9.6, Gabriele D\'Annunzio e l\'estetismo PDF

Title 9.6, Gabriele D\'Annunzio e l\'estetismo
Author Giulia Saletti
Course Istituzioni di letteratura italiana
Institution Università degli Studi Roma Tre
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Summary

Riassunto dettagliato del capitolo del manuale "Storia della letteratura italiana, dall'800 al 900" (di Giulio Ferroni ) per esame di Istituzioni di letteratura italiana della prof.ssa Venturini...


Description

9.6 Gabriele D’Annunzio e l’estetismo Negli anni Ottanta cominciano a diffondersi anche in Italia quelle tendenze estetizzanti che caratterizzano la più raffinata cultura decadente europea. Scrittori e intellettuali si scagliano contro l’utilitarismo e i ristretti orizzonti mentali della società borghese, esaltando l’arte come esperienza assoluta, come conquista della bellezza, che si manifesta anche in forme esteriori. In questo estetismo non si ritrova lo spirito anarchico e critico, quella negazione ironica della stessa arte e del ruolo dell’artista che animavano l’orientamento degli scapigliati: mira invece a rivendicare una superiorità dell’arte su qualsiasi altra esperienza e a conquistare lo stesso mondo borghese. L’estetismo propone modelli eccezionali, offre immagini eleganti, bizzarre, morbose, ha il gusto dell’inutile e del prezioso, si presenta come punto d’arrivo di una cultura estenuata e raffinata, per esprimere la quale è fondamentale l’intreccio delle arti più diverse. L’estetismo nutre una predilezione per la mondanità, per la vita frivola, per gli oggetti preziosi. La vita stessa deve essere vissuta come un’opera d’arte. Si disprezzano la corruzione politica dell’Italia contemporanea, si è attratti dal mistero a dall’inesprimibile, ma si guarda con favore allo sviluppo industriale e scientifico, si cercano nuovi e più raffinati modi di espressione. L’estetismo italiano sembra porsi come uno strumento per impadronirsi del mercato culturale borghese, per attribuire agli artisti un ruolo di guide culturali. I caratteri dell’estetismo italiano si riassumono nella vita e nell’opera del suo propulsore e mediatore, Gabriele D’Annunzio, che ne guidò le varie fasi. Ma il movimento si impose come una vera e propria moda culturale attraverso una serie programmata di iniziative collettive: diffusero presso il pubblico uno stile figurativo e decorativo che confluì nel cosiddetto “liberty”. Roma, la nuova capitale degli anni Ottanta, fu il centro dell’estetismo, che fruì nel nuovo giornalismo e nella nuova editoria. Essenziali per Roma furono l’attività editoria di Angelo Sommaruga (“Cronaca bizantina”) e più tardi l’estetismo dannunziano (che trovò un punto di riferimento nel Caffè Greco di Via Condotti) allargò i propri riferimenti culturali e si espresse attraverso la nuova rivista romana “Il convito”.

Gabriele D’annunzio Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara nel 1863. Rivelò da subito una precoce passione per la letteratura, di imporsi e primeggiare e già negli anni del collegio pubblicò la prima raccolta poetica, “Primo Vere” sotto falso nome. Quando arrivò a Roma, nel 1881, si gettò nel vortice della vita mondana, letteraria e giornalistica, si conquistò un ruolo di protagonista nella vita culturale romana, tra amori e frequentazioni di salotti, costruendo attorno a sé il mito di una vita intesa come opera d’arte e di un’esistenza all’insegna della bellezza. Al vertice di questa face c’è la pubblicazione del romanzo “Il Piacere” nel 1889. Intanto, dopo un matrimonio e altri amori, le sue energie erotico-mondane si scatenano in una relazione con Barbara Leoni. Si trasferì poi a Napoli, in un periodo che chiamò di “splendida miseria”, a causa dei molti debiti. Si ritirò poi in Abruzzo, dove trovò il punto più alto del suo impegno nel genere del romanzo con “Il trionfo della morte”, così come nel campo della poetica, con il “Poema paradisiaco”. Durante il periodo abruzzese e dopo molti viaggi, inizia una relazione con l’attrice Eleonora Duse. Le sue ambizioni mirano a un’arte suprema e si banditore della teoria del superuomo, ricavata da Nietzsche e dal teatro musicale di Wagner. Dopo il romanzo “le vergini delle rocce”, cerca la strada della tragedia moderna con “La città morta”, cui fanno seguito una fittissima produzione teatrale, aprendo una strada di grande creatività (prime “Laudi” e il romanzo “Il fuoco”). Poi si ha l’inizio della relazione con la Gravina, la conclusione del libro delle Laudi, la tragedia “La figlia di Iorio”, una nuova relazione con Alessandra di Rudinì, il romanzo “Forse si che forse che no”, viaggi in Francia (belle epoque), fino ad arrivare alla prima guerra mondiale, durante la quale tenne numerosi discorsi interventisti, compiendo molte azioni belliche (perdette l’occhio nel 1916) che gli diedero la fama di eroe nazionale. Alla fine della guerra, nel 1919, condusse una battaglia per l’annessione di Fiume, della Istria e della Dalmazia e guidò l’impresa di Fiume alla testa di bande armate di legionari, che occuparono la città e vi instaurarono la Repubblica della “Reggenza del Carnaro”, fatta cadere l’anno dopo da Giolitti. Questo avvicinò D’Annunzio al regime fascista, ma si trovava con propositi diversi e nutriva riserve e dubbi nei confronti di Mussolini, fu tagliato fuori dal corso degli eventi e si ritirò sul lago di Garda in uno splendido isolamento, guardando la sua vita “inimitabile” con malinconia, come qualcosa di perduto. Lasciò la sua casa in eredità allo Stato (“il vittoriale degli italiani”), dove morì nel 1938, osannato.

o Il sistema della scrittura dannunziana

Quasi in ogni momento, D’Annunzio rivela una creatività eccezionale nella scrittura, nell’invenzione e nella manipolazione di parole. Questa creatività deriva da una singolare ricettività di fronte alle letture e alle esperienze più varie, combina modelli antichi e moderni e spesso travasa materiali dall’una all’altra delle sue stesse opere. Lettore attento, D’Annunzio è sempre all’erta per ricavare prodotti letterari dalle fonti più disparate: come il protagonista del Piacere, egli appare sempre avere “bisogno di un’intonazione musicale” datagli da un altro scrittore, e intreccia temi, immagini, motivi, inserisce citazioni esplicite o meno, combina parole preziose ricavate da vocabolari. Servendosi in primo luogo di letture francesi, mette in circolazione tematiche di estrema attualità, costruendo con la sua opera “una monumentale enciclopedia del decadentismo europeo” (Baudelaire, Flaubert, Huysmans, i preraffaelliti, Wagner, Nietzsche...).

o Da “Primo Vere” al “Poema paradisiaco” La sua viene definita “poesia onnivora” per l’aspirazione a impadronirsi di tutta la letteratura, a sperimentare tutte le forme di vita: da qui una ricca varietà di moduli metrici e scelte linguistiche, una libertà di tipo barocco, con la moltiplicazione e l’espansione degli schemi tradizionali e un’autentica ricerca conoscitiva e espressiva. “Primo vere”, raccolta pubblicata nel 1879, rivelò subito la sua eccezionale capacità mimetica, che si piegava alle forme del classicismo carducciano. Queste qualità dovevano esplodere in “Canto novo” (1882), 63 componimenti in 5 libri, i cui versi si basavano si schemi metrici “barbari”, con un prezioso linguaggio classicistico sulle forme fisiche della natura: i paesaggi solari, marini, silvestri…il mondo naturale che si intrecciava con la figura femminile. In questa “poesia della vacanza”, D’Annunzio esprimeva una vitalità eccitata e quasi animalesca, che si situava al di qua di ogni schema ideologico, di ogni vera pretesa culturale. Ma una nuova edizione di “Canto novo” (1896) trasformò la struttura dell’opera, esprimendo le più recenti ambizioni culturali dell’autore sviluppate negli anni Novanta, quel mondo solare e trionfante che si riallaciava ai miti pagani della natura, con una nuova esaltazione della forza rigeneratrice e di distruttrice della “gioia” (Nietzsche). La raccolta poetica apparsa nell’’83, “Intermezzo di rime”, contiene componimenti nei metri più consueti della tradizione italiana, ma svolge una tematica di tipo esplicitamente decadente. Me nacque una polemica giornalistica sull’inverecondia del libro, che fece bene al poeta, impegnandosi a recitare la parte del “poeta maledetto”. Nel 1890 appare “Isotteo e la Chimera” (poi divisa in due raccolte), con ripresa di temi, frammenti, citazioni, formule linguistiche e metriche della più varia poesia antica e moderna: c’era tutto un pullulare di passi fatti “alla maniera di” questo e quell’altro autore. “L’isotteo” si basava su un rifacimento di forma stilnoviste, trecentesche e quattrocentesche; “La chimera” è forse il più compiuto repertorio delle ambigue ricercatezze dell’erotismo decadente, in cui si intrecciano amore e morte, il fascinoso e il deforme, mostri, cristalli, figure di origini preraffaellita: il poeta vi rivela una curiosità tutta esteriore per l’arte figurativa, per le parole insolite e squisite che conferiscono rilievo visivo a quegli oggetti da museo. Nel 1892 apparvero le “Elegie romane”, orientate verso un più equilibrato classicismo, che guarda al modello delle omonime elegie di Goethe, utilizzando gli schemi “barbari” carducciani. Ma l’opera che conclude la poesia giovanile di D’Annunzio è il “Poema paradisiaco” (1893): si trovano toni più delicati e smorzati e un’inquieta malinconia; le scelte metriche confortano questi nuovi toni, perché vi prevalgono endecasillabi dallo svolgimento lento e cadenze che sfiorano l’irregolarità e il falsetto. D’Annunzio cerca di fare suoi alcuni temi e atteggiamenti del più recente simbolismo, individuando segrete analogie tra cose, in giardini e paesaggi, in momenti del giorno, in statue e figure, in musiche e frammenti della realtà quotidiana.

o Tra estetismo e naturalismo: le novelle abruzzesi

Nel 1881, D’Annunzio trovava nel campo della prosa un grande modello di rappresentazione contadina, “Vita dei campi” di Verga, e poteva valersi di propri bozzetti di vita abruzzese, che vennero poi raccolti nel volume “Terra vergine” (1882). Il mondo popolare diventa qui pretesto per disegnare situazioni di incontenibile sensualità, manifestazioni di natura primigenia e incontaminata. D’Annunzio segue vicende quasi sempre scabrose e distruttive (Flaubert, Zola, Maupassant), e lo scrittore si ostina in scene di ribrezzo fisico, di disfacimento e di violenza. Il mondo abruzzese diventa un teatro della crudeltà che l’autore guarda da lontano, per le situazioni scabrose e esasperate che può costruirvi sopra. Il grosso di questa produzione fu raccolto nel volume “San Pantaleone” e poi sistemato con il titolo definitivo di “Novelle della Pescara” (1902).

o Il romanzo della Roma bizantina: “Il Piacere” Il primo romanzo di D’Annunzio venne scritto nel 1888. “Il piacere” ha ancora qualcosa di ingenuo, segnato com’è dall’entusiasmo dell’autore per la “conquista” della cultura dell’estetismo. Ha un impianto narrativo e strutturale esile e modi di rappresentazione che appartengono al pieno naturalismo, anche se cerca comunque di uscire da questi limiti, di inoltrarsi in sottili analisi psicologiche, di scandagliare le complicazioni della vita intellettuale. Al centro del romanzo c’è un intellettuale, Andrea Sperelli, che per molti caratteri si identifica con l’autore e del quale si descrivono le ambizioni, le contraddizioni, i gusti artistici e le idee. Sperelli è un aristocratico, “ultimo discendente di una razza intellettuale”, educato dal padre a costruire la propria esistenza come un’opera d’arte e nello stesso tempo a dominare e a possedere. Ma nello stesso tempo è dominato dalla passione dell’artificio e della finzione, che lo portano a instaurare un rapporto distaccato e ambiguo con gli stessi oggetti che colleziona, con gli ambienti che frequenta, e soprattutto con le numerose donne a cui è legato. Il romanzo si apre con l’incontro di Andrea con la vecchia amante Elena Muti: ricorrendo a un flashback, lo scrittore narra le vicende della loro passata relazione, e poi il rinascere di quella passione. Al rifiuto di questa, Andrea si rituffa nella vita mondana di Roma, di cui vengono descritti vari momenti esemplari. Ferito in duello, passa la convalescenza presso una cugina, e lì conosce Maria Ferres, una donna dolce, appassionata, con una femminilità apposta a quella di Elena. Nel nuovo rapporto con Maria si inserisce sempre più velenosamente il desiderio dell’altra, verso cui Andrea prova un amore morboso, giungendo a pronunciare il nome di Elena mentre ha tra le braccia Maria, che fugge via. In Andrea Sperelli l’autore denuncia l’incapacità di sintesi, l’incoerenza, la mancanza di autenticità e spontaneità; viene presentato come “anima camaleontica”, che si abbandona alle “fantasmagorie molli e fuggevoli” del suo io. Nel romanzo c’è solo qualche vago tratto di stanchezza e tristezza, prima di tutto vuole essere un’esperienza eccezionale; i risvolti “tragici” di certe situazioni non solo altro che ingredienti per far meglio risaltare l’artificiale splendore della vita-opera d’arte di Sperelli. E l’estetismo trova il suo trionfo nell’elencazione degli oggetti artistici veri e fittizi e nella descrizione del consumo che il mondo romano fa degli oggi preziosi del passato: l’autore vuole che il pubblico resti comunque abbagliato da quelle ricercatezze, da quella estraneità alle norme morali. Il libro propone immagini smaglianti, ben confezionate, di ciò che il lettore se deve abituare a considerare “bello”, e le perfette descrizioni dei luoghi romani ci presentano una città-cartolina, di una bellezza che tanto più appare unica, tanto più si offre a un degradato consumo di massa. Presenta una prosa levigata e preziosa, con una grande semplicità sintattica (dominio della paratassi), ma rivela un’ostinata accuratezza nella scelta di parole rare e preziose, di nomi esotici o singolarmente sonori, e temi, motivi, figure, nomenclature si dispongono secondo una rete di corrispondenze e riprese che creano una sorte di sotterranea partitura musicale.

o Nuovi tentativi di romanzo problematico La prova fortunata del Piacere spinse D’Annunzio a ulteriori passi sulla strada del romanzo, a un approfondimento dell’analisi psicologica: lo scrittore cercò di confrontarsi con la più recente narrativa europea (romanzo psicologico francese e la narrativa russa) e cominciò a pensare a un nuovo romanzo, “L’invincibile”, basato sull’analisi della crisi intellettuale e legato alle vicende del suo amore con Barbara Leoni, ma varie difficoltà interruppero il lavoro e D’Annunzio si cimentò in una nuova novella, costruita sul monologo di un umile personaggio, “Giovanni Episcopo”. Lo scrittore avviò poi la stesura del romanzo “L’Innocente” (1891), che si presenta come la confessione di un personaggio che appartiene anche lui al mondo romano, Tullio Hermil, un nobile sempre pronto all’analisi di sé stesso

e delle sue passioni, insidiato dal gusto della finzione che gli impedisce qualsiasi autentica comunicazione con gli altri. Lo scrittore segue i conflitti che sorgono nel suo animo: dopo essersi riavvicinato alla moglie Giuliana, che aveva tradito, la trova incinta per un rapporto con un altro, ma la perdona e si reca nella sua casa di campagna. Tullio simula una piena bontà e si mostra pronto ad accettare la nuova situazione, ma dentro di sé nutre un sentimento di rifiuto verso quel paradiso familiare e un odio incontenibile verso “l’innocente” neonato, che egli fa morire esponendolo di notte alla fredda aria dell’inverno. Nel 1893 poi pubblico il romanzo “Il trionfo della morte”, articolato in 6 libri. Indaga il male che mina all’interno il personaggio principale, il tipo intellettuale dannunziano (con molti dati autobiografici, a cominciare dall’amante, Ippolita Sanzio, che trae spunto da Barbara Leoni), Giorgio Aurispa, un nobile di origine abruzzese, con molti caratteri in comune ad Andrea Sperelli, vittima di sottili turbamenti psicologici. La “malattia” di Giorgio si riassume nel contrasto tra una forte volontà di vita e il fascino che su di lui esercitano la passività e la morte, che bloccano le sue aspirazioni al lavoro e alla creazione artistica. Attraverso il rapporto con Ippolita cerca di soddisfare il proprio desiderio di assoluto, ma finisce col vedere in lei una “nemica”, una sensuale divoratrice, e si risolve in fallimento anche il tentativo di Giorgio di lasciare il frivolo mondo romano e di riscoprire le proprie radici: lui può solo constatare la difficile situazione della famiglia e il suo rapporto con il padre, che fanno crescere in lui le fantasie di distruzione e morte (richiami a Nietzsche e Wagner). Il romanzo ha fine con un atto omicida e suicida: Giorgio si getta da un promontorio trascinando con sé l’amante. Siamo qui davanti ad una successione di situazioni e stati d’animo: il romanzo non mira tanto a ricondurre a un’indagine critica sulle condizioni dell’intellettuale decadente, quanto a far proprio il tema del “fallimento dell’intellettuale”, che era ormai all’ordine del giorno, facendo somigliare il romanzo a “un grande melodramma”, affermando la nuova fede dannunziana nel superuomo.

o Il superuomo e la folla L’estetismo di D’Annunzio si dibatte tra opposte sollecitazioni: il gusto dello spettacolo e l’attenzione estrema agli effetti da provocare nel pubblico, e un disprezzo nella folla e nel volgo; l’ossessione decadente per il negativo euna voglia felice di godimento e di vitalità piena. Per sintetizzare, D’Annunzio conia alcune espressioni esemplari, come “la vita come un’opera d’arte”, “vivere inimitabile”, “rinnovarsi o morire” (appassionato di motti aristocratici). La scoperta di Nietzsche e soprattutto della teoria del superuomo, all’inizio degli anni Novanta, gli offrì l’occasione di risolvere le contraddizioni del suo estetismo: banalizzando il pensiero di Nietzsche, eliminandone la radicale negatività, ne fece uno strumento per liberarsi dalla crisi del modello decadente e per affermare la positività del divenire della natura e della storia. Additò infatti nella potenza conquistatrice e nella gioia vitale il destino degli uomini superiori, capaci di tracciare la strada per un luminoso futuro per la loro stirpe. L’esteta tende a trasformarsi in un eroe. In altre parole, l’artista si attribuisce il compito essenziale di guidare l’umanità alla più piena espressione di sé e nello stesso tempo alla conoscenza delle proprietà segrete e profonde della realtà (oltre che a Nietzsche, D’Annuncio pone attenzione anche alla poetica simbolista, come rivela “Poema paradisiaco”). Il teatro si rivela ben presto come strumento essenziale per esibire tali facoltà davanti alla “folla”, per riattivare il mito antico, per liberare nuove forze dionisiache. D’Annunzio afferma così il dominio della parola e dello stile, strumenti essenziali per “creare la vita”, e nega ogni crisi della letteratura nella società moderna: la letteratura è per lui destinata a uno straordinario sviluppo, grazie ai nuovi bisogni di sogno del pubblico di massa e giunge addirittura a preconizzare un “nuovo Rinascimento”.

o Da “Le vergini delle rocce” a “Forse sì forse che no” La nuova prospettiva si ritrova subito nel romanzo “Le vergini delle rocce” (1895), un’opera assurda e ambiziosa, dominata da una violenta polemica contro il mediocre e volgare mondo borghese e plebeo, con una riproduzione di valori eroici e del culto aristocratico della bellezza, delle sensazioni forti e straordinarie. Siamo ancora davanti a un protagonista nobile e pieno di qualità intellettuali, Claudio Cantelmo, che si esprime in prima persona, parlando del suo distacco da Roma, del suo rifugiarsi in Abruzzo e della sua ricerca di una donna degna di generare con lui un figlio destinato a salvare l’Italia. La ricerca punta su 3 sorelle di una famiglia, la cui virtù è però ostacolata da un cupo destino familiare, ed è destinata a fallire, mentre le tre “vergini” restano come cristallizzate in quel paesaggio. Il protagonista è convinto che quel

mondo sia la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori ed è guidato dal desiderio di divenire un dio. Disgustato dal mando intorno, vuole modellare la propria esistenza nelle forme di un Rinascimento aristocratico, attraverso anche una scrittura che si svuota di ogni intenzione narrativa e risvolto naturalistico, svolgendosi in una artificiosa e preziosa prosa poetica. Con “Il Fuoco” (1900) si ha una squillante esplosione del romanzo come forma poetica, saggistica e teatrale, come ambiziosa sintesi di tutte le arte e tutti i generi: il libro è scritto in terza persona e propone un protagonista, che è ancora una figura (autobiografica) intellettuale, Stelio. Ma la prosa dannunziana si immerge qui nelle suggestioni musicali e tonali che sprigionano da Venezia e dintorni. Il romanzo è div...


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