LA Giustizia Nella Grecia Antica PDF

Title LA Giustizia Nella Grecia Antica
Author Pietro Della Casa
Course Storia greca
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
Pages 17
File Size 338.6 KB
File Type PDF
Total Downloads 83
Total Views 134

Summary

Riassunto del libro ...


Description

LA GIUSTIZIA NELLA GRECIA ANTICA

THEMIS E DIKE Terminologia Il concetto di “giustizia” è espresso, nel greco classico dalla parola dike. Di più antica attestazione per esprimere l’idea di “giustizia” è themis.



Themis è collegata con la radice del verbo tithemi, “porre in essere”: indica dunque “ciò che è posto” dall’alto cioè dalla volontà divina; esprime l’idea di “giustizia” come rispetto di un ordinamento tradizionale. Indica l’antico diritto sacrale amministrato dal re sacerdote o dagli aristocratici, in una società caratterizzata dall’oralità: themistes sono le regole di natura religiosa o familiare, thesmoi le leggi ritenute ispirate dalla divinità e sancite da un’autorità.



Dike secondo una prima ipotesi sarebbe collegata con la radice *deik-, “mostrare, indicare” ed esprimerebbe l’idea di mostrare “mostrare con autorità di parola ciò che deve essere” cioè indicherebbe l’idea di “regola”. Tuttavia il collegamento di dike con l’idea di “regola di comportamento conforme a giustizia” è poco perspicuo in Omero e sembra un sviluppo successivo; è stato proposto in alternativa un rapporto con dikein “colpire, gettare”, dunque “emanare una sentenza”, per cui dike varrebbe “decisione, giudizio”. Indica l’idea di un ordine immanente, cui l’azione di un individuo, membro di una collettività, deve uniformarsi. Nella prosa attica indica la giustizia nell’ambito della polis democratica. Il termine viene inoltre utilizzato per indicare l’“azione giudiziaria, il processo”. Dike in quanto giustizia umana è in relazione con l’ordine trascendente espresso da themis: se dike indica l’equilibrio tra l’interesse del singolo e della collettività, tale equilibrio riflette l’armonia universale determinata da una norma di giustizia, la themis, di cui la divinità di fa garante. Nel mito, questo concetto viene espresso facendo di Dike la figlia di Zeus e di Themis.

Il mito Nella Teogonia di Esiodo Themis, figlia di Urano e Gea, si unisce a Zeus dopo la sua vittoria finale, che porta nel mondo l’ordine e, quindi, anche le regole di convivenza e la giustizia di origine divina. Dike nasce dall’unione di Themis e Zeus insieme con le sue sorelle Eunomia (l’armonia che deriva dalla buona amministrazione della giustizia) e Eirene; esse sono quindi i

1

cardini della convivenza civile, sentite come figlie di un’autorità divina e della regola che la esprime. In Opere e Giorni, Dike è in stretto contatto con il padre, presso il cui trono siede, denunciando chi la offende e richiedendone la punizione. Nelle Coefore di Eschilo Dike è colei che viola la giustizia di Zeus; essa inoltre è legata alle Erinni e alle divinità vendicatrici del mondo sotterraneo.

Omero In Omero le nozioni di bene e di male, di merito e di colpa, di libertà e di destino non sono assenti, benché la visione della giustizia non sia ancora sostenuta da un chiaro nesso tra responsabilità, colpa e punizione. Nell’Odissea è già chiara l’idea che prepotenza (hybris) e violenza (bie), in quanto “colpe” umane, si oppongono alla giustizia; il concetto di applicazione del concetto di libertà è più ampio rispetto all’ Iliade poichè il poema riflette una società più avanzata rispetto al mondo degli eroi dell’Iliade. Nell’Iliade in cui aretè e timè stanno, per gli eroi, sopra la giustizia che non può dirsi un valore universalmente riconosciuto e diffuso, vi sono comunque dei cenni al problema della responsabilità morale dell’uomo. La giustizia verso gli dei e quella verso i propri simili appaiono, in linea generale, inscindibili: è giusto (dikaios) chi rispetta le consuetudini umane, le quali sono un riflesso delle leggi divine. Dike e i suoi derivati hanno attinenza con una specifica controversia privata e dike sembra avere il valore di “azione giudiziaria” che può risolvere una contesa mediante un accordo, senza ricorrere alla violenza. Tuttavia, a differenza delle themistes, dike non è una norma ma una “parola” capace di promuovere un accordo proclamato oralmente. Infatti, l’espressione dikein eipein corrisponde a dikazein “giudicare”. Il carattere originariamente “privato” della dike viene progressivamente sostituto da una valenza pubblica. Il valore pubblico della dike viene rafforzato dal fatto che si fa appello a giudici pubblicamente riconosciuti. Dike in Omero sembra esprimere almeno in due casi l’idea di “giustizia” come valore ma per cogliere un collegamento convincente fra dike e l’idea di giustizia bisogna arrivare ad Esiodo.

Esiodo In Esiodo si riconosce, in genere, una riflessione morale più avanzata che riguarda il mondo tra ricchi e poveri, tra aristocratici e contadini.

2

Se la giustizia è la virtù, già omerica, di chi rispetta gli dei e i propri simili, apportatrice di pace e prosperità, l’ingiustizia è la prevaricazione del più forte sul più debole, che genera odio e contesa nella società. Il rapporto religioso con quello giuridico e morale è messo in evidenza anche dall’immagine di Zeus. In Esiodo Zeus è il dio la cui vittoria finale nella Teogonia segna l’avvento di un regno della giustizia; è il difensore del diritto, il raddrizzatore dei torti. Il termine dike conserva in Esiodo, come già in Omero, il significato prevalente di “procedura giudiziaria” per la soluzione pacifica di dispute; tuttavia egli auspica anche ad una giustizia più vasta riguardante la moralità umana nel campo delle relazioni sociali. E’ dunque il retto agire dei giudici, che emettono sentenze (dikai) “rette” cioè aderenti alla verità dei fatti e conformi alla giustizia di Zeus, ad evitare che hybris e bie prevalgano nella società. L’uomo diventa così pienamente responsabile della scelta tra bene e male.

Dike e nomos Nella poesia lirica un certo interesse per il problema della giustizia emerge in rapporto con la sfera politica: con Solone la dike è ormai giustizia della polis. Solone, attivo come legislatore nel 594/3 individua nell’avidità ( koros) l’origine dell’arroganza (hybris) nell’animo umano e la genesi di un’ingiustizia che ricade negativamente sull’intera società. Egli si mostra particolarmente sensibile ad un’idea di giustizia concepita come “misura”, rispetto del limite ed equilibrio fra le parti; presenta la sua opera come una mediazione fra le aspirazioni di uguaglianza sociale e politica del popolo e la volontà dei ricchi aristocratici di difendere i propri privilegi. Suo intento è l’ eunomia cioè la realizzazione di un buon governo. Anche per Solone si è insistito sul significato tecnico di dike che farebbe riferimento ad un sistema giuridico destinato a regolare conteziosi economici. Proprio nel concetto di isonomia che esprime l’uguaglianza di diritti garantita dalla legge (nomos) trova fondamento il nesso tra nomos e dike. Misura della giustizia diviene l’obbedienza alla legge. Nomos è la legge positiva che garantisce dike, la giustizia della polis. La diffusione del termine nomos è stata collegata con la riforma di Clistene; nomos è un’espressione laica e democratica di una collettività. Nomos ha un duplice valore: valore normativo perché esprime un ordine che riflette quello del mondo e valore positivo perché precisa gli usi attorno a cui i membri di una comunità intendono conformarsi. La legge della polis si situa all’incontro fra queste due nozioni. 3

Il fenomeno della legislazione, mettendo per iscritto i nomoi rende possibile l’attuazione di dike come obbedienza alle leggi, come rispetto della legalità.

LA CODIFICAZIONE DELLE LEGGI Presupposti e obiettivi della legislazione Sotto i regimi aristocratici, i detentori del potere giudiziario erano depositari della legge in quanto esperti delle themistes, le norme di origine divina conservate da una tradizione esclusivamente orale. L’esigenza di garantire maggiore certezza del diritto anche ai non privilegiati crebbe con la crisi delle aristocrazie che fu innescata da una serie di fenomeni come la diminuizione della produzione agricola e il conseguente impoverimento e indebitamento dei contadini. Molto importante fu anche la “riforma oplitica” del 700 a.C. con la quale la funzione guerriera cessò di essere un privilegio aristocratico e si ampliò fino a comprendere i membri del demos. In cambio del contributo dato dalla difesa della comunità, gli opliti richiesero e ottennero una corrispondente integrazione sociale e politica; il soldato combatte a ranghi serrati, difendendo sé stesso e il proprio vicino e ciò implica il superamento dell’individualismo e una profonda integrazione del singolo nel gruppo. Dall’oplitismo nacquero governi basati sul censo ( timè) caratterizzati da una maggiore mobilità sociale e dalla tendenza a realizzare a una progressiva equiparazione giuridica. La codificazione delle leggi è uno degli elementi più significativi di questo processo: la certezza del diritto è uno dei presupposti dell’isonomia. L’uso della scrittura, perduto nell’età oscura, ricomincia alla fine del IX secolo. La messa per iscritto delle leggi favorì la selezione, rispetto alle consuetudini sociali, delle norme sostanziali e delle regole procedurali di cui la comunità intera doveva servirsi in caso di contese; le norme resero pubbliche creando così, nell’ambito della polis, un sistema giudiziario.

L’ambiente coloniale: Zaleuco, Caronda, Diocle I più antichi interventi di carattere legislativo sembrano collocarsi in età coloniale poiché in quelle aree si impose in maniera più forte l’esigenza di garanzie egalitarie tra i cittadini; inoltre, la cittadinanza si sentiva meno vincolata alle norme consuetudinarie del contesto di provenienza e meglio disposta all’adozione di nuove normative. Ci sono tramandati i nomi di alcuni legislatori di area occidentale, come Zaleuco di Locri, Caronda di Catania, Diocle di Siracusa. Di recente si è tentato di ascrivere la codificazione delle leggi non all’iniziativa di singoli, ma alle comunità, che l’avrebbero poi attribuita a figure remote ed autorevoli come Licurgo di Sparta e Dracone di Atene; tuttavia, Solone è certamente figura storica. 4



Zaleuco di Locri: la sua attività risale alla seconda metà del VII secolo e viene presentato da Aristotele come un legislatore con i caratteri simbolici del re pastore. Inoltre, lo storico del IV secolo Eforo, ricorda che gli abitanti di Locri Epizefiri erano ritenuti il primo popolo ad aver usato leggi scritte di Zaleuco caratterizzate da una limitazione della discrezionalità dei giudici e l’adozione di un linguaggio semplice e accessibile.



Caronda di Catania: Discepolo di Zaleuco, l’aspetto più originale della sua legislazione è individuato nei processi per falsa testimonianza: egli sarebbe stato il primo ad introdurre la procedura di denuncia per tale reato. Inoltre, il codice di Caronda mitigava la prassi giudiziaria introducendo pene pecuniarie per delitti di sangue. Platone lo ricorda come nomoteta dell’Italia e della Sicilia. Inoltre, l’adozione generalizzata delle leggi di Caronda in area calcidese è confermata da quanto afferma Tucidide sulle “istituzioni calcidesi” (chalkidikà nomina) ricordate a proposito della fondazione di Imera, colonia calcidese di Zancle ma che vide la presenza di esuli siracusani.



Diocle: Sappiamo poco di questo personaggio; Diodoro ci informa che egli avrebbe previsto pene assai apre per ogni genere di crimine in ambito pubblico e privato. In generale, i primi legislatori sembrano essersi interessati di delitti di sangue, diritto di famiglia, questioni contrattuali e leggi di carattere religioso, morale e/o suntuario; in tutti sembra viva anche la preoccupazione di garantire il carattere inalterabile della legislazione promulgata.

Sparta: Licurgo Le sue leggi sono di datazione incerta ( fra XI e VII secolo) e vanno ritenute il prodotto di una lunga evoluzione che Tucidide riteneva conclusa circa quattrocento anni prima della fine della guerra del Peloponneso. Tuttavia, non si trattava di leggi scritte. La storicità di Licurgo resta gravemente incerta; la cosiddetta “grande rhetra” gli sarebbe stata dettata dalla Pizia, la sacerdotessa di Apollo Delfico. Essa ci è nota da Tirteo e dalla Vita di Licurgo di Plutarco e si occupava prevalentemente di definire i poteri delle diverse componenti dello stato spartano. La rhetra consisteva in una riforma territoriale e costituzionale: - Divisione della popolazione in tribù e in cinque suddivisioni territoriali ( obai) - Istituzione degli organismi fondamentali: la gherousia (il consiglio degli anziani) e l’apella (l’assemblea detentrice della sovranità popolare, kratos e del diritto di discussione, antegoria). -Distribuzione della terra in novemila lotti ( kleroi) di uguale estensione.

Atene: Dracone e Solone A Dracone, legislatore in Atene alla fine del VII secolo, è attribuita una legislazione molto severa e una costituzione; tuttavia tali elementi costituzionali sono da ritenere 5

incerti perché attestati da una tradizione di IV fortemente influenzata dalla propaganda oligarchica. Certa è la legge sull’omicidio, conservata da una iscrizione; tale legge sottraeva spazio al regime della vendetta privata, lasciando alla famiglia del morto l’iniziativa dell’azione penale, ma allo stato di diritto di irrogare la pena. La legislazione draconiana fu assorbita nell’ambito draconiana sull’omicidio fu assorbita nell’ambito del codice soloniano. Solone, ritenuto dalla tradizione il vero legislatore di Atene, fu scelto come aribitro (diallaktes) e arconte nel 594/3. A Solone venne attribuita una complessa legislazione pubblicate su tavole rotanti di legno (axones) -Piano economico: riforma dei pesi (sistema euboico al posto di quello eginetico) divieto di esportare derrate alimentari -Istituzione del tribunale dell’Eliea e possibilità per qualunque cittadino di intentare una causa -Piano etico e familiare: leggi per tutelare l’oikos -Riforma costituzionale: Divisione della cittadinanza in quattro classi di censo, valutato in base al prodotto della terra ed espresso in misure: pentacosiomedimni, hippeis, zeugiti e teti. L’appartenenza a queste classi regolava l’accesso all’esercito e alle magistrature. - Diritto di fare appello (ephesis) al tribunale popolare contro le decisioni dei magistrati. Terminato il suo mandato depose la carica, rifiutando di dare un carattere tirannico alla propria autorità; la sua azione può essere intesa a rafforzare i valori comunitari, insistendo sulla comune responsabilità delle diverse parti sociali di fronte alla comunità cittadina.

Intangibilità del nomos La legge non fu sentita come il prodotto effimero di un organo della polis, suscettibile di cambiamento, ma piuttosto come una norma intrinsecamente valida ed immutabile. Vi è, ad esempio, l’idea che il legislatore sia l’interprete della legge perfetta ed immutabile. Inoltre venne anche istituito un collegio di nomoteti incaricato di vigilare sulle modifiche alla legislazione vigente e sull’introduzione di leggi nuove. Anche in epoca successiva, vi è una profonda differenza tra nomos, la legge stabilita dal legislatore, e psephisma, il decreto, prodotto dall’attività contingente dall’assemblea e ritenuto inferiore di valore. Dunque, la legge costituisce un limite invalicabile sia per il cittadino che per gli organi dello stato.

6

GIUSTIZIA, DIRITTO POSITIVO, EQUITA’

Natura e legge Avere leggi è un aspetto essenziale della civiltà; infatti una società organizzata dai nomoi si contrappone alle selvagge condizioni di natura tipiche della precivilizzazione. Il nomos è sentito come fattore coercitivo ma è anche visto come miglioramento dello stato di natura. La physis assicura un’uguaglianza “naturale” fra gli uomini. L’opposizione tra natura e legge, di cui i passi di Pseudo-Ippocrate (che si chiede se le differenze fra i popoli derivino dalla legge o dalla natura) e di Tucidide (dialogo dei Meli: “per legge di natura chi è più forte comanda”) risentono, fu elaborata nell’ambito della corrente naturalistica della sofistica. 



Ippia riteneva che la vita umana dovesse adeguarsi alla natura più che alla legge positiva creata dall’uomo; distinzione tra diritto naturale (legge di natura) e diritto positivo (legge posta dagli uomini). Antifonte afferma che la natura corrisponde alla verità, la legge all’opinione.

Per Crizia gli dei sono stati introdotti per costringere al rispetto della legge; inoltre, secondo Trasimaco di Calcedone “la giustizia non è altro che l’utile del più forte”. Vi è anche il problema della natura del diritto:  

Il Callicle platonico esprime la visione sofistica secondo cui il diritto naturale prevale su quello positivo Nelle Leggi Platone esprime il proprio punto di vista sostenendo che la legge induce l’uomo ad odiare l’ingiustizia e ad amare ciò che è giusto per natura.

Platone e Aristotele sostennero l’impossibilità di un contrasto tra legge naturale e legge positiva che nella polis coesistono.

Leggi scritte e leggi non scritte Vi è un contrasto tra la legge stabilita dal potere costituto, cioè tra legge scritta (nomos engraphos) e la coscienza individuale, cioè la legge non scritta (nomos agraphos), tale opposizione emerge nella tragedia, in particolare nell’Antigone di Sofocle. Se Antigone preferisce obbedire alle leggi non scritte (sebbene l’editto di Creonte non venga riconosciuto da Antigone come nomos), Socrate prende posizione a favore della legge positiva, che non deve essere mai sovvertita; infatti, sebbene la sua condanna fosse ingiusta, è stata emessa in obbedienza alle leggi della città.

7

L’agraphos nomos può indicare anche tutto ciò che non trova riscontro nella legislazione scritta: - diritto naturale sancito dalla divinità - diritto consuetudinario (tradizioni locali) Aristotele distingue tra un koinos nomos, formato da regole non scritte a un idios nomos, costituito dall’ordinamento delle singole comunità. Nella prassi giudiziaria attica, comunque, la legge scritta prevale su quella non scritta.

Giustizia ed equità: la gnome dikaiotate Aristotele, nel libro V dell’Etica Nicomachea affronta la questione del possibile errore del legislatore e della necessità del giudice di intervenire nella prassi giudiziaria. Pur sostenendo il valore assoluto della legge, Aristotele ritiene che essa abbia carattere universale e che perciò non possa tenere conto della casistica. E l’equità serve proprio per correggere la legge laddove appare difettosa a causa della sua universalità. In questo senso il giudice equo è colui che non si limita ad applicare alla lettera la legge ma preferisce interpretarla a seconda del caso in questione. Il carattere interpretativo dell’attività del giudice è ribadito anche da numerose testimonianze sulla gnome dikaiotate, l’”opinione conforme a giustizia”, alla quale l’operato del giudice dovrebbe ispirarsi. La gnome dikaiotate prevedeva: - l’integrazione delle lacune del sistema legislativo; - la tendenza a preferire l’equità alla legge, in caso di contrasto fra queste due. Essa è quindi il criterio per cogliere lo spirito della legge.

LA GIUSTIZIA POPOLARE Il tribunale popolare ateniese da Solone ad Aristotele In Atene il tribunale popolare era il principale organismo democratico. Era chiamato in origine Eliea, ma nel IV secolo venne chiamato dikasterion; i giudici erano denominati eliasti o dicasti. A Solone venne attribuito l’istituzione del tribunale popolare, come anche la possibilità per qualunque cittadino di intentare una causa; entrambe le riforme tentano di coinvolgere il popolo nell’amministrazione della giustizia. Efialte, nel 462/1, aumentò l’importanza del tribunale popolare a scapito dell’antica boulè dell’Areopago. Tale riforma fu presentata come un ritorno all’antico.

8

Nel V secolo il tribunale popolare era composto da seimila giudici, sorteggiati annualmente, che operavano in dieci sezioni più ristrette a partire dalle quali venivano formate le corti richieste per giudicare le cause. L’introduzione del misthos , in età periclea, garantì a tutti la possibilità di svolgere questo servizio. Grazie alla Costituzione degli Ateniesi di Aristotele conosciamo in modo dettaglia...


Similar Free PDFs