animazione culturale di M. Pollo PDF

Title animazione culturale di M. Pollo
Author Daniela Zippo
Course Scienze della formazione primaria
Institution Libera Università Maria Santissima Assunta
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riassunto ...


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Cap.1 - “La

definizione dell’animazione culturale”

L’animazione ha una pluralità di significati. Il primo risiede nel suo significato etimologico, che fa derivare animazione dal latino “animare”, ovvero dare vita, animo, spirito. Un altro significato è quello derivato dal francese, che indica “un moto vivace di una persona”. Questa seconda definizione è quella che si è diffusa maggiormente, e che vede l’animazione come un complesso di tecniche e attività volte a vivacizzare situazioni sociali. Accanto a questa definizione, Pollo inserisce ed arricchisce la definizione introducendo accanto ad “animazione”, il termine “culturale”. Con il termine “culturale”, Pollo sottolinea l’importanza di educare e far nascere la vita. Oggi, l’animazione è una delle funzioni educative più diffuse nei settori extrascolastici. Essa rivolge la propria azione nei confronti di tutte le fasce di età, anche se il suo terreno privilegiato è ancora costituito dai giovani, e si è anche affermata come metodo privilegiato di intervento nei confronti di situazioni di disagio sociale. Forse proprio a causa di questo successo l’animazione è per molti, purtroppo, la funzione educativa più indeterminata e, per molti versi, la più generica. Il primo modello, forse quello più noto negli anni delle origini del movimento dell’animazione, è quello legato all’animazione teatrale, o di tipo espressivo, che conta al proprio interno figure storiche tra cui Rodari, Passatore e Scabia. Questo tipo di animazione, nato sotto il segno della fantasia attraverso la festa e il gioco, è passato progressivamente ai problemi della vita quotidiana e del territorio. L’animazione teatrale è andata evolvendo verso l’animazione socioculturale. Il secondo modello è quello dell’animazione socio-culturale. La caratteristica è costituita dal suo collegamento con il volontariato, e dal fatto che colloca la sua azione come intervento nel territorio; è volta a promuovere la capacità espressiva delle persone. Il terzo modello è quello dell’animazione culturale in senso educativo. Caratteristico di questo movimento è aver ripensato l’animazione come un vero e proprio modello educativo valido sia in un contesto scolastico che extrascolastico. L’animazione culturale è una vera e propria teoria educativa. È il movimento più diffuso nell’ambito ecclesiale. Il quarto modello è quello che raggruppa attività di animazione dei villaggi turistici. Il quinto è quello che si limita ad applicare tecniche e metodi di lavoro. Il sesto modello è costituito dall’animazione ludico-ricreativo ed espressivo che tende a favorire ai ragazzi, ai giovani, agli adulti e agli anziani la riappropriazione della propria espressività. Nella storia dell’animazione sono identificabili tre periodi ben distinti: la nascita, il decollo e la maturità. L’animazione è nata, nel nostro paese, intorno ai temi della creatività, negli anni del decollo dell’industria culturale e dell’avvento della scuola di massa. Il periodo del decollo è successivo al ’68. In quegli anni, l’animazione spostò la sua attenzione dall’ambito della scuola dell’obbligo a quello del territorio. Il territorio divenne il luogo privilegiato di varie esperienze finalizzate alla liberazione delle persone dai condizionamenti sociali, culturali ed economici che ne impedivano la realizzazione individuale e collettiva. Successivamente, si afferma il filone socio-culturale, e nasce e cresce quello culturale. L’ambito di attività in cui si esercita oggi l’animazione va dalla scuola ai laboratori teatrali ed espressivi, ai centri sociali, alla prevenzione di soggetti a rischio e nel recupero di soggetti devianti. Secondo i dati di alcune ricerche, l’ambito prevalente di attività è nel settore culturale. Subito dopo viene l’ attività con portatori di handicap. All’ultimo posto si colloca l’attività nella scuola dell’obbligo e con gli anziani. Questi dati testimoniano una diffusione dell’attività di animazione anche all’interno delle principali aree di intervento dei servizi socioassistenziali. L’animazione non ha mai voluto essere educazione, ma si è posta solo come un modo diverso di fare educazione. Con la sua “diversità”, l’animazione ha dimostrato che è possibile educare in ogni contesto, in ogni età della vita dell’uomo ed in ogni luogo, purché esista un minimo di condizioni di libertà. Ha dimostrato, poi, che si può educare anche al di fuori delle tradizionali istituzioni educative. Ha dimostrato che l’educazione investe tutto l’arco della vita umana, e può avvenire in ogni luogo in cui la vita si manifesta. Se oggi l’educazione considera il gruppo un luogo educativo, ciò è dovuto in gran parte all’animazione che, utilizzando abbondantemente le dinamiche di gruppo, ha dimostrato che queste possono offrire un di più all’educazione. L’animazione si è sempre dichiarata come una azione “militante” da parte di persone che credono nel valore liberante dell’educazione, e che sono motivate nella loro azione da

un particolare credo religioso, politico o sociale. Nell’animazione non possono confluire tutte le fedi. Solo quelle che mettono al centro il discorso della dignità, della libertà e della autonomia e della persona umana. L’animazione non ha bisogno, per realizzarsi, del contesto istituzionale. I soggetti dell’animazione sono quasi sempre volontari, in quanto scelgono volontariamente di vivere questa particolare esperienza educativa, e non perché costretti dalle regole sociali. L’animazione, a differenza dell’educazione, non deve trasmettere un sapere sociale e dei modelli di comportamento riconosciuti come validi dalla cultura sociale dominante, ma deve invece aiutare la persona a realizzarsi come individuo e come soggetto sociale. Questo non vuol dire che non trasmetta alcun sapere sociale, ma solo che questi non sono al primo posto tra i suoi obiettivi formativi. Cap.2 - “Chi

è l’uomo e perché te ne curi? Un’antropologia del mistero”

Lo sviluppo delle scienze umane ha incrementato la conoscenza dei processi emozionali cognitivi, relazionali e sociali dell’uomo, ma non ha prodotto alcun significativo sviluppo della conoscenza della natura umana, Solo Dio può rivelare all’uomo chi è, e questo significa che la domanda sulla natura umana rinvia a ciò che è superiore alla natura umana. La domanda è destinata, perciò, a rimanere senza risposta. L’uomo vive prigioniero di un paradosso, in quanto possiede la capacità di sviluppare una conoscenza sempre più approfondita del suo organismo, della sua psiche e del suo agire sociale; ma questa stessa capacità gli impedisce di comprendere la sua natura. Esiste, tuttavia, un modo per l’uomo di comprendere la propria natura. È quello che gli proviene dalla rivelazione che Dio gli ha fatto circa la sua natura. Questa rivelazione è accettata solo da chi possiede una fede religiosa. Per gli altri, la natura umana è destinata a restare un mistero o ad essere banalizzata a qualche riduzionismo scientifico. La definizione dell’uomo che la Bibbia offre, aiuta a comprendere perché l’essere umano non possa afferrare l’essenza della sua natura. È proprio il fatto che l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio che spiega al credente perché gli è impossibile capire la propria natura. L’uomo è sì fatto a immagine e somiglianza di Dio, ma non è Dio. Questo significa che è dotato di una comprensione limitata della sua natura. L’unica via che l’uomo ha per conoscere Dio è quella di cercare di acquisire e attuare le principali qualità che caratterizzano Dio: giustizia e amore. L’uomo ha ricevuto da Dio la possibilità di essere simile a Lui, ma questa possibilità dipende dal suo impegno a realizzarla. Alla maggior parte delle persone sembra ovvio che tutti gli uomini vivano e percepiscano un’identica realtà. In verità, ogni specie vivente è una sorta di monade (=unità indivisibile, indipendente) che abita un suo mondo specifico in cui sperimenta un’esperienza particolare. Questo perché il mondo di una specie vivente è costituito dal suo sistema recettivo (=quello che gli consente di percepire gli stimoli che gli provengono dal suo ambiente), e dal suo sistema reattivo (=quello che gli permette di reagire a tali stimoli). Questi due sistemi formano il circolo funzionale. La realtà è costituita solo da ciò che entra in questo circolo funzionale. Ciò che non entra in questo circolo funzionale semplicemente non esiste. Il mondo vivente è un insieme di mondi distinti che in alcuni casi hanno una parte in comune, delle intersezioni, che consentono la relazione comunicazione tra differenti specie. L’uomo si differenzia dalle altre specie viventi perché, oltre a possedere sistemi recettivi e reattivi molto più ampi, ha un elemento che rende unico il suo circolo funzionale e quindi il suo mondo: il sistema simbolico. L’uomo interpreta lo stimolo e sceglie la risposta più adeguata ad esso attraverso gli strumenti che gli offrono la sua cultura sociale e la sua esperienza personale, così come è stata rielaborata a livello simbolico. Si può affermare che, nella maggioranza dei casi, l’uomo reagisce non tanto allo stimolo materiale, quanto all’ interpretazione simbolica che egli dà di quello stimolo. Per l’esistenza di questo sistema simbolico, il mondo dell’uomo non è un mondo materiale, ma un mondo culturale. Persone che abitano culture sociali differenti e che utilizzano linguaggi diversi, di fatto abitano mondi differenti. La creazione di questi mondi, sociali e individuali, avviene sin dai primi anni di vita, in quanto il bambino già nel periodo in cui completa il suo organismo attraverso la crescita incorpora gli elementi simbolici che costituiranno il suo mondo.

Cap.3 - “L’uomo come essere progettuale, culturale, simbolico e relazionale” Nietzsche definì l’uomo come “l’animale non definito”. Al momento della nascita, è un essere incompiuto che si completa nel corso della sua vita individuale e sociale. Alla nascita ha di fronte a sé una molteplicità di possibilità di essere. Questo significa che ogni individuo diviene ciò che è in seguito all’intersezione di più fattori: il suo progetto personale, la cultura sociale, le condizioni dell’ambiente sociale. Tra tutti questi fattori, la progettualità gioca il ruolo più importante. Ciò significa che è un essere aperto, a differenza delle altre specie viventi che hanno un ambiente strutturato dalla loro organizzazione istintuale, e riguarda sia la sua formazione come persona, sia la costruzione della realtà, ovvero del mondo che abita. Infatti egli, producendo sé stesso, incorpora la cultura, i linguaggi e tutti i sistemi simbolici che mediano il suo rapporto con la realtà. È attraverso le relazioni con le persone, con le istituzioni, con la cultura e la natura che ogni individuo disegna i suoi confini individuali e sociali, si autocomprende e comprende. L’esperienza dell’ Alterità, ovvero l’esperienza dell’ascolto e della condivisione dell’Altro, è il movimento attraverso il quale la persona può sfuggire a quella forma di soggettività distruttiva che è il narcisismo o l’egocentrismo, per aprirsi invece a quella soggettività che è alla base di un’efficace partecipazione alla vita sociale. Cap.4 - “L’uomo abitante del

tempo”

I limiti della condizione umana sono definiti, oltre che dallo spazio, anche dal tempo. La nascita e la morte sono i due confini attraverso cui compare e scompare la vita umana. Il controllo del tempo, la possibilità cioè di scandire la propria vita secondo un ritmo che si fa progetto di vita, è la manifestazione del dono di liberta fatto da Dio all’uomo. L’esperienza del tempo rimane gravata dal segno del mistero. Non è un caso che il tempo sia stato, sin dai primordi della civiltà umana, associato al mistero del divino. Il tempo è stato ridotto ad un puro evento meccanico, necessario quasi solamente al coordinamento della vita sociale. Infatti, il tempo nella cultura sociale attuale non ha alcuna consistenza se non il suo scorrere regolare ed omogeneo. Nell’attuale vita sociale non si riconosce al tempo alcuna qualità rilevante per la vita umana. Sono le cose che si fanno che rendono il tempo prezioso, pieno o vuoto. Ad esempio, il tempo libero non ha alcun valore se non quello di essere sottratto al lavoro e reso disponibile per il riposo, lo svago e il gioco. La vita quotidiana, infatti, sembra risolvere la ricerca della felicità umana esclusivamente all’interno dei gesti che connotano il consumo quotidiano delle informazioni, dei beni materiali e delle relazioni sociali. Questa cultura del tempo è, oggi, dominante. La concezione del tempo postula che il tempo esista solo come prodotto degli eventi che accadono nello spazio. Senza eventi non si avrebbe tempo. La concezione più corretta consiste nel pensare il tempo e lo spazio come due realtà che esistono insieme, e che perciò nell’esperienza umana non sono separabili. Tempo e spazio si condizionano reciprocamente. Costitutiva della temporalità è la consapevolezza della morte. Il rapporto con la morte è un elemento ineliminabile nel percorso di costruzione di una persona. La morte continua a inquietare l’uomo con il suo mistero. La metafora della morte è quella di un sole abbagliante che non si può guardare, e descrive il rapporto ambiguo dell’uomo con questo evento. La morte, consentendo il ricambio degli individui, appare funzionale alla sopravvivenza ed allo sviluppo della specie. Tuttavia, nell’uomo la morte è un trauma. Il rifiuto della morte nell’uomo nasce dal fatto che essa è la distruzione dell’individualità. Nella storia delle culture umane, compaiono forme di mito che esprimono la speranza dell’uomo nell’immortalità. Anche se il Cristianesimo proporrà il superamento radicali di questi miti, continuano ad essere presenti nelle culture locali, nelle superstizioni e nelle credenze di molti popoli. Alcuni studiosi vedono nelle varie forme in cui si esprimono i miti della morte – rinascita il riflesso dell’osservazione del ciclo biologico vegetale. I miti legati alla ricerca dell’eterna giovinezza rappresentano, invece, una forma più radicale di un rifiuto della morte. L’uomo contemporaneo rifiuta di considerare la sua mortalità e vive come se non dovesse mai morire, manifestando un tentativo di dare risposta al suo bisogno che la sua individualità non scompare con la morte.

Cap.5 - “L’uomo come sistema

aperto e come essere libero e non determinato”

L’uomo è un soggetto indivisibile, in cui tutte le parti sono in connessione tra di loro, e quindi si influenzano reciprocamente. L’uomo ha, in quanto sistema aperto, un rapporto di reciproco condizionamento con la natura, la società, la cultura e ogni altro uomo singolo. Lo scambio con l’ambiente è la sua necessità di sopravvivenza in quanto organismo vivente. Parlare di uomo, come sistema vivente aperto, ha portato ad avere due concezioni: -

Concezioni individualistiche: l’uomo costruisce la propria identità fuori da influenze dell’ambiente sociale e naturale; Concezioni deterministiche o ambientalistiche: l’uomo è il risultato dei condizionamenti dell’ambiente sociale, dell’educazione, ecc. L’ambiente influenza significativamente le persone, ma non è determinante in modo assoluto. L’identità dell’uomo è, quindi, il risultato di un processo complesso che riguarda la sua dimensione personale e le sue relazioni con l’ambiente naturale e sociale. “Sistema”, secondo la definizione di Miller, è un insieme di unità interagenti in relazione tra di loro. Una singola unità la si può comprendere completamente solo in relazione al sistema di cui fa parte, ed è il sistema comprensibile solo: in relazione alle unità di cui è formato, e al sovrasistema in cui è inserito. Una persona, ad esempio, è un sistema che appartiene ad altri sistemi, quale quello sociale, la famiglia, il gruppo, la scuola, la parrocchia, la comunità, ecc. Quindi il sistema ha, sia al proprio interno che all’esterno, un insieme di relazioni. Questo significa che la persona non può essere compresa al di fuori dell’ambiente sociale e culturale in cui vive. Infatti, essa vive in relazione all’interno di tutti quei sistemi sociali e naturali che vengono chiamati ambiente. Esistono due tipi di sistema: quelli aperti e quelli chiusi. I sistemi aperti sono quelli che scambiano energia/materia e informazione con l’ambiente esterno; I sistemi chiusi, invece, sono quelli che non scambiano energia/materia e informazione con l’ambiente. L’uomo appartiene alla categoria dei sistemi aperti. L’uomo è quindi caratterizzato dal principio di “equifinalità”, che afferma che: due sistemi aperti, che partono da situazioni iniziali differenti, possono raggiungere lo stesso stato finale. Allo stesso modo, due sistemi che partono da situazioni iniziali uguali possono raggiungere stati finali differenti. Questo vuol dire che ogni persona ha una propria libertà e una propria autonomia. Questo fa sì che si reagisca in modo personale ai condizionamenti dell’ambiente sociale. Per l’educatore, questa considerazione comporta che egli deve accettare il principio per cui una certa azione educativa, benefica per alcuni, può essere dannosa per altri. L’educatore dovrà sempre verificare in ogni singolo caso la reale efficacia della sua azione in quanto ogni persona è un “unicum” irripetibile. Un sistema vivente è quel sistema aperto che contiene materiale genetico, che può vivere solo in un particolare ambiente, e che è in grado di riprodursi. Ciò che lo differenzia, invece, è che egli è un sistema vivente che vive inscritto in un mondo che, prima ancora di essere materiale, è simbolico e dotato di senso.

Cap.6 - “L’uomo tra

limite, incompletezza e radicalmente altro: la trascendenza”

La vita umana si esprime e trova la sua energia creatrice nell’incontro/scontro tra la potenza del desiderio (che può essere considerato il motore dell’esistenza umana), e la costrizione del limite (ovvero dell’insieme di norme, di codici che fissano l’insieme delle possibilità legittime in cui l’azione umana può manifestarsi). Se il desiderio viene lasciato libero di esprimersi e non incontra delle costrizioni, rivelerà la sua potenza distruttrice. Nella società complessa attuale, la dialettica desiderio/limite ha subìto delle profonde trasformazioni. La complessità sociale ha dilatato lo spazio di espressione del desiderio, che appare molto più ampio che nel passato. La crisi del limite si manifesta

nella vita di molti giovani come ricerca dell’eccesso, attraverso forme di appagamento del desiderio e di espressione di sé. Nonostante la consapevolezza che esiste nel limite del proprio corpo, l’uomo sente che la sua vita non gli appartiene totalmente. Il corpo è il luogo dell’esilio dell’anima. Questo modo di pensare il corpo in contrapposizione all’anima è nato all’interno del pensiero greco, in cui c’era il primato dell’anima sul corpo. Nella modernità, l’uomo è anima e corpo, ovvero un sistema in cui anima e corpo sono interrelati e si influenzano reciprocamente. Il simbolo può essere considerato come un particolare tipo di segno che possiede, oltre al proprio significato normale, un secondo significato nascosto e non immediatamente percepibile. Il significato del simbolo opera a livello inconscio. Agisce sull’individuo facendogli provare particolari emozioni e sentimenti. I segni sono sempre l’espressione di una determinata cultura sociale, e consentono a chi li usa di comunicare validamente all’interno di un certo gruppo sociale. Il simbolo è il veicolo privilegiato attraverso cui si esprime la dimensione spirituale e religiosa della vita. L’impossibilità dell’uomo di comprendere la propria natura ha indotto l’uomo a cercare le vie della trascendenza. Se per il credente questa via gli è stata fornita dalla rivelazione divina, per il non credente la trascendenza ha assunto il volto dell’ utopia, del sogno. Il sogno è diverso dalla fantasticheria, perché esige dal sognatore la fedeltà ad esso, e quindi spesso è in grado di cambiargli la vita. La fantasticheria è una consolazione offerta da una fuga dalla realtà, in un mondo o in una situazione immaginaria, in cui la persona vive in modo simulato ciò che non può vivere nella sua vita quotidiana. Questa fuga offre sì una consolazione, ma rende la persona ancora più incapace di diventare protagonista del cambiamento della realtà in cui vive. Cap.7 - “L’obiettivo generale de...


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