Alle origini del nomos nella grecia classica una prospettiva della legge per il presente PDF

Title Alle origini del nomos nella grecia classica una prospettiva della legge per il presente
Course Filosofia del Diritto
Institution Università degli Studi di Padova
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Filosofia del diritto...


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Alle origini del nomos nella grecia classica

Introduzione La legge oggi non individua più i precetti (principio, fine elevato) delle norme positive ma invece si limita a istituire le procedure che determinano i comportamenti sociali condivisi. Nel primo caso la legge dovrebbe identificare dei principi (fini elevati) da cui far discendere le norme; nel secondo invece la legge regola caso per caso i comportamenti tra individui con contrasti, senza un fine più elevato o un criterio fondamentale. Per questo si parla di un declino della legge positiva nelle fonti. La sua origine si può rintracciare nel giustnaturalismo seicentisco che riteneva la legge come uno canone per risolvere i contrasti tra soggetti. Questo declino si manifesta nell'esistenza di molteplici fonti (varie corti->frammentazione poteri politici) e criteri extralegali (autoreferenzialità del giudice). La legge si riduce a un provvedimento burocratico che porta ad un rafforzamento della giurisprudenza normativa. Il valore del diritto si può ricercare nel pensiero filosofico Greco. Esso infatti si basa sul concetto dell'intero (holon, contrapposto all'idea moderna dei particolarismi) che è visto come l'insieme delle parti che non si esauriscono nella loro somma ma sono tenute insieme dall'arché (somma parti + arché = intero). L'idea stessa di una totalità e dunque di principi fondamentali rende il pensiero greco durevole (da qui il termine classico). Oggi il termine legge designa un termine molto più ristretto rispetto al corrispettivo termine greco, nomos, essendo oggi ridotta ad un sinonimo di imposizione o norma autoritaria. Invece per i Greci il nomos è la legge sovrana la cui struttura è dettata dall'idea dell'intero ed è quindi il principio che armonizza gli interessi delle parti sociali contrastanti. Parte 1 Capitolo 1

1. Un intero armonico si ottiene ricercando l'equilibrio tra le sue parti contrastanti. L'idea dell'opposizione è una constante per i greci che sperimentavano un continuo conflitto interiore ed esteriore. Da qui la coesistenza tra la filosofia e l'idea di crisi. In greco krisis ha un doppio significato ambiguo: “frantumazione” e “giudicare distinguendo” cioè unificare ciò che opponendosi si disgiunge. Il diritto è un sapere della crisi perchè studia la crisi generata dalla controversia tra opposte pretese. Tale crisi non può essere negata, a meno di cadere in contraddizioni: o si ritiene assolutamente valida la propria posizione (dogmatismo) oppure si nega l'esistenza stessa della crisi rimanendo neutrali (scetticismo). L'idea di crisi va dunque accettata per impedire che sfoci nella violenza. La crisi designa il pensiero problematico (contrapposizione di tesi opposte) che necessita un azione giuridica e legislativa volta a conciliare in modo unitario. 2. La crisi conflittuale nei Greci è prima di tutto una crisi interiore tra gli atti razionali (ragione, logos) e quelli emotivi (follia, mythos). Da qui si sviluppa l'azione dialettica (dialeghesthai) che consiste nell'identificare il problema tramite una domanda, nell'esaminare e distinguerei pensieri tra loro opposti per risolverlo, scartando quelli effimeri e mantenendo quelli duraturi. Questo è già presente nei poemi di Omero sotto forma di dialeghesthai ovvero l'alternativa tra la vita e la morte (essere e nulla) che gli eroi devono

affrontare al fine di salvare il proprio onore. Essa si presenta come discorso tra voci interiori contrastanti che ha luogo nell'animo (thymos). Il conflitto dialettico si manifesta nella condotta dell'eroe, in quanto la riflessione è strettamente connessa all'azione. Nello stesso modo in cui l'eroe risolve dialetticamente il conflitto interiore, così diventa consapevole di un principio direttivo del comportamento sociale. Da qui deriva la visione classica della legge: il nomos nasce a causa del conflitto quando si delinea il criterio comune per risolverlo pacificamente. Sebbene il nomos non sia ancora esplicitamente citato nei poemi omerici, tuttavia in essi è presente il valore della buona legge. 3. L'idea di contrasto da cui nasce in nomos si trova anche nell'opera di Esiodo (VIII Sec. a.C.: Opere e giorni, Teogonia). In essa la legge ha già forza normativa ma costituisce anche la manifestazione di una facoltà data dagli dei agli uomini per risolvere le controversie in modo pacifico. Esiodo distingue la contesa buona e dannosa, per sottolineare la necessità dello svolgimento pacifico della lite amministrata da un terzo aggiudicante. Poiché Zeus affida il principio della giustizia pacificatrice, e non invece la norma, verso la quale l'uomo non può rimanere passivo, tale principio può essere visto come il nomos. 4. Eraclito (VI Sec. a.C.) sintetizza la concezione classica dell'esperienza giuridica, dove è necessario il conflitto ma è anche inevitabile la pacificazione e che la giustizia unifica conflitto (controversia) e congiungimento (mediazione). Per i Greci il dialogo scongiura la violenza. Quando invece una parte impone la propria verità, che è sempre parziale, si sfocia nella violenza. E' quindi necessario amministrare la contesa (Erinni). Sembra che la visione conflittuale di Eraclito sia organizzata dal nomos, e si procede ad una rivalutazione della legge come principio. Il nomos ha carattere sacro e indisponibile (e per questo Eraclito esige una sua difesa) cioè una norma di ragionevolezza, di limite. Nel senso arcaico il giudice mostrava il limite in modo tale che le parti non mettessero in discussione le reciproche pretese (passare il limite=hybris). 5. Platone denuncia l'inevitabilità del conflitto nei rapporti umani e la sua risoluzione mediante la dialettica agonistica, basata sulla confutazione socratica (battaglia di parole=logomachia). L'essenza di una cosa si raggiunge mediante la confutazione di tutte le possibili ipotesi alternative. Platone espone la definizione logica della dialettica nel “Parmenide” e l'uso nella vita pubblica nel “Repubblica”. Per Platone la soluzione del conflitto è data da una azione della comunità. Il riconoscere di non sapere, e quindi la necessità del sapere altrui, porta al dialogo capace di mediare il conflitto interiore e con gli altri. Attraverso la legge (nomos) gli elementi costituenti la polis mantengono la loro diversità, la quale potrebbe sfociare in violenza (politica, città e guerra hanno la stessa radice in greco). Platone usa la mitologia per argomentare queste idee: Zeus dona il rispetto reciproco agli uomini e la giustizia per amministrare il conflitto. Rispetto significa comprendere e rispettare il ruolo dell'altro nella società, sebbene sia un avversario con cui disputare. La legge e la giustizia sono valori giuridici perché risolvono le controversie intersoggettive. 6. La parola agon rappresenta una prospettiva conflittuale e competitiva della vita collettiva e designa: gara atletica, dramma tragico, disputa giudiziaria. Sebbene queste tre competizioni (aventi carattere sacrale, pubblico ed educativo) siano autonome, sono sempre regolate da un principio comune pacificatore che costituisce legge sovrana, che si esercita senza l'uso del dominio e della violenza. Il termine agon ha la stessa radice del termine agorà, la piazza dove si discute, e del verbo aghein che significa guidare, condurre, educare. Ciò spiega il significato di agon: principio competitivo che spinge a migliorare se stessi nel rispetto dell'avversario. Per i greci la competizione (cum petere=domandare reciproco) non è mai violenta e distruttiva, ma duratura, al fine di individuare il limite di ciò che è lecito e non. In

questa stesssa maniera si fa politica nell'agorà, attraverso i duelli argomentativi che portano alla formazione delle leggi. 7. Ai giochi atletici partecipavano gli spettatori, i commercianti e gli atleti, per osservare, nel senso di contemplare e riflettere (alla maniera dei filosofi). Ne risultava un interazione cooperativa e competitiva, non solo mentale ma anche pratica. I Giochi Olimpici rappresentavano la manifestazione pubblica più importante dello spirito agonistico greco, tanto da usare il quadriennio olimpico come un'unità di misura del tempo. L'atleta personifica la non violenza della contesa arcaica (athlos=lotta), si batte per la vittoria nel rispetto dell'avversario e accetta la sconfitta come miglioramento. Lo scopo pacificatore dei giochi, che imponevano la sospensione delle guerre (tregua olimpica), si realizza a livello della società greca nell'esperienza giuridica. Per i Greci esiste una strettissima relazione tre giochi e processo: il giudice come l'arbitro è un mediatore di contrasti; le parti corrispondono ai giocatori; la citazione in giudizio equivale alla sfida e il dialogo al duello; l'impugnazione e il passaggio in giudicato corrispondono alla rivincita e al risultato finale, rispettivamente. Violare la lealtà nella gara e l'equità nel processo costituisce un atto di hybris verso Zeus, la divinità giudice. 8.

L'azione scenica (drama=azione) è un'espressione della struttura agonistica greca in quanto prevede sempre almeno due attori che recitano parti in contrasto tra loro. Più nello specifico, la tragedia (canto del capro), nata dal culto di Dionisio, rappresenta la problematica del conflitto in modo mitico. L'essenza agonistica della tragedia si trova in tre punti. • Drammatizzazione del rito: le rappresentazioni drammatica inizialmente si svolgevano in accasione delle grandi Dionisie come rinnovo dell'alleanza con Dionisio. Nel mito egli è trasformato in capretto da Zeus per farlo sfuggire a Era, la quale permette ai Titani di uccederlo. Grazie ad Atena che ne salva il cuore, Zeus lo riporta in vita. La drammatizzazione del rito costituisce l'origine della tragedia, nata dall'improvvisazione tra i celebranti delle feste Dionisie. La più antica rappresentazione risale al 536 a. C. in Atene, nell'agorà, e successivamente venne trasferita nel teatro. Infine i drammi sono redatti da autori che partecipano ad una gara pubblica con procedure rigorosa. Da qui la natura rituale, educativa ed agonale del dramma. Il pubblico deve conoscere i contenuti del dramma affinchè l'opera porti al dibattito e alla riflessione. • Catarsi del conflitto: La tragedia richiedeva un coinvolgimento sociale nonché una partecipazione psicologica del singolo, il quale era chiamato ad una battaglia interiore (“Vincere se stessi è la migliore vittoria”, cit. Platone) volta a scegliere tra alternative radicali. Essa quindi costituiva una purificazione rituale del conflitto dialettico interiore. Questa idea di tragedia come purificazione del contrasto dialettico la si ritrova in due orientamenti del '900 (J. G. Frazer e Rene Girard) che vedono i miti rappresentati nella tragedia come una razionalizzazione di antichi riti religiosi celebrati per rinnovare le stagioni attraverso il sacrificio (capro espiatorio), che è sempre violenta quindi conflittuale. • Esperienza dell'altro: Essendo Dionisio una divinità errante, senza legge, e quindi percepita come uno straniero porta alla nascita di un trauma, un conflitto. Da questo nasce l'azione tragica, dove lo spettatore che subisce il conflitto interiore deve prendere coscienza del diverso e rimanere aperto alla comunicazione con l'altro. La tragedia non rappresenta i fatti (ben noti a tutti) contenuti del mito ma il momento problematico della scelta, dove l'autonomia dell'eroe è limitata dall'impatto con l'altro e la soluzione del contrasto avviene per mezzo del nomos che discende dall'intervento divino. Esperienza giuridica: La funzione pacificatrice del testo tragico costituisce la metafora de testo giuridico. Per Platone il nomos è un atto analogo alla tragedia, un'immedesimazione poetica tra legislatore e abitante della polis (corrispondenti ad autore/attore e spettatore). IL nomos è un principio stabile ed unificante, mantenendo le differenze nella comunità e conciliandole. Nella tragedia e nel processo si svolgono analoghe attività:

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Domanda confutante: come l'eroe indaga sulle alternative procedendo alla confutazione così nel processo le pretese si oppongono di fronte al giudice mediante la stessa confutazione. Dialogo agonistico: gli attori si oppongono tra loro e anche al coro, che ha il ruolo di terzo giudicante. Esame probatorio: si impone ai partecipanti la giustificazione razionale, quindi ragionata, dell'opposizione, così come avviene nel processo in base al principio dell'onere della prova. Mediazione: l'attore drammatico effettua una azione interpretativa che ha anche un significato giuridico perché i fatti sono già noti ma vanno razionalmente argomentati. Con il termine hypokrites (=colui che risponde) i Greci indicano sia l'attore che colui che agisce in giudizio. Esso è mediatore tra il mondo visibile (fatti) e quello nascosto (interpretazione). La sua azione (hypokrisis) consiste nel rispondere alla pretesa per mostrarne i limiti e chiedere il giudizio del terzo, che unifica le opposte pretese (krisis). Poiché la mente umana vive nel conflitto tra ragione e follia, il sapere originario non si può cogliere con nessuna delle due, ma solo con la mania, cioè la mediazione attuabile con l'uso della dialettica. Quest'ultima permette di trascendere se stessi (uscire fuori da se stessi=ekstasi) per percepire la realtà non in modo univoco e parziale. Per sanare il conflitto interiore i Greci utilizzano il dramma tragico, nel quale l'eroe (e lo spettatore che vi si immedesima) guarisce tramite il pubblico dibattito. Questo stesso spirito agonistico trova applicazione nel processo, che costituisce l'esperienza originaria del diretto Greco, prima della legge.

9. Il processo è il rimedio giuridico alla crisi inevitabile e realizza la giustizia pacificatrice applicando il principio agonistico. La procedura dialettica è il cardine del processo e si articola in: contestazione, contraddittorio, prova e giurisdizione (schema tetralogico). • Confutazione: viene dal greco “elenchos” che indica lo stato emotivo del guerriero che perde lo scudo in battaglia ad indicare l'avversario le cui tesi vengono confutate. Un esempio di confutazione lo ritroviamo nel processo a Socrate del 399 a. C. accusato da Meleto di corrompere i giovani. Socrate si difende con la confutazione, ovvero il procedimento logico basato sulla domanda (erotesis), diversamente da quanto previsto dalla prassi basata sul riportare testimonianze al fine di rendere verosimili i fatti (elenchos). La condotta di Socrate conferma l'atteggiamento del convenuto che contestava i fatti per difendersi (apologhein). La necessità di porre domande deriva dalla consapevolezza di non sapere. La confutazione è efficace quando l'avversario, incalzato da una domanda, è costretto a cercare una risposta alternativa che quindi rende ingiustificata la sua tesi. Essa ha perciò una finalità educativa in quanto l'avversario ammette di essere in contraddizione, e quindi di non sapere. • Dialogo: il contraddittorio si fonda sul dialogo che costituisce un dibattito competitivo. L'obbligo di utilizzare il dialogo agonistico deriva dalla necessità di evitare la violenza. Colui che eleva a dogma le proprie ragioni o rimane indifferente alla contestazione ricade nel ruolo di dialogante muto. Poiché l'uomo è incapace di conoscere l'intero la verità processuale può emergere solo dal contraddittorio basato sull'esposizione delle tesi da parte di accusa e difesa, sull'interrogatorio e l'ascolto dei testimoni. Questa incapacità implica anche che la decisione del giudice non è assoluta e può essere soggetta all'appello. • Prova: è ciò che resiste ad ogni tentativo di contestazione. La dialettica giudiziaria ha perciò carattere probatorio in quanto deve analizzare criticamente e stabilire ciò che è inconfutabile. Secondo Aristotele oltre alle abilità retoriche (di argomentare astrattamente) esistono 5 argomenti oggettivi: le leggi, quelle positive e non scritte sono mezzi di prova; le testimonianze, viste come resoconti, giudizi e interpretazioni; confessioni, non estorte con la tortura; documenti contrattuali. Le prove sono utilizzate



non per convincere il giudice ma per confutare e sconfiggere l'avversario. Mediazione: il giudice delibera una sentenza che è una mediazione tra le parti. Il suo carattere di imparzialità/impersonalità deriva dall'autorevolezza data dall'anzianità e dall'esperienza. L'obiettivo non è eliminare le opposizioni ma interpretarle. Dato il carattere accusatorio del processo, il giudice ne deve solo sorvegliare lo svolgimento e accogliere o respingere le pretese non ricercare la verità assoluta dei fatti. La mediazione è una deliberazione esecutiva volta al riequilibrio della situazione giuridica.

Capitolo 2 1. Nella Grecia antica il nomos era l'atto di legiferare come manifestazione di un principio ordinatore, il kosmos. Nomos deriva dal verbo nemein che significa distribuire (forse da dividere le terre), suddividere lo spazio (vitello, pascolo → distribuzione sacrificale). Un altra origine allude all'occupazione di un territorio per abitarlo. Poiché significa anche collegare insieme, legare, il nomos indica anche un ordine collegante racchiuso nel concetto di kosmos. Nelle fonti kosmos è riferito alla capacità della legge di garantire l'armonia, capacità non prefissata e indipendente dalla volontà dell'uomo, che permane nella storia. Quindi è impossibile separare una legge per natura (giusnaturalismo) da una legge per convenzione (giuspositivismo). Infatti leggi non scritte erano abitualmente utilizzate dal giudice (migliore opinione) per giudicare imparzialmente. Il nomos indica la legge scritta che regola i rapporti nella polis e si ricollega ad un ordine indicato dal kosmos , il principio d'ordine che armonizza il rapporto tra elementi reciprocamente complementari. Kosmos, assume il senso di unione armonica tra elementi differenti, ed indica ciò che è bello (cosmesi) e buono, in riferimento alla bellezza armonica dell'universo. Ha anche un significato politico nel senso di decreto, nel senso quindi di manifestazione di disciplina. La funzione del kosmos è quindi giuridica, in quanto il giudice deve trovare una soluzione armonica regolatrice. In epoca classica assume il significato di ordinamento politico, forma costituzionale, accostandosi esplicitamente al termine nomos. 2. Nel Poema sulla natura, Parmenide introduce delle metafore per spiegare il kosmos: • l'essere nel divenire: l'essere è inviolabile e si manifesta attraverso il pensiero. E' unico, indivisibile e perenne, manifestando la verità originaria indipendente dall'attività dell'uomo. L'essere in quanto molteplice si manifesta nell'apparire, cioè nella molteplicità dell'esperienza, dei fatti. Questi sono mutevoli, quindi in divenire. Il divenire (fatti che accadono) non è la descrizione dell'essere, che invece è inaccessibile, non comprensibile del tutto. La verità dell'essere è nascosto dall'oscurità e dal silenzio. • L'essere nell'ordine: esiste nell'essere un principio d'ordine identificabile col kosmos, che si mantiene nel divenire della realtà come ciclo vitale. Poiché l'essere è ciclico, ricorrente, sferico, e si manifesta nel pensiero, lo stesso varrà per quest'ultimo. Ciò implica che una tesi non discende da una premessa indiscussa, ma è necessario riprendere sempre dall'inizio la discussione, dalla premessa stessa. • L'essere nella vita: l'essere appare nella vitalità e si manifesta come soggettività: vivere significa per un soggetto differenziarsi ma anche conservare la propria identità, restando sempre se stessi. La forza vitale che mantiene l'unione di forme diverse è l'Amore (Eros). Esso è personificazione del filosofo, che ama il sapere (Eros è figlio di povertà → sopperire all'ignoranza, e di perspicacia → desiderio di sapienza). • L'essere nella giustizia: la verità originaria si manifesta nell'esperienza tramite la giustizia, un processo di ricerca della medietà comune tra le condotte in conflitto. 1. La dea della giustizia è Dike, che costituisce la manifestazione alla mente umana

di un armonia universale, immutabile (kosmos). Data l'affinità tra Dike e la verità ne risulta una relazione giuridica tra processo e verità che si svela per mezzo della discussione giudiziaria. Parmenide non parla del nomos, ma tuttavia introduce il themis, la legge divina immutabile e inviolabile che è legge fondamentale dei diritti greci. Essa deve esse...


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