Per una socioloiga della vittima - Vezzadini PDF

Title Per una socioloiga della vittima - Vezzadini
Course Teoria dei processi di vittimizzazione
Institution Università di Bologna
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RISSUNTO LIBRO “PER UNA SOCIOLOGIA DELLA VITTIMA” – SUSANNA VEZZADINIIntroduzione Il termine vittima può essere applicato ad una molteplicità di attori sociali, identificando coloro che esperiscono crimini gravi e minori. La fondamentale componente sociale dei processi di vittimizzazione non può ess...


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RISSUNTO LIBRO “PER UNA SOCIOLOGIA DELLA VITTIMA” – SUSANNA VEZZADINI Introduzione Il termine vittima può essere applicato ad una molteplicità di attori sociali, identificando coloro che esperiscono crimini gravi e minori. La fondamentale componente sociale dei processi di vittimizzazione non può essere trascurata, necessitando di riconoscere l’importanza dei nessi che collegano sistema sociale e condizione di vittimalità. Un nesso compresso, in primis le motivazioni e le cause all’origine della vittimizzazione e dei vissuti di sofferenza, quando socialmente prodotti: nei casi di iniquità, marginalizzazione ed esclusione sociale, obbligano il soggetto a “fare i conti” con le dimensioni di precarietà, fragilità e vulnerabilità tenute sotto controllo tramite i meccanismi routinari di contenimento e di gestione dell’insicurezza. Il rapporto fra vittimizzazione e società emerge dall’osservazione di relazioni del contesto sociale e delle istituzioni, risultando centrali per le possibili ripercussioni sull’identità personale e sociale del soggetto che ha patito l’offesa. Questa relazione riguarda l’elaborazione e la progettazione di interventi volti al sostegno delle vittime, e alla loro reintegrazione nella società, potendo la società favorire il rafforzamento dei legami minacciati dall’evento dannoso. Concetto di fiducia come vincolo imprescindibile e ineludibile nelle relazioni fra il singolo o il gruppo danneggiato e la collettività. La società ha gli strumenti per favorire il recupero ed il reinserimento delle vittime nel sociale, ma la società è in grado di incidere negativamente sui percorsi esistenziali del soggetto violato e sulla sua ridefinizione degli eventi negativi. Affinché gli interventi sociali si rivelino utili bisogna scegliere di mettere al centro la nozione di dignità della persona, vero bersaglio dei processi di vittimizzazione il cui intento è quello di frantumare e negare l’identità personale e sociale, la disintegrazione dei legami fra individuo e collettività. Durkheim  analisi sulla penalità guarda con grande interesse alla vittima del reato, attribuendole un ruolo sostanziale per quanto riguarda la ricostruzione della solidarietà sociale e in rapporto al rafforzamento dell’ordine morale e sociale violato dall’atto deviante. Schutz  delinea le figure dello straniero e del reduce evidenziando lo spaesamento di chi deve di necessità mettere tra parentesi le conoscenze pregresse e misurarsi con la relatività del dato per scontato. Goffman  pone al centro del proprio ragionamento la questione dello stigma, peso molto vicino a quello che grava sui processi di vittimizzazione. Matza e Sykes  problema dell’impiego di tecniche di neutralizzazione, ricordando la necessità di ogni individuo di riportare a conformità (accettabilità) il comportamento, compreso quello riprovevole e deviante riversando sulla parte offesa le motivazioni della condotta negativa, giustificandola in modo pretestuoso. Quinney  ruolo della vittima entro società di tipo capitalistico in quanto funzionale al mantenimento dell status quo. Honneth  evidenziata la componente sociale dei processi di misconoscimento che condannano il soggetto offeso a patire ulteriori forme di esclusione e marginalità, costringendolo a lottare per il riconoscimento dei diritti violati in società ree di iniquità, disuguaglianze e violenze. Humans security per dare vita ad una giustizia “globale”, perché poggia su reti, relazioni e vincoli di reciprocità globalmente intesi e orientati. Capitolo 1 – Gli studi sulla vittima: dalle origini all’attualità 1.2 Verso nuove sensibilità: un’inedita attenzione 1.2.1 Dalla parte dei vincitori Che la Storia sia sempre stata la storia dei vincitori, dei potenti, dei trionfatori, un luogo in cui le vittime, i vinti, gli oppressi nessuna pietà potevano attendersi nulla meritando, è ormai cosa nota. Etimologia latina del termine vittima (deriva il vocabolo victima da due verbi vincere e vincire, ossia vincere e legare insieme le estremità delle bestiole offerte in sacrificio alla divinità), chi fu più di lui “vinto” ed “avvinto”? il suo destino e la sua drammatica fine che mai ci interessano ci riguardano da vicino. Nel linguaggio pubblico ufficiale, il termine vittima ha faticato ad affermarsi e a diffondersi, venendo preferito a quello di oppresso. Il termine vittima descrive situazioni contrassegnate da passività e debolezza.

Il concetto di oppressione rimanda a specifiche condizioni strutturali capaci di investire tutta la biografia dell’individuo, manifestandosi entro logiche di dominio e di sottomissione. Gli oppressi unendosi possono re-agire e trovare motivo di riscatto in una lotta comune verso il riconoscimento dei diritti sul piano sociale, politico e civile. 1.2.2 Vittime e giustizia: storia di un misconoscimento Il termine vittima fu prevalentemente usato per descrivere la condizione di ripiegamento, passività, patimento e sofferenza propria del soggetto che ha subito un torto o un crimine. Con un maggiore riferimento all’ambito della giustizia, penale in particolare, si nota come le vittime abbiano goduto raramente di attenzione in passato ricoprendo un ruolo marginale, se non addirittura strumentale rispetto ad altri fini. Le vittime nelle maggior parte dei casi, escludendo i casi di maggiore criminalità, suscitassero poco interesse per l’opinione pubblica del tutto abituata allo spettacolo della sofferenza (naturale o volontariamente inflitta). Il poter della sofferenza inflitta in pubblico al deviante (persona che viola le norme di una comunità e di conseguenza va incontro a una qualche forma di sanzione) che aveva osato sfidare le leggi divine, morali e sociali, fu colto dai governanti ed impiegato nel tentativo di garantire l’ordine pubblico. Il ruolo giocato dalle vittime rivestirà, con la nascita degli Stati del Diritto, una rilevanza, nella giustizia penale, rappresentando prova delle minacce e obbligando a punire il colpevole tramiti l’irrogazione della sanzione. Se da un lato la storia e l’evoluzione della giustizia penale coincidono con il progressivo declino dell’influenza delle vittime del crimine nella relazione sociale al fatto illecito; dall’altro non va taciuto come le stesse non godessero sempre dei medesimi diritti. Negli antichi sistemi l’attenzione accordata alla vittima era maggiore di quella riscontrabile negli ordinamenti attuali, entro i quali la difesa dei diritti della persona è considerevolmente ridotta in ragione di un approccio garantista volto a tutelare la posizione dell’indagato-imputato. “Età d’oro della vittima”  momento apicale nel percorso di affermazione della vittima, nel ruolo da essa svolto nella reazione al crimine. In assenza di veri organi con funzioni accusatorie, nei secoli passati l’esercizio dell’azione penale ha rappresentato una facoltà concessa direttamente a tale soggetto, nella convinzione che nessuno meglio di lui conoscesse nel merito le circostanze di reato. Alla vittima spettava la decisione ultima riguardo alla pena da infliggere al reo, eseguendo la sentenza di propria mano. Lo sviluppo di forme societarie più complesse (clan, tribù) la responsabilità e il diritto di vendicare il torto patito non era più dato all’individuo ma trasferito al gruppo di appartenenza; ma non tutti venivano stimati degni della medesima attenzione. Nel Vecchio Continente si possono notare disparità di trattamento riservate agli autori di reato a seconda della considerazione di cui godevano le vittime. L’evoluzione della società, la cessazione degli stili nomadi e l’introduzione della moneta, furono importanti per quanto riguarda la nozione giuridica di responsabilità, e il ruolo della vittima di reato. Il passaggio allo scambio simbolico portò a grandi mutamenti entro i sistemi di giustizia: al posto della lex talionis, il corpo sociale iniziò a prendere in considerazione il valore del denaro e le varie altre forma di compesazione simbolica per il delitto commesso. La cultura giuridico medievale elaborò una visione della vittima caratterizzata dall’interpretazione gerarchica e stratificata della società, ciò riflettendosi sul sistema di diritti e privilegi che spettano agli appartenenti delle caste superiori, e negati ai membri delle caste inferiori. Tali disparità fra i soggetti implicano differenti trattamenti per gli autori dell’illecito: il diritto germanico richiedeva che la ricompensazione dell’offesa fosse stabilita sugli effetti negativi prodotti sul ruolo sociale rivestito dalla vittima. Con la nascita dei primi stati territoriali fondati su codici scritti ed apparati amministrativi e burocratici le cose iniziano a modificarsi. Dal XVII sec si assiste a un processo di democratizzazione, che riguardava il coinvolgimento dello Stato come arbitro nella gestione “dei torti e delle dispute”, fonte della legge e suo applicatore, difensore della pace e promotore della guerra. Con la nascita degli Stati di Diritto gli interessi della vittima inizieranno ad essere sempre più marginali. Con le grandi unità territoriali nazionali entreranno

nella storia della dottrina politica concetti come potere sovrano e Stato, sorretto da un’importante apparato burocratico – amministrativo in grado di occuparsi dell’attività finanziaria e giudiziaria, procederà alla pubblicizzazione del diritto penale come condizione indispensabile per garantire sicurezza, giustizia e convivenza civile. Provocherà l’allontanamento della persona offesa dal sistema di giustizia. Il sistema di giustizia moderno sembra nascere da un atto di espropriazione del conflitto delle mani della società civile, e del soggetto privato attribuendone la valutazione e la gestione allo Stato. Le vittime del crimine considerate parte offesa nei procedimenti penali, patiranno un disconoscimento suscitando appena l’attenzione di parte della psichiatria forense in ragione della nozione di provocazione. Al termine della II guerra Mondiale si inizia a parlare di nuovi processi di vittimizzazione. 1.2.3 Da oppresso a vittima: significati culturali di un cambiamento terminologico A partire dalla metà dello scorso secolo il concetto di vittima inizia a diffondersi indicando i soggetti colpiti da un evento criminoso o comunque dannoso ed illecito, capace di ingenerare vissuti di fragilità ma anche senso di perdita e offesa nella propria dignità. La sostituzione del vocabolo oppresso con il vocabolo vittima porta ad affermare una nuova sensibilità e ciò in corrispondenza con la fine della II Guerra Mondiale. Lontano dall’attribuirlo solamente a coloro che hanno patito un crimine, questo vocabolo indica quella condizione di vulnerabilità comune a tutto il genere umano. La fragilità dell’uomo moderno pone ogni singola storia entro uno stato più generale di precarietà e insicurezza, rendendo tutti vittime potenziali di altri esseri umani, di emergenze sociali, di calamità naturali. H. von Hentig nel 1948 pubblicò la sua opera, nonché manuale di criminologia, “The Criminal and His Victim”, l’ultimo capitolo era intitolato “The Contribution of the Victim to the Genesis of Crime”. Ultimo capitolo che oggi è ritenuto unicamente momento d’avvio degli studi in ambito vittimologico, a lui si devono le prime riflessioni sulla figura della vittima. von Hentig è scampato allo sterminio nazista trovando riparo negli Stati Uniti. Molte delle sue considerazioni appaiono anche come tentativo di liberarsi dall’opprimente senso di colpa ben conosciuto dai sopravvissuti ai campi di concentramento e alla ferocia delle leggi razziali. Egli si interrogherà sul significato del sacrificio con riferimento alle vittime del crimine. La prima vittimologia di stampo positivista, faticherà ad affermare la non responsabilità della vittima, in particolare di quella di reato. 1.3. Vittimologia e criminologia Produzione di cambiamenti rimarchevoli entro un approccio scientifico sino a quel momento capace di guardare solo il criminale. Per la sua vittima nessuna attenzione identificando tout court l’evento delittuoso con l’agire del reo. Von Hentig si interroga sul possibile ruolo della vittima nelle dinamiche criminose, sia per quanto riguarda le premesse sia per la realizzazione del reato. Definisce i soggetti offesi con il termine mutuality, egli dona alla storia delle scienze sociali e criminologiche un’immagine delle relazioni fra le parti che riprende dalla lotta per la sopravvivenza degli animali. La futura preda interverrebbe attivamente nelle dinamiche fungendo persino da provocatore. Secondo l’Autore è ciò che avviene anche nel mondo umano, dove la vittima più raramente è del tutto innocente, mentre è assai più facile riscontrarne la responsabilità anche nei casi in cui poi perirà. Nella maggior parte dei crimini l’autore è sconosciuto, mentre la vittima, viva o deceduta, è disponibile. Concentrando su essa l’attenzione si otterranno informazioni rispetto al singolo caso e alle dinamiche più generali; ciò offrirà dati sulle categorie di soggetti più a rischio di vittimizzazione, utili ad elaborare efficaci politiche di prevenzione. La vittimologia è quella branchia della criminologia che si interessa della vittima diretta di un crimine, indicando l’insieme delle conoscenze biologiche, psicologiche, sociologiche e criminologiche che riguarda la stessa. Il suo oggetto di studio sarà la personalità della vittima, i suoi tratti biologici, psicologici e morali, le sue caratteristiche socio-culturali, le relazioni con il criminale e il ruolo da essa giocato ed il contributo dato alla genesi del crimine. Ciò permetterà di comprendere i fenomeni criminali. Vittimologia criminale  dipendendo la definizione di vittima da quella di reato, così esplicitando il debito della disciplina dalle scienze criminologiche legali. Una dipendenza evidente anche nella scelta dei vocaboli

da utilizzare come responsabilità, colpevolezza e colpa, biasimo, partecipazione al crimine, responsabilità condivisa. Vittimologia positivista o conservatrice  si interessa allo studio dei fattori che contribuiscono alla selezione non casuale delle vittime, determinando le tipologie di soggetti che, in base alle caratteristiche bio-antropologiche, psichiche e sociali, appaiono più vulnerabili. La prima criminologia è nata dagli studi della Scuola positiva con a capo Lombroso, elaborava tipologie sui soggetti a rischio di assumere condotte criminose. Come l’identificazione di costanti rispetto alla figura del criminale risponde alla necessità di pensare il delitto come qualcosa di circoscrivibile, quindi prevedibile e controllabile; allo stesso modo la vittimologia ha elaborato classificazioni cercando di circoscrivere la portata del fenomeno, relegandolo ad alcune categorie di soggetti; indicando alcuni come più esposti di altri ai pericoli. L’elaborazione di tipologie porta ad offrire un’immagine più rassicurante della realtà, indirettamente suggerendo che in assenza dei tratti ritenuti costitutivi e “tipici” della vittima, sarà meno probabile che incorra a episodi di vittimizzazione. Le potenziali vittime, non volendo subire un danno, mettano in pratica strategie difensive e cautelari. La funzione di rassicurazione esercitata dalle tipologie è simile a quella svolta dai processi di categorizzazione. Questi processi possono essere intesi come modalità attraverso le quali l’individuo organizza le informazioni ricevute dall’ambiente esterno, trascurando le eventuali differenze tra i soggetti ritenuti equivalenti nelle funzioni e per i significati che portano e, dall’altro canto, non rilevano possibili somiglianze fra credenze e sentimenti propri e di altri, enfatizzando, quindi, la diversità. Oltre che ad organizzare gli oggetti per indirizzarli meglio all’azione, implica, anche, una significativa semplificazione delle informazioni ricevute. Ciò che appare al centro delle azioni difensive sarebbe il mantenimento delle posizioni acquisite, operando “a stretto contatto” con il pregiudizio, e neutralizzando le informazioni discordanti. Sul piano operativo in termini di progettazione e implementazione degli interventi: approccio positivista  il processo di integrazione fra la vittima ed offensore non è fortuito o casuale, propongono una specifica lettura dell’evento criminoso come incontro fra i soggetti che determinano le caratteristiche. La persona offesa può concorrere a determinare la propria sorte in ragione di peculiarità che la rendono vulnerabile a precisi processi di vittimizzazione. L’idea di una vittima come “agnello sacrificale” offerta sull’altare da un criminale crudele e privo di scrupoli, è lontana. La probabilità di incorrere in eventi vittimizzanti è ugualmente distribuita nella popolazione, o esistono delle circostanze, proprie di alcuni soggetti, che predispongono maggiormente? Riconoscendo l’esistenza di predisposizioni specifiche verso determinati reati. Queste predisposizioni si distinguono in innate e acquisite, oltre che in permanenti e temporanee, fanno riferimento a 3 macro raggruppamenti, che includono i fattori bio-fisiologici; socio-ambientali; psicologici. Agiscono come causa scatenante del crimine, e come semplice incentivo rispetto alla scelta della vittima, o come elementi che facilitano il reato. Nasce così il paradosso di un approccio che, muovendosi alla ricerca della regolarità nel comportamento della vittima da aiutare a comprendere e spiegare la genesi e dinamiche dell’evento criminoso, finisce con il produrre della stessa un’immagine negativa, biasimevole, influenzando anche l’approccio giuridico. A formulare questi giudizi è la collettività; ma a volte sono le forze dell’ordine, i servizi sociali, il sistema di giustizia: ossia tutte quelle agenzie che dovrebbero aiutare, sostenere e tutelare la vittima. la “peculiarità” della vittima rischia di trasformarsi in motivo di attenuazione della gravità della condotta del reo; ossia appare che ci siano ingiustizie che appaiono un po’ meno ingiuste e vittime che sembrano un po’ meno vittime di altre. Il riconoscimento della sofferenza inferta costituirebbe per l’offensore un momento importante, che implica l’ammissione delle proprie responsabilità. È molto più semplice attribuire alla vittima la colpa dell’accaduto, facendola oggetto di sentimenti di riprovazione o disprezzo. Tali meccanismi di deresponsabilizzazione costituiscono modalità atte a difendersi dall’angoscia che la sofferenza causata da un altro soggetto comporta. 1.4. Processi di vittimizzazione e sistema sociale Negli stessi anni in cui von Hentig si interroga sulle possibilità della vittima di reato, Mendelsohn, in Romania (ebreo), introduceva, nel 1947, il termine “vittimalità” in uno scritta rimasto per lungo tempo inedito. Le riflessioni elaborate da questo autore, prenderanno una direzione da subito evidente, da non fare della nuova disciplina l’ancella della criminologia, assegnandole una propria autonomia e dignità

scientifica. Mendelsohn ribadirà come si può osservare la nozione di vittimità non è identica alla nozione di crimine, né sul campo di indagine né per il contenuto che tratta. La fenomenologia consiste di determinare le cause della vulnerabilità dell’uomo, oppure le conseguenze del comportamento nocivo dell’uomo. Mendelsohn descrive la vittimità come un insieme delle caratteristiche socio-bio-psicologiche comuni a tutte le vittime, che la società desidera prevenire e combattere, indipendentemente dalle loro determinanti. L’obiettivo di questa disciplina è quello di limitare la vittimizzazione nei differenti ambiti della società, escludendo che le cause siano solo di natura criminosa. Scienza della vittima e delle vittime  scopo ultimo sarà di prevenire ulteriori forme di patimento. Mendelsohn sostiene che il concetto di vittima non è riconducibile a definizioni legali, ma sarà necessario procedere all’identificazione di quegli ambiti e di quei fattori interni o esterni al soggetto alla base dei processi di vittimizzazione. L’Autore identifica alcuni contesti specifici: ambiente endogeno bio-psicologico del soggetto medesimo; ambiente naturale circostante e naturale modificato; ambiente sociale; ambiente antisociale; ambiente automatizzato. Mendelsohn fu il primo che ha colto il carattere sociale della sofferenza, ossia le sue radici sociali, accomunando tutte le vittime a prescindere dalle cause immediate e manifeste del loro patimento e introducendo un discorso di grande attualità. Vittimologia generale  capace di promuovere un approccio a...


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