Per una nascita senza violenza, riassunto PDF

Title Per una nascita senza violenza, riassunto
Course Scienze dell educazione
Institution Università degli Studi Roma Tre
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Per una nascita senza violenza Questo testo, scritto da Frédérick Leboyer fa comprendere in maniera assai concreta il parto vissuto dal punto di vista del bambino. Il testo è suddiviso in 4 parti: La 1 parte, in cui attraverso un dialogo mette in luce la cecità degli adulti che non riescono a comprendere la sofferenza del bambino e allo stesso tempo, la stessa cecità impedisce di comprendere la sofferenza della madre, trasformando il parto in un calvario. Quando il bambino viene al mondo, comincia subito a urlare. E il suo grido rallegra tutti i presenti. Me le urla dei neonati in realtà gridano sofferenza, per gridare in quel modo provano un dolore immenso. Peccato che nessuno se ne preoccupa a giudicare dal poco riguardo con il quale viene trattato al momento della nascita. E’ ormai una convinzione e un postulato ben radicato considerare il neonato come un “cosino” che non prova nulla, non sente e non vede. Insomma, lo si vede come un oggetto. E’ davvero un peccato che il neonato non possa comunicare le sue sensazioni, che gli manchi la parola, però si comprende perfettamente il messaggio. C’è qualcuno che soffre e urla: Fronte aggrottata, bocca urlante, occhi chiusi, sopracciglia inarcate, mani tese e disperate che esprimono la tragedia, piedi che respingono con furia, il corpo tutto spasmi e sussulti, protesta con tutto se stesso, grida! Ma nessuno lo ascolta. Alla nascita, la madre e il padre lo contemplano rapiti, persino il ginecologo partecipa all’euforia generale. Tutti raggianti per la felicità! Tranne il bambino (“Hanno gli occhi e non vedono”). Dovremmo cercare di comprendere con attenzione e aprire il nostro cuore per riuscire a capire quel che gridano disperatamente i neonati quando vengono al mondo. La 2 parte, mette in luce la sofferenza della nascita. Afferma infatti che la nascita è sofferenza, non solo il parto. Per il bambino appena nato il mondo è spaventoso. E’ errato pensare che il neonato non sente alla nascita. Egli sente ogni cosa, totalmente, senza filtri, senza scelta, senza discriminazioni. Quando viene al mondo il neonato sente già da un pezzo. Ha conosciuto tanti rumori nella pancia della madre ma tutto filtrato, tutto attutito, moderato e smorzato dalle acque. Una volta uscito dalle onde, le nostre voci e le nostra grida per lo sfortunato bambino sono come tuoni, ma nessuno si preoccupa di parlare a bassa voce in sala parto. La nascita è una tempesta, un uragano. Il bambino è distrutto, divorato, sommerso in una marea di sensazioni a cui non riesce ad adattarsi. Il nostro crimine è ignorare che i sensi del neonato funzionano alla perfezione, sono fini e acuti. Si pensa inoltre che il neonato alla nascita non veda, altrimenti come potrebbero puntargli addosso quella lampada accecante. In realtà il bambino non è cieco, ma è accecato. Inoltre, quando il bambino nasce lo si acchiappa per i piedi e lo si appende a testa in giù, il bambino è fuori di sé dall’angoscia. Successivamente si pone questo “martire” sul piatto delle bilancia, acciaio duro e gelido. Dopo si riprende e si posa nell’angolo di un tavolo, è arrivato il momento delle gocce, ed infine, dopo che il bambino lotta per tutto questo tempo come un posseduto, stremato, crolla nel sonno. Questa è la nascita, il massacro di un’innocente, un calvario. La 3 parte mette in luce come si può evitare tutto questo massacro, partendo dal bambino stesso, facendogli capire cosa sta succedendo. Per prima cosa, bisogna parlare la sua lingua. Il linguaggio universale che non ha bisogno di parole, il linguaggio dell’amore. Parlare d’amore ad un bambino appena nato. Gli amanti non parlano, si toccano, e per farlo, spengono le luci. Sono le loro mani a comunicare, i loro corpi a comprendere. E’ così che bisogna parlare al neonato, con mani leggere, premurose e affettuose che procedono al ritmo del suo respiro. Spegniamo le luci e facciamo silenzio, questo è fondamentale. Le madri inoltre devono essere

sveglie e coscienti, devono sapere che il bambino sente, che le sue orecchie sono sensibili, che è facile ferirle. In poche parole, bisogna che imparino fin dal primo istante ad amare il neonato per il suo bene, non per loro stesse. L’apprendimento del silenzio è indispensabile per le madri, ma anche per coloro che aiutano i bambini a venire al mondo. Sentire una voce sussurrata aiuta molto di più la partoriente rispetto a delle grida di incoraggiamento. Bisogna che tutti siano preparati a ricevere degnamente il bambino. Così, senza neanche rendersene conto, si stabilisce una pace profonda. Il rispetto con cui si accoglie il neonato. Se non accade questa serenità interiore, non si può sperare nel successo. Non si riesce a comunicare con il neonato. Accettare questa lentezza, assorbirla, rallentare è un esercizio che richiede una preparazione, tanto per la madre quanto per chi la assiste. Perché questo avvenga bisogna uscire dal tempo, dal “nostro” tempo che con quello del neonato sono quasi inconciliabili. Per farlo, basta essere “qui e ora”. Ed inoltre, avere un’attenzione appassionata. Quando il neonato si scopre, si dimentica ogni cosa. Lo guardiamo, ci facciamo invadere da lui. Senza riferimenti, senza pregiudizi, in totale innocenza. Senza saperlo usciamo dal tempo. Ecco, è tutto pronto: Penombra, silenzio, raccoglimento. Il tempo si arresta, il bambino può arrivare. Ed ecco, esce prima la testa, poi le braccia, lo issiamo come un secchio dal pozzo e successivamente lo posiamo direttamente sul ventre materno. Il ventre della donna ha la forma e la misura perfetta per accoglierlo. Prima convesso, ora concavo, sembra in attesa, come un nido. Inoltre, il tepore, la morbidezza, il salire e scendere al ritmo del respiro, la dolcezza, il calore vivo della pelle: tutto questo ne fa il luogo ideale per appoggiare il neonato. Ed infine, la vicinanza permette di conservare intatto il cordone ombelicale. Tagliare il cordone ombelicale appena il bambino esce dal ventre materno è un atto di crudeltà, non ci si rende conto dell’effetto che ha sul neonato. Conservarlo intatto finché pulsa, significa trasformare l’esperienza della nascita. Si tratta di avere pazienza e di rispettare il ritmo del bambino. E poi, l’aria che invade i polmoni del neonato ha l’effetto di una scottatura. Infatti, prima di nascere il bambino è in uno stato di completa dipendenza dalla madre, nel momento in cui respira, ossigena sangue con i polmoni, si assume le sue responsabilità, si incammina nella strada dell’indipendenza, dell’autonomia, della libertà. Durante la nascita, tutto è predisposto perché il salto e l’atterraggio avvengano con la leggerezza desiderata. Giustamente esiste il pericolo dell’anossia, ovvero la mancanza del prezioso ossigeno che per il cervello è un danno irreparabile. Per questo quando il bambino viene al mondo non deve mancare per nessuna ragione l’ossigeno, nemmeno per un istante. Per questo la natura ha fatto in modo che, durante il pericoloso passaggio, il bambino venisse ossigenato due volte: dai polmoni e dal cordone ombelicale. I due sistemi funzionano in sincrono, dandosi il cambio: il cordone continua ad ossigenare il bambino finché i polmoni non prendono il suo posto. Una volta nato il bambino resta legato alla madre dal cordone ombelicale che continua a pulsare potentemente ancora per qualche minuto, così al riparo dall’anossia, il neonato può cominciare a respirare, senza pericolo, senza ostacoli, con calma. In quel passaggio, in quei minuti, il neonato, ossigenato da due parti, passa da un mondo all’altro, senza violenza, progressivamente, e quasi non lo si sente gridare. Questo miracolo avviene con un po' di pazienza, senza precipitare le cose, sapendo aspettare. Il bambino si prende il suo tempo, si ferma e poi ricomincia, si abitua, respira profondamente, ci prende gusto. In poco tempo la respirazione è piena, ampia, libera, felice. Il bambino avrà lanciato al massimo un paio di strilli. E noi avremmo sentito solo il suo respiro intenso, punteggiato da qualche breve gridolino. E’ già un linguaggio. Mai urla di terrore, gemiti disperati. Perciò, quando il neonato viene al mondo, certamente deve gridare, ma non è necessario farlo

singhiozzare. Bisogna imparare a rispettare l’istante della nascita, è un momento fragile, un movimento sottile. Aspettare, lasciare alla nascita tutta la sua lentezza. Per la prima volta il bambino si sveglia. E’ meglio appoggiare poi il neonato sul ventre della madre a pancia in giù, con le braccia e le gambe piegate sotto il corpo, in questo modo può aprirsi, stirarsi, allungarsi come meglio crede e noi possiamo tenere sotto controllo la sua schiena, il suo respiro. Il respiro che invade il corpo del neonato sembra un albero che cresce. Ecco che un braccio, di solito quello destro, esce da sotto la pancia, si allunga, la mano scivola, accarezza il ventre materno e poi ritorna indietro. Successivamente è il turno dell’altra, lentamente, stupita di non incontrare ostacoli, lo spazio è così ampio. Dopo le gambe, una dopo l’altra si allungano, bisogna offrir loro un appoggio, quello di una mano leggera che resiste, così il bambino non si sentirà come se gli mancasse la terra sotto i piedi. Dopo di che tutto si armonizza, tutto si muove all’unisono. Adesso possiamo girarlo sul fianco, lentamente, offrendo sempre un punto d’appoggio, possiamo mettere una mano sul sedere mentre con l’altra sosteniamo la schiena. Meglio non toccare mai la testa. Il bambino è pronto. Adesso la madre inizia massaggiarlo, mentre il bambino riposa sul suo ventre. Queste mani percorrono la schiena del bambino con un movimento continuo, senza interruzioni. Bisogna trovare il ritmo semplice ma misterioso che per gli amanti è istintivo. Bisogna fare l’amore con questo bambino, nel senso di cancellare ogni censura, guarire la ferita, la separazione. Attraverso le mani il bambino sente tutto, se le mani lo amano, se sono distratte, la goffaggine, la sicurezza ecc. le mani della madre calmano il bambino, placando il suo rimorso di essere nato, come a dire “Sono qui, siamo salvi io e te”. (in tutto ciò da quando è nato sembrano passati secoli in realtà sono passati solamente 3 minuti, 6 al massimo). Successivamente, il bambino deve separarsi dalla madre e lo si metterà nell’acqua. Bisogna preparare un bagno in una piccola vasca. L’acqua deve essere a temperatura corporea, 38-39 gradi. Vi si immerge il neonato molto delicatamente, la sorpresa e la gioia che prova sono immense. Le mani che reggono il bambino dentro l’acqua sentono che il corpicino presto si abbandona completamente, e.. miracolo! Il bambino spalanca gli occhi. Attraverso essi intravediamo un’infinità di domande, capiamo che erano il terrore e la paura a tenergli gli occhi chiusi. Il bambino non vede in senso stretto, ma comunica attraverso una modalità che gli è propria. Libero dalla paura e superata la sorpresa, il bambino inizia ad ispezionare il mondo sconosciuto. E’ invaso dal moto, muove ogni parte del suo corpo, ed è nato da soli dieci minuti. Questo balletto avviene in profondo silenzio, accompagnati da brevi gridolini di gioia. Il bambino esplora, sonda lo spazio, dentro e fuori. E’ interamente presente, spettatore appassionato del proprio corpo, scopre le possibilità. Sta a lui decidere per quanto tempo lasciarlo in acqua. Dobbiamo sentire che si è completamente disteso, che il suo corpicino non oppone più la minima resistenza o esitazione, la più piccola tensione o leggera rigidità sono sparite, dobbiamo aspettare che ogni dubbio sia sparito. Bisogna percepire che tutto si muove, tutto è moto, tutto è libero, tutto è gioia. Adesso il prossimo passo. Il bambino emerge dall’acqua, nasce di nuovo. Questa volta però consapevolmente. Uscendo dall’acqua trova il suo nuovo padrone, la pesantezza, il fardello del proprio corpo. Per far sì che non ne sia sopraffatto, bisogna ancora una volta trasformare questa esperienza in un gioco. Deve prenderci gusto. Tiriamo quindi fuori dall’acqua il bambino lentamente, poi lo immergiamo di nuovo e poi lo tiriamo nuovamente fuori. La sensazione è forte, ma non è più nuova. Dopo lo appoggiamo su un panno riscaldato. Lo avvolgiamo nel cotone e nella lana, lasciando scoperte la testa e le mani che devono restare libere di giocare. Mettiamo il bambino sul fianco, in questa posizione braccia e gambe si

muovono senza ostacoli, l’addome può respirare e la testa si gira facilmente. La schiena va sorretta, in modo che senta “qualcosa” e ne sia rassicurato. Prossimo passo. Il bambino per la prima volta è da solo e scopre l’immobilità, un’esperienza che non ha mai fatto fin ora. (Anche dentro la pancia della mamma era tutto in movimento, anche quando dormiva sentiva la respirazione e il diaframma). Colto dal panico, inizierà ad urlare. Ogni volta che si sveglierà, farà esperienza dell’immobilità e verrà sopraffatto dal terrore, dall’essere solo, dell’abitare in un mondo immobile. Ma al nostro bambino non accadrà nulla di simile, perché è libero dalla paura. E’ andato di scoperta in scoperta, da novità in novità, sempre seguito e condotto con una tale attenzione che niente potrebbe spaventarlo, ha fiducia in noi, invece di difendersi dalla novità, la accoglie. Là dove i neonati urlano, lui resta in silenzio, con gli occhi spalancati. Quando c’è un cambiamento capita che lanci un gridolino di sorpresa, come quando lo tiriamo fuori dall’acqua e protesta, ma perché gli piace e lo esprime, non prova panico o terrore. In silenzio si meraviglia e gusta questa nuova esperienza dell’immobilità, le sue mani non cessano mai di toccare ed esplorare, con straordinaria serietà ispeziona il suo nuovo regno. Il bambino è pronto per ritrovare la madre ed incontrare il seno materno. Questo celebra la vita. Il bambino vede la madre bella, beve il suo sguardo che viene dall’alto, tanto che si meraviglia nel vederlo così tanto bello. Beve direttamente dagli occhi l’amore che gli riempie il cuore, come il latte riempie il suo ventre. Questi due che hanno lottato, adesso non la finiscono più di nutrirsi dall’estasi dell’altro. Tutto è compiuto. Tutto è perfetto. La 4 parte tira la somme a conclusione di questa straordinaria avventura. Per risparmiare l’orrore e la paura della nascita al neonato basta fornirgli costantemente punti di riferimento. Svelargli il mondo, il suo nuovo regno con un’infinita lentezza ed estrema cautela, solo così il bambino si farà coraggio e oserà proseguire. La cosa che ci impedisce di vedere realmente l’altro nella sua realtà, di immaginare cosa significa nascere è l’io, l’ego, il famoso insieme dei nostri desideri e paure. La cecità è propria dell’essere umano. In sala parto la tensione è estrema, elettrica, i medici che assistono al parto sono profondamente turbati. Con l’avvicinarsi della fine del parto l’atmosfera è sempre più tesa, le emozioni sono contagiose. Quando il bambino arriva subito “respira?” pronti all’asfissia (quelli fuori) e proiettano tutta la loro angoscia sul neonato, realizzano un transfert. Tornando al grido, il bambino deve urlare, certo, una volta, due bastano e avanzano, dopo di che bisogna che respiri, niente più gridi di terrore. Deve essere un urlo della vita, della vittoria, non serve un orecchio allenato per capire la differenza da quello del dolore. Di certo ogni bambino nasce a modo suo, tutti però passano dalle stesse tappe, con un ritmo proprio che ne contraddistingue la natura e il temperamento. Il momento della nascita è nella memoria di ognuno di noi, ma l’esperienza è stata talmente dolorosa da venire spinta in fondo all’inconscio, da cui tenta costantemente di tornare in superficie. Basta con il culto della sofferenza. Il parto senza paura ci ha fatto aprire gli occhi. Bastano un po' di pazienza e di modestia. Un cuore in pace e silenzio. Un’attenzione leggera ma costante. Un pizzo di intelligenza, di riguardo verso l’altro. Serve l’amore.

Nemmeno 24h dopo la nascita...


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