Analisi del I Canto del Paradiso, Divina Commedia PDF

Title Analisi del I Canto del Paradiso, Divina Commedia
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Ferrara
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Analisi completa dell'intero primo canto del Paradiso della Divina Commedia....


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CANTO I PARADISO V. 1-9 Il canto si apre con la parola gloria nel senso di potenza divino. Gloria è nella Commedia una parola usata in riferimento sempre e soltanto alla potenza di Dio. “Colui che tutto move”= Dio, nella concezione aristotelica, è considerato il motore primo, l’essenza che imprime la vita/il movimento a tutte le cose. La gloria di Dio che tutto move (=che è causa prima dell’esistenza) viene raffigurata con un’immagine di luce. Il Paradiso è la cantica della luce, Dante farà esperienze che nessun umano ha mai provato. Uno dei temi principali della cantica è infatti quello della ineffabilità: l’incapacità ad esprimere ciò che Dante ha visto. Dio è la sostanza delle cose e al tempo stesso risplende perché le fa esistere, la gloria/luce di Dio penetra in tutte le cose dell’universo e le rende esistenti ma in una parte più e meno altrove. Per Dante c’è una concezione gerarchica dell’esistenza per cui tutte le cose del mondo visibile sono organizzate secondo una precisa gerarchia quindi non è che la gloria di Dio non ci sia nell’Inferno, semplicemente arriva in maniera molto più fioca mentre nel Paradiso risplende al massimo. V.4ciel=Empireo. V.5-6 citazione di Paolo della Bibbia: sono le parole con cui nella lettera ai Corinzi Paolo riferisce la sua esperienza soprannaturale (ha visto cose che “chi di lassù discende” ovvero pochissimi a cui è concessa questa straordinaria esperienza, non puo’ ripeterle) V.7-9 avvicinandosi all’oggetto del suo desiderio (=Dio) la nostra mente vuole talmente tanto immergersi (metafora che si rifà alle profondità del mare)nel profondo che dietro la memoria non riesce ad andargli. Si tratta di un concetto che viene a Dante dalla filosofia del suo tempo: secondo Dante la memoria è una facoltà intellettiva che poteva registrare soltanto ciò che è sensibile ovvero solo ciò che è possibile registrare tramite i 5 sensi. Quindi, un’esperienza come quella che Dante sta per vivere che non è passata attraverso i 5 sensi perché è un’esperienza mentale , non lascia traccia nella memoria. V.10- 12 Dante si introduce come personaggio. Dante ci dice: nonostante queste difficoltà, nonostante tutto quello che vi ho appena detto e cioè che la memoria non serba traccia di ciò che non è passato attraverso i 5 sensi, tuttavia io mi impegno con voi solennemente (forza dell’avverbio Veramente) a ripetervi tutto quello che io sono riuscito a ricordare. V.13-18 V.13 “Buono”= Dante attribuisce ad Apollo l’aggettivo “buono” nel senso originario cioè nel senso di “eccezionale” o “fuori dal comune”. O buono Apollo, all’ultima parte del mio lavoro rendimi un vaso così fatto (=recipiente tale da poter accogliere il tuo valore) come richiedi a colui che voglia essere fregiato dell’alloro. Apollo era il dio del sole e della poesia. Apollo si puo’ associare a Dio perché il Sole è il simbolo di Dio. Per Dante tutta la mitologia classica viene assimilata alla propria secondo un’operazione culturale di sincretismo che Dante poteva compiere perché Dante non è, contrariamente a quanto dicono in molti, un’umanista e quindi non è consapevole della frattura che c’è tra la propria epoca e quella di Virgilio. Per Dante, Virgilio vive esattamente nella stessa epoca di Dante. Quest’ultimo infatti non possiede il senso del divenire storico perché è un uomo del Medioevo e per questo associa divinità della cultura classica alla religione sua contemporanea. V 15. “L’amato alloro”: l’alloro era la pianta sacra ad Apollo perché nelle Metamorfosi si racconta dell’amore tragico di Apollo per la ninfa Dafne la quale invece ha fatto voto di castità e si rifiuta di cedere alle offerte amoroso di Apollo e quindi prega Diana la dea della luna di intervenire per fa sì che la salvi dalle grinfie di Apollo. Diana, la protettrice di Dafne decide di tramutarla in alloro. L’alloro rimane quindi come simbolo della poesia, l’incoronazione poetica all’epoca di Dante/Petrarca avveniva proprio attraverso l’incoronazione con l’alloro. V.16-18 Fino a questo momento, una delle 2 cime del monte Parnaso mi è bastato (Dante si riferisce ad un’errata credenza secondo cui il monte Parnaso avesse 2 cime, 1 dove risiedevano le Muse e 1 dove risiedeva Apollo. Si tratta di una credenza errata perché nella mitologia classica non è così: non sono 2 cime della stessa montagna. In questo caso si riferisce alle Muse) ma adesso con ambedue è necessario che io entri nell’ aringo (=parola di origine germanica che

indica proprio l’area dove avviene il duello). Con queste parole Dante vuole mostrare che si sta apprestando a compiere un’impresa eccezionale. V.19- 33 Dante fa riferimento anche alla concezione poetica tipica del mondo classico: Omero era rappresentato nella leggenda come cieco proprio perché lui non guardava con gli occhi fisici ma con quelli della mente, vedeva le realtà ultraterrene le quali gli erano ispirate dal rapporto con Dio. V.20 Si fanno riferimenti mitologici, dati anche dall’innalzamento del livello stilistico. In questo caso Dante fa rifermento al mito di Marzia in cui si narra di una gara fatta tra un umano e un Dio. Marzia sfida il dio Apollo in una gara di canto e ovviamente, punito per l’arroganza/superbia dimostrata e viene scorticato. Dante riprende quest’immagine dell’uomo che viene svuotato della sua pelle. La vagina infatti (v.21) è la fodera della spada ed è come se il corpo di Marzia venisse tratto fuori dalla sua pelle con un gesto violento/veloce. Il riferimento mitologico è piuttosto macabro ma Dante qui lo sta utilizzando per ribadire il concetto precedente (difficoltà/violenza dell’esperienza che si appresta ad affrontare e la forza che deve avere per descriverla) e fa un atto di modestia. Marzia è stato punito per la sua superbia, mentre Dante prega il dio di fare ciò che ha fatto a Marzia perché vuole che il dio parli attraverso lui. Ritorna così l’immagine della sostituzione completa della voce del dio Apollo alla voce di Dante. O divina virtù, se concedi quel tanto della tua ispirazione tanto che io riesca a manifestare anche soltanto l’ombra del beato regno che è rimasta segnata nella mia mente (perché solo questo mi è rimasto), mi vedrai ai piedi del tuo diletto legno venire (= per “diletto legno” si intende l’albero dell’alloro e anche la croce cristiana. Dante quindi fa riferimento sia ad Apollo che a Gesù) e coronarmi delle foglie (riprende la metafora dell’alloro) che (=usato in modo polivalente = di cui) mi farete degno. V. 27 il verbo viene coniugato al singolare perché secondo un’usanza diffusa nella Commedia e nei testi coevi, il verbo viene concordato soltanto con uno dei soggetti (che sono la materia e tu). A questo punto della narrazione in cui ha appena finito di parlare di Dio, della difficoltà dell’impresa, di ciò che si appresta a narrare, Dante introduce una nota polemica: così poche volte o padre (=riferimento ad Apollo) accade che un condottiero (v.29 cesare) o un poeta si pregi delle foglie di questa pianta e ciò accade a causa della vergogna degli umani desideri che vengono deviati. Dante ritiene infatti che tutti gli umani sono inclinati naturalmente al bene ma ogni tanto in virtù del loro libero arbitrio, deviano perché pongono l’oggetto del desiderio non più nel bene assoluto (=Dio) ma in un oggetto materiale. V. 2833 Si parla della metafora dell’alloro/incoronazione poetica, nella parte dell’invocazione ad Apollo. Si tratta di un’invocazione che chiede aiuto al massimo esperto dell’arte poetica affinché venga prodotta l’opera letteraria che Dante si propone di costruire. Dante introduce questa pausa riflessiva in cui dice: così poche (=rade) volte, o padre, se ne coglie (sottinteso “ di alloro”, si raccolgono foglie di alloro) per incoronare sia successi di tipo politico che di tipo poetico. V.30: l’inciso spiega il motivo di quello che ha appena detto ovvero il motivo per cui non accade così spesso che si raccolgano foglie d’alloro per incoronare un poeta o un condottiero è proprio la causa dell’umano desiderio che V.32-33 fronda peneia= la fronda dell’alloro. Peneia è un patronimico, la fronda è definita così perché Dafne era (mito Apollo e Dafne) figlia di Peneo. Le fronde dell’alloro dovrebbero procurare gioia nella gioiosa divinità delfica (=perifrasi per riferirsi ad Apollo) quando qualcuno stupisce la sete di gloria (opera al fine di conseguire l’incoronazione d’alloro). All’inizio della cantica si rivolge ad Apollo personalmente, ora ne parla in terza persona. C’è quindi un’incongruenza dal punto di vista sintattico (potrebbe essere un guasto dal punto di vista testuale, potrebbe essere che queste due terzine siano frutto di un’interpolazione successiva). V.34-36 V.34 metafora dell’incendio: fuoco di tipo poetico , Dante si augura che con una dichiarazione di modestia, che anche se la sua opera è “limitata” e non riesce a surgere (dal punto di vista della riuscita estetica dell’opera) forse dopo di lui ci sarà qualcuno che saprà fare di meglio, anche se Dante è un finto modesto e sa benissimo che dopo di lui nessuno saprà fare di meglio. Dal punto di vista del contenuto, la terzina è strana: alcuni interpreti ritengono che al v.35 Dante alluda a fare un appello a qualcuno che possa

fare meglio di lui dal punto di vista politico, reso più forte dalla lettura di quest’opera riesca ad agire meglio. Altri interpreti ritengono invece che l’invocazione sia di tipo letterario perché Dante sta invocando Apollo, divinità della poetica. Una scintilla lieve puo’ generare una fiamma più grande. Forse, dopo di me con voci/arte migliori della mia, ci sarà qualcun altro che invocherà di nuovo l’aiuto di Apollo per scrivere un’opera migliore della mia. V.36 Cirra secondo l’interpretazione di Dante è il monte dove ha sede Apollo, si ribadisce quindi il concetto secondo cui l’operazione a cui Dante sta facendo riferimento, è un’operazione di tipo squisitamente letterario. Qui finisce il proemio del canto e della cantica: protasi (=introduzione dell’argomento) e l’invocazione ad Apollo e comincia la vera e propria narrazione poetica. La narrazione comincia con la consueta determinazione di tipo cronologico: in quale momento della giornata ci troviamo, Dante fa ricorso a indicazioni di tipo astronomico (posizione Stelle). V. 37-42 Si tratta di una terzina introduttiva in cui Dante spiega che la lucerna del mondo ovvero il Sole sorge sulla Terra a seconda del momento dell’anno (gli uomini vedono il Sole sorgere in diversi punti in base al periodo dell’anno in cui si trovano). Ma da quel punto nasce sotto una costellazione migliore/più favorevole. Nel medioevo non c’era un’esatta concezione della scienza dunque Dante si basava soprattutto su concezioni astrologiche più che astronomiche. Dante fa riferimento alla costellazione dell’ariete che colloca, dal punto di vista astrologico, in primavera ed è secondo lui il momento dell’anno più favorevole alla creazione. V.39 si tratta di un verso molto discusso perché sono state tentate innumerevoli ipotesi per spiegare che cosa si intenda per quei 4 cerchi che si congiungono con 3 croci. L’ipotesi più convincente è che Dante abbia immaginato questi 4 cerchi come 3 circonferenze che sono 3 posizioni specifiche dell’eclittica, dell’equatore celeste, dell’equinoziale e dell’orizzonte rispetto al punto in questione (punto equinoziale). Per quanto gli studiosi si siano sforzati di trovare un interpretazione giusta dal punto di vista astronomico, l’interpretazione allegorica è quella più adatta: i 4 cerchi sono le virtù cardinali e le 3 croci sono le virtù teologali (fede, speranza, carità). Dunque si puo’ dire che dietro questa interpretazione che vuole essere il più precisa possibile dal punto di vista astronomico, vuole essere più che altro un’interpretazione allegorica. V.40 “con miglior corso”: la primavera viene associata con il periodo in cui la Terra rifiorisce, c’è un rinnovamento sia della natura che dello spirito ed è il momento in cui si colloca la Pasqua. V.41 “la mondana cera”= metafora della cera che puo’ essere modellata a proprio piacimento. In questo caso è Dio che modella le cose del mondo. Il calore della primavera facilita la creazione (cera è più facilmente modellabile perché col caldo è più morbida). In questo periodo dell’anno quindi, ciò che Dio crea gli riesce meglio. V.43-48 Dopo aver specificato il periodo dell’anno, Dante parla del momento della giornata. Il Sole sorgendo da quel punto preciso appena descritto, aveva reso l’altro emisfero tutto nero e questo emisfero dove Dante si trova (boreale), era tutto illuminato. Il problema interpretativo sta nel chiedersi se si tratta dell’alba o del mezzogiorno perché il fatto che Dante stia parlando del Sole che sorge, farebbe sembrare più plausibile che si stia parlando dell’alba mentre invece tutti gli interpreti sono d’accordo nel sostenere che Dante si stia riferendo al mezzogiorno perché nel momento in cui cominceranno a salire, Dante e Beatrice fisseranno gli occhi nel Sole (hanno il Sole davanti agli occhi). Quando vidi Beatrice girata verso il suo fianco sinistro e guarda nel Sole. Siamo nell’emisfero opposto quindi Beatrice, essendo girata verso il mezzogiorno dovrebbe avere l’oriente a sinistra e l’occidente a destra. Neppure un’ aquila giammai (unquanco: latinismo) ha potuto affiggere lo sguardo nel Sole per così tanto tempo. Si tratta di una credenza medievale secondo cui le aquile sarebbero state in grado di fissare il Sole più a lungo, ciò trae origine dal fatto che le aquile sono di sicuro gli uccelli che riescono a volare più in alto inoltre vale la simbologia dell’aquila. L’aquila è infatti simbolo dell’impero, che è diretta emanazione di Dio.

V. 49-54 Dante qui segue la metafora della riflessione dell’immagine: Dante sta immaginando 1 specchio per cui un raggio che colpisce lo specchio viene rimandato verso l’alto secondo un angolo d’incidenza ben preciso. Quindi esattamente come un raggio viene riflesso e rimandato indietro nel momento in cui colpisce la superficie riflettente, allo stesso modo dall’atto di Beatrice che sta fissando il Sole, quest’atto viene infuso (=trasferito attraverso gli occhi) dentro Dante. Così anche Dante riesce a vedere il Sole negli occhi per un periodo molto più lungo. V.51 c’è una seconda metafora: il pellegrino che desidera tornare nella sua casa. L’interpretazione letterale più banale è quella del pellegrino inteso come colui che fa pellegrinaggio di tipo religioso ma un’altra interpretazione è quella del falco pellegrino che avrebbe il fatto positivo di accostarsi all’immagine dell’aquila precedente. Dante vedendo Beatrice fissare il Sole, anche lui di riflesso acquisisce questa capacità e quindi guarda il Sole per un periodo molto più lungo rispetto a quello concesso ai mortali. V.55-57 Lì, dove io mi trovavo, sono ammesse (licito: latinismo) tante cose che qui invece (=sulla Terra) non sono consentite a causa del fatto che (mercé del loco) la Terra è stata creata come specifico habitat della specie umana. Dante vuole dire che siccome la Terra è stata creata appositamente per accogliere gli umani, non consente alle capacità spirituali/intellettive dell’animo dell’uomo di librarsi oltre un certo limite: la Terra comprime queste possibilità dell’uomo. V. 58-63 Dante sta guardando Beatrice e fissa il Sole. Dice che non è riuscito a sopportare la visione diretta del Sole né così tanto né così poco da non riuscire a vedere questo secondo miracolo che adesso avviene. Mentre sta guardando il Sole infatti, all’improvviso vede sfavillare intorno come un ferro bollente che esce dal fuoco (=metafora del fabbro. Dante qui si trova a descrivere esperienze che non possono essere descritte a parole normali perché si tratta di esperienze che non si riferiscono all’umanità, per cui deve trovare la modalità per far capire quello che vuole dire senza descrivere direttamente l’oggetto. Dante dunque usa spesso metafore tratte dall’esperienza quotidiana per darci l’impronta di quello che ha visto). V.61 giorno: inteso come Sole, alla latina dies= giornata/Sole. All’improvviso sembrava che si aggiungesse un Sole all’altro Sole come se Dio (=colui che puo’) avesse adornato il cielo di un altro Sole. Dante, mentre noi non ce ne accorgevano, ha ripreso la narrazione, è finita la parte introduttiva. Dante sta salendo verso il Cielo e sta attraversando la sfera del fuoco (=sfera infuocata che separava la Terra dal primo cielo, il Cielo della Luna). Per descriverci la sensazione che Dante sta provando, usa questa metafora. V.64-66 A questo punto Dante non puo’ soffrire più la visione diretta del Sole perché nonostante abbia accresciuto le sue abilità, è comunque un uomo e non puo’ fare quello che fa Beatrice che è una beata. Mentre Beatrice, tutta fissa con gli occhi dentro la visione di Dio (=etterne rote) , Dante staccati gli occhi dalla visione del Sole si perde nella contemplazione di Beatrice. V.67-69 Per spiegarci cosa sta provando in quel momento, nel suo aspetto (quindi nel vedere Beatrice) si immerge talmente tanto profondamente (dal punto di vista intellettuale) che per farci capire quanto profondamente si immerga, usa una metafora di tipo mitologico: mito di Glauco (=pescatore che camminando lungo le rive di un fiume aveva osservato che i pesci che venivano gettati sopra la riva, mangiavano l’erba che cresceva lungo le rive e venivano rivitalizzati e si rigettavo nelle acque. Alche anche Glauco mangia quest’erba e diventa una divinità marina). Fui reso esattamente come era stato reso Glauco nell’assaggiare l’erba che lo fece collega nel mare degli altri dei (divinità marina). V.70-72 C’è una protesta di ineffabilità: Dante di nuovo introduce una terzina di pausa in cui ci dice che è impossibile rendere attraverso le parole (per verba=calco latino) esprimere che cosa vuol dire “ trasumanar”. Trasumanar è un neologismo inventato da Dante, è formato da trans (latino) + umanar per esprimere l’idea dell’andare oltre l’umano. Capiamo il significato di questo verbo se teniamo in considerazione l’esempio che ci ha appena fatto (Glauco che ha cambiato natura, un’esperienza che non è concessa agli umani). Dante

dice che non puo’ spiegarlo meglio di così perciò vi dovete accontentare dell’esempio, voi a cui la grazie riserva di provarlo direttamente. Dante si augura a coloro che lo stanno leggendo, di provare quest’esperienza. V.73-75 Dante fa una domanda retorica: se io ero di me stesso soltanto ciò che hai creato dopo, o amore che governi il cielo (perifrasi per riferirsi a Dio), tu solo lo sai che con la tua luce mi hai sollevato. Dante si rivolge direttamente a Dio e si pone questo problema: sto salendo solo con l’anima o anche col corpo? Se io ero, solo ciò che è stato creato per ultimo (l’anima), tu solo Dio lo puoi sapere. E’ una domanda retorica perché in effetti Dante (autore) sa che il suo viaggio sta avvenendo con tutto il corpo. Introduce questa pausa per istillare il dubbio nel lettore, lo chiama in causa per farlo concentrare nel discorso successivo. V.76-81 V.76 sempiterni= neologismo di Dante. Quando la ruota che tu rendi eterna (=fai eternamente girare) in quanto desiderato (=col desiderio che ha di raggiungerti), anche su di me agì rendendomi tanto atteso di giungervi anche io con l’armonia che temperi e discerni (la melodia che secondo la credenza di Dante, i cieli producono girando intorno alla Terra. Si tratta di una melodia voluta da Dio, l’accorda e la distingue).Nella cosmologia dantesca, l’empireo è l’unico cielo fisso perché, essendo quello più vicino a Dio, è perfettamente in quiete. Subito dopo l’empireo, c’è il primo mobile ed è quello che si muove più velocemente di tutti perché essendo così vicino a Dio non è abbastanza in pace ma al contrario, la velocità del movimento è data dal desiderio di avvicinarsi a Dio. Ad un certo punto, mente Dante attraversa la sfera del fuoco, vede un lago infuocato e dice che esso copriva talmente tanta parte del cielo che non è mai esistito né un lago né un fiume creato dalla pioggia di tali dimensioni. V.82-84 Dopo averci spiegato tutte le cose che ha visto (sfavillio intorno, il Sole che si aggiunge ad un altro Sole, l’intero orizzonte quasi viene rappresentato come una distesa infuocata), Dante si ferma e ci dice: la novità del suono (la melodia e la grande luce che io vedevo) mi rese desideroso di saperne la ragione (=cagion). Un desiderio così forte che ne avevo mai avvertito uno di pari forza. In quel momento Dante prov...


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