Antropologia culturale I temi fondamentali schema PDF

Title Antropologia culturale I temi fondamentali schema
Author Isabel Bandiziol
Course Antropologia culturale
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Antropologia culturale 1. Cultura/culture Francesco Remotti, Il concetto di cultura in antropologia 6- Arjun Appadurai, La dimensione culturale 39- Tim Ingold, Abitare o costruire 45- 2. Comparazione/etnografia Ugo Fabietti, Il metodo comparativo 61- Jean-Pierre Olivier de Sardan, L’etnografia e la ...


Description

Antropologia culturale 1. Cultura/culture 1 - Francesco Remotti, Il concetto di cultura in antropologia 6-38 - Arjun Appadurai, La dimensione culturale 39-44 - Tim Ingold, Abitare o costruire 45-55 2. Comparazione/etnografia 57 - Ugo Fabietti, Il metodo comparativo 61-88 - Jean-Pierre Olivier de Sardan, L’etnografia e la politica del campo 89-112 3. Percezione/conoscenza 113 - Alessandro Duranti, La diversità linguistica 117-133 - Michael Jackson, La conoscenza del corpo 134-155 - Philippe Descola, Gli schemi della pratica 155-168 4. Cosmo-logie/socio-logie 169 - Michael Herzfeld, Cosmologie 173-191 - Maurice Goldelier, Donare, scambiare, custodire: come si creano le società 192202 - Lila Abu-Lughod, L’identità nella relazione 203-220 5. Identità/appartenenze 221 - Gianfranco Biondi, Olga Rickards, La razza: un errore scientifico e un abominio sociale 226-240 - Anne-Christine Taylor, Patrick Williams, Jean-Paul Razon, L’etnia e le minoranze etniche 241-248 - Sherry Beth Ortner, Harriet Whitehead, Una spiegazione dei significati sessuali 249-269 6. Mobilità/migrazioni 271 - Philip Mayer, Iona Mayer, L’emigrazione e lo studio degli africani in città 274289 - Aihwa Ong, Da rifugiati a cittadini 290-302 7. Globalizzazione 303 - Sidney Wilfred Mintz, Storia dello zucchero 306-324 - Jean-Loup Anselle, La globalizzazione e il futuro della differenza culturale 325341 8. Diversità e relativismo 343 - Leonardo Piasere, La nuova Turii 345-363

ANTROPOLOGIA CULTURALE

Temi fondamentali utili a cogliere il senso del lavoro degli antropologi: -

Nozione di cultura Diversità culturale Etnocentrismo Relativismo Etnografia Comparazione Visioni del mondo Forme delle relazioni sociali e parentali Processi di naturalizzazione delle appartenenze (razza, etnia) Questioni di genere Disuguaglianze e gerarchizzazioni Dinamiche migratorie Globalizzazione

Antropologia culturale e sociale  si occupa degli esseri umani organizzati in società e dotati di specifiche visioni del mondo, proponendo un linguaggio scientifico per lo studio delle diversità e delle somiglianze socioculturali rintracciabili e degne di essere studiate, in modo approfondito e con spirito comparativo, in ogni angolo del pianeta. Metodologia principale degli antropologi: l’indagine etnografica. Coordinate storiche che permettono di far cenno ai luoghi e ai tempi nei quali l’Antropologia culturale si è affermata come disciplina. Il paese che per primo vide svilupparsi un interesse intellettuale nei confronti della diversità culturale è stata la Francia. Tuttavia, lo studio delle società “altre” non si consolidò se non molto lentamente. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti invece si registra, già nella seconda metà dell’Ottocento, maggiore consapevolezza del fatto che una nuova disciplina si stava consolidando. In Gran Bretagna la poderosa politica coloniale aveva orientato l’interesse di molti uomini di scienza nei confronti delle società “altre”. Sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti gli strumenti teorici per le indagini antropologiche si basavano sul paradigma dominante dell’evoluzionismo portando ad ampie comparazioni e alla costruzione di classificazioni e tipologie delle società e dei tratti culturali rinvenuti nei differenti “angoli di mondo”. Gli antropologi evoluzionisti di fine Ottocento sostenevano che tutte le culture umane seguissero necessariamente una sola sequenza di sviluppo che le avrebbe condotte dallo stadio selvaggio a quello della civiltà. Alcune società si sarebbero “sviluppate” prima, altre sarebbero rimaste attardate su livelli evolutivi inferiori. Gli evoluzionisti, sulla base di questa idea congetturale e convinti che il livello di sviluppo massimo fosse rappresentato dalla civiltà europea, contribuirono a giustificare la posizione dominante di quest’ultima sulle popolazioni colonizzate inventando, al contempo, la categoria del “primitivo”. Nel periodo incluso fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento, l’Antropologia culturale si consolida attraverso una risoluta critica all’impianto teorico evoluzionista. La connessione tra il viaggiare fra le varie “forme di umanità” e lo studio dell’essere umano si fa sempre più stretta. Gli antropologi non si limitano a riflettere sulla diversità culturale nel chiuso delle loro biblioteche supportati dai resoconti di viaggio

(atteggiamento diffuso fra gli antropologi evoluzionisti) ma optano decisamente per l’osservazione diretta del proprio oggetto di studio. A partire dal 1886 Franz Boas condusse ricerche presso i kwakiutl della costa del Nordovest. Egli rifondò la disciplina diventando il maestro di almeno due generazioni di antropologi americani. Particolarmente critico nei confronti del metodo comparativo degli evoluzionisti, concepiva il lavoro dell’antropologo come la raccolta empirica dei dati nell’ambito di specifici gruppi umani. In I limiti del metodo comparativo (1896) dimostrò la necessità di superare le modalità di ricerca dell’evoluzionismo di fine secolo. Argonauts of Western Pacific* (1922) di Bronislaw Malinowski, antropologo polacco naturalizzato inglese una delle opere più influenti della storia dell’antropologia. Il volume, incentrato sull’analisi dello scambio cerimoniale kula effettuato dagli isolani delle Trobiand (Melanesia occidentale) si basa su dati raccolti da Malinowski durante una prolungata ricerca sul campo. L’antropologo polacco prefigura l’approccio funzionalista allo studio della società. Tale prospettiva, secondo la quale ogni elemento culturale è funzionale al mantenimento della coesione sociale, dominerà l’antropologia britannica per gran parte del Novecento. A partire dagli anni Venti, l’Antropologia culturale contribuisce alla conoscenza delle differenti culture attraverso la stesura di accurate monografie basate sul rigore metodologico di prolungate esperienze sul campo. I grandi esponenti del pensiero antropologico dell’epoca a cavallo tra Ottocento e Novecento, quali Tylor, Frazer, Durkheim e Mauss, non si dedicarono mai a ricerche sul campo. Essi usavano piuttosto elaborare materiali etnografici che ricevevano dai corrispondenti sul campo oppure lavoravano su fonti scritte. Rispetto a queste figure vanno sottolineate le alternative rappresentante innanzitutto dallo statunitense Morgan, un giurista che nella metà dell’Ottocento si costruì sul campo un profilo di antropologo lavorando a stretto contatto con gli irochesi. *Argonauti del Pacifico occidentale  consacrazione del metodo etnografico. L’introduzione al volume divenne una sorta di manifesto del metodo etnografico, destinato a condizionare a lungo le pratiche di ricerca degli antropologi. L’antropologo raccomandava la frequentazione intensa e prolungata del contesto di ricerca e forniva alcune coordinate operative relativamente al modo di costruire e ordinare il materiale etnografico.

1. CULTURA/CULTURE Secondo Francesco Remotti in IL CONCETTO DI CULTURA IN ANTROPOLOGIA esistono almeno due concetti di “cultura”: 1. Classico, si riferisce alla formazione individuale e differenzia gli individui all’interno di una società fra colti e incolti, o fra “più colti” e “meno colti”; 2. Proprio delle scienze sociali, si riferisce a una condizione che riguarda gli individui in quanto membri di una società particolare o di un gruppo che condivide forme di vita e visioni del mondo  L’Antropologia culturale fin dagli esordi si è legata al concetto di cultura in questa seconda accezione. Motivo: la cultura così intesa risulta rintracciabile in tutta l’umanità Antropologia: disciplina che ha l’ambizione di mostrare non solo la varietà di come la cultura umana si configura in contesti differenti, ma la centralità della stessa nel definire l’essere umano. La cultura, in senso antropologico, non è fatta soltanto di usi e costumi, di “abiti” esteriori che si possono dismettere con facilità; essa non è ornamentale, ma costitutiva dell’essere umano. Arjun Appadurai in LA DIMENSIONE CULTURALE esprime un disagio nell’utilizzo del concetto di cultura e, lungi dal proporre agli antropologi di occuparsi d’altro, ritiene semplicemente che l’uso dell’aggettivo “culturale” al posto del sostantivo “cultura” possa aiutarli a continuare a fare ciò che hanno sempre fatto stando però alla larga non tanto dal concetto di cultura, bensì dal “preconcetto che la cultura sia un qualche oggetto, una cosa o una sostanza, fisica o metafisica”. Per Appadurai l’aggettivazione permette di ribadire la centralità della dimensione culturale delle pratiche, mostrando differenze, contrasti, comparazioni in un mondo sempre più globalizzato ma per nulla omogeneo dal punto di vista culturale. Tim Ingold in ABITARE O COSTRUIRE esordisce presentando un assunto ampiamente diffuso se non addirittura costitutivo dell’antropologia, che egli stesso ha condiviso nella prima parte della sua carriera e dal quale ha deciso di prendere le distanze. Secondo questo “punto di vista convenzionale” il mondo in cui vivono gli umani è fatto di significati culturalmente costruiti, cioè di cultura, ed è stato edificato al di sopra di una base materiale, cioè della natura. Allo scopo di rivedere l’adeguatezza di questo punto di vista, l’antropologo britannico propone di riflettere sull’idea stessa del “costruire, e umani.

2. COMPARAZIONE/ETNOGRAFIA Ugo Fabietti in IL METODO COMPARATIVO introduce la comparazione. Essa è necessariamente un aspetto non solo della disciplina antropologica, ma anche, più in generale, della cultura e del modo in cui essa viene costruita. L’antropologo italiano riflette ad ampio raggio sulle forme che storicamente la comparazione ha assunto e sui punti di forza, i limiti e le potenzialità di questo strumento altamente discusso, oggetto di dibattiti e scontri, ma tuttavia imprescindibile per l’impresa intellettuale antropologica. La comparazione è stata sin dall’inizio uno strumento fondamentale per l’antropologia, ma il modo in cui essa è stata intesa e utilizzata è variegato nel tempo. (Franz Boas) Jean-Pierre Olivier de Sardan in L’ETNOGRAFIA E LA POLITICA DEL CAMPO inquadra l’etnografia. A partire dagli anni Ottanta il dibattito interno alla disciplina ha messo in dubbio la praticabilità, la legittimità e l’adeguatezza del modello malinwoskiano di fieldwork, soprattutto sull’onda del postmodernismo. Il saggio di Olivier de Sardan emerge nel pieno di questo clima, con l’obiettivo di individuare gli aspetti chiave della ricerca antropologica, di mettere in luce i dubbi e le difficoltà che gli antropologi incontrano mentre fanno etnografia e di ribadire la centralità, per l’Antropologia culturale, dell’esperienza sul campo.

3. PERCEZIONE/CONOSCENZA Sia la cultura, intesa in senso antropologico, sia l’Antropologia culturale, non possono prescindere dalla centralità del linguaggio e dalla molteplicità delle lingue parlate. La lingua è una delle componenti più importanti dell’assemblaggio denominato “cultura”. Alessandro Duranti in LA DIVERSITÀ LINGUISTICA sottolinea che il tema della diversità linguistica permette di recuperare importanti questioni dibattute dai primi antropologi quali la rilevanza della lingua nel determinare la visione del mondo. Secondo il principio della “relatività linguistica”, grammatiche differenti porterebbero i parlanti a tipi di osservazioni diverse fino ad arrivare a visioni del mondo diverse. Gli antropologi del linguaggio condividono i programmi di ricerca dei sociolinguisti, attenti quindi alle varietà interne alle comunità di parlanti e ai repertori linguistici in esse rintracciabili. Particolare attenzione viene rivolta da questi alla lingua come strumento d’azione sociale in specifici contesti d’uso e come prodotto e processo storico-sociale, anche alla luce di fenomeni di contatto linguistico e di mescolanza fra lingue. Se è verso che la lingua fa parte della cultura, è altrettanto vero che la lingua irrompe nella metodologia etnografica e nella valutazione di possibili ipotesi comparative. Per tale motivo risulta determinante l’azione degli antropologi culturali agli aspetti semantici della lingua e agli aspetti pragmatici della comunicazione umana, consapevoli di quanto la complessa questione della traducibilità delle culture passi inesorabilmente attraverso l’altrettanto complessa questione della traducibilità linguistica. Alessandro Duranti all’inizio degli anni Novanti del secolo scorso ha introdotto il concetto di ethnopragmatics per specificare un ambito di studio etno-linguistico focalizzato sulla

documentazione e analisi di pratiche culturali contenenti attività comunicative in specifici contesti d’uso. Per Michael Jackson in LA CONOSCENZA DEL CORPO risulta spesso fallimentare “tradurre” l’agire rituale in parole e ritenere che ogni atto significhi sempre qualcosa al di là del coinvolgimento sensoriale dei corpi durante la performance. L’argomentazione principale di Jackson riguarda l’eccesso di astrazione nell’analisi etnografica, la quale deve piuttosto orientarsi verso una maggiore valorizzazione delle pratiche corporee, siano esse quelle dei soggetti studiati o quelle dello stesso antropologo che con il proprio corpo può accedere a una conoscenza empatica e imitativa. Philippe Descola -> GLI SCHEMI DELLA PRATICA In Oltre Natura e Cultura, opera magistrale del 2005, Descola propone di riesumare lo studio di quelle che il suo maestro, Claude Lévi-Strauss, denomina “strutture”, ma facendolo con un linguaggio e una strumentazione nuova e una minore propensione all’astrazione. Occorre quindi rintracciare “schemi elementari della pratica”, un “piccolo nucleo di schemi interiorizzati” dai quali gli habitus prendono origine. L’antropologo culturale dovrebbe essere particolarmente abile a individuare quei particolari schemi (gli schemi ordinatori dell’esperienza) che permettono a ciascun essere umano di avere l’idea di condividere con altre persone “una stessa cultura, una stessa cosmologia”.

4. COSMO-LOGIE/SOCIO-LOGIE Due forme di logos, declinate al plurale, le cosmo-logie e le socio-logie. Accostate, portano alla luce la duplice natura dell’antropologia come disciplina dedicata alla “cultura” e alla “società”: da questa duplicità derivano le due denominazioni più diffuse della disciplina, l’Antropologia culturale e l’Antropologia sociale, che nel corso del Novecento hanno avuto storie scientifico-intellettuali distinte ma apparentate e che oggi possono essere considerate alla stregua di sinonimi. Oggetto: le visioni del mondo e le riflessioni su di esso, cioè le cosmo-logie e le forme di istituzione, organizzazione e legittimazione delle relazioni e delle gerarchie sociali, cioè le socio-logie. COSMOLOGIE di Michael Herzfeld propone un percorso a vasto raggio sul modo in cui l’antropologia ha trattato questo tema. La riflessione umana sul posto che occupiamo nell’universo presenta un grado strabiliante e affascinante di variabilità nel tempo e nello spazio. Parlare di cosmologie al plurale significa in primo luogo percepire le differenze, in secondo luogo accoglierle, in terzo valutarle in termini paritari oppure disporle in una gerarchia di valore. La convinzione che esistano culture/società superiori e culture/società inferiori, in quanto poste su gradini differenti di una scala evolutiva, è stata rigettata da tempo dall’Antropologia culturale, ma rimane parte del senso comune con un certo grado di credibilità, come idea data per scontata e autoevidente. Al contrario, Michael Herzfeld invita il lettore a osservare e dunque a inserire nella stessa categoria, quella di “cosmologia”, sia la visione del mondo che si può estrapolare da un rituale caratteristico di una qualunque cultura “non occidentale”, sia il paradigma scientifico che informa l’attività di ricerca di un qualunque esponente di una disciplina accademica. Maurice Godelier in DONARE, SCAMBIARE, CUSTODIRE: COME SI CREANO LE SOCIETÀ affronta il tema dell’organizzazione sociale a partire da una prospettiva a prima vista

decentrata, quella dei sistemi di scambio tra gruppi e popolazioni, toccando tuttavia in questo modo un punto classico e centrale della storia della disciplina. Da Malinowski a Boas a Mauss, i sistemi di scambio sono stati analizzati per mettere in rilievo i principi costitutivi di un sistema di relazioni sociali e illustrarne le peculiarità, a partire dal principio di reciprocità individuato da Malinowski nel corso della sua analisi sul sistema kula e successivamente presentato come elemento strutturante il complesso delle relazioni sociali della popolazione da lui studiata. Godelier ricostruisce i termini di questo classico tema aggiornandolo alla luce degli studi più recenti. Quello che ne emerge non è più la stretta identificazione tra tipi di società e specifici sistemi di scambio, ma una riflessione sui modi in cui diversi sistemi di scambio si articolano e combinano entro ogni società. Lila Abu-Lughod in L’IDENTITÀ NELLA RELAZIONE mostra al lettore il caso dei beduini del deserto libico-egiziano per mettere in luce una dialettica di identità e differenze, appartenenze e contrasti, eguaglianze e diseguaglianze. Lo fa in primo luogo affrontando la nozione di identità collettiva, per chiarire la sua duplice natura: attraverso il suo riferimento al sangue e dunque alle origini, l’identità si presenta come una nozione apparentemente chiusa all’interno dei confini di un gruppo; tuttavia, la sua natura oppositiva, cioè il fatto che l’identità del “noi” sia necessariamente costruita in rapporto alla diversità dell’altro, chiama in causa la centralità della relazione in seno all’identità stessa. Su questa base si fonda una raffinata ideologia morale che attribuisce un valore a sentimenti e comportamenti e li connette all’affiliazione tribale e alla parentela. Lila AbuLoghod ci permette di intraprendere un viaggio denso in un singolo contesto, all’interno dell’affascinante complessità dei codici di comportamento, di lettura delle relazioni, delle condivisioni, delle identificazioni e delle differenze.

5. INDENTITÀ/APPARTENENZE La razza, l’etnia, il sesso e il genere sono le categorie che si mettono in discussione in questo capitolo allo scopo di esemplificare le modalità attraverso le quali l’Antropologia culturale si avvicina alle identità e alle appartenenze. L’Antropologia culturale insiste da tempo nel sottolineare che le identità e le appartenenze, quali per esempio quelle etniche e quelle di genere, sono costruzioni culturali modellate dalla storia e non “realtà” granitiche, necessarie, oggettive che vincolano il comportamento e la dignità dell’essere umano in maniera univoca e ineludibile, per non parlare delle “razze umane”. L’interesse antropologico è motivato dalla preoccupazione che queste costruzioni culturali dal carattere mobile, sfumato ed eterogeneo possano essere ingabbiate in caselle rigide dai confini netti, a supporto di letture deterministiche ed eventualmente di forme di discriminazione, di sfruttamento o di violenza.

Olga Rickards e Gianfranco Biondi in LA RAZZA: UN ERRORE SCIENTIFICO E UN ABOMINIO SOCIALE trattano il concetto di razza. Le razze umane non esistono. Olga Rickards e Gianfranco Biondi spiegano con chiarezza e autorevolezza come il concetto di razza sia del tutto privo di fondamento, così come le classificazioni razziali che si sono manifestate nella storia culturale dell’umanità non possiedono alcuna credibilità. Al di là del carattere violento e odioso del ricorso al razzismo, ciò che si vuole sottolineare in questa sede è la sua assoluta inconsistenza dal punto di vista scientifico.

Essi ricostruiscono le tappe storiche attraverso cui il concetto di razza ha acquisito un’illusoria consistenza nel pensiero scientifico occidentale e il lavoro che è stato necessario per giungere a decostruire tale illusione. “Far fuori” la razza, purtroppo, non significa far fuori il razzismo, poiché la volontà di classificare e gerarchizzare i gruppi umani persiste attraverso l’uso “razzista” di una batteria di concetti di rimpiazzo (civiltà, cultura, etnia, nazione). Anne-Christine Taylor, Patrick Williams e Jean-Paul Razon: L’ETNIA E LE MINORANZE ETNICHE Anche quando si parla di etnia si ha a che fare con un’illusione. Tale è infatti quella dei confini tra gruppi e della loro pretesa nettezza, così come è un’illusione il fondamento stabile e naturale dell’appartenenza, anche se ...


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