Antropologia Culturale: I temi fondamentali (Allovio, Ciabarri, Mangiameli) PDF

Title Antropologia Culturale: I temi fondamentali (Allovio, Ciabarri, Mangiameli)
Author Lorenzo Raimondi
Course Antropologia culturale
Institution Università degli Studi di Milano
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Riassunto del manuale di Antropologia Culturale....


Description

Cultura Concetto di cultura: esistono due tipi di “cultura”: il primo, classico, si riferisce alla formazione individuale e differenzia gli individui all’interno di una società fra colti e incolti, o fra “più colti” e “meno colti”; il secondo, proprio delle scienze sociali, si riferisce a una condizione che riguarda gli individui in quanto membri di una società particolare o di un gruppo che condivide forme di vita e visioni del mondo. L’Antropologia culturale si è legata sin dagli esordi al concetto di cultura in questa seconda accezione. Il motivo risale al fatto che la cultura risulta rintracciabile in tuta l’umanità. La cultura in senso antropologico non è quindi fatta soltanto di usi e costumi, di “abiti” esteriori, ma costitutiva dell’essere umano. Questa rilevanza costitutiva non è evidente sin da subito, ma parte col Novecento, e deriva da scoperte paleoantropologiche, le quali, basandosi sullo studio di acquisizioni culturali come responsabili per lo sviluppo biologico della specie. Le neuroscienze hanno dimostrato che nell’ontogenesi va rintracciata l’interazione tra fattori esterni e quelli del singolo individuo. Cultura in Antropologia: ne esiste una tradizionale ed una scientifica, la prima indica un dover essere per alcuni individui di alcune società, la seconda illustra una condizione che riguarda i membri di qualsivoglia gruppo sociale. Se la cultura in senso classico era costituita da ideali, verità e valori non condizionata dai mores, e se la sua acquisizione coincideva con una liberazione dagli abiti e dalle consuetudini locali, la cultura in senso moderno è invece costituita da costumi, e un’analisi in termini culturali comporta il riconoscimento della loro importanza e della loro incidenza in una molteplicità di ambiti del comportamento umano. Concetto etnografico di cultura evidente anche in Gustav Klemm, secondo cui la cultura è ciò che vi è essenziale nella storia. Tylor, che condivideva le idee etnografiche di Klemm, inizia la stagione dell’Antropologia vera e propria e in Primitive culture del 1871 egli espone che “La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”, quindi: a) Imprescindibilità della dimensione etnografica, la quale dilata i confini della nozione di cultura fino a renderla coestensiva con quella di umanità; b) l’idea che la cultura sia un insieme che ingloba diverse attività; c) il carattere acquisito di questo insieme e delle attività che lo compongono; d) la connessione del concetto di cultura con quello di Società. L’antropologia si è focalizzata sui costumi, ovvero quegli aspetti o dimensioni del comportamento umano che sono sì dotati di regolarità, ma di una regolarità variabile. Questo avvicinamento e fusione tra il concetto di cultura e il concetto di costume hanno prodotto un inglobamento dei costumi nella cultura. L’aver inglobato i costumi come propri contenuti ha fatto sì che la cultura si appropriasse di certe loro caratteristiche: se la cultura offre ai costumi il senso dell’ordine e della forma, i costumi danno in cambio alla cultura un insopprimibile significato di esteriorità. Kroeber postula che l’adattamento dell’essere umano a climi estremi artici è da collegare alla sua adattabilità culturale, e non biologica: gli animali cambiano corredo genetico, mentre l’uomo cambia il corredo culturale, ovvero si adatta adattando la sua cultura e il modo di esprimerla. Per Kroeber, prima l’evoluzione biologica porta a compimento la sua opera – nel senso che produce la realtà organica che noi stessi siamo – e poi su questa s’innesta l’evoluzione culturale.

Nella prospettiva primo-novecentesca di Kroeber il peso della realtà umana viene equamente ripartito tra la

sua componente di livello organico e la sua componente di livello culturale: gli abiti culturali non sono più stranezze senza senso, sono invece strumentali e funzionali. In questo stadio, l’impiego del concetto etnografico ha reso i costumi elementi ineliminabili di una corretta visione antropologica.

Washburn sostiene che “è probabilmente più corretto considerare gran parte della nostra struttura fisica come il risultato della cultura, anziché pensare a uomini anatomicamente simili a noi, i quali pian piano scoprirebbero la cultura: la cultura interviene ben prima che l’evoluzione organica produca l’uomo quale esso è attualmente. Prima dell’antropologia culturale, è stata la paleontologia a porre in crisi i rapporti di successione lineare tra l’evoluzione organica e l’evoluzione culturale (ergo non stratificante), e quindi a scomporre l’ordine gerarchico tra i rispettivi livelli. Il rifiuto dell’ordine temporale e diacronico costituito da un “prima” e da un “dopo” comporta pure il rifiuto dell’ordine gerarchico e sincronico di un “sotto” e di un “sopra”.

Leroi-Gourhan precisa che “non si può fare a meno di ritenere che il cervello ‘segua’ il movimento generale, ma non ne sia l’istigatore” perché l’uso del cervello arriva dopo la possibilità di usare le mani che caratterizza l’homo sapiens. In questa prospettiva, l’uomo, essere inerme e biologicamente debole, è stato indotto a creare cultura per la sua sopravvivenza: la cultura viene rappresentata come un elemento indispensabile per la propria vita: la cultura non è un aiuto, bensì la base della stessa sopravvivenza biologica dell’uomo.

Simboli condivisi – Il simbolismo della cultura non ha carattere esornativo; esso è invece la qualità più precipua dell’ambiente in cui gli esseri umani e il loro cervello si sono formati e continuano a svilupparsi. Secondo una delle tesi più significative vi è stato tra l’inizio della cultura e a comparsa dell’uomo attuale un passaggio lento ma deciso da forme di controllo del comportamento umano prevalentemente genetiche a forme di controllo prevalentemente culturali. Puntare sull’esteriorizzazione culturale per garantire meglio la sopravvivenza biologica di quegli esseri che avrebbero dato luogo all’umanità ha significato privilegiare in misura sempre maggiore la versatilità, la flessibilità e la mutabilità delle forme di controllo culturale rispetto alla maggiore rigidità di quelle genetiche. Il comportamento culturale dell’uomo appare sempre mediato dall’uso di simboli. Il simbolismo rinvia alla società, giacché esso consiste in una condivisione di accordi, convenzioni, limiti, presupposti, associazioni e distinzioni, e perché esso affiora come prodotto e come condizione nello stesso tempo degli scambi e interazioni di cui è fatta a vita sociale. La condivisione di simboli è la base della vita sociale.

Keesing espone “la magia dei simboli condivisi” ossia simboli culturali condivisi inequivocabilmente tra i membri di una società culturale, e pertanto non sono soggetti a profonde analisi. Essi si trovano nei costumi più inveterati, nelle consuetudini più ovvie, negli atteggiamenti in apparenza più naturali. Proprio per questo, essi esercitano la loro influenza sugli uomini, dirigendo e plasmando il loro modo di agire, di pensare, di sentire. La reificazione è infatti il processo che consente di consolidare i simboli condivisi e consente pure di conferire loro il ruolo di presupposti e di condizioni della comunicazione e della vita sociale. Il trucco della reificazione dei simboli condivisi consiste quindi nella negazione del loro carattere sociale, nel tentativo di nascondere la loro origine sociale.

Le variazioni e il mutamento – La radice della precarietà è la socialità della cultura, e il carattere insuperabile della precarietà è dovuto al fatto che qualunque forma culturale esiste solo in quanto vi sono degli individui che la realizzano. Se è vero che la cultura, come dice Sapir, che “esiste solo in tanto in quanto è effettivamente usata, parlata, udita, scritta e letta”, le variazioni individuale non sono quindi mere deviazioni, ma momenti e modalità di effettiva realizzazione della cultura. Se si tace, una lingua muore; se si tace e non agisce, una cultura scompare. Se si parla e agisce, lingua e cultura vengono riprodotte; ma, come e ancor più che per le specie biologiche, la riproduzione è un’inesorabile modificazione. La vita della cultura appare quindi come un immenso oceano di variazioni individuali, cioè di fenomeni fortuiti. Ma le variazioni individuali hanno pure effetti di accumulo che si manifestano con tendenze all’uniformità. Il mutamento comincia ad apparire allorché dalla massa confusa delle variazioni individuali si determina una direzione, un orientamento, chiamato “deriva”. Esistono due opzioni fondamentali per determinare il senso della cultura umana: 1) E’ giusto rimanere all’interno delle correnti culturali indagandone le forme, ricostruendone la storia o interpretandone i simboli significati; 2) La seconda ritiene inevitabile un’uscita dalla cultura verso realtà che in un qualche modo la precedono e ne sono a fondamento.

La dimensione culturale (Appadurai) Il tratto più prezioso del concetto di cultura è il concetto di differenza, una proprietà contrastiva. Piuttosto che considerare la cultura una sostanza, è più utile considerarla una dimensione di fenomeni, quindi, ogniqualvolta indichiamo una pratica, una distinzione, un concetto, un oggetto o un’ideologia come dotati di una dimensione culturale, stiamo sottolineando l’idea di differenza. L’apparente rinascita, a livello mondiale, dei nazionalismi e dei separatismi etnici non è n realtà quel tribalismo cui troppo spesso fanno riferimento giornalisti ed esperti, che riguarderebbe vicende antiche. La violenza etnica cui assistiamo in molte zone del mondo è invece parte di una trasformazione più vasta che è indicata dal termine culturalismo = deliberata mobilitazione delle differenze culturali al servizio di più vaste politiche nazionali o transnazionali, Il culturalismo è la forma che la differenza culturale tende ad assumere in un’epoca di mediazione di massa, emigrazione e globalizzazione.

Abitare o costruire (Ingold) L’uomo, secondo Geertz, è un animale impigliato nelle reti di significati che egli stesso ha tessuto. Che diritto abbiamo di identificare convenzionalmente l’artificiale con ciò che è fatto dall’uomo? Tra gli animali e l’uomo cambia la progettazione dell’architettura: come per la casa dell’uomo e a tana del castoro: il castoro costruirà sempre tane dello stesso tipo, mentre gli esseri umani costruiranno case a seconda delle loro esigenze, che cambiano nel corso dei secoli. Richard Dawkins ha coniato il termine “genotipo esteso” per riferirsi agli effetti genetici che vanno oltre il corpo dell’organismo.

Gli esseri umani, a differenza degli animali, sono gli autori dei loro progetti, costruiti attraverso processi di decisine, di selezione intenzionale di idee. Inoltre, nell’eseguire un progetto certi utensili possono essere cooptati: esempio, utilizzo di una pietra che funge da martello. Pertanto, esistono due tipi di fare: co-optativo e costruttivo. Nel fare cooptativo un oggetto esistente viene adattato a un’immagine concettuale di un possibile uso futuro, nella mente dell’utente. Ne fare costruttivo, questa procedura è capovolta, in quanto l’oggetto viene fisicamente modellato per conformarsi esattamente ad un’immagine preesistente. Per l’essere umano le reti sono iscritte in un piano separato di rappresentazioni mentali. Es: la volpe vede l’albero come rifugio, mentre l’uomo vede l’albero come la legna, che è nella sua mente.

Comparazione/Etnografia La comparazione è stata sin dall’inizio uno strumento fondamentale per l’antropologia, ma il modo in cui essa è stata intesa ed utilizzata è variata nel tempo. Nella fase iniziale del percorso dell’Antropologia culturale come disciplina accademica, cioè nella seconda metà dell’Ottocento, lo sforzo comparativo fu posto al servizio di una missione scientifica che intendeva individuare le leggi dell’evoluzione socioculturale. Il comparativismo evoluzionista prendeva in esame oggetti culturali materiali e immateriali, allo scopo di classificarli in un’unica scala universale che andava dal “primitivo” al “civilizzato”. Venne successivamente abbandonata l’idea di classificazione universale per focalizzare l’attenzione sull’irriducibile specificità dei tratti culturali e della loro storia in aree geografiche limitate. Nacque così il “metodo storico” o “particolarismo storico” in antropologia. A partire dal Novecento, il rifiuto di gerarchizzare differenti forme di umanità nei termini dell’evoluzionismo sociale è diventato più chiaramente un elemento distintivo dell’Antropologica culturale.

Il metodo comparativo (Fabietti) Nonostante la stessa idea di una antropologia come sapere comparativo abbia subito col tempo mutamenti profondi, la comparazione tra culture resta un antico progetto della disciplina. Tutto, per l’antropologia, può essere comparato. Ogni progetto comparativo esige che per comparare si definiscano i termini stessi della comparazione. Ai suoi inizi il sapere antropologico fu caratterizzato da molti assunti, uno tra questi è il nesso che lega comparazione e spiegazione. Vi è infatti una concezione della comparazione che si ritiene finalizzata alla spiegazione dei fatti che sono di interesse per l’antropologia. In questa prospettiva la comparazione può essere collocata nel tempo, nella misura in cui questo tempo è posteriore o antecedente a un altro tempo. Morgan reperì una serie di dati empirici sul campo, che furono alla base del suo postulato circa lo sviluppo della famiglia, in continenti quali Europa, Asia e America. Tuttavia, prima Tylor e poi Durkheim, introdussero cambiamenti significativi nell’uso della comparazione. Durkheim fa riferimento al cosiddetto metodo delle correlazioni statistiche o delle variazioni concomitanti. Questi metodi predicono che i mutamenti dipendono da una serie di elementi combinati tra loro, la cui scorporazione non porterebbe a risultati diversi. Evans-Pritchard spostò l’accento sulla ricerca delle differenze. Per lui, infatti, più che le somiglianze, l’antropologia doveva spiegare le differenze.

Nadel si pronunciò allo stesso modo, effettuando una comparazione della credenza della stregoneria in quattro società, cercando di appurarne le differenze. Verso la fine degli anni Cinquanta, Leach pose, forse per la prima volta, un problema cruciale circa la validità della comparazione. Negli ultimi trent’anni le pretese comparativiste dell’antropologia sono state fatte oggetto di attacchi sempre più decisi, fino alla pressoché totale dissoluzione del progetto comparativo. Needham analizzò il caso delle discendenze: non si possono classificare società matrilineari e patrilineari a seconda delle caratteristiche che queste posseggono; in tal caso, ogni società di tipo a o b dovrebbe possedere le stesse caratteristiche, cosa non vera. Needham sceglie di considerare ciò che i naturalisti chiamano classificazioni politetiche, ossia composte da individui che non condividono tutti uno o più tratti specifici, ma che ne condividono alcuni variamente distribuiti (connessioni piuttosto che comparazioni). Secondo Wittgenstein, questo è il modo in cui gli esseri umani costruiscono le loro classificazioni, e che questo modo è proprio ciò che garantisce la produttività dei concetti. Stando così le cose, è chiaro che le classificazioni riflettono non una realtà oggettiva, bensì dei principi di organizzazione, dei modelli. Con Needham pare dunque tramontare ogni possibilità di comparazione, se comparazione significa accostare tra loro società “simili” allo scopo di costituire dei “tipi”. Per Remotti vale difatti l’idea di poter stabilire del “fasci di relazioni” tra fenomeni, “reti di connessioni”, che l’antropologia “va tessendo nei e tra i più svariati contesti”. Il connessionismo sposta l’idea sul versante delle categorie e dei modelli cognitivi, cioè del nostro “vedere come”.

Il problema della traduzione Il metodo della comparazione presenta però il difetto della traduzione da cultura a cultura di determinati eventi che noi classifichiamo e chiamiamo in un certo modo, ma questa classificazione e nomenclatura cambia al variare del soggetto. Goodenough prende il caso del matrimonio e del suo concetto occidentale che però varia se consideriamo lo stesso evento in un’altra cultura, ad esempio quella indiana. L’unico principio che Goodenough ritiene possibile individuare come possibile definizione universale di matrimonio è un principio correlato con la riproduzione sessuale. Per Goodenough tutto ciò è conseguenza di alcune caratteristiche specificamente umane: a) la tendenza a stabilire delle relazioni di tipo continuativo su base affettiva che forse deriva dal fatto che b) presso gli umani i piccoli hanno bisogno di un contatto più prolungato con gli adulti. Ciò si traduce c) nella tendenza a sviluppare un attaccamento nei confronti di quegli individui con i quali esistono relazioni sessuali, con l’effetto d) di sviluppare un atteggiamento combattivo e competitivo per quanto riguarda l’accesso alle donne. Come conseguenza di tutti questi fattori, uomini e donne tendono a sviluppare relazioni continuative con due categorie di persone: quelle con cui sono associati nell’infanzia come membri dello stesso gruppo domestico, e quelli con cui stabiliscono relazioni sessuali in età postpuberale. La prima relazione si stabilisce nello stesso momento in cui si stabilisce la relazione di maternità e di paternità. Per stabilire una relazione continuativa di tipo sessuale occorre invece una transazione specifica, attraverso la quale viene

messo in gioco l’unico elemento che non è contemplato da altre forme di transazione, le quali implicano coresidenza, cooperazione. Questa transazione è quella relativa alla sfera del sesso e della riproduzione.

L’etnografia e la politica del campo (De Sardan) L’inchiesta di tipo antropologico vuole avvicinarsi il più possibile alle situazioni naturali dei soggetti (vita quotidiana, conversazioni) , in una situazione di interazione prolungata tra il ricercatore stesso e le popolazioni locali, al fine di produrre delle conoscenze. La ricerca sul campo, o ricerca etnografica o socio-antropologica, si basa sulla combinazione di quattro grandi forme di produzione di dati:

1) Osservazione partecipante L’Antropologo deve procedere a prendere appunti e tentare di organizzare la conservazione di ciò a cui ha assistito, in generale sotto forma di descrizione scritta. Tramite tali procedure produrrà dei dati e costituirà dei corpus che saranno oggetto di spoglio e trattati ulteriormente. I dati sono la trasformazione in tracce oggettivate di “pezzi di realtà”. La competenza del ricercatore sul campo sta tutta nel poter osservare ciò a cui non era preparato e nell’essere in grado di produrre i dati che l’obbligheranno a modificare le proprie ipotesi. Il ricercatore nel campo non si sente sempre in servizio: vivendo, osserva, e tali osservazioni vengono registrate nel suo inconscio.

2) I colloqui Il colloquio resta un mezzo privilegiato, spesso il più economico, per produrre dei dati discorsivi che danno accesso alle rappresentazioni emiche, autoctone, indigene e locali. Esistono guida al colloquio e canovaccio di colloquio. Il primo ha delle domande ben precise, ma è limitante, mentre il secondo pone delle linee guida, che possono essere estese, rivedute ed ampliate. Un colloquio di ricerca, tuttavia, deve essere pensato in maniera tale che questo possa formulare nuove domande. Esiste la ricorsività del colloquio, che si basa sul produrre nuove domande basate su quanto già detto, al fine di ripristinare un colloquio che in qualche maniera è andato fuori pista. Inoltre, esiste il realismo simbolico: il ricercatore deve affidarsi ai dati e informazioni fornite dall’intervistato, nonostante queste possano risultare un po’ sospette. Nello stesso tempo un’indispensabile attenzione critica mette in guardia il ricercatore dal prendere per oro colato tutto ciò che gli viene detto.

3) I procedimenti di censimento Produrre sistematicamente dei dati intensivi in numero finito: conteggi, inventari, nomenclature, piani, liste, genealogie.

4) Le fonti scritte Alcune di ...


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