Antropologia culturale, I temi fondamentali - Allovio, Ciabarri, Mangiameli PDF

Title Antropologia culturale, I temi fondamentali - Allovio, Ciabarri, Mangiameli
Course Antropologia culturale
Institution Università degli Studi di Milano
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ANTROPOLOGIA CULTURAE (a cura di Allovio, Ciabarri e e affinamento teorico del concetto di cultura in senso antropologico fra Otto e spiega Remotti, esistono due tipi di il primo, classico, si riferisce alla e differenzia gli individui di una fra colti e incolti, o fra e il secondo, proprio delle sc...


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ANTROPOLOGIA CULTURAE (a cura di Allovio, Ciabarri e Mangiameli) 1. CULTURA/CULTURE Introduzione e affinamento teorico del concetto di cultura in senso antropologico = fra Otto e Novecento. Come spiega Remotti, esistono due tipi di “cultura”: il primo, classico, si riferisce alla formazione individuale e differenzia gli individui all’interno di una società fra colti e incolti, o fra “più colti” e “meno colti”; il secondo, proprio delle scienza sociali, si riferisce a una condizione che riguarda gli individui in quanto membri di una società particolare o di un gruppo che condivide forme di vita e visioni del mondo . L’Antropologia culturale si è legata sin dagli esordi al concetto di cultura in questa seconda accezione. Il motivo risale al fatto che la cultura risulta rintracciabile in tuta l’umanità. La cultura in senso antropologico non è quindi fatta soltanto di usi e costumi, di “abiti” esteriori, ma costitutiva dell’essere umano. Questa rilevanza costitutiva non è evidente sin da subito, ma parte col Novecento, e deriva da scoperte paleoantropologiche, le quali, basandosi sullo studio di acquisizioni culturali come responsabili per lo sviluppo biologico della specie. Le neuroscienze hanno dimostrato che nell’ontogenesi va rintracciata l’interazione tra fattori esterni e quelli del singolo individuo. La visione organica, sistemica e plurale delle culture ha contribuito a rendere evidenti “logiche” interne ai sistemi di pensiero e di pratiche e a mostrare che la diversità culturale non corrisponde a un’accozzaglia di curiosità esotiche ed espressione irrazionali o non funzionali della creativa umana. Un rischio: la reificazione delle culture, che possono essere intese come dei tasselli che compongono un mosaico. Quello che si deve fare è rilevare le difficoltà e i rischi di un uso acritico e dogmatico dei concetti i quali, in tutte e imprese conoscitive, sono “solo” strumenti soggetti a revisione e affinamento. 

IL CONCETTO DI CULTURA IN ANTROPOLOGIA (Remotti)

Concezioni diverse di “CULTURA” – Una classica a tradizionale, la quale afferma e propone un ideale di formazione individuale, l’altra invece moderna e scientifica, nel senso che è stata fatta valere dalle moderne scienze sociali: la prima indica un dover essere per alcuni individui di alcune società, la seconda, invece, illustra una condizione che riguarda i membri di qualsivoglia gruppo sociale. Entrambe si fondano da una metafora agricola: “cultura” deriva dal verbo latino colere, i cui significati sono “abitare, coltivare, ornare, venerare, esercitare” – in questo senso, visto che la cultura è un mezzo che eleva il cittadino, questo viene separato aristocraticamente dal volgo incolto, venendo quindi sottratto dai mores (costumi) della sua società; dall’altro questa stessa cultura immette l’individuo in una società diversa da quella locale, in una comunità di dotti, in una repubblica delle scienze e delle lettere caratterizzata da valori di ordine universale. Pertanto, la cultura di stampo classico è incompatibile con i “costumi”, sempre locali e particolari, e per questo si combina con l’idea di una società astratta e liberata dai condizionamenti locali e temporali (la comunità dei dotti), la quale grazie a questa cultura senza costumi ritiene di poter realizzare la vera humanitas, il senso più autentico ed elevato dell’essere umano. Si può probabilmente sostenere che la concezione moderna di cultura sia una smentita di questa pretesa di universalità. Tuttavia, la differenza tra concezione di cultura classica e cultura moderna si contraddistingue dall’assenza e/o presenza dei costumi come contenuti specifici della cultura. Se la cultura in senso classico era costituita da ideali, verità e valori non condizionata dai mores, e se la sua acquisizione coincideva con una liberazione dagli abiti e dalla consuetudini locali, la cultura in senso moderno è invece costituita da costumi, e un’analisi in termini culturali comporta il riconoscimento della loro importanza e della loro incidenza in una molteplicità di ambiti del comportamento umano. Una delle prima espressioni della concezione moderna di cultura è rintracciabile nell’ Essai sur les moeurs di François Marie Arouet, detto Voltaire (a metà del Settecento, periodo in cui avvengono spedizioni attorno al mondo). Herder è la figura di maggior spicco in questo periodo. Egli ha il desiderio di rimanere “costantemente in una sorta di viaggio attraverso gli uomini”, raccogliendo informazioni da ogni parte della terra, così da rimediare 1

alla piega particolare impressa al suo animo dal fatto di abitare in un “angolo sperduto, scitico, del mondo”. Altrettanto tipico di Herder è il rifiuto della troppa filosofia di coloro che vogliono ritrovare “in un piccolo angolo della terra il mondo tutto”. Alla base di questi atteggiamenti vi è la percezione della pluralità irriducibile delle “forme di vita” che l’umanità può assumere. “Se vogliamo chiamare questa seconda genesi dell’uomo, che dura per tutta la sua vita, cultura, prendendo l’immagine della coltivazione dei campi, o lumi, valendoci dell’immagine della luce, non ha importanza; ma la catena della cultura e dei lumi si estende fino alla fine della terra”. Concetto etnografico di cultura evidente anche in Gustav Klemm nella monografia Allgemeine Kulturgeschichte der Menschheit, secondo cui la cultura è ciò che vi è essenziale nella storia. Tylor, che condivideva le idee etnografiche di Klemm, inizia la stagione dell’Antropologia vera e propria e in Primitive culture del 1871 egli espone che “La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società”  a) Imprescindibilità della dimensione etnografica, la quale dilata i confini della nozione di cultura fino a renderla coestensiva con quella di umanità; b) l’idea che la cultura sia un insieme che ingloba diverse attività; c) il carattere acquisito di questo insieme e delle attività che lo compongono; d) la connessione del concetto di cultura con quello di società. Abiti, costumi, esteriorità – Antropologia ha individuato nelle esperienze etnografiche il campo peculiare delle proprie ricerche. Ciò non è riscontrabile in altre discipline. Uno dei motivi è il fatto che l’antropologia si sia focalizzata sui costumi, ovvero quegli aspetti o dimensioni del comportamento umano che sono sì dotati di regolarità, ma di una regolarità variabile. Nella definizione tyloriana troviamo in posizione centrale e critica la nozione di costume, ed è questa nozione, insieme a quella imparentata di “abitudine”, ciò che, dal punto di vista dei contenuti, costituisce l’innovazione semantica più decisiva rispetto al concetto tradizionale e classico di cultura. Questo avvicinamento e fusione tra il concetto di cultura e il concetto di costumeabitudine hanno prodotto un inglobamento dei costumi nella cultura. L’aver inglobato i costumi come propri contenuti ha fatto sì che la cultura si appropriasse di certe loro caratteristiche: se la cultura offre ai costumi il senso dell’ordine e della forma, i costumi danno in cambio alla cultura un insopprimibile significato di esteriorità. Kroeber, in un suo saggio del 1917 The superorganic, postula che l’adattamento dell’essere umano a climi estremi artici è da collegare alla sua adattabilità culturale, e non biologica: gli animali cambiano corredo genetico, mentre l’uomo cambia il corredo culturale, ovvero si adatta adattando la sua cultura e il modo di esprimerla. Il non coinvolgimento dell’organismo nei processi e nelle forme di adattamento culturale è la ragione del carattere di esteriorità della cultura. Gli utensili, etc., sono “esteriorizzazioni” extraorganiche che aumentano di molto le possibilità dell’adattamento umano all’ambiente. Per Kroeber, prima l’evoluzione biologica porta a compimento la sua opera – nel senso che produce la realtà organica che noi stessi siamo – e poi su questa s’innesta l’evoluzione culturale. Il differente peso della cultura e la sua imprescindibilità biologica – Secondo Keesing, gli individui percepiscono la propria cultura come una realtà esterna, e quindi come potenzialmente costrittiva e frustante. Nella prospettiva primo-novecentesca di Kroeber il peso della realtà umana viene equamente ripartito tra la sua componente o livello organico e la sua componente o livello culturale: gli abiti culturali non sono più stranezze senza senso, sono invece strumentali e funzionali. In questo stadio, l’impiego del concetto etnografico ha reso i costumi elementi ineliminabili di una corretta visione antropologica. Più di recente, i costumi vengono interpretati come la realtà dell’uomo: la sua vera natura. L’accrescimento e l’espansione della cultura al di là dei confini con l’organico sono in primo luogo dovuti allo smantellamento della visione stratigrafica. In effetti, l’antropologo fisico Sherwood Washburn sostiene che “è probabilmente più corretto considerare gran parte della nostra struttura fisica come il risultato della cultura, anziché pensare a uomini anatomicamente simili a noi, i quali pian piano scoprirebbero la cultura  la cultura interviene ben prima che l’evoluzione organica produca l’uomo quale esso è attualmente. Prima dell’antropologia culturale, è stata la paleontologia a porre in crisi i rapporti di successione lineare tra l’evoluzione organica e l’evoluzione 2

culturale (ergo non stratificante), e quindi a scomporre l’ordine gerarchico tra i rispettivi livelli. Il rifiuto dell’ordine temporale e diacronico costituito da un “prima” e da un “dopo” comporta pure il rifiuto dell’ordine gerarchico e sincronico di un “sotto” e di un “sopra”  non ribaltare con gesto meccanico l’ordine delle fasi in successione o la gerarchia dei livelli; si tratta invece di concepire i rapporti tra le due componenti in modo meno semplicistico e secondo un’interazione assai più profonda, tale per cui la cultura non interviene a cose fatte sul piano organico, bensì si innesta direttamente nell’evoluzione organica quale sue componente imprescindibile (dimensione tridimensionale: no one-to-one mapping). Posizione delle sviluppo del cervello nello sviluppo della cultura: Leroi-Gourhan precisa che “non si può fare a meno di ritenere che il cervello ‘segua’ il movimento generale, ma non ne sia l’istigatore”. Dall’inizio della stazione eretta allo sviluppo attuale della massa celebrale umana si estende un lunghissimo periodo di alcuni milioni di anni, durante i quali gli antenati dell’Homo Sapiens sfruttano le mani, che la stazione eretta rende completamente libere dalla funzione locomotoria. In questo lunghissimo periodo si collocano quelle forme di esteriorizzazione della mano che sono gli utensile, bensì l’esteriorizzazione della capacità simbolica, che è il linguaggio. Non si tratta tuttavia di ribadire che il cervello sia intervento alla fine dell’evoluzione, ma che abbia interagito con l’ambiente culturale. In questa prospettiva, l’uomo, essere inerme e biologicamente debole, è stato indotto a creare cultura per la sua sopravvivenza: la cultura viene rappresentata come un elemento indispensabile per la propria vita: la cultura non è un aiuto, bensì la base della stessa sopravvivenza biologica dell’uomo. Simboli condivisi – Il simbolismo della cultura non ha carattere esornativo; esso è invece la qualità più precipua dell’ambiente in cui gli esseri umani in cui gli esseri umani e il loro cervello si sono formati e continuano a svilupparsi. Secondo una delle tesi più significative vi è stato tra l’inizio della cultura e a comparsa dell’uomo attuale un passaggio lento ma deciso da forme di controllo del comportamento umano prevalentemente genetiche a forme di controllo prevalentemente culturali. Puntare sull’esteriorizzazione culturale per garantire meglio la sopravvivenza biologica di quegli esseri che avrebbero dato luogo all’umanità ha significato privilegiare in misura sempre maggiore la versatilità, la flessibilità e la mutabilità delle forme di controllo culturale rispetto alla maggiore rigidità di quelle genetiche. Il comportamento culturale dell’uomo appare sempre mediato dall’uso di simboli. Il simbolismo rinvia alla società, giacché esso consiste in una condivisione di accordi, convenzioni, limiti, presupposti, associazioni e distinzioni, e perché esso affiora come prodotto e come condizione nello stesso tempo degli scambi e interazioni di cui è fatta a vita sociale. La condivisione di simboli è la base della vita sociale. Reificazione e precarietà: l’”in più” culturale – Keesing espone “la magia dei simboli condivisi” che sono simboli culturali condivisi inequivocabilmente tra i membri di una società culturale, e pertanto non sono soggetti a profonde analisi. Essi si trovano nei costumi più inveterati, nelle consuetudini più ovvie, negli atteggiamenti in apparenza più naturali. Proprio per questo, essi esercitano la loro influenza sugli uomini, dirigendo e plasmando il loro modo di agire, di pensare, di sentire. La “magia dei simboli condivisi” è anche questo: la trasposizione di presupposti in entità che dominano la coscienza individuale, e alle quali ci si riferisce periodicamente per orientare le proprie azioni, per motivare le scelte morali di una società, per determinare in un qualche modo il futuro. Questa sottrazione dei simboli condivisi alla presa della consapevolezza e alla manipolazione sociale fa parte di un processo più vasto chiamato entificazione, sostanzializzazione o reificazione. La reificazione è infatti il processo che consente di consolidare i simboli condivisi e consente pure di conferire loro il ruolo di presupposti e di condizioni della comunicazione e della vita sociale. Il trucco della reificazione dei simboli condivisi consiste quindi nella negazione del loro carattere sociale, nel tentativo di nascondere la loro origine sociale; ma è un trucco vitale per fornire presupposti al funzionamento dea vita delle società e alla sopravvivenza degli individui. Anche nelle cuture all’apparenza più semplici è come se vi fosse sempre un “in più” culturale, il quale offusca i nessi utilitaristici e le relazione puramente funzionali, un sovrappiù che rende il tragitto verso un obiettivo “più difficile di quanto non sia necessario”. Ciò rende riduttiva la tesi di Marvis Harris, secondo cui “posto di 3

fronte a un dato compito, l’uomo preferisce portarlo a termine con il minore, anziché maggiore, dispendio di energie possibili”. Gli sforzi logici, e le elaborazioni rituali, il dispendio di energia e il surplus simbolico in cui ogni cultura sembra costantemente impegnarsi acquistano il loro significato se proiettati sullo sfondo della precarietà e della consapevolezza più o meno esacerbata che l’accompagna. Le variazioni e il mutamento – La radice della precarietà è la socialità della cultura, e il carattere insuperabile della precarietà è dovuto al fatto che qualunque forma culturale esiste solo in quanto vi sono degli individui che la realizzano. Ogni manifestazione culturale comporta una modificazione, per quanto impercettibile e infinitesimale. Se è vero che la cultura, come dice Sapir, “esiste solo in tanto in quanto è effettivamente usata, parlata, udita, scritta e letta”, le variazioni individuale non sono quindi mere deviazioni, ma momenti e modalità di effettiva realizzazione della cultura. La cultura, come la lingua, si realizza attraverso le variazioni individuali. Ferdinande de Saussure: dicotomia tra langue (il sistema sociale della lingua) e parole (realizzazione individuale). Se si tace, una lingua muore; se si tace e non agisce, una cultura scompare. Se si parla e agisce, lingua e cultura vengono riprodotte; ma, come e ancor più che per le specie biologiche, la riproduzione è un’inesorabile modificazione. Ad ogni modo, vi è la convinzione che la cultura ha carattere di astrazione, mentre la struttura è assegnata alla struttura sociale. Gli scienziati sociali che metodologicamente assecondano il processo di reificazione, non solo riconoscendone l’incidenza, ma conferendo eccessiva autonomia alle forme simboliche rispetto ai contesti di condivisione, di scambio o di conflitto sociale, sono invece portati a relegare il mutamento in qualche settore o livello marginale oppure a conferire nelle stesse forme simboliche una capacità di mutamento autonoma. La vita della cultura appare quindi come un immenso oceano di variazioni individuali, cioè di fenomeni fortuiti. Ma le variazioni individuali hanno pure effetti di accumulo che si manifestano con tendenze all’uniformità. Il mutamento comincia ad apparire allorché dalla massa confusa delle variazioni individuali si determina una direzione, un orientamento, ciò che Sapir ha chiamato “deriva” e che, secondo Herskovits, caratterizza non soltanto la vita della lingua, ma anche quella della cultura: “La maggior parte delle variazioni casuali presenti nella cultura scompaiono con l’individuo che le manifesta; quelle che non scompaiono, che vengono raccolte da altri membri della società, tendono ad essere cumulative”. Il concetto di variazione individuale si traduce in un tentativo di rimettere la cultura sui suoi piedi, riconoscendone alla base contingenza e casualità; ma il concetto di variazione non sfocia nel disordine totale, in un pulviscolo senza senso. Al contrario, le variazioni individuali sono tali perché le differenze che contengono s’intrecciano con le somiglianze che condividono. La nozione di variazione evoca infatti ciò che in qualche modo rimane costante. Dilatazioni e sconfinamenti concettuali – A segnare il confine tra la cultura, intesa come comportamento tradizionale, e la ragione o razionalità, intesa come procedimento di pensiero in grado di trasformare i rapporti sociali e di liberarli dai gravami dei costumi, è stato posto il processo di modernizzazione: sul versante della cultura gli antropologi con le loro società dominate dai costumi e dalla tradizioni, e sul versante opposto filosofi e sociologi in mezzo a una società modernizzata e razionalizzata. Ma i due concetti non sono rimasti immobili, ma si sono avvicinati più volte. Mentre lo sconfinamento verso la ragione è una “sfida” lanciata dal concetto antropologico di cultura, lo sconfinamento verso la natura è invece una sfida che il concetto antropologico di cultura deve subire da parte delle scienze che studiano il comportamento sociale animale. I filosofi hanno rivendicato la ragione per non spartire la cultura coi primitivi, così gli antropologi rivendicano il simbolismo e il significato per non spartire la cultura con i primati e altri animali. In realtà sembrano esservi due opzioni fondamentali per determinare il senso della cultura umana: la prima ritiene giusto rimanere all’interno delle correnti culturali indagandone le forme, ricostruendone la storia o interpretandone i simboli significati; la seconda ritiene inevitabile un’uscita dalla cultura verso realtà che in un qualche modo la precedono e ne sono a fondamento.

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LA DIMENSIONE CULTURALE (Appadurai)

L’occhio dell’antropologia – Il tratto più prezioso del concetto di cultura è il concetto di differenza, una proprietà contrastiva. Piuttosto che considerare la cultura una sostanza, è più utile considerarla una dimensione di fenomeni, una dimensione che si accompagna alla differenza situata e incarnata. Se sottolineiamo la dimensione piuttosto che la sostanzialità della cultura, possiamo pensare quest’ultima come uno strumento euristico (= di indagine) utile per parlare della differenza, piuttosto che come una proprietà degli individui o dei gruppi. Il tratto più prezioso del concetto di cultura è il concetto di differenza, una proprietà più contrastiva che sostantiva di cose. Quindi, ogniqualvolta indichiamo una pratica, una distinzione, un concetto, un oggetto o un’ideologia come dotati di una dimensione culturale, stiamo sottolineando l’idea di differenza situata, cioè differenza in rapporto a qualcosa di locale, incarnato e importante. Proposta (diversa da quella di Remotti, vedi alltro testo): culturali sono quelle differenze che formano la base per la mobilitazione di identità collettive. L’idea che la cultura coinvolga l’organizzazione naturalizzata di alcune differenze a vantaggio dell’identità collettiva attraverso ...


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