Altre Fonti, SOFT LAW PDF

Title Altre Fonti, SOFT LAW
Course Diritto internazionale
Institution Università per Stranieri di Siena
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VIII. Altre fonti di produzione giuridica Consuetudini e trattati non sono le uniche fonti di formazione delle norme internazionali. Fra le altre, i principi generali di diritto sono l’unica fonte sussidiaria del diritto internazionale. 1. Gli atti giuridici unilaterali degli Stati La produzione giuridica per mezzo di atti unilaterali non è espressamente menzionata nell’ex art. 38 dello Statuto della CIG, ma è prevista da una norma generale dello stesso rango di quella relativa alla consuetudine ed ai trattati. Non tutti gli atti unilaterali danno origine a norme internazionali di contenuto non predeterminato. Vi sono alcuni atti unilaterali che producono effetti giuridici prestabiliti dal diritto consuetudinario. La protesta: dichiarazione unilaterale con cui uno Stato informa un altro Stato che una certa azione è stata intrapresa o adempiuta. Lo scopo è di non riconoscerle o accettarle gli atti in questione e nemmeno prestarne acquiescenza, riservandosi quindi il diritto di contestare l’atto o l’azione in questione. • Il riconoscimento: atto unilaterale con cui si considera legittima una situazione o condotta. Esso produce l’effetto giuridico dell’estoppel, per cui uno Stato non può contestare quello che ha riconosciuto precedentemente. • La rinuncia: abbandono volontario di un diritto. Essa deve essere chiara e volontaria, non può

desumersi dall’inerzia, dal mancato esercizio del diritto o dal trascorrere del tempo, sebbene possa manifestarsi in forma tacita. (es Giordania sulla Cisgiordania.) La notifica: atto con cui uno Stato informa un altro Stato che un’azione è stata intrapresa e adempiuta (es. blocco navale in caso di guerra). La notifica è efficace nel momento in cui viene comunicata e di questa comunicazione c’è la prova. L’effetto è quello di ostacolare altri Stati e di pretendere che, non essendo a conoscenza dell’azione, fossero autorizzati a comportarsi diversamente. La promessa: unico atto unilaterale da cui discendono obblighi internazionali in senso proprio. Si vengono, infatti, a stabilire nuove regole che obbligano lo Stato effettuante la promessa nei confronti di uno o più soggetti. Consiste in una dichiarazione unilaterale attraverso cui uno Stato si impegna a adottare un certo comportamento. Quest’obbligo è assunto indipendentemente dall’adempimento di ogni altro obbligo da parte di altri soggetti. Nei casi relativi agli Esperimenti nucleari (1974), la CIG ha sostenuto che la dichiarazione con cui la Francia affermava che avrebbe cessato gli esperimenti nucleari nell’atmosfera comportava l’assunzione di un obbligo giuridico di tale contenuto. Secondo la CIG, lo Stato deve manifestare la chiara intenzione di sentirsi vincolato giuridicamente dalla promessa, e deve assumere l’impegno pubblicamente. 2. Le fonti previste da accordi 2.1 Gli atti vincolanti delle organizzazioni internazionale Può capitare che anche nei trattati internazionali siano poste le basi per procedimenti di produzione giuridica. È il caso dei trattati istitutivi di organizzazioni internazionali (fonti secondarie). Un organo dell'organizzazione internazionale è autorizzato a adottare parametri giuridici vincolanti, normalmente attraverso un voto maggioritario. Ovviamente le regole emanate dall'organizzazione vincolano solo gli Stati parte dell'organizzazione e non Stati terzi. Un esempio esauriente è sicuramente quello della Carta delle Nazioni Unite, al Cap. VII, che consente al CdS di emanare delibere vincolanti e in virtù dell’art. 25 sono vincolanti per gli Stati membri. Le NU possono costringere gli Stati terzi, i pochi che non sono ancora membri delle NU, a conformarsi al CdS attraverso sanzioni o altre misure adottate in base all’art.2 par.6 della Carta, con lo scopo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Altra organizzazione intergovernativa con poteri normativi è l'ICAO (organizzazione per l’aviazione

civile internazionale), il cui Consiglio ha il potere di emanare a maggioranza dei 2/3 parametri internazionali relativi al traffico aereo. Questi parametri diventano vincolanti dopo 3 mesi dalla loro adozione, salvo che la maggioranza degli Stati membri abbia notificato nel frattempo la propria disapprovazione. L’Unione europea può adottare regolamenti (immediatamente applicabili nel territorio degli Stati membri), direttive (atti che impongono obblighi di risultato) e decisioni, che impongono obblighi giuridici sugli Stati membri, le imprese e le persone. L’UE può inoltre stipulare accordi internazionali con Stati terzi. 2.2 Le sentenze emanate sulla base di principi di equità Alcuni trattati attribuiscono ai tribunali internazionali il potere di emanare sentenze non sulla base del diritto esistente, ma su principi di equità indicati nell’ex art. 38, par. 2 dello Statuto della CIG, sebbene gli Stati non abbiano mai espressamente autorizzato la Corte ad applicare tale disposizione. Un tribunale internazionale che ricorre a principi di equità per risolvere una controversia, crea diritto per le parti. Si parla in questo caso di sentenze dispositive. 3. I principi generali di diritto Oltre alle fonti primarie e secondarie vi sono anche fonti di produzione del diritto di carattere “sussidiario”, che intervengono qualora non esistessero altre fonti a regolare un determinato caso. Sono questi i "principi generali di diritto comuni agli ordinamenti interni ", diversi ovviamente dai principi generali del diritto internazionale. I principi generali di diritto comuni agli ordinamenti interni, invece, a differenza dei principi generali del diritto internazionale, operano come fonte sussidiaria di produzione giuridica che attinge ad altri ordinamenti: si effettua così una trasposizione nell’ordinamento internazionale di taluni principi operanti in foro domestico, al fine di integrare le lacune eventualmente presenti in quell’ordinamento. I principi generali del diritto internazionale costituiscono sia l’ossatura del corpus giuridico che governa le relazioni internazionali, sia un potente fattore che raccoglie ad unità gli ingranaggi dell’assetto normativo di tale comunità. Gli Stati, tuttavia, manifestano diffidenza in quanto temano che essi restringano la loro libertà d’azione, di conseguenza, raramente li invocano; eccetto quando considerano vantaggioso utilizzarli contro un altro Stato. Attualmente nella comunità internazionali si possono distinguere due categorie di principi generali: - i principi generali del diritto internazionale, che possono essere estrapolati dalle norme convenzionali e consuetudinarie del diritto internazionale - i principi generali specifici di un settore del diritto internazionale, (diritto del mare, diritto umanitario ecc.) e si tratta dei parametri giuridici che ispirano l’intera disciplina di quel determinato settore normativo. I principi generali di diritto comuni agli ordinamenti interni, invece, operano come fonte sussidiaria di produzione giuridica che attinge ad altri ordinamenti: in pratica, si effettua una trasposizione nell’ordinamento internazionale di taluni principi operanti in foro domestico, al fine di integrare le lacune eventualmente presenti in quell’ordinamento. Il ricorso di questi principi iniziò a manifestarsi durante l’800 e agli inizi del ‘900 e comprendevano la necessità, la forza maggiore, il principio della cosa giudicata, il divieto di diniego di giustizia e il principio secondo cui lo Stato autore di un illecito deve fornire un risarcimento per i danni causati. 3.2 L’articolo 38 dello Statuto della CPGI Vi fu un dibattito in seno al Comitato dei giuristi, nominato dal Consiglio della Società delle Nazioni e composto di 10 membri, che vedeva contrapposte due tesi: quella del presidente, il barone belga Descamps, secondo la quale, oltre alle norme convenzionali e consuetudinarie, la Corte avrebbe dovuto applicare “le norme di diritto internazionale riconosciute dalla coscienza giuridica delle nazioni civili”, Questa tesi mirava al raggiungimento di due obiettivi: - ampliare il nòvero delle fonti del diritto internazionale, introducendo principi di giustizia oggettivi - impedire che la Corte si dichiarasse incompetente, nelle ipotesi in cui nessuna norma convenzionale o consuetudinaria fosse applicabile al caso di specie

La seconda teoria (di minoranza, che vedeva 3 membri) affermava che la Corte avrebbe dovuto applicare esclusivamente le norme e i principi che traevano origine dalla volontà degli Stati, ed erano contenuti nei trattati o in consuetudini. Secondo la formulazione finale dell'art. 38 dello Statuto della Corte Permanente di Giustizia Internazionale, essa poteva applicare qualcosa di più delle norme convenzionali e consuetudinarie, e quindi non limitarsi al diritto creato dagli Stati. Essa non poteva, però, applicare generici e vaghi principi di giustizia obiettiva, ma doveva ricorrere a principi chiaramente formulati negli ordinamenti giuridici degli Stati (dominanti). 3.3 Il ruolo dei principi generali di diritto Da un esame della giurisprudenza della CPGI, si denota uno scarso ricorso ai principi in questione. Quando ciò è accaduto, la Corte ha applicato principi di logica giuridica o di teoria generale del diritto. La Corte ha fatto riferimento all’obbligo di riparare il danno causato dall’illecito o sui principi d’interpretazione dei trattati. La Corte non aveva però identificato tali principi attraverso un’analisi degli ordinamenti giuridici interni e quindi essi non sono stati applicati come principi generali previsti in foro domestico, ma come principi generali desunti dalle norme di diritto internazionale o come principi di logica giuridica. Infine, i principi utilizzati dalla Corte non erano indispensabili per la soluzione della controversia, ma solo per rafforzare un’argomentazione già formulata in conformità ad altre norme o principi del diritto internazionale. Anche lo Statuto della CIG, subentrata alla CPGI alla fine della WWII, prevede che la Corte possa applicare i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili, ma ciò è avvenuto ancora più raramente della CPGI. La ragione principale del declino di questi principi sta nell’intensificarsi, per gli Stati, del ricorso a trattati internazionali ed in virtù del relativo grado di sviluppo raggiunto dal diritto internazionale nei settori internazionali. Ultimamente però, con la normazione di materie nuove, si è dovuto fare di nuovo ricorso alle giurisdizioni interne come sussidio al diritto internazionale, utilizzando principalmente i principi generali di diritto riconosciuti dai principali sistemi giuridici interni di common law e civil law. Ovviamente tali norme interne possono essere traslate al diritto internazionale solo ove esso manchino norme applicabili ( carattere sussidiario dei principi di diritto) e vi sia compatibilità con i caratteri essenziali e strutturali dell’ordinamento giuridico internazionale (compatibilità con l’ordinamento internazionale). 4. . L’incidenza di procedimenti che non costituiscono fonti di produzione normativa 4.1 Le sentenze giudiziarie che non si fondano su principi di equità Le sentenze della CIG (Corte Internazionale di Giustizia) hanno efficacia vincolante solo per le parti in causa e limitatamente al caso di specie (ex art. 59, par. 1, lett. d). Ciò significa che non è contemplato il principio dello stare decisis, tipico degli ordinamenti di common law, e cioè che le sentenze precedenti debbano influenzare le successive. Però, in assenza di un organo centrale di giurisdizione, con il tempo è diventata una prassi quella dell'attribuire molta importanza alle decisioni della Corte per le sentenze successive. In alcuni casi la CIG si è trovata anche a determinare nuove norme internazionali, con il tacito consenso degli Stati, applicando così la dottrina dei poteri impliciti, in virtù della quale le organizzazioni internazionali potrebbero esercitare tutti i poteri necessari all’adempimento delle loro funzioni o al perseguimento dei loro obiettivi. Gli Stati interessati non hanno mai sollevato obiezioni in relazione a questo modo di procedere della Corte, essi hanno forse implicitamente accettato il ruolo normativo talvolta svolto dalla CIG. 4.2 .2 La “soft law” Negli anni recenti, nella comunità internazionale, si è manifestata la formazione di un fenomeno nuovo: la "soft law”, in opposizione alla “hard law”, ossia il diritto internazionale in senso proprio. Si

tratta di un insieme di parametri, impegni, dichiarazioni congiunte, dichiarazioni d’intenti o politiche, risoluzioni dell’AG dell’ONU o di altre organizzazioni internazionali. Normalmente la soft law si forma all'interno di organizzazioni internazionali e concerne materie quali diritti umani, le relazioni economiche internazionali e la protezione dell'ambiente. Gli strumenti di soft law hanno tre principali caratteristiche: - trasmettono tendenze moderne di cui le organizzazioni internazionali si fanno promotori; - riguardano materie che riflettono nuovi interessi della comunità internazionale; - riguardano questioni sulle quali non è possibile raggiungere un accordo internazionale vincolante. Gli strumenti di soft law non impongono quindi obblighi internazionali vincolanti per gli Stati, ma si limitano a suggerire parametri di comportamento per gli Stati. Ovviamente si tende a rendere la "soft law" come terreno fertile per una prassi e una consuetudine, o che porti alla contribuzione della stipulazione di trattati internazionali: in questo caso si parla di soft law in senso proprio. Per distinguere la soft law dalla hard low occorre prendere in considerazione l’intenzione dei redattori di ogni specifico strumento internazionale e quindi se essi abbiano inteso conferire a tale strumento un’efficacia vincolante o solamente di natura esortativa. Infine, è necessario ricordare che, in certi casi, strumenti di soft law possono essere considerati dichiarativi di una norma consuetudinaria o contribuire alla sua cristallizzazione, attraverso le due condizioni delle norme consuetudinarie, la diuturnitas e l’opinio iuris ac necessitatis....


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