Bateson - Ecologia della mente per esame Arpaia PDF

Title Bateson - Ecologia della mente per esame Arpaia
Author Matilde A.
Course Filosofia della scienza
Institution Università degli Studi di Bergamo
Pages 3
File Size 104.3 KB
File Type PDF
Total Downloads 47
Total Views 140

Summary

Riassunto degli unici capitoli di Bateson che Arpaia chiede in esame. Concentrato sulle domande che fa solitamente. ...


Description

BATESON - VERSO UN’ECOLOGIA DELLA MENTE La pianificazione sociale e il concetto di deutero-apprendimento In questo scritto Bateson commenta un’articolo di Margaret Mead, sociologa statunitense. Nel suo articolo, Mead vuole invitare i suoi colleghi a riesaminare e modificare le abitudini di pensiero sul tema dei mezzi e dei fini. L’atteggiamento dei sociologi suoi contemporanei infatti era quello di svolgere le proprie indagini tendendo verso fini o scopi definiti, un atteggiamento che secondo Mead conduce alla manipolazione delle persone e nega la democrazia. In questo modo Mead riflette sul ruolo che le scienze sociali devono svolgere nell’ordinare le relazioni umane, mettendo in luce il problema della discrepanza tra l’ingegneria sociale - che si basa sulla manipolazione della gente allo scopo di raggiungere una società programmata a priori - e gli ideali della democrazia, vista come il valore supremo e responsabilità morale dell’individuo. Per poter utilizzare i metodi scientifici senza negare l’autonomia morale dello spirito umano, Mead ritiene sia necessario lavorare in termini di valori che si limitano a definire una direzione, ricercando le direzioni e valori impliciti nei mezzi a disposizione piuttosto che spingersi verso un fine programmato, in grado di giustificare le manipolazioni messe in essere. Il valore dell’atto deve essere ricercato all’interno dell’atto stesso, non deve essere considerato come qualcosa separato dall’atto e derivante solamente da un’eventuale scopo o fine futuro che l’atto potrebbe avere. A questo punto Bateson propone un tentativo di risoluzione per la difficile questione del ruolo delle scienze sociali nell’ordinamento delle scienze umane, rivolgendo gli strumenti della scienza sia verso l’abitudine di pensiero strumentale criticata da Mead sia verso il nuovo atteggiamento che la dottoressa propone, ossia l’atteggiamento che considera la direzione e il valore nell’atto stesso piuttosto che nei fini sottointesi. Questi due atteggiamenti vengono definiti da Bateson, sfruttando il gergo della psicologia della Gestalt, come abitudini a fissare l’attenzione su questo o quello tipo di inquadramento contestuale del comportamento. La questione sollevata già dalla dottoressa Mead consiste nel problema di come abitudini di tipo così astratto vengono apprese. La domanda che si pone Bateson è: come quali circostanze promuovono quella specifica segmentazione dell’universo che chiamiamo ‘libero arbitrio’, ‘responsabilità’, ‘spirito costruttivo’, ‘energia’, ‘passività’, dominanza’, ‘pensiero strumentale’? Ciascuna di queste abilità astratte, che formano il normale bagaglio di culturale di ognuno, può essere vista come un’abitudine a segmentare in modo diverso il flusso dell’esperienza in modo che assuma l’uno o l’altro tipo di senso e di coesione. Secondo Bateson, questo fascio di concetti astratti che possono essere considerati come abitudini appercettive o modi usuali di guardare al flusso degli eventi di cui è parte anche il nostro comportamento, potrebbero essere, in un certo senso, prodotti derivati dal nostro processo di apprendimento, scaturiti collateralmente dall’apprendimento. Nonostante l’apprendimento di queste abitudini astratte siano molto più complesse rispetto all’apprendimento di compiti semplici, per comprenderne il meccanismo è utile guardare ai processi di apprendimento semplice, come vengono studiati nei laboratori di psicologia. Nel corso di questi esperimenti appare chiaramente come il soggetto sperimentale, uomo o animale, diventi un soggetto migliore dopo ripetuti esperimenti. Non solo impara a risolvere i singoli problemi postigli dallo sperimentatore, ma diventa sempre più capace di risolvere problemi in generale: in qualche modo apprende ad apprendere. In virtù di queste osservazioni Bateson arriva al punto di ipotizzare che ‘apprendere ad apprendere’ sia un meccanismo identico all’acquisizione di quella classe di abitudini mentali astratte di cui si sta occupando. Nel spiegare questa sua ipotesi, introduce due neologismi: proto-apprendimento e deutero-apprendimento. Il gradiente in ciascun punto di una curva di apprendimento semplice (apprendimento meccanico) rappresenta principalmente il tasso di proto-apprendimento. Se tuttavia conduciamo una serie di esperimenti di apprendimento simili, con lo stesso soggetto, troviamo che in ogni esperimento successivo il soggetto mostra gradienti più ripidi per il proto-apprendimento, ossia apprende più rapidamente. Questa progressiva variazione del tasso di proto-apprendimento viene chiamata da Bateson deutero-apprendimento. Definire una ‘serie di esperimenti simili’ è molto più semplice quando ci riferiamo a esperimenti di apprendimento meccanico, dove esperimenti simili possono essere definiti esperimenti ripetuti in modo identico eccetto che per la sostituzione di una variabile, come un lotto di sillabe. Al di fuori dell’apprendimento meccanico è molto più difficile stabilire che cosa si intenda dire quando si asserisce che un contesto di apprendimento è ‘simile’ ad un altro. Nell’educazione umana, non esiste un individuo ipotetico esposto ad un flusso impersonale di eventi, ma esistono persone reali che hanno reti di relazioni emotive complesse con altre persone. Bateson quindi afferma che nell’educazione umana queste abitudini appercettive vengono acquisite nelle maniere più disparate: nel mondo reale il singolo individuo sarà spinto ad acquisire o rifiutare abitudini appercettive da fenomeni molto complessi quali l’esempio personale, il tono di voce, l’ostilità, l’amoreecc. Inoltre, queste abitudini non gli saranno trasmesse attraverso la sua nuda esperienza del flusso degli eventi, poiché questo

flusso è sempre mediato attraverso il linguaggio, l’arte, la tecnologia e gli altri mezzi culturali. Il laboratorio di psicologia quindi non è l’unica sorgente possibile di conoscenza su queste abitudini, ci si può rivolgere anche alle diverse strutture implicite ed esplicite nelle varie culture del mondo studiato dagli antropologi. Il modo più vantaggioso di studiare l’apprendimento di queste abitudini astratte secondo Bateson è di combinare le intuizioni degli psicologi sperimentali con quelle degli antropologi, considerando i vari contesti di apprendimento sperimentali e chiedendoci per ciascuno di essi quale tipo di abitudine possiamo pensare di trovarci associata, e poi rivolgerci al mondo reale cercando in quali culture queste abitudini vengano realizzate. Oppure, al contrario, possiamo ottenere una definizione più nitida e operativa di abitudini astratte come il ‘libero arbitrio’ se ci domandiamo per ciascuna: ‘che tipo di contesto sperimentale occorrerebbe impiantare per inculcare questa abitudine?’.

Una teoria del gioco e della fantasia In questo scritto, Bateson riporta una serie di conclusioni generali sul linguaggio, sul gioco e sulla fantasia. La comunicazione verbale umana può operare a molti livelli di astrazione, i quali si estendono in due direzioni principali. Il primo insieme di livelli di astrazione è quello detto metalinguistico, nel quale l’oggetto del discorso è il linguaggio, il secondo insieme è chiamato metacomunicativo, in cui l’oggetto del discorso è la relazione tra gli interlocutori. La grande maggioranza dei messaggi, sia metal che metacc, restano impliciti. Nell’evoluzione della comunicazione, una fase molto importante viene raggiunta quando l’organismo cessa di rispondere automaticamente ai segnali dell’altro, ossia comprende e riconosce che i segnali dell’altro individuo, così come i suoi, sono solamente segnali, i quali possono essere creduti o meno, contraffatti, amplificati, negati e così via. Da questa consapevolezza è potuto nascere il linguaggio umano, così come le complessità dell’empatia, dell’identificazione, della proiezione e la capacità di comunicare ai molteplici livelli di astrazione menzionati. Un momento importante per Bateson nello sviluppo della sua teoria sulla comunicazione avviene con la visita allo zoo di San Francisco nel 1952, dove vide due giovani scimmie che giocavano, ossia erano impegnate in una sequenza interattiva, in cui i loro segnali erano simili, ma non identici, a quelli del combattimento. Pur essendo molto simile ad un combattimento, era chiaro sia agli osservatori esterni che alle scimmie stesse che vi partecipavano, che questo fosse un non-combattimento. Questo fenomeno, il gioco, può presentarsi solo se gli organismi partecipanti sono capaci in qualche misura di metacomunicare, cioè di scambiarsi segnali che portino il messaggio ‘questo è un gioco’. Il passo successivo per Bateson fu esaminare il messaggio ‘Questo è un gioco’, esame da cui apparve che questo messaggio contiene elementi che generano un paradosso, simile a quello individuato da Russell, ossia un’asserzione negativa che contiene una meta-asserzione negativa implicita. * L’asserzione ‘Questo è un gioco’, se la si sviluppa, assume la forma ‘Le azioni che in questo momento stiamo compiendo non denotano ciò che denoterebbero le azioni per cui esse stanno ossia che quelle azioni denotano’. Il mordicchiare giocoso denota il morso, ma non denota ciò che sarebbe denotato dal morso. Secondo la teoria dei tipi logici di Russell, tale messaggio è inammissibile poiché il termine denota viene usato a due gradi di astrazione, e questi due usi sono trattati come sinonimi, tuttavia i processi mentali e le abitudini di comunicazione dei mammiferi non necessariamente si uniformano all’ideale dei tipi logici. Ciò che inammissibile nella logica accade spesso nella psicologia della comunicazione concreta, in cui ambiguità è necessaria all'esistenza stessa del gioco. Un problema collegato a questo nell’evoluzione della comunicazione riguarda l’origine di quello che Korzybski ha chiamato relazione mappa-territorio: il messaggio non consiste degli oggetti che esso denota, ma con essi sta in una relazione paragonabile a quella esistente tra mappa e territorio. La comunicazione enunciativa, così come si presenta a livello umano, è possibile solo in seguito allo sviluppo di un insieme complesso di regole metalinguistica che governano le relazioni tra parole e proposizioni e tra oggetti ed eventi, la cui evoluzione è importante indagare. Da ciò che si è detto fino a qui risulta che il gioco è un fenomeno in cui le azioni di gioco sono collegate, o denotano, altre azioni di ‘non-gioco’. Di conseguenza, nel gioco ci si imbatte in un esempio di segnali che stanno pie altri eventi e risulta chiaro che l’evoluzione del gioco può essere stata una tappa importante nell’evoluzione della comunicazione. Ci sono poi segnali che vengono scambiati nel contesto di gioco, fantasia, minaccia, ecc. per cui, ad esempio, non solo gli animali che giocano non vogliono affatto dire ciò che dicono, ma comunicano di solito su qualcosa che non esiste. Si è dunque di fronte a due caratteristiche del gioco: che i messaggi o segnali scambiati nel gioco sono in un certo senso non veri o non sono quelli che si hanno in mente; che ciò che viene denotato da questi segnali è inesistente. Ci sono altri esempi in cui si verifica un fenomeno opposto a quello riferito precedentemente rispetto al gioco, come quello per cui un uomo sperimenta un terrore soggettivo quando gli viene scagliata contro una lancia da uno schermo tridimensionale, eppure nella sala di proiezione non c’era alcuna lancia. Quindi le immagini non denotavano ciò che esse sembravano denotare,

eppure queste stesse immagini evocavano effettivamente quel terrore che sarebbe stato evocato da una vera lancia. La caratteristica del messaggio questo è un gioco è creare una cornice per comprendere le azioni che si svolgono al suo interno: il morso dato per gioco non è più un segno di aggressione, anche se in un altro contesto ciò sarebbe stato il suo significato originario. Giocare significa quindi compiere azioni il due contesti differenti: questo reale e questo è un gioco, i quali non sono rigidamente separati perché entrambi sono dimensioni simboliche e dell'esperienza. Il gioco si sviluppa sulla soglia in cui si incontrano i concetti di realtà e finzione. Per raggiungere questo ragionamento B utilizza la teoria dei tipi logici di Russel. *La teoria di Russel riguardo i tipi logici parte dal paradosso individuato dallo studioso nel tentativo di arrivare ad una fondazione logica della matematica. Il paradosso di Russel afferma che: considerando l'insieme di tutti insieme che non sono membri di se stesso, questo insieme sarebbe membro di se stesso se e solo se esso non fosse un membro di se stesso. ———————————————————————————————————————————! B prosegue il suo discorso sul linguaggio quando si occupa di schizofrenia. Comunemente gli schizofrenici si dice che soffrano di una debolezza dell’Ego. B definisce questa debolezza dell'ego con una difficoltà nell'identificare e nell'interpretare questi segnali che dovrebbero dire all'individuo di che genere un messaggio. Dunque B si chiede come un bambino acquisisca o meno quelle abilità che consentono di interpretare i segnali. Cercando una risposta a tale problema eziologico, B considera i padri le madri dei pazienti, riscontrando parecchi generi di risposte. In primo luogo individua l'esistenza di fattori intensifica attivi, ovvero circostanze che rendono più grave la malattia, come la stanchezza o il freddo. Poi nota come esistano delle caratteristiche ereditarie in merito a questa malattia. Infine B vuole individuare un gruppo di sindromi legate all'incapacità di riconoscere il genere di un messaggio, in cui a un estremo ci saranno individui definiti ebefrenici, ossia coloro che non riescono ad identificare nessun genere di messaggio e vivono in una sorta di mondo cronicamente sfocato, e all'altro estremo coloro che tendono ad ultraidentificare il messaggio, ossia di compiere un’identificazione eccessivamente rigida del genere di ogni messaggio. B formula una teoria dell'origine e della natura della schizofrenia, basata sulla comunicazione. Qui B fa ancora riferimento alla teoria dei tipi logici di Russell. Gli schizofrenici soffrono di debolezza dell’ego. B definisce questa debolezza dell'ego con una difficoltà nell'identificare e nell'interpretare questi segnali che dovrebbero dire all'individuo di che genere un messaggio. Questa difficoltà si manifesta in tre campi: difficoltà ad interpretare i segnali chi riceve dagli altri; difficoltà ad interpretare i messaggi verbali e non verbali che egli stesso emette o esprime; difficoltà di interpretare in sé se stesso i propri pensieri, sensazioni, percezioni. Lo schizofrenico utilizza inoltre metafore senza contrassegno, Ovvero metafore che non fanno riferimento una cosa specifica: Non si collegano nulla. Perché sono la schizofrenia risultato di una interazione familiare particolare. Sequenze di questo tipo nell'esperienza esterna del paziente sono responsabili dei conflitti interni della tipologia logica. Per queste sequenze si utilizza il termine di doppio vincolo....


Similar Free PDFs