Analisi Canto I E II Inferno - Divina Commedia PDF

Title Analisi Canto I E II Inferno - Divina Commedia
Author Marina Verde
Course Letteratura Italiana
Institution Università telematica e-Campus
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Esercitazione obbligatoria Letteratura Italiana Prof Tonello...


Description

ANALISI CANTO I INFERNO DELLA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI CON IL COMMENTO DI ANNA MARIA CHIAVACCI LEONARDI PREMESSA Ho trovato il commento della studiosa molto interessante. L’introduzione da lei curata, analizza la Divina Commedia nella sua totalità, dando indicazioni chiare di lettura nei “criteri del commento”. In seguito è presente la cronologia, a mio parere molto utile per facilitare l’orientamento temporale all’interno dell’opera. Innumerevoli sono, ovviamente, le opere citate, ma ciò che più colpisce, è lo schema dell’inferno dantesco illustrato in una delle prime pagine introduttive: per una visione più chiara e facilitata, del percorso nell’oltremondo del poeta. PARAFRASI A metà della vita umana mi ritrovai in una buia foresta perché avevo smarrito il giusto percorso. Ahimé, non è affatto facile descrivere questo bosco inospitale, impervio, difficile, del quale il solo pensiero mi fa tornare la paura! È angosciante quasi quanto la morte; ma per dire ciò che di buono lì incontrai, parlerò prima delle altre cose che ho visto. Non so descrivere il modo in cui vi entrai dato che il mio torpore era tale in quel momento che mi ero allontanato dalla verità. Ma dopo che arrivai alle pendici d'una collina, nel luogo in cui finiva quel bosco che mi aveva impietrito il cuore di paura, alzai gli occhi e vidi la sua cima e il pendio già illuminati dai raggi del sole che guida ogni persona sulla giusta via. A quel punto si calmò la paura che nel profondo dell'animo avevo sofferto durante la notte trascorsa nel dolore. E come colui che con respiro affaticato, uscito dal mare e arrivato alla spiaggia, si gira verso lo specchio d'acqua minaccioso e lo guarda; Allo stesso modo il mio animo, che ancora fuggiva, si girò indietro a guardare il tragitto, che non abbandonò mai nessuna persona viva. Dopo che riposai per un po' per la stanchezza, ripresi il cammino lungo il pendio deserto, scalando la salita. E d'improvviso, quasi all'inizio del pendio, arrivò una lonza agile e molto veloce, dal pelo coperto di macchie; che non si scansava da davanti a me, e bloccava il mio cammino a tal punto che più volte mi voltai per tornare indietro. Era appena sorto il sole, Ed esso saliva nello stesso punto in cui si trovava, quando Dio creò inizialmente i corpi celesti; E questo mi faceva credere che non dovevo avere paura di quella belva dalla pelle maculata, finché non mi spaventò la presenza improvvisa di un leone. Questo sembrava venire verso di me rabbioso e affamato, al punto che sembrava far tremare l'aria. E una lupa, che di tutti i desideri sembrava piena pur essendo magra, e che fece vivere molti popoli nella miseria, questa vista mi trasmise tanta angoscia per la paura che mi diede la sua comparsa, che persi la speranza di arrivare in cima. E come avviene a colui che accumula denaro, arriva il momento che lo fa perdere, al punto che nell'animo si rattrista e piange; così mi fece sentire quella belva senza pace la quale, venendomi incontro, pian piano mi faceva arretrare verso l’ombra. Mentre indietreggiavo ormai nell’oscurità, vidi una persona che per un lungo lasso di tempo era rimasto sfuocato. Quando lo vidi nella grande spiaggia vuota, “Pietà di me”, gli gridai, “chiunque tu sia, fantasma o uomo vero!” Mi rispose: “Non sono un uomo, ero un uomo, e i miei genitori furono lombardi,

entrambi di Mantova. Nacqui sotto Giulio Cesare, ma troppo tardi, e vissi a Roma durante il regno del buon Augusto, all'epoca degli dei finti e impostori. Fui un poeta, e scrissi di quell'uomo giusto figlio di Anchise che arrivò da Troia, dopo che la superba Ilio venne bruciata. E tu, perché vieni in questo posto penoso? Perché non scali questa montagna, che porta verso la felicità assoluta?” “Sei tu dunque quel Virgilio e quella fonte che spande un fiume così ricco di parole?” Gli risposi con volto umile. “Oh, gloria e luce per gli altri poeti, mi serva l'assiduo studio e il forte amore per il quale ho cercato le tue opere. Tu sei il mio maestro e il mio autore preferito, da te solamente ho tratto lo stile eletto per cui sono conosciuto. Guarda la belva per cui mi voltai indietro salvami da lei, celebrato poeta, poiché questa mi fa tremare le vene e i polsi. “Ti conviene intraprendere una strada diversa”, rispose, dopo che mi vide piangere, “se vuoi uscire da questo luogo selvaggio; Poiché questa belva, a causa della quale tu gridi, impedisce a tutti di superarla, e blocca chiunque fino a ucciderlo; e ha una natura così perversa e colpevole, che non appaga mai il suo desiderio, e dopo essersi cibata ha più fame di prima. Sono molti gli uomini di cui si è cibata, e ce ne saranno ancor di più, finché arriverà il veltro, che la farà morire con dolore. Costui non tratterà né terra, né denaro, ma sapienza, carità e virtù, e nascerà tra feltro e feltro. Sarà la salvezza di quella umile Italia per la quale morì la fanciulla Camilla, Eurialo, Turno e Niso per le ferite. Costui la caccerà di città in città finché non l'avrà ricacciata nell'Inferno, il luogo da cui in principio l'invidia la fece uscire. Per cui, riguardo te, penso sia meglio che tu mi segua e io ti faccia da guida, portandoti da qui nell'oltretomba; in cui ascolterai le urla senza speranza, osserverai i vecchi spiriti sofferenti, che gridano per la morte delle loro anime; e vedrai coloro che appaiono contenti nel dolore, perché hanno la speranza di accedere nel tempo al regno dei beati. A cui poi se tu vorrai accedere, ti porterà un'anima più degna di me: quando me ne andrò ti lascerò a lei; Poiché quell'Imperatore che regna lassù, per via del fatto che fui ribelle alla sua dottrina, mi vieta di entrare nel suo Regno. Dio regna in ogni luogo e qui ha la sua dimora; questa è la sua città e il suo trono: felice è colui che viene chiamato nel suo Regno!”. Ed io gli dissi: “Poeta, io ti chiedo per quel Dio che tu non avesti modo di conoscere, affinché io mi allontani da questo male e dalla dannazione, che tu mi conduca là dove dicesti, affinché io veda le porte del Paradiso e coloro i quali tu descrivi tanto tristi”. Virgilio allora si mise in cammino, ed io lo seguii. FIGURE RETORICHE • • • • •

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V. 2, «selva oscura»: allegoria del peccato V. 5, «selva selvaggia»: paronomasia V. 13, «colle»: allegoria della virtù Vv. 17-18, «pianeta / che mena dritto altrui per ogne calle»: perifrasi per indicare il Sole Vv. 22-27, «E come quei che con lena affannata, / uscito fuor del pelago a la riva, / si volge a l’acqua perigliosa e guata, // così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, / si volse a retro a rimirar lo passo / che non lasciò già mai persona viva.»: similitudine V. 32 «lonza»: allegoria, probabilmente della lussuria V. 36, «volte vòlto»: paronomasia V. 45 «leone»: allegoria, probabilmente della superbia

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V. 49, «lupa»: allegoria, probabilmente della cupidigia-avarizia V. 60, «dove ’l sol tace»: sinestesia V. 67, «Non omo, omo già fui»: anadiplosi Vv. 73-75, «quel giusto / figliuol d’Anchise che venne di Troia, / poi che ’l superbo Ilïón fu combusto»: perifrasi per indicare Enea V. 81, «fronte»: sineddoche per indicare la testa V.97, «malvagia e ria»: dittologia Vv. 118-119, «color che son contenti / nel foco»: perifrasi per indicare le anime del Purgatorio.

ANALISI CANTO II INFERNO DELLA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI CON IL COMMENTO DI ANNA MARIA CHIAVACCI LEONARDI PARAFRASI Il giorno era quasi finito e il cielo scuro sottraeva gli esseri animati che vivono sulla Terra alle loro fatiche; ed io, unico fra tutti, mi preparavo ad affrontare le difficoltà sia del cammino che dell’angoscia, che la mia mente infallibile descriverà. O muse, o mio alto ingegno, aiutatemi ora; o memoria, che annotasti quello che hai visto, qui dovrai dimostrare il tuo valore. Io cominciai a dire: «Oh Poeta che mi guidi, valuta se le mie capacità sono adeguate a ciò, prima di affidarmi a questo arduo viaggio. Tu dici che il padre di Silvio (Enea), ancora in vita, andò nell'Aldilà, e lì vi andò con tutto il corpo. Perciò, se Dio fu cortese verso di lui, pensando alla grandiosa conseguenza che doveva derivare da lui, sia la sua persona che le sue qualità non sembrano indegni a un uomo dotato di intelletto; perché egli fu eletto nell' Empireo come fondatore della nobile Roma e del suo impero: e Roma e il suo impero, a voler dire la verità, furono stabiliti come il sacro luogo dove risiede il successore di San Pietro. Grazie a questo viaggio per mezzo del quale tu gli conferisci onore, Enea sentì cose che furono motivo della sua vittoria e del manto papale. Andò poi nell’Aldilà San Paolo, per dare sostegno a quella fede che è indispensabile per percorrere la via verso la salvezza. Ma io perché dovrei venirci? E chi lo permette? Io non sono Enea, né san Paolo; né io né nessun altro può ritenermi degno di questo compito. Perciò, se accetto di incamminarmi, temo che il mio viaggio sia un’empietà. Sei saggio, comprendi meglio di quanto io sappia spiegare» E come colui che non vuole più ciò che voleva, e cambia proposito a causa di nuovi pensieri, al punto che recede totalmente da ciò che stava per cominciare, così divenni io in quel luogo oscuro, perché pensandoci, annullai l'impresa che fu all’inizio così rapida. «Se io ho compreso bene le tue parole», rispose l’ombra di quell’uomo magnanimo, «la tua anima è vittima di viltà; la quale molte volte ostacola l'uomo e lo porta a desistere da un'impresa onorevole, proprio come una immagine ingannevole fa fermare un animale quando si imbizzarrisce. Affinché tu ti liberi da questo timore, ti dirò perché son venuto qui e ciò che udii nel primo momento in cui provai dolore per te. Io ero tra le anime che sono sospese nel Limbo e mi chiamò una donna beata e bella al punto tale che le chiesi di comandarmi quel che desiderasse. I suoi occhi splendevano più di una stella; e lei cominciò a dirmi parlando con dolcezza e soavità, con una voce che sembrava il linguaggio di un angelo: "O nobile anima mantovana, la cui la fama ancora perdura nel mondo, e durerà tanto quanto il mondo, il mio amico, non occasionale, sul pendio deserto di un colle, è così ostacolato nel suo cammino che si è voltato indietro per paura; e temo che sia già smarrito a tal punto che io mi sia mossa troppo tardi per soccorrerlo, per quello che ho udito riguardo lui in cielo. Ora va’, e con la tua parola convincente e con ciò che è necessario per la sua salvezza, aiutalo, così che io ne sia consolata. Io, che ti faccio andare da lui, sono Beatrice; vengo dal luogo in cui desidero tornare (il Paradiso); è l'amore mi ha fatto venire qui e mi fa pronunciare queste parole. Quando sarò davanti al mio Signore, spesso a Lui ti loderò". Allora tacque, e cominciai io a parlare: "O donna di virtù, grazie alle cui soltanto la specie umana supera di tutto ciò che che è contenuto sotto il cielo che ha la circonferenza minore, la tua richiesta mi è così gradita, che se anche avessi giù ubbidito mi sembrerebbe di averlo fatto tardi; non devi fare altro che rivelarmi il tuo desiderio. Ma dimmi il motivo per cui non temi di scendere quaggiù (nell’inferno), dall’ampio luogo dove desideri ardentemente tornare". "Dal momento che vuoi sapere le cose tanto a fondo, ti spiegherò brevemente”, mi rispose, “il motivo per cui non temo di venire qua dentro. Si devono temere soltanto quelle cose che hanno il potere di fare male agli altri; le altre no, poiché non sono paurose. Io sono resa da Dio, per sua Grazia, tale che la vostra miseria non mi tocca, e nessuna fiamma di questo fuoco può assalirmi. Nel cielo c'è una donna nobile (Maria) che si duole di questo impedimento (che frena Dante) dove io ti mando, così che infrange il severo giudizio di Dio. Costei chiamò Lucia a sé e le disse: - Ora il tuo fedele ha bisogno del tuo aiuto, e io a te lo affido -. Lucia,

nemica di ogni crudeltà, si mosse e venne là nel luogo dov’ero io, che ero seduta accanto all'antica Rachele. Mi disse: - Beatrice, vera lode di Dio, perché non soccorri colui che ti amò così tanto da elevarsi al di sopra della gente volgare? Non senti l'angoscia del suo pianto? Non vedi la morte (spirituale) che combatte sul fiume impetuoso del peccato, al punto che il mare non può vantarsi di essere così pericoloso? - Al mondo non ci furono mai persone tanto veloci a perseguire il proprio vantaggio o a fuggire il proprio danno, quanto io, dopo aver udito quelle parole, venni quaggiù dal mio seggio beato, affidandomi alla tua nobile eloquenza che onora te e coloro che l’hanno ascoltata". Dopo che mi ebbe detto questo, rivolse a me i suoi occhi luminosi e in lacrime, il che mi indusse a venire da te quanto prima; e venni da te proprio come lei volle; ti soccorsi da quella belva che ti impedì di proseguire sul percorso più breve per salire sul bel colle. Dunque: cosa c'è? Perché, perché esiti? Perché coltivi tanta viltà nel cuore? Perché non hai coraggio e sicurezza, dal momento che queste tre donne benedette si prendono cura di te nella corte celeste e le mie parole ti promettono un bene così grande?» Come dei fiorellini chiusi e piegati dal gelo notturno, dopo che il sole li illumina, si risollevano tutti aperti sul loro stelo, così feci io con la mia debolezza d’animo, risollevandola, e al cuore mi venne tanto energico coraggio che cominciare a dire, come una persona sicura di sé: «Oh quant’è pietosa la donna che mi soccorse! E quanto sei cortese tu che subito ubbidisti alle parole di verità che ti rivolse! Tu, hai reso il mio cuore desideroso di venire con te, grazie alle tue parole, al punto che sono tornato al mio primo proposito. Ora va’, poiché entrambi abbiamo un’unica volontà: tu sei la mia guida, il mio signore, il mio maestro». Così gli dissi, e dopo che si fu avviato, intrapresi il percorso difficile e selvaggio. FIGURE RETORICHE •

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V. 1 L'aere bruno: sinestesia. Invece di usare il sostantivo cielo, dice che è l'aria a scurirsi. Ma l'aria è invisibile ai nostri occhi, al massimo possiamo avvertirla quando ci colpisce (sfera tattile) o se fa rumore (sfera uditiva). V. 4 Guerra = metafora. Non indica la guerra in sé bensì l'esperienza che serve a dare un senso epico all'opera. V. 13 Silvio il parente = perifrasi. Significa il "genitore" di Silvio, ovvero Enea. V. 13 L'avversario d'ogne male = perifrasi. È un modo per indicare Dio. Vv. 14-15 Immortale secolo = enjambement. V. 24 Maggior Piero = perifrasi. È un sinonimo di "pontefice". V. 24 U' = "apocope". Troncamento di ubi. Vv. 26-27 Cagione di sua vittoria = enjambement. V. 28 Vas d'elezione = perifrasi. Dante cita San Paolo usando l'appellativo "strumento della scelta divina". V. 32 Io non Enea, io non Paulo sono = chiasmo. V. 37 Qual è quei = annominazione. Vv. 37-38 E qual è quei che disvuol ciò che volle e per novi pensier cangia proposta = similitudine. Sta a significare "E come colui che non vuole più ciò che voleva, e cambia idea a causa di nuovi pensieri". Vv. 41-42 'mpresa che fu nel cominciar = enjambement. V. 44 Magnanimo = perifrasi. È un sinonimo di "nobile". Vv. 46-47 L'omo ingombra si che d'onrata impresa lo rivolve = enjambement. V. 53 Beata e bella = allitterazione della b. V. 56 Soave e piana = endiadi. Esprimono lo stesso concetto in due parole. V. 58 Anima cortese = perifrasi. È un modo per dire che la sua anima è nobile.

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Vv. 59-60 Nel mondo dura, e durerà quanto 'l mondo lontana = chiasmo. V. 76 Donna di virtù = perifrasi. È un modo per dire che è una donna virtuosa. Vv. 76-77 Sola per cui l'umana spezie eccede = enjambement. V. 81 Uo' = apocope. Troncamento di uopo. Vv. 82-83 Che non ti guardi de lo scender qua giuso = enjambement. Vv. 94-108 Donna è gentil nel ciel che si compiange = analogia. Vengono nominate le tre donne per fede speranza carità: Maria, Lucia e Beatrice. V. 107 Non vedi tu la morte che 'l combatte = metafora. Non vedere la morte che porta guerra è una metafora che definisce la morte come una dannazione spirituale. V. 123 Ardire e franchezza = endiadi. Vv. 127-129 Quali fioretti dal notturno gelo chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca si drizzan tutti aperti in loro stelo = similitudine. Sta a significare "Come dei fiorellini chiusi e rivolti in basso dal gelo notturno si drizzano tutti aperti sul loro stelo, dopo che il sole li ha illuminati...così feci io". V. 140 Tu duca, tu segnore, e tu maestro = climax. Sta a significare "tu sei la mia guida, il mio signore, il mio maestro". V. 141 Fue = epitesi. Vocale aggiunta al verbo "fu" per motivi metrici o stilistici....


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