5-Rousseau- Narciso o l\'amante di se stesso Pigmalione PDF

Title 5-Rousseau- Narciso o l\'amante di se stesso Pigmalione
Author Luciana Amoruso
Course Letterature comparate
Institution Università degli Studi di Catania
Pages 19
File Size 289 KB
File Type PDF
Total Downloads 116
Total Views 143

Summary

riassunto libro su Narciso...


Description

SIGNIFICATO DI PIGMALIONE. Da qui l’uso di definire “pigmalione” chi assume un ruolo di guida nei confronti di una persona rozza (soprattutto donna), plasmandone la personalità, sviluppandone le doti naturali e affinandone i modi. MITO: Pigmalione, re di Cipro, era famoso per la sua abilità di scultore. Egli era così devoto a quest'arte a tal punto, da rinunciare al matrimonio, anche perché secondo lui, nessuna donna poteva eguagliare in bellezza le forme femminili che egli stesso era capace di modellare. C'era in particolare una statua d'avorio alla quale egli aveva lavorato così a lungo e così appassionatamente da eleggerla ad ideale amoroso. Pigmalione era disposto a dare tutto ciò che possedeva per vedere la statua animarsi, la ritoccava ogni giorno per renderla sempre più perfetta, e la notte gli giaceva accanto, con la speranza di vederla mutare in carne ed ossa. Galatea era il nome che egli aveva dato alla statua, l'ornava di preziosi tessuti e di gioielli, ma nonostante questo l'immagine rimaneva immagine. Arrivò intanto il periodo nel quale si celebravano riti in onore di Afrodite, dea protettrice dell'isola. Pigmalione allora si recò al tempio della dea, portandole ricche offerte ed innalzando una preghiera appassionata. Nella preghiera domandava alla dea dell'amore di concedergli per sposa colei che egli stesso aveva forgiato con le sue stesse mani. La dea sentendosi invocata, fece innalzare le fiamme dell'altare fino al cielo per tre volte, facendo cosi capire il suo assenso alla richiesta. Pigmalione, allora, si precipitò a casa, speranzoso di abbracciare la sua Galatea, quando arrivò vide mutare la sua superficie d'avorio, il suo petto sollevarsi, i suoi occhi chiudersi. Egli quindi afferrò la sua mano e sentendola diventare calda e soffice riuscì a sentire il polso palpitare. Pigmalione e Galatea si sposarono ed ella diede alla luce Pafo e, secondo alcuni anche Metarme. Pafo, successore di Pigmalione, fu il padre di Cinira, che fondò a Cipro la città di Pafo e vi costruì il famoso tempio di Afrodite. Secondo alcuni studiosi il nome che Pigmalione diede alla sua statua non fu Galatea ma Eburnea, che significa fatta d'avorio. La statua, priva di nome nel mito, è stata denominata da autori moderni (dal XVIII secolo in poi) Galatea. Il mito di Pigmalione viene ripreso da Petrarca nel sonetto LXXVIII del Canzoniere, quando il poeta aretino descrive il suo rimpianto nella contemplazione di un'opera di Simone Martini raffigurante Laura: un sentimento che muta quasi in frustrazione, proprio in virtù di un confronto tra la sua sorte e quella dello scultore. Nell'uso comune, si definisce "pigmalione" chi assume il ruolo di maestro nei confronti di una persona rozza e incolta, specialmente una donna, plasmandone la personalità, sviluppandone le doti naturali e affinandone i modi. Il mito di Pigmalione, oltre a essere uno dei più raffinati fra quelli narrati nelle Metamorfosi, costituisce anche un accesso privilegiato per entrare nel multiforme

universo creativo di Ovidio e comprendere il modo originale con cui egli rileggeva la mitologia, conferendole nuova vita. Non possediamo, purtroppo, attestazioni della leggenda di Pigmalione anteriori a quella ovidiana, ma di questo personaggio parlarono anche Clemente Alessandrino e Arnobio (due Padri della Chiesa), che inoltre individuarono in modo esplicito in Filostefano di Cirene la propria fonte comune. Filostefano visse nella prima età ellenistica e fu autore di una raccolta di mirabilia (cioè di “fatti prodigiosi”) dal titolo Sugli eventi straordinari accaduti a Cipro, opera da cui ha probabilmente attinto lo stesso Ovidio. L’ambientazione cipriota ha fatto pensare che si tratti di un mito locale (quindi non greco), a cui si faceva risalire il costume della prostituzione sacra. Tale pratica arcaica, ancora vigente a Cipro e in altre località dell’Asia Minore in epoca ellenistica, non poteva non risultare eterogenea ed eccezionale a un esponente della cultura greca di allora come Filostefano (che perciò inserì la vicenda fra i suoi mirabilia, “eventi fuori del comune”). I due Padri della Chiesa, invece, se ne servono per mostrare a quale sorta di empietà il culto dei pagani poteva condurre l’uomo. Clemente, inoltre, alla polemica contro le divinità olimpiche, consueta nella produzione cristiana del tempo, aggiunge anche una severa requisitoria contro l’arte, accusandola di essere in grado, se praticata ad alti livelli, di riprodurre la realtà in modo così perfetto da ingannare l’uomo, sino a fargli perdere il senno. L’episodio del re cipriota non rappresenta l’unico caso di agalmatofilia (cioè, “amore per una statua”) documentato dalle fonti antiche: nella Storia varia di Eliano e nei Deipnosofisti di Ateneo si narra, in più occasioni, di individui colti da un’irresistibile attrazione per un simulacrum. Lo stesso Arnobio racconta di come un giovane di Cnido si fosse acceso di desiderio per una statua di Afrodite nuda scolpita da Prassitele, fino a volersi congiungere con questa. Anche gli Amori, attribuiti in modo incerto a Luciano, fanno riferimento alla stessa leggenda popolare, con in più un particolare macabro circa la terribile morte che l’innamorato si diede dopo la profanazione dell’effigies: egli si lasciò cadere da un dirupo oppure, secondo altri, si gettò in mare. Pene analoghe erano previste per l’incesto, considerato dagli antichi una tra le più gravi aberrazioni sessuali. L’immagine di una divinità era considerata sacra quanto la divinità stessa e dunque era assolutamente intoccabile: chiunque la profanasse, anche amandola, era interdetto dalla società civile e, non potendo più entrare in contatto con essa, era lasciato in balia delle forze naturali quasi alla stregua di un mostro. Proprio in questo il Pigmalione ovidiano si differenzia dalla tradizione, presentando caratteristiche proprie, nonostante in generale si ispiri al personaggio della tradizione inaugurata da Filostefano e ricalchi altre figure ad esso simili. Innanzitutto non è un sovrano, ma un artista che si invaghisce della sua stessa creazione; questa poi, lungi dal rappresentare una divinità, è l’immagine della sua donna ideale; con la statua, infine, egli non ha

alcun rapporto sessuale, ma si limita a ricoprirla di attenzioni, come il più tenero degli amanti. Se il racconto di Ovidio può a tal punto distanziarsi dalla tradizione ciò dipende dal fatto che egli – trasferendo la leggenda dalla sfera sacrale, cui tutti i racconti menzionati appartengono, a quella umana – laicizza il mito, rinnovandolo. Questo l’inizio del mito di Pigmalione narrato da Ovidio nel X libro delle Metamorfosi (vv. 243-297), questo l’inizio di una storia d’amore apparentemente impossibile. Pigmalione è un abile scultore di Cipro. Nell’incapacità di trovare una donna degna del proprio amore e di fronte alla lascivia delle donne della propria isola (le Propetidi appunto, che hanno oltraggiato la divinità di Venere prostituendosi), Pigmalione rifugge il matrimonio e dedica la propria vita alla solitudine. Decide quindi di modellare una statua, chiamata Galatea, che incarni il proprio ideale di donna e di cui si innamora (vv. 247-258). Pigmalione colma la statua di tenerezze: le porta doni, la veste e la orna con orecchini e anelli. La chiama sua amante e la adagia sul letto per farla riposare. Prega gli dei di farla diventare sua sposa. Venere coglie la supplica e il desiderio di Pigmalione diviene realtà (vv. 280-294). l mito di Pigmalione è sicuramente uno dei più raffinati racconti delle Metamorfosi: in poco più di cinquanta versi (vv. 243-297) Ovidio riflette sul significato dell’arte e dell’amore con uno stile delicato ma mai eccessivo. Diversamente da Narciso, punito dagli dei per essersi innamorato del proprio riflesso, Pigmalione incorre nella grazia divina. Nella brama smaniosa nutrita per la propria opera, l’artista rifugge ogni eccesso, ogni furor insano ed empio. Egli rifiuta la realtà, preferendo la propria creazione artistica e la sua perfezione. Pigmalione evade consapevolmente da una realtà sconsolante e tetra: la sua arte non è più mimesis, ma creazione ex novo di un ideale, che l’artista sceglie di vivere abbandonandosi alla sua illusione, ma anche godendo della sua perfezione. Da artifex, artista, Pigmalione scardina il concetto estetico di arte antica e, senza imitare la realtà, asseconda un’esigenza tutta interiore e crea un amore puro e incontaminato, in cui l’arte supera la realtà per bellezza e completezza. La narrazione ovidiana è l’attestazione più antica che possediamo del mito di Pigmalione. Dopo Ovidio parlano di tale personaggio anche due padri della chiesa, Clemente Alessandrino e Arnobio. Questi citano il mito in chiave cristiana e critica, mostrando di quali empietà il culto pagano fosse fautore. Clemente e Arnobio individuano esplicitamente la propria fonte comune in un autore di età ellenistica, Filostefano di Cirene, autore di una raccolta di mirabilia (“fatti prodigiosi”) dal titolo Sugli eventi straordinari accaduti a Cipro. Si pensa che lo stesso Ovidio abbia attinto a tale raccolta come fonte. L’amore di Pigmalione per la statua (agalmatofilia) non rappresenta un unicum all’interno della cultura antica. Come attestano Eliano nella Storia varia e Ateneo nei Deipnosofisti,

l’attrazione irrazionale per le statue coglieva paradossalmente diversi individui. Ma il racconto ovidiano rivela la propria originalità all’interno di una tematica diffusa. Molti di questi stravaganti amori erano rivolti a immagini di dee, considerate sacre quanto la stessa divinità. La loro profanazione comportava un’esclusione dalla società. Nel racconto di Filostefano, infatti, Pigmalione è indicato non come un semplice scultore, ma come il re della stessa Cipro, innamoratosi della statua di Afrodite a tal punto da volersi unire alla statua della stessa dea. Il Pigmalione ovidiano, pur ispirandosi al personaggio della tradizione, se ne differenzia. Il suo amore è rivolto, infatti, a una donna ideale e alla statua dedica attente cure, che mai si mutano in attenzioni sessuali. Ovidio ha quindi laicizzato il mito, trasferendolo dalla sfera sacrale della tradizione a quella prettamente umana tutta ovidiana.

Il testo comprende la commedia di Rousseau “Narciso o l’amante di se stesso” e un'altra opera teatrale: il melodramma “Pigmalione , scena lirica”. In questi due lavori l’autore mette in scena due miti d’amore e di metamorfosi: l’adattamento in ambientazione settecentesca della storia di Narciso, innamorato della propria immagine, innamorato della propria immagine ; e il mito dello scultore Pigmalione, innamorato della propria opera. Rousseau porta sul palco , insieme alle storie dei protagonisti, alcuni dei problemi filosofici della sua riflessione: la tensione tra essere e apparire, le patologie dell’amor proprio, l’inganno delle relazioni, l’ambiguità della finzione, l’ineguaglianza sociale. I personaggi sulla scena divengono metafora e figura dei concetti filosofici con cui Rousseau analizza le metamorfosi dell’uomo nella società. Un lungo periodo di tempo separa le due opere, che sono tuttavia legate da una trama sottile di fili e connessioni. Narciso è un capolavoro di gioventù -> commedia che debutta anonimamente nel 1752. Ciò nonostante Rousseau fece ritirare l’opera dalla scena e la pubblicò poco dopo preceduta da una prefazione. Siamo negli anni della sua posizione nettamente anti-illuminista. Narciso è dunque uno dei primi testi mai scritti da Rousseau e la sua pubblicazione coincide con gli inizi della sua attività filosofica. Pigmalione, rappresenta un prodotto della maturità. Pubblicato nel 1762. Accanto alla forma drammaturgica , il primo punto di contatto immediato tra Narciso e Pigmalione è dato dal fatto che entrambi rielaborano due miti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio. Nella commedia di Rousseau , Narciso è menzionato solo nel titolo: il protagonista è Valère, un giovane ricco vanesio in procinto di sposarsi con Angèlique secondo il volere del padre. La vicenda è innescata dall’iniziativa della sorella di Valère, Lucinde, che commissiona un ritratto del fratello in vesti femminili e glielo fa trovare sopra lo specchio, con l’intento di indurlo a rendersi conto della

sua esagerata attenzione per la propria apparenza. Inaspettatamente , Valère non comprende di essere lui stesso il soggetto del ritratto , e parte alla ricerca della misteriosa fanciulla, mettendo in dubbio le proprie nozze. Solo allo scioglimento della propria vicenda egli realizza il proprio errore e si dichiara disposto a superare la propria superficialità per impegnarsi seriamente nel rapporto con la futura sposa. Nel Pigmalione Rousseau riprende la vicenda, tramandata da Ovidio e mantiene una vicinanza più stretta con il modello ovidiano. Narciso è un opera rielaborata del mito e lo traspone nell’epoca contemporanea. Rousseau dà un’interpretazione personale alla storia tradizionale. Ad accomunare i due lavori è il fatto di essere legati a momenti di crisi della traiettoria del pensiero dell’autore. È importante segnale che Rousseau concepisce il proprio pensiero come un tutto germogliato dal seme di un’unica illuminazione improvvisa, scatenata dalla letteratura del concorso dell’Accademia di Digione sulla strada per Vincennes. Il fatto stesso che Narciso e Pigmalione siano due lavori destinati alla rappresentazione sembra infatti costruire un problema per chi si accosta all’autore del primo Discorso e della lettera a d’Alembert sugli spettacoli. Come noto, nel primo Discorso Rosseau condanna le scienze e le arti in quanto causa del decadimento morale dell’uomo nella società, mentre con la lettera si oppone alla proposta di aprire un teatro a Ginevra, sostenendo che questo ne avrebbe corrotto i costumi e la politica e cogliendo l’occasione per elaborare un’ampia critica degli spettacoli in generale. Narciso fece dunque scalpore per la vistosa contrarietà nella condotta di Rousseau, che sembrava impegnato su di un fronte a combattere le scienze e le arti e sull’altro a coltivare eccentricamente la propria carriera d’artista. Questa tensione viene affrontata nella Prefazione , che a prima vista sembra non occuparsi affatto della commedia, ma appare piuttosto dedicata a difendere la persona di Rousseau e la tesi del primo Discorso. Non si può ignorare il fatto che Rousseau abbia scritto questo testo per introdurre alla lettura della sua commedia. La prefazione mette in luce il nesso genealogico, fondamentale tra il desiderio di distinguersi e la diseguaglianza sociale. La diseguaglianza costituisce la caduta materiale, istituzionalizzata e sociale del fenomeno psicologico che nel secondo Discorso Rousseau descriverà nei termini della trasformazione dell’amore di sé in amor proprio, nella spinta all’esibizione del sé finalizzata a vincere la competizione per il riconoscimento sociale che è all’origine anche delle scienze e delle arti. Il desiderio di distinguersi è presentato come base genealogica della diseguaglianza e della ricerca del sapere. È da questa radice aviatica che si sono sviluppati i mali che caratterizzano lo stato dell’uomo nella società (assenti nello stato di natura). Non si otterrebbe alcun tipo di giovamento se venisse messa in atto l’ipotesi , paradossale di bandire le arti, le scienze e la cultura in generale: non solo gli uomini non riacquisterebbero le qualità perdute, ma la società cadrebbe in uno

stato di caos e di violenza ancora peggiore dell’ingiustizia attuale. L’argomento di Rousseau si concretizza in una teoria dell’arte e della scienza configurate come pharmakon, una sostanza le cui proprietà possono essere benefiche o nocive a seconda dei tempi e dei modi di somministrazione. Laddove l’effetto deleterio della cultura si è consumato, essa può e deve essere utilizzata per combattere i mali che ha provocato. È questo il fulcro teorico della Prefazione , attraverso il quale si chiarisce il nesso tra questa e la commedia che introduce. A partire dalla constatazione del male, si prospettano due soluzioni: modello allopatico (rivoluzioni radicali capaci di stravolgere un regime ingiusto portandolo alla distruzione) e modello omeopatico (che prende atto del male e intende alleviarlo trovando una conciliazione possibile tra gli elementi del sistema. Tale conciliazione richiede una metamorfosi dell’elemento nocivo, tramite la quale esso si trasforma in rimedi. Quindi per Rousseau lo spettacolo costituisce un vero e proprio diversivo rispetto alle possibili azioni malvage che i suoi spettatori potrebbero altrimenti compiere. Si prende in causa la nozione di “divertimento”. Dal lat. Divertere o devertere -> volgere altrove, deviare. Gli spettacoli distolgono gli uomini dalle loro occupazioni e dai loro doveri famigliari/cittadini. Lo spettacolo in quanto divertimento assume una sua funzione morale, o quasi. A ciò si deve aggiungere il pharmakon: tramite lo spettacolo è possibile distogliere il pubblico dalla propria condizione abituale concentrandone l’attenzione verso la rappresentazione. Quindi con la teoria del pharmakon, la Prefazione fornisce una chiave per interpretare il ruolo del Narciso che si estende anche a Pigmalione. Entrambe le opere mettono in scena lo spettacolo di una cecità. Come visto , Narciso e Pigmalione narrano due miti di metamorfosi, di mutamento di forma. Collocando le due opere all’interno dell’arco filosofico inaugurato con il primo Discorso e assumendo la funzione socio-politica che la Prefazione attribuisce al teatro, l’elemento della metamorfosi diviene un comune denominatore che permette di stabilire un nesso tra esse e il secondo Discorso. La metamorfosi è una metafora essenziale che attraversa il discorso sulla disuguaglianza. Rousseau ricorre ad altri due personaggi tratti dalle Metamorfosi ( statua di Glauco e la vicenda del re Mida) per illustrare metaforicamente due tesi fondamentali del secondo Discorso : il passaggio dallo stato di natura allo stato sociale altera (sfigura) la natura dell’uomo e tale alterazione è senza ritorno. La natura è assunta da Rousseau a ideale normativo costituito da un riferimento all’origine , ma l’origine è andata perduta e la sua conoscenza soltanto ipotetica. Rousseau ritrae l’uomo di natura come un animale non ancora razionale e non ancora morale che vive una vita semplice e solitaria, guidato da due principi fondamentali della pietà e dell’amore di sé, che regolano i suoi bisogni e la ricerca dei mezzi per soddisfarli. Gli uomini sono assolutamente liberi, uguali e indifferenti ai propri simili: l’umanità vive in pace, dispersa sulla terra. Tutto

questo cambia in maniera irreversibile con la metamorfosi fondamentale su cui si fonda l’interpretazione di Rousseau: la metamorfosi dell’uomo naturale in uomo sociale, che modifica irreversibilmente il suo ambiente naturale. Questa ha inizio con la prima grande rivoluzione dei rapporti tra gli uomini, ovvero l’avvicinamento delle famiglie e la scoperta dell’amore da parte dei giovani. Ciò da avvio a un rapporto complesso di interazione reciproca tra le trasformazioni morali e intellettuali dell’animo e le condizioni materiali dell’esistenza degli uomini, ma la radice della metamorfosi antropo-ambientale è imputabile all’insorgere dell’amor proprio. Questo oltrepassa i confini della competizione amorosa per spostarsi sul terreno, ormai politico della ricchezza materiale e del potere sulle persone. Confrontando il personaggio di Valère con l’uomo naturale emergono analogie interessanti. Egli è giovane, inesperto, non molto giudizioso , impulsivo; egli è appassionato e interessato all’amore, ma in un ottica secondo la quale la cosa più importante è dimostrare a se stesso la capacità di suscitare il desiderio e l’ammirazione dell’altro. Tutto questo lo rende ottuso e facile vittima di inganno. Le caratteristiche di Valère, del tipo di Narciso, risultano sovrapponibile a quelle dell’uomo giunto all’estremo limite dello stato di natura, un momento prima dell’introduzione della proprietà privata. Il perno del carattere e dell’esistenza di Valère è l’amor proprio, che ne determina la concezione del tutto superficiale di sé e dei suoi rapporti con gli altri. L’amor proprio costituisce e alimenta l’immagine di sé che , attraverso il confronto competitivo con l’altro, separa gli individui ostacolando la pietà. Non solo: esso limita gravemente anche la conoscenza di sé, dal...


Similar Free PDFs