UTA Frith riassunti - Riassunto L\'autismo. Spiegazione di un enigma PDF

Title UTA Frith riassunti - Riassunto L\'autismo. Spiegazione di un enigma
Course Pedagogia speciale
Institution Università degli Studi di Foggia
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Pedagogia Speciale...


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UTA FRITH L’AUTISMO:SPIEGAZIONE DI UN ENIGMA Secondo Uta Frith, ogni bambino ha una Teoria della mente (con la T maiuscola per distinguerla da una teoria psicologica) che consente di comprendere l’altro: cosa pensa, l’emozioni che prova, le sue intenzioni. Secondo la Frith, il disturbo autistico dipende da una Teoria della mente inadeguata o assente. Tale teoria è definita come mentalizzazione, cioè la capacità di comprendere intuitivamente gli stati mentali propri e altrui. Secondo Alan Leslie, il cervello umano possiede un modulo (sezione della corteccia celebrale) predisposto per sviluppare e utilizzare la mentalizzazione. Se questo modulo viene danneggiato, l’individuo non è capace di comunicare e interagire con le altre menti. Una mente normale è intuitivamente consapevole dei processi mentali propri e altrui. Una mente autistica è comportamentistica: coglie le azioni dell’altro solo se si manifestano, non coglie i sensi impliciti nei comportamenti (ironia, doppi sensi, allusioni). Secondo la psicodinamica, le cause dell’autismo sono la freddezza materna e la rigidità della famiglia. Per la Frith, tali problemi sono gli effetti e non le cause dell’autismo. La difficoltà della relazione madre-bambino è dovuta al fatto che la madre cerca di capire il figlio in base alla mentalizzazione, mentre il figlio comunica in modo comportamentistico. Ad esempio, la madre si aspetta che il figlio cerchi il suo affetto, l’abbracci e la sorrida; il figlio invece la cerca solo come uno strumento per soddisfare i suoi bisogni. Anche se le cause dell’autismo sono biologiche, a parità di danno biologico la differenza tra due bambini e due futuri adulti autistici la fanno il contesto familiare, le opportunità educative, il contesto sociale e le possibilità di integrazione che questo offre. CAPITOLO 1: CHE COS’È L’AUTISMO? Frequentemente si sente parlare di autismo infantile e poco di adulti con autismo e questo perché è un disturbo che si manifesta nella prima infanzia, ma non è un disturbo infantile è un disturbo dello sviluppo. Essendo un disturbo che colpisce tutto lo sviluppo mentale, i sintomi appaiono diversi nelle diverse età. Alcuni tratti si manifestano solo tardi, mentre altri scompaiono nel tempo. Quindi, l’autismo influisce sullo sviluppo, il quale a sua volta influisce sull’autismo. A volte è difficile diagnosticare i disturbi autistici; i genitori capiscono lentamente che c’è qualcosa che non va nel proprio figlio. Caratteristiche tipiche sono: linguaggio assente o ritardato; eccessivo spavento per i rumori; giochi ripetitivi; indifferenza per le relazioni e le attività sociali; ecolalia; in qualche caso è possibile che si hanno buoni risultati ai test d’intelligenza (autismo ad alto funzionamento); incomprensione per situazioni e atteggiamenti ambigui. Comunque, un individuo autistico relativamente capace, cresciuto in un ambiente dotato di risorse educative, può raggiungere buone conoscenze e abilità in aree isolate, anche se non può conseguire una completa integrazione. Come fu inizialmente identificato l’autismo I due pionieri della trattazione dell’autismo infantile sono: Leo Kanner e Hans Asperger. La parola autistico fu coniata da Bleuler nel 1911 che la utilizzò inizialmente per riferirsi alla schizofrenia, cioè un restringimento delle relazioni con le persone e il mondo esterno così estremo da escludere qualsiasi cosa (vita sociale, realtà comune) eccetto il proprio sé. Questo perché il termine autismo deriva dal greco autòs che significa sé. Contrariamente alla schizofrenia di Bleuler, il disturbo autistico era presente sin dall’inizio. Inoltre, a differenza della schizofrenia, questo disturbo non si deteriorava progressivamente, ma potevano esserci al massimo dei miglioramenti con l’apprendimento e lo sviluppo. L’autismo fu scoperto indipendentemente e quasi contemporaneamente da Kanner a Baltimora (1943) e da Asperger a Vienna (1944).

L’autismo secondo Kanner e Asperger Kanner in un suo articolo intitolato Disturbi autistici del contatto affettivo individuò le tre caratteristiche fondamentali dell’autismo classico: 1. Isolamento autistico: è l’incapacità dei bambini di rapportarsi alla gente e alle situazioni sin dai primi momenti di vita. Il bambino sin dall’inizio ha una buona relazione con gli oggetti tanto da giocare solo con questi per ore. 2. Desiderio della ripetitività: tutte le prestazioni del bambino (suoni, gesti, azioni) sono monotone ed egli è ossessionato nella ricerca della ripetitività. 3. Isolotti di capacità: il bambino presenta una grande abilità in aree occasionali ed isolate come un sorprendente vocabolario, un’eccellente memoria per eventi accaduti anni prima e una fenomenale memoria meccanica per nomi, poesie. In conclusione, per Kanner, il bambino con autismo ha un’incapacità innata di formare il consueto contatto affettivo, fornito biologicamente con le persone proprio come altri bambini che nascono con un handicap fisico o intellettivo innato. Per questo possiamo parlare di disturbi autistici innati del contatto affettivo. Criteri diagnostici attuali Gli esperti sono concordi nell’usare criteri comportamentali per la diagnosi del disturbo autistico. Lo schema più dettagliato e recente è quello descritto dal DSM dall’APA. Uno schema simile è disponibile nell’ICD dell’OMS. Attualmente per la diagnosi del disturbo autistico vengono applicati tre criteri: 1. Disturbo qualitativo dell’interazione sociale reciproca, si dovrebbe manifestare prima dei tre anni, ma ci sono casi in cui si manifesta anche più tardi. 2. Disturbo qualitativo della comunicazione verbale e non verbale: è quello che solitamente porta ad un primo esame clinico perché riguarda l’assenza o un ritardo di linguaggio o una comunicazione verbale e non verbale molto strana. Questo criterio viene preso in considerazione anche se si presenta l’assenza di immaginazione e dei giochi di finzione. 3. Repertorio ristretto di attività e interessi: questo disturbo non si trova in nessun’altra condizione patologica infantile. I soggetti autistici con grave ritardo mentale mostrano solo i comportamenti ripetitivi più semplici. I bambini autistici più intelligenti mostrano routine ripetitive più complesse.

La sindrome di Asperger Il riconoscimento della sindrome di Asperger è stato uno dei cambiamenti maggiori di questi ultimi anni nella pratica diagnostica. Le persone con la sindrome di Asperger sono allo stesso tempo simili e dissimili dagli individui affetti da autismo. La differenza è che i soggetti con la sindrome di Asperger non mostrano ritardi, ma li presentano quando sono più grandi. Inoltre, Hans Asperger ritiene che l’autismo si possa spiegare come effetto delle tipiche variazioni individuali (le abilità comunicative e sociali decrescono) della personalità e dell’intelligenza. Alcuni soggetti presentano difficoltà notevoli e molto tipiche nell’integrazione ma, a volte, questa disabilità è compensata da una particolare originalità del pensiero: infatti questi soggetti presentano spiccate doti di memoria o di calcolo. Per Asperger, i segni caratteristici di questo tipo di autismo sono: - Sguardo privo di contatto oculare, con brevi occhiate; - Povertà di espressioni e gesti, movimenti stereotipati; - Dipendenza assoluta dai propri impulsi; - Mancata prontezza all’apprendimento; - Aree isolate di interesse; - Ci possono essere qualche capacità eccellente di pensiero astratto e creazioni originali di parole. Possiamo, in conclusione, delineare dei punti comuni tra Kanner e Asperger: - Entrambi individuano disturbi a livello affettivo e negli istinti sociali; - Evidenziano problemi di comunicazione e adattamento sociale; - Prestano molta attenzione alle stereotipie motorie; - Considerano abilità intellettive occasionali e isolate. Quanto è difficile diagnosticare i disturbi autistici? Nell’autismo e nella sindrome di Asperger i segni più precoci possono sfuggire. Occorre sapere dove guardare. Spesso è difficile scoprire cosa fa nascere i primi sospetti di autismo nella famiglia. In genere le preoccupazioni si fanno pressanti solo dopo che si sono accumulate tante piccole osservazioni. Per esempio : un bambino che non si volta quando lo chiami per nome. Nei casi di Elly Park e Teddy Hart, i genitori riferirono che i primi fremiti di ansia furono provati solo a un certo momento del secondo anno. L’osservazione del comportamento e i test psicologici, se fatti accuratamente, richiedono tempo. Dopo la diagnosi. L’aiuto ai genitori è necessario. Il sostegno è immediatamente reperibile. I problemi sorgono con i casi di borderline. Questi casi limite possono essere bambini con un basso livello generale di abilità, che rendono difficile giudicare se i limiti nelle comunicazioni sociali sono adeguati all’età mentale. In altri casi si può trattare di bambini con capacità elevate, che possono aver appreso una notevole quantità di cose sulla comunicazione sociale e hanno buona probabilità di superare i test di laboratorio. Può anche trattarsi di bambini con problemi aggiuntivi che possono mascherare le caratteristiche autistiche, per esempio un grave deficit di attenzione e iperattività. Che cosa accade nell’età adulta? Secondo Kanner e Asperger, l’autismo non è un disturbo progressivo. Contrariamente al processo di deterioramento che si osserva negli adulti psicotici, Asperger mise in risalto che negli autistici spesso si verifica un maggiore adattamento e una capacità di compensazione. Asperger vedeva con troppo ottimismo l’evoluzione di questo disturbo perché aveva molta fiducia nell’educazione e nella possibilità di compensare problemi che lui stesso riconosceva come persistenti. Asperger era convinto che molti soggetti autistici potessero avere una vita soddisfacente. Tuttavia, l’autismo non scompare con l’età adulta. È difficile fare previsioni sul futuro di un bambino con autismo tanto quanto lo è farlo per qualunque altro bambino.

CAPITOLO IV: C’E’ UN’EPIDEMIA DI AUTISMO? Studi di popolazione Le prime ricerche sull’autismo furono condotte da Victor Lotter nel 1966, sotto gli auspici dell’Unità di psichiatria sociale del Consiglio delle ricerche mediche. Esaminò 78.000 bambini di età compresa tra gli 8 e i 10 anni che risultavano abitare nella contea del Middlesex. In una prima fase egli identificò tutti i bambini che si poteva supporre fossero autistici; in una seconda fase consultò le cartelle mediche e condusse delle interviste individuando 135 casi sospetti; in una terza fase passò ad un esame individuale e trovò un gruppo di 35 bambini che rispondevano ai criteri di Kanner (isolamento sociale e ripetitività ossessiva). Seguendo questi criteri, rilevò un’incidenza di 4,5 su 10.000 dove il rapporto tra maschi e femmine era di 2,6 a 1. Oggi, invece, gli studi più recenti e affidabili mostrano un’incidenza di casi di autismo di circa 60 su 10.000 soggetti. Alcuni studi effettuati in Svezia hanno stimato invece che la sindrome di Asperger si presenta in 36-48 casi su 10.000 bambini. la stima più recente relativa all’insieme di tutti i soggetti con autismo è pari a 100 casi su 10.000 (60 con autismo e 40 con la Asperger su 10.000). Oggi non è aumenta questa sindrome. L’aumento non rispecchia l’incremento reale dei casi, ma semplicemente questo incremento è dovuto dal fatto che scopriamo sempre nuovi casi, grazie ad interpretazioni sempre più esatte e accurate, all’ evoluzione della nostra conoscenza che ci ha portato ad avere una maggiore consapevolezza dei disturbo autistico. Quindi, non si può parlare di epidemia di autismo.

Perché così tanti maschi sono autistici? Nell’autismo classico, abbiamo un eccesso di maschi con autismo con un rapporto di 4 a 1; nella sindrome di Asperger questo rapporto sale a livello di 15 a 1. Nei livelli bassi di capacità la prevalenza maschile si riduce. La scarsità di femmine ai livelli più elevati di capacità potrebbe essere una prova ulteriore delle origini biologiche dell’autismo. Ci si è chiesti se appartenere al sesso femminile protegga dall’autismo e se l’essere maschi porti ad essere vulnerabili. La triade dei disturbi, unita ad un buon linguaggio e ad un alto livello di capacità, potrebbe nascondersi meglio in una femmina.

Autismo e gli altri disturbi dello sviluppo È confermata l’esistenza dell’autismo senza problemi aggiuntivi e senza che sia associato al ritardo mentale. Per questo l’autismo è un disturbo specifico. Infatti, non tutte le funzioni mentali vengono colpite allo stesso modo e gli effetti di questo deficit sono meno evidenti nei bambini con deficit psichici generali, mentre sono più evidenti nei bambini che sono capaci di cimentarsi con il mondo fisico. L’esistenza dell’autismo nucleare dimostra che questo deficit è specifico.

Autismo e schizofrenia Alcune persone autistiche assomigliano, nel comportamento, in età adulta, ad alcune persone schizofreniche con linguaggio verbale o facciale scarso o assente, con scarso interesse per i contatti sociali, con stereotipie dei movimenti. Sono somiglianze superficiali, senza corrispondenza nelle disfunzioni sottostanti. La schizofrenia insorge raramente prima dell’adolescenza, mentre l’autismo insorge sempre prima dei 3 anni. Il 52% dei bambini autistici, inoltre, presenta punteggi di QI nella fascia del ritardo grave, sotto ai 50. Nessun bambino schizofrenico presenta punteggi inferiori a 65. Ancora, l’autismo presenta spesso eventi ostetrici negativi, mentre la schizofrenia no. A differenza degli autistici, gli schizofrenici comunicano agli altri le loro credenze, i messaggi che avvertono nell’ambiente e le voci che sentono. A volte è possibile che la schizofrenia e l’autismo si sovrappongano.

CAPITOLO V: LETTURA DELLA MENTE E CECITÀ MENTALE La nostra comprensione è basata su un potente strumento mentale che ogni soggetto normale possiede, ovvero una Teoria della mente (mentalizzazione) che ci fornisce la capacità di vedere delle relazioni tra fatti esterni e stati interni della mente. Ad esempio, a pag. 2 del libro c’è un dipinto in cui una donna e due uomini sono seduti ad un tavolo e giocano a carte e in piedi c’è una cameriera che mantiene un bicchiere di vino. Sappiamo che si sta svolgendo un dramma perché i personaggi parlano con gli occhi e con le mani. La dama e la domestica guardano verso il giocatore a sinistra e questo giocatore tiene due assi nella mano sinistra nascosta dietro la schiena; nella destra tiene il resto delle carte. L’altro giocatore a destra guarda in basso le sue carte pensieroso. Anche se non possiamo vedere gli stati della mente, con la logica deduciamo che il pittore ha ritratto una situazione in cui si sta barando e questo grazie a degli indizi: 1) quello che non si vede non si sa e quindi gli altri giocatori sono convinti che gli assi si trovino nel mazzo; 2) dalla cameriera, che ha gli occhi fissi, capiamo che ha visto gli assi nascosti dietro la schiena del giocatore e quindi sa che sta barando; 3) dallo sguardo della dama al centro si capisce che anche lei sa e che colui che sta barando non sa che la signora sa perché ella guarda altrove; 4) il terzo giocatore non alza lo sguardo dalle sue carte. Quindi non sa quello che sta succedendo e si capisce che sarà lui ad essere truffato. Questi calcoli mentali avvengono in modo spontaneo, senza alcuna consapevolezza. Non è così per tutti. Infatti, le persone con un disturbo autistico non sono automaticamente programmate per ragionare sugli stati mentali e trovano il mentalizzare, che gli altri lo fanno in modo spontaneo, del tutto bizzarro. Come le persone che non vedono i colori ma sanno che gli altri vedono il mondo colorato, allo stesso modo gli individui affetti da autismo non possono veramente immaginare com’è il focalizzare automaticamente l’attenzione sulle persone e pensare continuamente ai loro stati mentali, perciò soffrono di cecità mentale.

La verifica dell’ipotesi della cecità mentale nell’autismo. Occasionalmente le persone con autismo parlano della loro incapacità a comprendere i pensieri e i sentimenti degli altri e la mancanza di una teoria della mente è divenuta un’ipotesi conosciuta e condivisa perché sostenuta da solidi lavori empirici. Invece del termine Teoria della mente la Frith usa il neologismo mentalizzare che è un verbo che descrive un’attività automatica e inconscia. Si sono chiesti se i bambini autistici possono attribuire una credenza ad un’altra persona e predire il suo comportamento. Questa ipotesi è stata verificata per la prima volta negli anni ’80 da Simon Baron-Cohen e Alan Leslie, i quali partirono dal fatto che la mente del bambino è equipaggiata fin dalla nascita con meccanismi che permettono di accumulare conoscenze riguardo a caratteristiche importanti del mondo. Alan Leslie chiamò questi meccanismi “motori dello sviluppo” ed ebbe l’intuizione che tali meccanismi fossero responsabili anche per la capacità di comprendere la finzione, ipotesi che concordava con il fatto che i bambini autistici non manifestano il gioco di finzione.

Le origini della teoria della mente. Alan Leslie nel suo articolo “Finzione e rappresentazione. L’origine della Teoria della mente”, illustra le origini sia della finzione che della Teoria della mente. Da questo articolo emerge che il bambino apprende delle nozioni specifiche sul mondo, grazie al suo cervello che è capace di costruire delle rappresentazioni di persone, oggetti ed eventi. Le rappresentazioni portano il mondo nella mente, ma nel secondo anno di vita il bambino è capace di costruire delle rappresentazioni di ciò che la gente ha intenzione di comunicare. Nella mente si formano queste nuove rappresentazioni per mezzo di un meccanismo innato che secondo Leslie distacca le rappresentazioni dalla realtà ed una volta distaccate, cessano di essere copie del mondo reale e possono essere attribuite ai desideri,

pensieri o memorie di una persona. Attraverso questo distacco, le rappresentazioni diventano libere e si diviene capaci di immaginare, fingere, dubitare, ingannare. All’età di 5 anni il bambino ha già iniziato ad avere una Teoria della mente pienamente competente. Nell’autismo, l’incapacità di mentalizzare può essere dovuta a un difetto nel meccanismo di distacco e questo potrebbe portare ad un’incapacità di apprendere il concetto degli stati mentali in modo normale. Per verificare l’assenza di mentalizzazione nei bambini autistici, furono organizzati una serie di esperimenti a catena.

L’esperimento di Sally e Anne. Selly e Anne sono due bambole. Selly ha un cestino e Anne una scatola. Selly ha una biglia e la mette nel suo cestino. Poi Selly esce a fare una passeggiata. Anne prende la biglia di Selly e la mette nella scatola mentre Selly è via. Selly torna e vuole giocare con la sua biglia. Lo sperimentatore chiede: “Dove cercherà la biglia Selly?”. La maggior parte dei bambini normali e Down ha risposto correttamente, cioè “nel cestino”. I bambini autistici, invece, hanno indicato la scatola perché non hanno considerato la credenza di Selly. È possibile che i bambini autistici non abbiano voluto attribuire stati mentali a due bambole, ma potrebbero farlo con persone reali. Così, Alan Leslie diede una moneta ad Uta Frith e le chiese di nasconderla in un posto specifico e chiedendo poi al bambino di ricordarle dove aveva messo la moneta. Poi lascia la stanza con una scusa. Alan, mentre Uta era fuori, spostò la moneta in un altro posto. Alla fine Alan chiese al bambino: “Dove cercherà Uta la moneta quando tornerà?”. I risultati furono gli stessi i bambini autistici rispondevano in modo errato ed inoltre affermavano che quello era il luogo dove Uta sapeva che si trovasse la moneta. La matita nel tubetto degli smarties. Forse ai bambini autistici non piaceva attribuire una falsa credenza a un’altra persona. Così venne fatto un altro esperimento con un tubetto di smarties. Tutti i bambini esaminati si aspettavano che dentro al tubetto ci fossero i cioccolatini e rimanevano delusi quando usciva fuori una matita. Se i bambini normali capivano che anche i compagni dopo di loro avrebbero fatto il loro stesso errore, i bambini autistici credevano che un nuovo bambino, che per la prima volta vedeva il tubetto di smarties, sapeva già che dentro ci fosse la matita e non i cioccolatini. Fumetti per fisici, comportamentisti e psicologi. Per verificare se i bambini autistici hanno una mente comportamentista, Simon Ba...


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