Divina Commedia - Inferno Canto V PDF

Title Divina Commedia - Inferno Canto V
Author Kevin Vanni
Course Informatica Umanistica
Institution Università di Pisa
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Summary

appunti sul canto V della Divina Commedia per esame di Letteratura Italiana...


Description

DIVINA COMMEDIA - Sintesi CANTI INFERNO

Canto V : Ingresso nel II Cerchio e incontro con Minosse, giudice delle pene a seconda dei peccati; in quel cerchio vi sono i lussuriosi, tra cui i morti violentemente per amore di cui fanno parte le anime di Paolo e Francesca con le quale Dante dialoga. È la sera di venerdì 8 aprile (o 25 marzo) del 1300. PARAFRASI Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia, e tanto più dolor, che punge a guaio.

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Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia.

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Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor de le peccata

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vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa.

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Sempre dinanzi a lui ne stanno molte; vanno a vicenda ciascuna al giudizio; dicono e odono, e poi son giù volte.

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«O tu che vieni al doloroso ospizio», disse Minòs a me quando mi vide, lasciando l’atto di cotanto offizio,

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«guarda com’entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride?

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Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare».

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Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote.

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Io venni in loco d’ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto.

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La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta.

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Così discesi dal I Cerchio al II, che cinge uno spazio minore, ma contiene tanto maggior dolore che spinge a lamentarsi. Minosse sta orribilmente sulla soglia e ringhia: esamina le colpe dei dannati che si presentano; li giudica e li destina a seconda di come attorcigli la coda. Dico che quando l'anima dannata si presenta davanti a lui, rende piena confessione; e quel conoscitore dei peccati stabilisce in quale zona dell'Inferno debba andare; si cinge con la coda tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere. Davanti a lui ci sono sempre moltissime anime; una dopo l'altra vanno a sottoporsi al suo giudizio; parlano e ascoltano, poi sono precipitati giù.

E Minosse, quando mi vide, mi disse questo, tralasciando un momento il suo alto compito: «O tu che vieni in questo luogo di dolore, bada al modo in cui entri e a chi ti stai affidando! Non ti inganni la facilità dell'ingresso!» E Virgilio rispose: «Perché continui a gridare? Non impedire il suo viaggio voluto da Dio: si vuole così in Cielo, dove è possibile tutto ciò che si vuole, quindi non dire altro». Ora inizio a sentire le note dolenti; ora sono giunto in un luogo dove molta

sofferenza mi colpisce. Quando giungon davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina.

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Intesi ch’a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento.

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E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali;

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di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena.

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E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’io venir, traendo guai,

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Io giunsi in un luogo totalmente buio, che risuona come il mare in tempesta quando soffiano venti contrari.

ombre portate da la detta briga; per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle genti che l’aura nera sì gastiga?».

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«La prima di color di cui novelle tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, «fu imperadrice di molte favelle.

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A vizio di lussuria fu sì rotta, che libito fé licito in sua legge, per tòrre il biasmo in che era condotta. Ell’è Semiramìs, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: tenne la terra che ’l Soldan corregge. L’altra è colei che s’ancise amorosa, e ruppe fede al cener di Sicheo; poi è Cleopatràs lussuriosa. Elena vedi, per cui tanto reo tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, che con amore al fine combatteo. Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille ombre mostrommi e nominommi a dito, ch’amor di nostra vita dipartille. Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e ’ cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. I’ cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno,

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La bufera infernale, che è incessante, trascina rapinosamente le anime; li tormenta sbattendoli e percuotendoli. Quando arrivano davanti alla rovina, allora emettono urla, pianti, lamenti; qui bestemmiano Dio. Capii che a questa pena sono dannati i peccatori di lussuria, che sottomettono la ragione al piacere. E come d'inverno gli stornelli sono trasportati in volo dalle loro ali, formando una larga schiera, così quel vento trasporta gli spiriti malvagi; li trascina qua e là, su e giù; non hanno alcuna speranza che li conforti, né di riposo né di una diminuzione della pena.

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E come le gru emettono i loro lamenti, formando in cielo una lunga riga, così vidi venire sospirando delle anime, trasportate da quella tempesta; allora dissi: «Maestro, chi sono quelle anime castigate così dalla oscura bufera?» «La prima di coloro di cui vuoi avere notizie,» mi rispose allora Virgilio, «fu imperatrice di molti popoli.

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Fu così dedita al vizio di lussuria, che rese lecito nella sua legge tutto ciò che le piaceva, per eliminare la condanna morale che le spettava. Ella è Semiramide, di cui si legge che fu sposa di Nino al quale poi succedette: governò la terra che ora è governata dal

e paion sì al vento esser leggeri». Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno».

Soldano. 78

Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s’altri nol niega!».

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Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l’aere dal voler portate;

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cotali uscir de la schiera ov’è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, sì forte fu l’affettuoso grido.

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«O animal grazioso e benigno che visitando vai per l’aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

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se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c’hai pietà del nostro mal perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che ’l vento, come fa, ci tace. Siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende per aver pace co’ seguaci sui. Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte. Quand’io intesi quell’anime offense, china’ il viso e tanto il tenni basso, fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?». Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri

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L'altra è colei che si suicidò per amore (Didone), e non tenne fede alla memoria del marito Sicheo; poi c'è la lussuriosa Cleopatra. Vedi Elena, per cui si combatté una lunga e sanguinosa guerra, e vedi il grande Achille, che combatté a scopi amorosi. Vedi Paride, Tristano»; e mi indicò col dito più di mille anime, che morirono a causa dell'amore. Dopo aver sentito il mio maestro nominare le donne antiche e i cavalieri, fui presto da turbamento e quasi mi smarrii. Cominciai: «Poeta, parlerei volentieri a quei due che volano insieme e sembrano essere trasportati tanto lievemente dal vento». Mi rispose: «Aspetta quando saranno più vicini a noi: allora pregali in nome di quell'amore che li trascina ed essi verranno». Non appena il vento li portò verso di noi, iniziai a parlare: «O anime affannate, venite a parlarci se Dio ve lo consente!» Come le colombe chiamate dal desiderio volano verso il dolce nido (per accoppiarsi), con le ali ferme e alzate, portate dal desiderio, allo stesso modo i due uscirono dalla schiera di Didone, venendo a noi attraverso l'aria infernale, tanto forte e affettuoso fu il mio richiamo.

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«O creatura cortese e benevola, che nell'aria oscura visiti noi che tingemmo il mondo di sangue, se il re dell'universo ci fosse amico lo pregheremmo perché ti dia pace, visto che mostri pietà del

nostro terribile male.

a lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, a che e come concedette Amore che conosceste i dubbiosi disiri?».

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E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.

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Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice. Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea; sì che di pietade io venni men così com’io morisse.

Noi vi ascolteremo e vi parleremo di ciò che volete, mentre il vento tace come fa in questo punto. La terra dove sono nata (Ravenna) sorge alla foce del Po, dove il fiume si getta in mare per trovare pace coi suoi affluenti.

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E caddi come corpo morto cade. 13 8

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L'amore, che si attacca subito al cuore nobile, prese costui per il bel corpo che mi fu tolto, e il modo ancora mi danneggia. L'amore, che non consente a nessuno che sia amato di non ricambiare, mi prese per la bellezza di costui con tale forza che, come vedi, non mi abbandona neppure adesso. L'amore ci condusse alla stessa morte: Caina attende colui che ci uccise». Essi ci dissero queste parole. Quando io sentii quelle anime offese, chinai lo sguardo e lo tenni basso così a lungo che alla fine Virgilio mi disse: «Cosa pensi?» Quando risposi, dissi: «Ahimè, quanti dolci pensieri, quanto desiderio portarono questi due al passo doloroso!» Poi mi rivolsi a loro e parlai dicendo: «Francesca, le tue pene mi rendono triste e mi spingono a piangere. Ma dimmi: al tempo della vostra relazione, in che modo e in quali circostanze Amore vi concesse di conoscere i dubbiosi desideri?» E lei mi disse: «Non c'è nessun dolore più grande che ricordare il tempo felice quando si è miseri; e questo lo sa bene il tuo maestro.

Ma se tu hai tanto desiderio di conoscere l'origine del nostro amore, allora farò come colui che piange e parla al tempo stesso. Un giorno noi leggevamo per svago il libro che narra di Lancillotto e di come amò Ginevra; eravamo soli e non sospettavamo quel che sarebbe successo. Più volte quella lettura ci spinse a cercarci con gli occhi e ci fece impallidire; ma fu solo un punto a sopraffarci.

Quando leggemmo che la bocca desiderata di Ginevra fu baciata da un simile amante, costui, che non sarà mai diviso da me, mi baciò la bocca tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse; quel giorno non leggemmo altre pagine». Mentre uno spirito diceva questo, l'altro piangeva, così che io venni meno a causa del turbamento, proprio come se morissi. E caddi come un corpo privo di vita.

COMMENTO 1 - 24 vv. “Discesa al secondo cerchio - Minosse” Dante e Virgilio scendono nel secondo cerchio dell’inferno il quale ‘e piu’ piccolo rispetto al primo ma in cui le pene sono piu’ tormentose, li incontrano Minosse che secondo la mitologia classica fu il re di Creta, figlio di Giove e di Europa, famoso per la sua severita’ e giustizia che esamina le colpe di chi entra nel cerchio e giudica arrotolando (“avvinghia”) la coda per un numero di volte pari al cerchio (“quantunque gradi”) di destinazione dell’anima: le anime confessano i propri peccati, Minosse in quanto esperto di essi (“conoscitor di essi”) li giudica e scaraventa le anime giu’ nel baratro fino al cerchio scelto. Minosse vedendo Dante, cioe’ un vivo, s’interrompe e con tono solenne che contrasta il suo essere demonio lo avverte di guardarsi bene dal luogo in cui sta entrando e dalla sua guida, e di non farsi ingannare dalla facilita’ con cui vi entra (“non t’inganni l’ampiezza de l’intrare”, concetto cristiano e classico che significa “spaziosa e’ la via che conduce alla perdizione”). Virgilio gli risponde di non contrapporsi al volere di Dio che vuole far compiere questo viaggio a Dante e di non fare altre domande a riguardo.

25 - 51 vv. “I lussuriosi” Dante e Virgilio arrivano in un luogo buio del secondo cerchio dove ricominciano a sentire urla ( dopo essere stati nel primo girone dell’inferno dove le anime altro non facevano altro che sospiri) definito da Dante come “loco d’ogni luce muto che mugghia come fa mare per tempesta” utilizza parole con suono cupo di grande effetto “mugghia” e la sinestesia “luce - muto” ed enuncia il contrappasso dei lussuriosi cioe’ la

bufera infernale, che rappresenta il vento della vita, la quale si abbatte continua sulle anime dei dannati che in vita sono stati travolti perpetuamente dalla furia dei sensi. Percosse, le anime si dimenano urlando e bestemmiando il nome di Dio e Dante capisce che coloro che si meritano un simile tormento non possono essere altro che i lussuriosi, coloro che alla ragione (alla volonta’ divina) preferirono il piacere/passione (in tutte le sue forme). Quel vento (della bufera) sbatacchia i dannati da una parte e dall’altra con la facilita’ con la quale muove stormi di uccelli che giocano con esso prima similitudine sugli uccelli usata da Dante, senza la speranza di una tregua. E come le gru mentre cantano i propri lamenti in aria si dispongono in riga, Dante vede alcuni fare la stessa cosa mentre vengono colpiti dalla bufera, seconda similitudine sugli uccelli in cui Dante discerne dal tumulto generale dei lussuriosi solamente una minoranza che fa questo tipo di movimento, si tratta di coloro che sono morti, suicidi o uccisi, per amore. Dante chiede a Virgilio chi siano quelle anime in particolare.

52 - 72 vv. “Virgilio indica a Dante alcuni personaggi famosi” Virgilio indica a Dante Semiramide, regina degli Assiri che rese lecita la libido (pulsione sessuale) per togliersi di dosso la colpa; Didone suicida per amore; Cleopatra; Elena causa della lunga (“tante tempo reo”) guerra di Troia per il suo tradimento di Menelao con Paride; Achille che secondo la tradizione medievale innamoratosi di Polissena, figlia di Priamo, fu attirato in un tranello e ucciso; Paride rapitore di Elena e Tristano l’eroe del ciclo arturiano innamorato di Isotta e morto ucciso dallo zio re Marco di Cornovaglia. Virgilio continua a indicare a Dante altre mille e piu’ anime morte per amore e Dante dopo avere udito i nomi di tutte queste dame e cavalieri prova pieta’ per tutti questi sentendo allo stesso tempo smarrire la propria ragione cioe’ la fede che gli fa credere che la volonta’ divina sia giusta.

73 - 142 vv. “colloquio con Francesca ad Rimini (Paolo e Francesca)” Dante vede nella fila due anime una accanto all’altra che sembrano non essere scalfite dalla bufera infernale e chiede a Virgilio di poter parlare con loro, Virgilio invita le due anime ad avvicinarsi se Dio glielo concedera’. Le due anime si avvicinano come colombe desiderose di accoppiarsi nel nido, terza similitudine sugli uccelli, le colombe vogliono dare un tono soave all’episodio, allontanandosi dalla fila dove erano Didone e gli altri, lievitando nell’aria colma di malignita’ con ili termine “maligno” si smorza la “glorificazione” dell’episodio, ricordando che le due anime si trovano all’inferno in quanto dannate. Le anime sono Paolo Malatesta e Francesca da Polenta e Francesca prende la parola per ringraziare Dante per il suo commosso interesse a loro anche se loro hanno contribuito a tingere il mondo di sangue (“noi che tignemmo il mondo di sanguigno”) con la loro morte e li dice che se potesse pregherebbe lui a Dio. Francesca invita Dante a non esitare a chiedergli cio’ che desidera sapere fintanto che il vento glielo permette. Francesca racconta di essere di Rimini e che contraccambio’ l’amore di Paolo, innamoratosi della sua bellezza, non riuscendo a resistere a quella passione che si era instaurata tra i due (“e ‘l modo ancor m’offende”), pronuncia poi il celebre verso Dantesco l'Amore, che obbliga chi è amato ad amare a sua volta (“amor, ch’a nullo amato amar perdona”) con il quale Francesca fa capire di non potersi esimere dall’amare Paolo e viceversa quest’ultimo, il concetto di amore che scaturisce dalla bellezza estetica appartiene ai canoni dell’amore cortese, e che ancora questi due si amano, ma che per amore furono uccisi dal marito di Francesca, nonche’ fratello di Paolo, Gianciotto Malatesta, il quale secondo Francesca e’ atteso nel cerchio di Caino, cioe’ dei traditori di parenti. Il filo conduttore e protagonista di questo dialogo, composto da tre terzine, e’ l’amore il quale, viene usato da Francesca come scusa per le proprie azione e che, non a caso, viene sempre invocato all’inizio di ogni capoverso delle tre terzine. L’amore qua ha una doppia faccia, da una parte e’ dolce, dall’altra conduce alla morte. Il dualismo dell’amore Dantesco sembra attribuire a questo sentimento sia il ruolo positivo di sentimento divino che unisce le anime le quali non possono contrastare questa “imposizione” che provano nei confronti di un’altra persona, sia il sentimento negativo peccaminoso, in quanto il troppo amore diventa molesto alla propria persona facendola diventare lussuriosa e quindi la conduce alla dannazione, tuttavia Dante e’ turbato dal fatto che queste due anime benche’ dannate siano felici perche’ il loro amore non le ha abbandonate nella vita ultraterrena, quindi l’amore, benche’ diventato lussuria, e’ ancora in grado di dare felicita’. I dubbi di Dante rappresentano la voglia dantesca di essere realizzato anche quanto corpo in terra, cioe’ Dante rappresenta lo scardinare delle catene medievali anticipando il pensiero umanista (UMANESIMO) che pone l’uomo al centro della storia che si consolidera’ nel secolo dopo. Tuttavia Dante, pur gettando i semi di una diversa concezione della vita, e’ perfettamente

calato nella concezione medievale della storia che vede il valore dell’uomo completamente sottomesso alla volonta’ di Dio di cui e’ portavoce la Chiesa spirituale che per Dante e’ fondamentale come mediante tra la divinita’ e l’uomo, ma non quella corrotta che Dante critica pesantemente nella commedia. A conferma di questo, Dante alla fine del suo viaggio, quando incontra Dio, grazie alla luce divina si libera da ogni dubbio. Le terzine sono costruite con sapiente retorica in modo che ognuna racconti gli eventi essenziali a raccontare tutta la loro storia: innamoramento - consumazione - morte. Dante dopo aver ascoltato le parole di Francesca e’ preso dal dubbio e Virgilio accorgendosene gli chiede a cosa stia pensando, Dante si rivolge a Francesca dicendo di essere dispiaciuto pe...


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