si fonda solo sui titoli di studio, si arriva ai vertici nazionali solo dopo aver dimostrato quello che si sa fare nelle amministrazioni locali, come sindaci di città (Pechino e Shangai hanno oltre 20milioni di abitanti) o come governatori provinciali (la provincia di Guangdong ha più abitanti della Germania). Nel 2015 arriva come una bomba il libro di uno studioso canadese che teorizza la validità del modello cinese. Il volume italiano si chiama “Il modello Cina. Meritocrazia politica e limiti della democrazia” Luiss University Press 2019. L’autore Daniel Bell, docente in Cina, è stato accusato di apologia del regime autoritario di Xi, è stato visto come un attacco all’Occidente. Bell non è contro la liberaldemocrazia, perché quando vota il cittadino si sente parte di una comunità. Tuttavia questo senso di comunità si affievolito negli Stati Uniti, in Europa, in India, dove molti si astengono dal voto perché pensano che votare sia inutile, perché hanno perso la fiducia nei partiti politi considerati delle élite. Bell spiega come si misura la meritocrazia all’interno del PCC, misurando la crescita del PIL, dei redditi e dei posti di lavoro, dove un sindaco governa. Di fronte a risultati positivi, il sindaco viene promosso a un livello superiore. A differenza di Putin, Xi non sente l’Occidente come una minaccia politica diretta. Internet ha creato un po’ di problemi alla democrazia occidentale, e con l’ascesa del populismo negli anni più recenti ci sono ancora meno tutele per prevenire il popolo dallo scegliere leader senza esperienza e senza competenza. Bell con il suo libro vuole difendere il suo ideale politico: la meritocrazia vertical-democrazia. Ossia un sistema cinese con democrazia ai livelli di governo locale, e meritocrazia ai vertici del governo centrale, in Occidente invece ci vorrebbe più democrazia ai vertici. Sulle proteste studentesche a Hong Kong, il governo non ha agito brutalmente come avvenne nel 1989 a piazza Tienanmen, ma ha lasciato che la protesta si spegnesse da sola in modo pacifico. A proposito della seconda guerra fredda, Bell afferma che nessuna potenza può rimanere la “numero uno” per sempre. In questo libro emergono i lati più oscuri e prepotenti del regime cinese, ecco perché non può essere considerato un’ode al sistema cinese. Non vi è libertà di espressione e simbolo di questo isolamento e chiusura è la biblioteca pubblica “Binhai Library” un’opera mastodontica ricchissima di libri, ma con grandi limiti, la sezione in inglese ad esempio, è occupata da opere scientifiche, tecniche, informatiche, nulla riguardo alla storia, la scienza, la sociologia. La Cina è riuscita dove l’Italia ha fallito, invertendo la tendenza alla fuga di cervelli. Giovani attratti dalle chance e dalla libertà occidentali, vengono richiamati offrendogli stipendi sempre più competitivi e anche abbondanti fondi per la ricerca, oltre che posti di potere. L’Occidente vive una crisi d’identità, una caduta di autostima. Le liberaldemocrazie hanno perso la fiducia di ampi strati di popolazione, e si è creato territorio fertile per correnti antidemocratiche. In Cina nonostante non vi sia attenzione per i diritti umani, c’è un consenso di massa, per i risultati che se confrontati con quelli occidentali, fa pensare loro che il sistema governativo cinese sia quello giusto. Alla crisi del 2008, gli elettori occidentali hanno risposto portando al potere classi dirigenti populiste, come Trump, Boris Johnson, il Movimento 5 Stelle. Il periodo di maggiore consenso per la democrazia fu nei trent’anni successivi alla seconda guerra mondiale, grazie al boom economico che generò lavoro, opportunità, Welfare, scolarizzazione di massa, la redistribuzione della ricchezza che manteneva le disuguaglianze entro limiti accettabili. Un nuovo modello si sta affermando, è quello delle nuove Vie della Seta. Le Vie della Seta hanno due mila anni di storia, vi transitavano spezie e metalli pregiati, idee e religioni, non avevano un padrone. Lungo le direttrici operavano intermediari, diversi popoli si arricchivano grazie a quei commerci. Il ruolo della nostra penisola, dagli antichi romani, ai veneziani, è sempre stato importante. Solo oggi quelle vie vengono riscoperte e rilanciate, e se un tempo tutte le strade portavano a Roma, oggi tutte portano a Pechino. Le vie della seta sono almeno sette, corridoi di infrastrutture

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che i cinesi stanno costruendo, che partendo dalla Cina, attraversano l’Asia settentrionale, l’Asia centrale, il sud-est asiatico, i mari della Cina fino all’Oceano Indiano; partendo dallo stretto di Malacca per arrivare sul Mar Rosso, il mar Mediterraneo e i Balcani. Il Memorandum of Understanding è stato firmato il 23 marzo 2019 tra Italia e Cina. Xi venne a Roma e quella iniziativa fu percepita come un tradimento dell’Italia verso l’America e le forze alleate, nessun paese membro del G7 aveva osato tanto. Moriremo cinesi? Potrebbe essere, perché i cinesi si sono comprati interi paesi europei, e quando si riunisce l’UE per discutere di Cina, questi paesi votano in base alle direttive ricevute dalla Cina, la Grecia e il Portogallo sono invase da investimenti cinesi e non osano contraddirla. Vi è quindi una componente filocinese nell’Unione Europea. Le vie della seta sono il nuovo progetto imperiale, l’equivalente del piano Marshall dopo la guerra (Progetto di vasta ricostruzione dei Paesi europei devastati dalla Seconda guerra mondiale, messo in atto dagli Stati Uniti. Il 5 giugno 1947, all’Università di Harvard, il segretario di Stato statunitense G. Marshall tenne un celebre discorso in cui annunciò la decisione del Paese di intraprendere il piano che da lui prese il nome. Il piano M. rappresentò una svolta nella politica americana per la ricostruzione). Il piano Marshall fu generoso e lungimirante nell’interesse degli Stati Uniti. La Cina sta facendo la stessa cosa con le infrastrutture, investe in strade, ponti, porti, linee di comunicazione ad alta velocità, fibre ottiche ì, linee elettriche, mille miliardi di euro di investimenti in dieci anni. Questo è il nuovo piano Marshall del terzo millennio. In Occidente un politico che proponesse ai suoi elettori progetti trentennali verrebbe preso per un esaltato. Ma in fondo quando l’America era in fase ascendente faceva proprio quello. La Cina è l’unico paese ad avere un progetto così ambizioso, titanico, segnale di un impero in ascesa. Le chiamano “corridoi economici”. Il primo è quello continentale chiamato ponte dell’Eurasia (dalla Cina attraversa il Kazakistan e la Russia meridionale). Il secondo è il corridoio Mongolia-Russia. Il terzo chiamato Cina-Asia centrale- Asia meridionale (percorre le vecchie vie della seta di Marco Polo, Tagikistan e Uzbekistan, Anatolia turca, Istanbul, Balcani, fino a raggiungere l’Europa centrale). La via della seta marittima passa dai porti di Vietnam, Singapore, Indonesia, Birmania, Bangladesh, Calcutta, attraverso l’oceano indiano, il Kenya, e finisce sulle coste africane del Corno d’Africa, da qui risale dal Canale di Suez e del Mediterraneo. Non bisogna pensare che il programma per le Nuove Vie della Seta sia centralizzato e controllato dal governo cinese, perché vi sono accordi tra i massimi livelli di diversi governi. Tuttavia non mancano critiche soprattu...


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