ALLE Origini DELL\' Opera D\'ARTE Contemporanea PDF

Title ALLE Origini DELL\' Opera D\'ARTE Contemporanea
Author Alessia Rossi
Course Storia dell'arte contemporanea
Institution Università di Pisa
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Riassunto libro "Alle origini dell'opera d'arte contemporanea"...


Description

ALLE ORIGINI DELL’OPERA D’ARTE CONTEMPORANEA. (D. DI GIACOMO E C. ZAMBIANCHI). SAGGI DELL’OPERA: 1. ROGER FRY: “UN SAGGIO DI ESTETICA” (1909) 2.MEYER SHAPIRO: “NATURA DELL’ARTE ASTRATTA” (1937) 3. WALTER BENJAMIN: “L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCA DELLA SUA RIPRODUBILITA’ TECNICA” (1936) 4. CLEMENT GREENBERG: “AVANGUARDIA E KITSCH” (1939) 5. CLEMENT GREENBERG: “PITTURA MODERNISTA” (1961) 6. LEO STEINBERG: “ALTRI CRITERI” (1972) 7. ATRHUR C. DANTO: “ARTE E SIGNIFICATO” (2000) 8. ROSALIND E. KRAUSS: “L’ORIGINALITA’ DELL’AVANGUARDIA” (1981) [Uno dei pilastri fondamentali che caratterizzano l’arte tradizionale è il riconoscimento dell’autonomia dell’arte stessa, come un qualcosa che è separato dalla realtà. La questione dell’autonomia dell’arte, a partire dal ‘900, viene sempre più messa in discussione. Vi sono due tesi, una sostenuta dalle avanguardie e una dal modernismo. Le avanguardie sono contro l’autonomia dell’arte (e quindi negano la separazione dell’arte dalla vita); il modernismo è, invece, a favore dell’autonomia dell’arte (e ne ha fatto il principale contenuto dell’opera). Tutti i saggi sopracitati concordano su un punto: ciò che caratterizza l’arte moderna è l’attenzione agli elementi formali che diventano il vero e unico soggetto del quadro]. 1.

ROGER FRY: “UN SAGGIO DI ESTETICA” (1909).

“L’arte della pittura è l’arte di imitare oggetti solidi su una superficie piana per mezzo di colori” (cit.). Se fosse così, si è fatto davvero tanto rumore intorno all’arte! Platone diede una soluzione simile e pose egli stesso la domanda se davvero valesse la pena coltivare l’arte. Alla fine si rispose che non ne valeva la pena ed escluse gli artisti dalla sua repubblica ideale. Nonostante ciò, il mondo, nel corso dei secoli, ha continuato a credere in modo ostinato nel valore della pittura. Molti oggetti che cadono sotto la nostra attenzione mettono in moto in noi un meccanismo complesso che porta a determinate reazioni da parte dell’istinto. L’intera vita umana è improntata su queste reazioni istintive agli oggetti sensibili e alle emozioni che le accompagnano. Fry distingue due tipi di emozioni: le emozioni comuni, ossia quelle della vita reale (che producono emozioni di tipo reale e pratico) le emozioni estetiche, ossia quelle che sono prodotte dalla vita immaginativa. [L’arte è l’elemento principale della vita immaginativa; è per mezzo dell’arte che la vita viene in noi stimolata e controllata]. Questo tipo di emozioni sono espresse dall’artista e recepite dall’osservatore attraverso alcuni caratteri formali dell’opera d’arte. Questi caratteri formali sono due: l’ordine e la varietà. Senza questi due caratteri le opere risulterebbero sconnesse. Fry osserva che anche gli oggetti presenti in natura hanno questi caratteri; tuttavia vi è una differenza fondamentale: nell’opera d’arte interviene una particolare relazione di simpatia tra l’osservatore e l’artista che l’ha prodotta. Infine ciò che è ritenuto bello nell’arte può essere molto diverso da ciò che si ritiene bello in natura. Quindi, in arte, anche gli oggetti ritenuti “brutti” possono diventare belli poiché esprimono ordine e varietà dei contenuti emozionali (come riteneva anche Aristotele). Tornando ai caratteri formali, l’ordine viene trasmesso tramite il carattere dell’ unità, ossia l’opera deve apparire come una totalità e trasmettere un’idea di compiutezza. Questa unità è data dall’equilibrarsi dei punti d’attrazione visiva attorno alla linea centrale del quadro. Il risultato di questo equilibrio d’attrazioni sta nel fatto che l’occhio si posa piacevolmente nei limiti del quadro stesso. L’ordine e la varietà, poi, si specificano in altri 5 caratteri: 1. Ritmo della linea: permette di delimitare le forme e i movimenti. Forme e movimenti comunicano il sentimento dell’artista. 2. Massa: permette di rappresentare un oggetto, il quale viene riconosciuto per essere dotato di inerzia. L’osservatore è in grado di avvertire questa resistenza al movimento. 3. Spazio: permette di rappresentare oggetti di dimensioni diverse. La reazione dello spettatore varia al variare di tali proporzioni. 4. Chiaroscuro: permette allo spettatore di modificare le sue sensazione a seconda del fatto che un oggetto sia posto

alla luce o posto in ombra. 5. Colore: ha un effetto emotivo diretto. Infine Fry sostiene un’altra cosa importante: ovvero ritiene che vi sia una stretta connessione tra gli elementi emotivi del disegno e l’esperienza fisica dell’osservatore. Il motivo per il quale le arti figurative suscitano delle emozioni nello spettatore sta proprio nel fatto che le arti giocano su quelle che possono essere le sue principali esigenze fisiche. Es. Il ritmo della linea viene ricondotto all’attività muscolare nel corpo umano. 2.

MEYER SHAPIRO: “NATURA DELL’ARTE ASTRATTA” (1937).

Il saggio di Meyer Shapiro si base in linea di massima su due presupposti: 1. la dimostrazione che i cambiamenti degli stili artistici possono essere spiegati soltanto in relazione ai grandi mutamenti storici; 2. la dimostrazione che il realismo (inteso come contenuto narrativo) e l’astrazione (intesa come pura forma) non sono elementi opposti tra loro e che un dipinto deve essere analizzato oltre le sue qualità puramente estetiche. La convinzione che il valore di un dipinto riguardasse solo colori e forme era una teoria ampiamente diffusa prima dell’avvento della pittura astratta. Prima della pittura astratta l’oggetto della rappresentazione figurativa erano solitamente individui e luoghi determinati, elementi reali o mitici caratterizzati da segni distintivi di una determinata epoca. Con la pittura astratta si ha un’arte che trascura questa connotazione storica e pone, invece, l’accento sulla creatività e la visione soggettiva dell’artista; per questo, questo tipo di arte incontra delle difficoltà a venire alla luce. Ma in realtà, solo con l’arte astratta, l’autonomia e il valore assoluto del fatto estetico hanno potuto affermarsi in modo concreto. Ciò che prima veniva visto come orripilante, viene visto ora come forma ed espressione pura, a dimostrazione che in arte la sensibilità e le idee sono prioritarie rispetto agli oggetti rappresentati. La pittura astratta scalzò la concezione classica dell’arte come imitazione. Shapiro prende come punto di partenza l’opera di Barr; l’opera è interessante in quanto affianca alla trattazione di problemi generali relativi alla natura di quest’arte, le sue teorie estetiche, le sue motivazioni e perfino i suoi rapporti con i movimenti politici. Tuttavia Barr parla di quest’arte come se fosse indipendente dalle condizioni storiche: lui ha un’idea dell’Astrattismo come astorica, ossia lascia in ombra i rapporti tra i movimenti e la relativa situazione storica. Secondo Barr l’arte astratta nasce in quanto l’arte figurativa si era esaurita; allo stesso modo, il ritorno all’interesse per l’oggetto in pittura viene spiegato come risultato dell’esaurimento dello stesso Astrattismo. Secondo lui, essendo state studiate da Picasso a Mondrian tutte le varie possibilità, i nuovi artisti non possono far altro che ritornare a rappresentare oggetti. Quindi in sostanza Barr spiega la genesi di un’arte nuova come reazione ad un’arte precedente. Il che sarebbe un po’ come dire che la guerra scoppia per reazione alla pace, e la pace per reazione alla guerra. Con uno schema del genere, vengono tagliate fuori le forze che, invece, hanno dato luogo alla reazione. A questo punto Shapiro porta all’attenzione un esempio: quello dell’Impressionismo. I movimenti successivi all’Impressionismo imboccarono le strade più disparate, alcuni alla ricerca degli oggetti che l’Impressionismo aveva vanificato, altri tesi a riaffermare la creatività che l’Impressionismo aveva sacrificato a favore dell’imitazione della natura. Insomma strade diverse; tuttavia vi era un elemento comune a tutte le esperienze post-impressioniste, ossia il riconoscimento del valore assoluto dell’universo mentale ed emotivo dell’artista, ritenuto prioritario e più importante degli oggetti raffigurati. La storia dell’arte non è la storia di singole veementi reazioni grazie alle quali ciascun artista si contrappone a chi l’ha preceduto, magari dipingendo in modo luminoso se l’altro aveva prediletto l’oscurità o stilizzando se l’altro modellava. Le reazioni sono profondamente radicate nell’esperienza degli artisti. Gli artisti francesi degli anni ’80-’90 che criticavano l’Impressionismo per la sua destrutturazione, esprimevano in tal modo esigenze di sicurezza, ordine e certezze, tutte cose che erano estranee agli impressionisti in quanto gruppo. Il titolo del dipinto di Gauguin “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?” esprime perfettamente gli interrogativi di fondo di questi artisti. Ma poiché questi stessi artisti ignoravano le matrici economico-sociali del disordine e dell’insicurezza che provavano, potevano sperare ordine e sicurezza solo da ideali di tipo religioso o dal ripristino di forme di società primitive e tradizionali (fortemente strutturate e dotate di istituzioni atte a promuovere la vita spirituale e collettiva). Questi ideali si riflettono nel loro gusto per l’arte medievale e primitiva, nelle loro conversioni al cattolicesimo e, più tardi, al “nazionalismo integrale”. Le correnti post-impressioniste superano l’Impressionismo attraverso la ribellione alla morale del capitalismo.

Quindi, le reazioni all’Impressionismo, lungi dall’appartenere all’ “evoluzione naturale” dell’arte, furono determinate dal modo in cui gli artisti si rapportavano alla più ampia situazione storico-sociale nella quale si trovavano a vivere. La contrapposizione Realismo/Astrattismo formulata da Barr poggia su due presupposti: - che la rappresentazione figurativa è un rispecchiamento della realtà, e pertanto non-artistica; - che l’Astrattismo è un’attività puramente estetica, non condizionata dal mondo degli oggetti e regolata da leggi autonome e eterne. Quindi, il pittore astratto critica la rappresentazione figurativa del mondo esterno come processo meccanico dell’occhio e della mano in cui sensibilità ed immaginazione dell’artista hanno un ruolo subalterno. In altre parole, egli contrappone alla rappresentazione degli oggetti, la pratica del disegno astratto come scoperta dell’ “essenza” che sottende le cose. A ciò si accompagna la teoria che la mente è integralmente se stessa solo quando non ha alcun rapporto di dipendenza con la realtà esterna. In realtà, secondo Shapiro, sia Realismo che Astrattismo mettono al primo posto l’atto creativo dell’artista: il primo, perché riproduce in modo creativo la realtà nello spazio limitato del quadro grazie a calcoli di prospettiva e studi cromatici; il secondo, per la capacità di riplasmare la natura in forme nuove, di rappresentare il mondo mentale più profondo. Nella pratica dell’arte astratta, in cui le forme vengono intenzionalmente distorte o sfumate, il pittore si apre agli stimoli della sua vita interiore normalmente repressi. Nella pittura astratta la condizione soggettiva dell’artista è assai importante; e questa importanza trova conferma nel rapporto tra arte cubista e precubista. Picasso, prima di passare al cubismo, dipingeva malinconici acrobati da circo, attori, musicisti e mendicanti che vivevano ai margini della società (allusione  cubisti ai margini della società borghese). Lo stato di equilibrio, essenziale per l’acrobata, richiama qui l’esperienza personale dell’artista, in quanto esecutore altrettanto esperto e interessato alla disposizioni equilibrata delle linee e delle masse che costituisce l’essenza della sua arte. Fra questo periodo e quello cubista ( rappresentazione di piccoli elementi geometrici costituiti da strumenti musicali, vasellame, carte da gioco ecc.) vi è una fase intermedia caratterizzata da figure negroidi nelle quali la fisionomia umana si schematizza in volti primitivi e selvaggi, e il corpo si riduce a una nudità impersonale costituita da linee spezzate e marcate. ‘E un tipo di figura che non deriva dal mondo esterno, ma nasce dall’arte: dall’arte di un popolo tribale, isolato, considerato inferiore e degno di attenzione solo come divertente spettacolo esotico. L’unica eccezione è rappresentata dai pittori, che considerano quest’arte opera di artisti puri, incontaminati, che creano affidandosi all’istinto e alla loro ingenua sensibilità.

3.

WALTER BENJAMIN: “L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCA DELLA SUA RIPRODUCIBILITA’ TECNICA”. (1936)

In questo saggio viene messa in evidenza la decadenza dell’originalità dell’arte a causa della meccanizzazione della società e della riproducibilità dell’opera d’arte stessa. In questo modo l’arte perde la sua aurea, la sua purezza e viene meno anche il mito del genio creatore. L’opera d’arte è sempre stata riproducibile: ciò che è stato fatto da alcuni uomini ha sempre potuto essere rifatto da altri uomini. La riproduzione tecnica dell’opera d’arte è, invece, qualcosa di diverso: secondo Benjamin questa riproduzione sottrae l’opera alla tradizione perché non viene prodotta dall’uomo ma da uno strumento. Questo comporta un’estrema riduzione del ruolo del soggetto e una grande disponibilità di copie sempre fruibili. Il processo di riproduzione “accellerato” inizia con la fotografia che pian piano va a sostituire il quadro pittorico. Tuttavia, anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca un elemento: l’ hic et nunc dell’opera d’arte  la sua esistenza irripetibile nel luogo in cui si trova e una sorta di etichetta che le garantisce l’autenticità che non potrà mai essere riprodotta. Tale aurea e autenticità vengono meno in quanto l’opera d’arte viene sottratto all’ambito della tradizione, diventando quindi prodotto di consumo di massa. La riproduzione tecnica stacca l’opera d’arte dalla sua dimensione sacra; per cui cambiano anche le funzioni dell’opera d’arte stessa: dal valore del culto si passa ad un valore “politico”, nel senso che l’opera d’arte deve “poter essere vista da tutti”. Dal valore del culto si passa al valore dell’esponibilità. Secondo Benjamin l’arte nasce in corrispondenza con la religione. Dal momento in cui nasce la cultura di massa, però, inizia per la prima volta ad essere rimossa l’aura dalle opere artistiche. Durante il XX° secolo l’arte si presenta in due forme diverse: cultura di massa e avanguardia artistica, entrambe accomunate dalla perdita dell’aura. Così come il cinema abolisce la contemplazione attraverso il rapido susseguirsi di

immagini, allo stesso modo il dadaismo dissacra letteralmente l’arte utilizzando materiali degradati (in funzione provocatoria). L’arte del ‘900, secondo Benjamin, ha l’obiettivo di cambiare direttamente la vita quotidiana delle persone, influenzando il loro comportamento. In altre parole, l’arte assume un ruolo in senso politico sia in direzione progressista, sia in direzione reazionaria. Un tipico esempio di uso reazionario dell’arte applicata alla politico è costituito dal fascismo. Il fascismo usa nuove tecniche di produzione allo scopo di assoggettare le masse, ipnotizzandole mediante la riproposizione di una sorta di falsa aura, prodotta artificialmente attorno alla figura del capo. Nel XIX° secolo ebbe luogo una disputa sul valore artistico da attribuire alla pittura e alla fotografia. Può la fotografia essere considerata un’arte? La fotografia toglie il valore complessivo all’arte? Queste domande continuano a rieccheggiare fino alla nascita del cinema nel ‘900. Benjamin sostiene che sia per la fotografia sia per il cinema si è a lungo dibattuto sul fatto se si potessero far rientrare nel mondo dell’arte. Soprattutto il cinema si p tentato di farlo rientrare di diritto nel mondo dell’arte. La contrapposizione più netta del cinema è quella con il teatro: l’interprete teatrale permette di presentare al pubblico l’autore stesso in prima persona. Nel cinema, invece, tale presentazione avviene attraverso l’uso della macchina e la performance dell’attore dipende più da essa e dallo sguardo del regista che da se stesso. La mediazione tecnologica separa quindi l’attore dallo spettatore (cosa che non accade con il teatro appunto). il primo ad avvertire questa condizione fu Luigi Pirandello, il quale sostenne che l’attore del cinema era sottoposto ad una specie di esilio non soltanto dal pubblico, ma anche da se stesso. Il cinema tratta l’attore alla stregua di uno strumento che viene scelto in base a determinate caratteristiche e sistemato al posto giusto. Secondo Pirandello, l’attore cinematografico prova del disagio in quanto è consapevole di fronte all’apparecchiatura, di avere a che fare con gli acquirenti e quindi con il mercato. Il cinema determina definitivamente la perdita dell’aura, ma cerca di rispondere costruendo il culto dell’attore che diventa divo e le grandi star diventano merci. A promuovere questo culto è in primis l’industria cinematografica che sostituisce la contemplazione dell’opera d’arte con l’adorazione del divo del cinema. Secondo Benjamin, ciò che viene meno in un’epoca in cui si ha bisogno di sentire le cose più vicine e di impossessarsi di esse è quel peculiare intreccio di vicinanza/lontananza nel quale risiede l’essenza dell’aura. In tutto questo però il cinema avrebbe due grandi peculiarità: - quella di creare un’illusione della realtà; - quella di far in modo che il pubblico possa immedesimarsi a pieno con l’attore grazie a tutta una serie di particolari inquadrature permesse dai vari mezzi. Cinema e arte differiscono anche per le reazione che cercano di suscitare nello spettatore: l’arte mira alla contemplazione e lo spettatore può abbandonarsi lentamente al proprio flusso di associazioni; il cinema,invece, mira alla distrazione: nel senso che lo spettatore non ha la possibilità di abbandonarsi alla contemplazione in quanto non appena coglie visivamente l’immagine, essa si è già modificata. Duhamel affermava: “Il cinema è un passatempo per iloti, una distrazione per creature incolte, miserabili, esaurite dal lavoro e dilaniate dalle loro preoccupazioni, uno spettacolo che non esige concentrazione o facoltà di pensare”.  colui che si raccoglie davanti all’opera d’arte vi si immerge; inversamente la massa distratta fa sprofondare l’opera d’arte in sé.  il cinema respinge il valore cultuale non solo per il fatto di condurre il pubblico nell’atteggiamento valutativo, ma anche per il fatto che al cinema l’atteggiamento valutativo non implica attenzione. Il pubblico è un esaminatore, ma è un esaminatore distratto.

4.

CLEMENT GREENBERG: “AVANGUARDIA E KITSCH” (1939).

Una società, nel corso della sua evoluzione, comincia a mettere in discussione le verità tramandate dalla tradizione. A questo punto gli artisti tendono a rifugiarsi nella cura dei particolari, evitando scelte che potrebbero risultare controverse. Di conseguenza si ripetono le soluzioni adottate nel passato dai grandi maestri, senza che venga prodotto nulla di innovativo.

Tuttavia, nella generale decadenza della cultura, è emersa l’avanguardia, che rappresenta un nuovo tipo di critica alla società. A questo punto l’arte deve rifiutare non soltanto il modello borghese, ma anche l’azione politica rivoluzionaria, poiché il suo fine è quello di superare le contraddizioni implicite in qualsiasi contenuto o soggetto. L’affermazione dell’autonomia dell’arte ha comportato la necessità di liberarsi dall’oggettività e ha promosso una tensione verso l’astratto, verso la rappresentazione pura. L’opera d’arte non è più referenziale verso la realtà e quindi può solo essere ricondotta a se stessa. L’astrattismo implica che l’artista si ritiri dall’imitazione della realtà e si concentri sulla forma, sui mezzi e i processi dell’arte stessa (vedi Picasso, Braque, Mondrian, Kandinkskij, Brancusi, Klee, Matisse, Cezanne) e quindi sull’organizzazione degli spazi, della forma, dei colori e così via. Questo tipo di atteggiamento modifica il “tradizionale” rapporto tra artista e spettatore: difatti viene reciso il legame tra artisti e classi dominanti, le sole che in passato avevano dimostrato di apprezzare le novità artistiche. Tuttavia l’arte non può svilupparsi e progredire senza una solida base sociale. Dove esiste una cultura di avanguardia esiste anche una cultura di retroguardia. In Germania questo fenomeno si concretizzò con il Kitsch: si tratta di un prodotto della rivoluz...


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