Analisi film elenco per esame PDF

Title Analisi film elenco per esame
Course Teorie del Cinema
Institution Università degli Studi di Parma
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Summary

Lista dei film da portare all'esame (personale), approfondimento dei film della lista (riassunto informazioni principali)...


Description

1.

La palla numero 13 - Buster Keaton, 1924

La palla nº 13 (Sherlock Jr.) è un film del 1924 diretto e interpretato da Buster Keaton. È generalmente considerato tra i più grandi film di Keaton e una delle vette del cinema muto. è un film del 1924, a cavallo di un periodo di riflessioni che parte dal ’13 e finisce nel ’23. Buster Keaton (1895-1966) – ricco di una lunga esperienza di attore teatrale e di mimo, si affermò tra i migliori attori comici americani. La sua carriera artistica – seppur svoltasi e conclusasi nel giro d’un decennio appena – fu comunque folgorante. Buster Keaton propose un volto immutabile e pietrificato, capace però di interpretare la complessa realtà umana, con le sue sfumature e le sue variazioni, i suoi contrasti e i suoi mutamenti. La sua recitazione sembrava dettata da una precisa volontà di andare contro corrente, tanto che la pubblicità cinematografica dell’epoca lo definì «l’uomo che non ride mai» o «l’uomo dal volto di pietra» («Great stone face»)  AUTOMA, vittima dei meccanismi. Il cinema di Keaton appare ancora oggi d’una sorprendente attualità. L’assenza di un’apparente ed esplicita drammaticità, di una carica umana evidente e di un approfondimento psicologico del personaggio, è, in realtà, il frutto di un cosciente e rigoroso impegno artistico. La sua recitazione controllatissima e quasi innaturale, gli sviluppi delle sue avventure, così lineari e meccanici, il rapporto disarmonico tra il personaggio e lo spazio che lo circonda, si pongono su un piano espressivo alquanto differente da quello degli altri comici. La pellicola è ricordata oggi come una delle prime sperimentazioni di metacinema: in una scena molto famosa infatti, il protagonista si addormenta nella cabina di proiezione del cinema in cui lavora, e la sua immagine in sovraimpressione abbandona il suo corpo per vivere un’avventura onirica. Il Buster Keaton del sogno si avvicina allo schermo cinematografico ed entra nel film che sta venendo proiettato. È allora che la storia mostrata nel prologo (il furto di un orologio di cui Buster era accusato ingiustamente) si ripete, con le dovute differenze, su quello schermo, generando un “film nel film”. La scena dell’entrata dentro lo schermo è rappresentativa dello stile innovativo del comico/regista. Qui lo sfondo in cui si trova Buster muta ripetutamente (come se qualcuno cambiasse canale… e non esisteva ancora la televisione!), scaraventando il poveretto da una situazione all’altra: una villa, una strada, una giungla, dei binari, una scogliera…questa sequenza, straordinaria per la tecnologia dell’epoca, fu resa possibile grazie a un effetto speciale “casereccio” ideato dal direttore della fotografia Elgin Lessley. Oltre all’innovazione tecnica, questa e molte altre sequenze testimoniano l’abilità di Keaton nell’usare la comicità per riflettere sulla magia del cinema: un luogo imprevedibile dove, proprio come in un sogno, si può viaggiare nel tempo e nello spazio e tutto sembra possibile. Con coreografie studiate e inquadrature dalla perfezione geometrica in cui nulla è lasciato al caso, Keaton esplora le infinite potenzialità del cinema e crea situazioni surreali, rese ancora più esilaranti dal suo volto imperturbabile (lo chiamavano “Faccia di pietra”). Memorabile è anche la sequenza finale: il protagonista, ormai risvegliatosi dal sonno, si ricongiunge con la sua fidanzata. Non sapendo come approcciarsi, osserva due amanti sullo schermo del cinema per trovare ispirazione da loro. La scena reale e quella del film si alternano, così che Buster guarda lo schermo ma allo stesso tempo guarda in camera, cioè verso noi spettatori che a nostra volta guardiamo lui. Si crea in questo modo un gioco di sguardi “a tre” che in pochi secondi e nella sua apparente semplicità ci racconta la misteriosa, magica storia d’amore tra spettatore e film. Le GAG di Keaton potremmo definirle GAG – TRAIETTORIA  immagine traiettoria dell’inseguimento, inseguimento tagliato dal risveglio (risveglia anche noi), non si percepiscono i tagli di montaggio. Si percepisce il film in un’azione unica, non c’è un’inquadratura che non sia costruita con la sospensione, costante idea di continuità e trasparenza. 2. Colazione da Tiffany - Blake Edwards, 1961 Siamo a New York: Holly Golightly (Audrey Hepburn) e Paul Vasrjac (George Peppard) si ritrovano ad abitare nello stesso edificio: Holly ama trascorrere le sue mattinate di fronte al negozio di gioielli Tiffany; Paul è uno scrittore che si fa mantenere da una matura e ricca signora. Fra loro nasce da subito un sentimento di intesa. Finiranno presto con l’innamorarsi. Il film mostra una New York nel pieno del suo sviluppo economico e culturale alla fine degli anni ’50, ma anche i segni di un deterioramento sociale che sta affermando l’individualismo e la superficialità nelle relazioni come base della società americana.

Blake Edwards ci parla di questa società con un misto di divertimento e malinconia, ironia e critica, attraverso uno stile tipico di molti suoi film. Per descrivere questo, fa ricorso ad una storia semplice, facendo leva sulla capacità interpretativa di due grandi del cinema. Nel periodo del cinema classico (1917-1960 circa) si affermò a Hollywood quella pratica di montaggio che possiamo definire découpage classico, caratterizzato di norma da una struttura lineare e cronologica che tende a far identificare lo spettatore con la realtà rappresentata, la principale peculiarità di questo tipo di montaggio è la trasparenza, al punto che lo si è potuto chiamare anche « montaggio invisibile», per indicare il fatto che il soggetto narrante tende a non far avvertire la propria presenza. Secondo André Bazin, nel découpage classico il passaggio da un'inquadratura all'altra deve avere una ragione, deve essere chiaro e deve aiutare la progressione drammatica. Fondamentale, per questa tipologia di montaggio, è anche il principio di continuità, finalizzato a favorire l'impressione di realtà nello spettatore e la sua identificazione con i sentimenti dei personaggi. A tale scopo si ricorre soprattutto ai raccordi, che possono essere di vario tipo. Troviamo un'efficace esemplificazione dell'uso dei raccordi nel découpage classico proprio in una sequenza di Colazione da Tiffany, che si apre con il giovane scrittore Paul impegnato a scrivere a macchina (e noi vediamo le parole del racconto che sta iniziando, grazie al raccordo di sguardo). Ad un certo punto il protagonista sente cantare una canzone e, girato lo sguardo, si dirige verso la finestra (e qui abbiamo il raccordo di movimento): è Holly, che canta la canzone Moon River (canzone con cui Henry Mancini vinse l’Oscar per la migliore colonna sonora.) seduta sul davanzale della finestra accompagnandosi con la chitarra (e grazie al raccordo sull' asse in avanti ci viene mostrata più da vicino, mentre prima la vedevamo in soggettiva di Paul). Il primissimo piano della star, Audrey Hepburn, che chiude la sequenza, ne rappresenta anche l'apice emotivo, preparato e costruito tramite le inquadrature precedenti. Un film memorabile per capacità di raccontare le persone, i sentimenti, la sfida della libertà e dei legami. 3. Il vecchio e il nuovo – Ejzenštejn, 1926-1929 "Il vecchio e il nuovo" era stato iniziato da Ejzenstejn nel 1926 e si doveva intitolare "La linea generale". Poi dovette essere interrotto per la lavorazione di "Ottobre" (1927) e quando riprese gli fu cambiato il titolo dalle autorità Ambientato in un anonimo villaggio fatto di miseria e ignoranza, una povera contadina si mette a capo di una cooperativa per cercare di migliorare le condizioni del paese. Il film, fatto per sostenere le politiche di collettivizzazioni delle campagne, è una denuncia non solo del vecchio sistema ma anche della sua eredità e delle sue “molte macchie scure” che ancora permanevano e che la marcia finale di operai e contadini verso il socialismo avrebbero dovuto definitivamente eliminare. Un film, dunque, che non nega la dimensione di classe che ancora permane all’interno della neonata Unione Sovietica ma che prova a metterla in scena partendo dalle campagne nelle quali si combatte ancora contro i kulaki (i contadini ricchi). L’autore insinua una critica alla macchina burocratica dello stato, egli inserisce perfino una manciata di tenerezza – inedita e tagliente – sparsa dal vento che ha infuocato tempi lontani, su terre oggi dominate da un altro uomo. Non più la creatura sognata da Ejzenstejn, bensì quella prona del terzo millennio, un uomo non più chino sulla terra ma sopra se stesso. In quest’opera l’essere umano vive grazie al palpitare del bestiame, in seguito lo fa in simbiosi con il pulsare dei trattori. Vi sono campi e controcampi esasperati nel limitare di pochi secondi, corpi come lame che tracciano linee sulla pellicola. Perfino le didascalie esplodono fra un’inquadratura e l’altra in caratteri di diversa grandezza e fattura. Nel "Vecchio e il nuovo" inaugura l'uso mirabile della profondità di campo (le scene del comizio e della falciatura), utilizza metafore filmiche (la similitudine tra la cavalletta e il trattore e tra la colonna di trattori e una colonia di formiche) e inserisce l'uso di aspetti comici e di satira sociale, proprio quelli che gli costavano le condanne da parte della critica ufficiale. Indimenticabili in questo senso la processione per invocare la pioggia, la bambina che piange alle nozze del toro etc. Nel montare Il vecchio e il nuovo, Ejzenštein sfrutta nel montaggio tutte le provocazioni o stimoli, considerandoli come un insieme, un complesso. In ogni inquadratura possiamo infatti trovare una serie di sovratoni, come per esempio nella musica: ogni nota ha una frequenza dominante che viene accompagnata da una serie di frequenze analoghe che vanno a definire il timbro dello strumento utilizzato e che vengono sfruttate nella musica

sperimentale. I sovratoni visivi dell'inquadratura creano quindi una serie di stimoli che nel montaggio possono essere tutti sfruttati. Questi stimoli sono eterogenei, ma rimandano a una serie di riflessi percepiti nella psiche che li lega in una ferrea unità. Quindi un'inquadratura può essere vista come l'unità complessa delle manifestazioni di tutti i suoi stimoli. Il montaggio che sfrutta questi stimoli e non semplicemente le indicazioni dominanti, viene detto sovratonale. I sovratoni visivi, ma anche quelli uditivi se si parla di cinema sonoro, sono una sensazione totalmente fisiologica (ossia percepita attraverso la psiche). Non vediamo o udiamo, ma sentiamo i sovratoni. Molto interessanti, sempre a proposito della questione delle immagini filmiche, sono anche le idee di Ejzenštein sul colore: a suo dire il Significato del colore (come si intitola un suo saggio) è sempre culturale e mai assoluto. In sostanza, quindi, il colore non esprime mai simbolicamente qualcosa di per sé, bensì soltanto all'interno di una determinata tradizione culturale, e può dunque acquistare un significato diverso, persino contrario, all'interno di un'altra tradizione. Lo stesso ricorso al bianco e nero, nel cinema dell'epoca, poteva assumere valenze contrarie, come del resto il regista dice di avere fatto in due suoi film. Ne il vecchio e il nuovo o La linea generale (Staroe i novoe, 1926-1929) il bianco ha connotazione positiva, mentre il nero l'ha negativa, in linea con quanto avviene nella tradizione più comune; in Aleksandr Nevskij (1938), invece, i bianchi mantelli dei cavalieri teutonici connotano crudeltà e morte (al pari della balena bianca in Melville, come rilevato dallo stesso Ejzenštein), mentre il nero si associa all'eroismo dei guerrieri russi. 4. Ombre rosse - John Ford, 1939 Massimo autore del western classico è John Ford. Ombre rosse è uno dei capolavori assoluti della storia del cinema, narra il viaggio di una diligenza con nove persone a bordo in un territorio reso improvvisamente pericoloso dalla discesa dei pellerossa sul sentiero di guerra. Il film che unisce maestria linguistica, approfondimento dei personaggi e gusto dell’avventura e dell’azione, è il primo girato da Ford nello scenario della Monument Valley che diventerà il paesaggio simbolo del West, ed è anche quello in cui egli lancia nel ruolo dell’eroico protagonista, un giovane John Wayne. Un’opera realmente innovativa a partire dai piani sequenza con cui viene filmato l’attacco alla diligenza e la scansione cronologica in tempo reale della strenua difesa e dei piani di fuga. Un inseguimento che diviene l’orizzonte in cui tutto il film si muove e in cui i personaggi si dibattono come in un angusto spazio. L’estro di Ford ci fa esattamente rivivere il loro senso d’oppressione, la loro crescente angustia, il loro disperato tentativo di sopravvivere a qualsiasi costo. Innovativo e geniale il concetto di movimento che viene ripreso da ogni angolazione per conferire il senso di dinamismo esasperato, di perenne corsa contro il tempo. Un film in questo senso moderno che tuttora è fonte di ispirazione per tanti cineasti che si cimentano con il genere western. John Ford in sostanza preleva il pattern western più abusato e lo eleva ad autentica opera d’arte, un retaggio da cui nessuno può più prescindere. In Ombre rosse, il personaggio di Ringo (John Wayne) compare all'improvviso, nel paesaggio desertico, a fermare la diligenza con un fucile in mano; il movimento di macchina in avvicinamento, soluzione utilizzata da Ford piuttosto di rado, è qui funzionale non tanto al potenziamento divistico (perché Wayne era pressoché sconosciuto e divenne un divo proprio grazie a questo ruolo), quanto appunto a sottolineare l'importanza del personaggio introdotto e a favorirne la memorizzazione da parte del pubblico. Di norma, l'introduzione dell'eroe dei film western avviene in maniera diversa: quella più classicamente conforme agli stilemi di genere è il campo lunghissimo con l'immagine di un vasto paesaggio tra enormi distese desertiche o in mezzo ai monti - all'interno del quale riusciamo a mala pena a scorgere la figura di un uomo a cavallo, figura che ci dà subito il senso di avventura o di mistero, anche perché a volte tarderemo a sapere chi sia e da dove venga. In questi casi, l'elemento primario dell'inquadratura è il paesaggio spesso enfatizzato da un commento musicale piacevole e ricorrente. Un'importante funzione narrativa assume per esempio la celebre panoramica laterale verso sinistra utilizzata da Ford quando gli indiani compaiono improvvisamente in primo piano grazie appunto al movimento di macchina (con sottolineatura da parte del commento musicale), dopo un campo lunghissimo con la diligenza sul fondo. L'effetto sorpresa è molto più forte cosi che se l'autore avesse introdotto i pellerossa con un'inquadratura diversa accostata tramite montaggio. E infatti questo stilema fu più volte riproposto da altri registi. Particolarmente interessante è il modo in cui la dialettica tra campo fuori campo diegetico e extradiegetico arricchisce in misura notevole la scena del salvataggio della diligenza da parte della Cavalleria durante il Terribile attacco degli indiani. In cinque successive inquadrature Vediamo il giocatore e gentiluomo del Sud Hartfield (John Carradine) che, nel momento in cui la diligenza sta per cadere in mano ai pellerossa, scopre di avere un ultimo colpo nella sua pistola e, volgendosi verso destra, ci fa capire di volerlo riservare alla figura mostrataci dal

movimento di macchina verso il medesimo lato, ossia a Lucy (Louise Platt), la signora che Hartfield ha sempre protetto e amato platonicamente, la quale nel frattempo è intenta a pregare. Intanto, nella colonna sonora continua la musica a piena orchestra della sequenza dell'assalto, musica evidentemente non diegetica, che comprende anche suoni di trombe. Nel primo piano di Lucy entra, dal margine sinistro dell'inquadratura, la pistola di Hartfield, il quale è pronto a ucciderla per evitarle di essere catturata viva dagli indiani: prima che egli prema il grilletto, tuttavia, si ode uno sparo fuori campo e sia la mano che la pistola di Hartfield cadono, uscendo di campo, In questo preciso istante il suono delle trombe si fa più forte e distinto, l'espressione di Lucy si rasserena e la sentiamo dire: “Lo sentite? Lo sentite? E una tromba. Stanno suonando la carica”. A questo punto, ma solo a questo punto, Ford inquadra la cavalleria che sta giungendo al galoppo in aiuto della diligenza. Dunque, il suono extradiegetico si è trasformato in diegetico attraverso la battuta di un personaggio, cui lo spettatore è disposto a credere immediatamente per le regole di genere (alle quali, come già sappiamo, il pur grande Ford non si sottrae) che contemplano un “arrivano i nostri”. Ciò che interessa il regista, in questo come in altri casi, è trovare soluzioni stilistiche nuove: in tal modo, l’inquadratura dei soldati che arrivano a salvare quanti viaggiano sulla diligenza non è più banale. 5. Roma città aperta – Rossellini, 1945 L’opera riconosciuta come iniziatrice della corrente neorealista è senza dubbio Roma città aperta (1945), di Rossellini, con Aldo Fabrizi e Anna Magnani, dove convivono il nuovo sguardo sulla realtà e l’afflato epico di una sentita evocazione della Resistenza antitedesca che, specie nella seconda parte del film, scabra e convulsa al tempo stesso, raggiunge vertici di intenso realismo drammaturgico. Numerosi personaggi del film sono ispirati a figure reali del periodo dell’occupazione nazista di Roma (durata dall’8 settembre 1943 al 4 giugno 1944). Rimane in cartellone per ben due anni, enorme successo enorme sia all’estero che in patria. Urgenza di un cinema che nasce da un sentimento morale, ha il dovere di farti vedere certe cose. Ma se mi limito a fare questo movimento non sarebbe un granché. È un processo che porta il cinema in strada, lontano dai divi, dalle sceneggiature di ferro, lo cambia ogni giorno (Fellini), prende attori che non sono attori e sfuggono al controllo del regista e tu devi seguire quello che vogliono loro no quello che vuoi tu altrimenti si snaturalizzerebbe il movimento. Cinematografia e realtà  attori non professionisti, sono operai che molto spesso ritornano alla fine del film a fare il lavoro che facevano prima. Accompagnare l’Italia fuori da quel tempo, ingaggiando un corpo a corpo con il reale, prendendo persone a caso ed inglobandole nel medium di sintesi. Imprevisti del reale e tutto quello che fa scandalo. Neorealismo come avanguardia, io arrivo e ti faccio cambiare prospettiva sulle cose. L’Italia deve riuscire a raccontarsi nuovamente, il sentimento morale e guardare alla normalità della nostra vita, da un lato una ricostruzione dell’immaginario. Solo medium, perché possa riuscire devi snaturarlo, devi essere pronto a cambiarlo. La morte di Anna Magnani lascia un forte riscontro, si apre un nuovo orizzonte della non prevedibilità. Non siamo più capaci di vedere. La morte di Fabrizi è, a differenza della morte della Magnani, prevedibile. 6. Ladri di biciclette - De Sica, 1948 Ladri di biciclette rappresenta, per molti versi, il centro ideale del neorealismo cinematografico italiano. Il film di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini possiede infatti tutte le caratteristiche di fondo del movimento: ambienti reali, attori non professionisti, una vicenda drammatica sulla durezza della vita quotidiana delle classi popolari. La bicicletta è la metafora del lavoro, dell’occupazione, metafora della figura dell’uomo, del padre (che viene messa in crisi) Temi  Lavoro  Famiglia (cultura italiana = cultura patriarcale)  Sacrificio  Bambini – uomini BRUNO (interpretato da Enzo Staiola): infanzia sottratta. Più che pensare alla figura di Bruno, bisogna pensare a cosa pensa e vede suo padre (interpretato da Lamberto Maggiorani) nei suoi confronti. Il ragazzino non è solo un figlio, egli è il suo alter ego (sono vestiti con la stessa tuta da lavoro), è suo padre (quando lo sgrida per aver perso la bici), è il suo sostituto in famiglia (chiude la finestra per non far prendere freddo alla bambina, pulisce la sua bicicletta), è il suo salvatore (per ben due volte, in occasione dell'incontro con il ladro e del suo fallito furto, riesce a salvarlo dal linciaggio della folla), è la sua coscienza (quando gli dice che non avrebbe dovuto lasciar

scappare il complice del ladro, ricevendo in premio uno schiaffo), è colui che manda avanti la casa essendo l'unico ad avere un lavoro. PIANTO di Bruno  Sulla scena del pianto so...


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