Appunti Lezione 3 Comunicazione non verbale Sistema paralinguistico Cinesica Prossemica PDF

Title Appunti Lezione 3 Comunicazione non verbale Sistema paralinguistico Cinesica Prossemica
Course Comunicazione sociale
Institution Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Pescara
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LEZIONE 3 La comunicazione non verbale

Come tutti sappiamo, oltre alle parole, l’uomo utilizza varie forme di comunicazione non verbale. Il senso comune considera la comunicazione non verbale come qualcosa di più spontaneo, di più naturale, e in un certo senso di più semplice rispetto alle parole. Infatti, la comunicazione non verbale, faccia a faccia, è la comunicazione originaria dell’esperienza dell’altro, in cui entrano in gioco fattori come il viso, il tono della voce, la postura. Per questo è diffusa la consapevolezza, confermata anche dagli studiosi (Hall 1959), che “quello che le persone fanno è spesso più importante di quello che dicono”. Nonostante questa percezione abbastanza diffusa che tende a considerare la comunicazione non verbale come una specie di linguaggio innato e universalmente comprensibile, anch’essa è il frutto di una interdipendenza tra natura e cultura: alla sua base, cioè, esistono certamente meccanismi neurofisiologici condivisi in tutta la specie umana, ma questi sono organizzati in configurazioni differenti secondo la cultura di appartenenza. Sembrerà un concetto più immediato appena si consideri che nella comunicazione non verbale rientrano fattori quali l’abbigliamento, gli ornamenti, annuire con un cenno del capo, stare ad una certa distanza in varie situazioni ecc. Di certo, la cultura controlla tali comportamenti in modo profondo e persistente, molto spesso al di là del controllo consapevole degli individui che solo di rado veicolano contenuti intenzionali attraverso la comunicazione non verbale. La comunicazione non verbale, in sintesi, si occupa dei fenomeni comunicativi extralinguistici che includono, sia le variazioni consentite nel comportamento linguistico istituzionalizzato (i fenomeni paralinguistici), sia i fenomeni di comportamento non linguistico, legati alla cultura. Consideriamo quindi elementi della comunicazione non verbale: il sistema paralinguistico, il sistema cinesico, la prossemica. 3.1 Il sistema paralinguistico (tutti i suoni che emettiamo a prescindere dal significato delle parole) a) IL TONO DELLA VOCE Il sistema paralinguistico è costituito da tutti i suoni che emettiamo a prescindere dal significato delle parole compresi il ritmo, il tono della voce, l’uso delle pause ecc. Si tratta in primo luogo del tono e della frequenza della voce, entrambi determinati da fattori fisiologici (un uomo ha mediamente un tono di voce più grave dei una donna, mentre un bambino ha normalmente una voce più acuta di un adulto ecc); ma anche da fattori sociali quali la posizione sociale di chi parla (è stato dimostrato che una posizione sociale più alta tende ad associarsi ad un tono di voce più alto), la provenienza geografica (abbiamo citato la volta scorsa i dialetti), il livello di istruzione; oltre che dall’età, dalla personalità del parlante, dal suo umore. Questa ed altre correlazioni sono verificabili se prestiamo attenzione a come varia la nostra stessa voce, talvolta in modo appena percettibile, in funzione dei diversi interlocutori, delle diverse situazioni cui ci troviamo di fronte (ad esempio quando chiediamo un favore o ci offriamo di farlo. b) IL RITMO Un’ulteriore variabile della comunicazione paralinguistica è relativa, in particolare, alla velocità delle frasi e all’impiego della pause. Un discorso pronunciato lentamente, con numerosi e lunghi silenzi fra una frase e quella successiva viene in genere associato alle caratteristiche di autorevolezza e di ufficialità. Pensiamo alle differenze in questo senso che troviamo tra il fluire della parole del Presidente della Repubblica e quelle di un deejay radiofonico (Es. Bill Viola). c) PAUSE Vote e Piene Accanto alle pause, o il silenzio (è fortemente ambivalente, lo abbiamo già sottolineato, in quanto

può indicare a seconda dei casi un’ottima o pessima relazione: pensiamo al silenzio rapito di due innamorati o la silenzio gelido di due persone che si detestano; pensiamo al “silenzio assenso” o al silenzio con cui può essere accolta una certa proposta) usiamo spesso le pause piene come: “mmm, beh, emh, allora” (in assenza di altri sistemi di comunicazione non verbale, al telefono ad esempio, l’uso delle pause piene è il solo modo di confermare al proprio interlocutore che siamo interessati a quello che dice senza interromperlo. Serve a governare lo scambio dei turni e a gestire l’andamento complessivo della comunicazione). Il silenzio è spesso a sua volta associato ad una distribuzione asimmetrica di potere, tanto che in genere, chi gode di una posizione sociale superiore può permettersi di attendere che siano gli altri a salutare per primi o che i subordinati rimangano in silenzio (nel mondo militare si tratta addirittura di una regola formalizzata). 3.2 Il sistema cinestesico (tutti i movimenti degli occhi, del volto e del corpo: dalla mimica facciale, alla gestualità, alla postura). La cinesica nasce come disciplina socio-antropologica che studia la comunicazione attraverso le posture, i movimenti del corpo e del volto. Cioè identifica e definisce il linguaggio del corpo attraverso i sui vocaboli, i “Cinemi” intesi come fatti culturali. Il suo ideatore è l'antropologo americano Ray Birdwhistell e l’introduzione risale agli anni cinquanta, quando alcuni antropologi e linguisti raccolsero una significativa quantità di materiali sui movimenti del corpo che andò a costituire la base empirica di un testo che diverrà classico della disciplina: R. Birdwhistell, Introduction to Kinesics (1952). In pratica, il primo tentativo di elaborare in termini sistematici un testo sulla comunicazione corporea. (Ricordare in arte Deuchamp) Il potenziale comunicativo del volto. Il volto è il luogo in cui nell’interazione comunicativa faccia a faccia concentriamo maggiormente la nostra attenzione e rappresenta, ancora prima della comunicazione verbale, la prima fonte di informazioni sull’interlocutore. Il volto possiede, per così dire, un doppio registro comunicativo, costituto da due livelli reazione reciproca: la fisiognomica, che non è un puro dato, ma dipende anche dalla sedimentazione delle nostre espressioni e delle tracce dei nostri vissuti e le espressioni veicolate dalle emozioni che si prefigurano in una gamma, non illimitata, di possibilità. Interiorità) Il volto si offre tra uomo e uomo come il primo oggetto dello sguardo. Il viso è il simbolo di tutto ciò che l’individuo ha portato con sé come presupposto della sua vita; in esso è depositato ciò che del suo passato è disceso nel fondamento della sua vita ed è diventato in lui un insieme di tratti permanenti […] il viso fa sì che l’uomo venga compreso già al suo apparire, senza aspettare il suo agire […] il volto è l’oggetto essenziale del vedere interindividuale. Se dunque, il viso offre allo sguardo il simbolismo intuitivamente più completo dell’interiorità permanente di tutto ciò che le nostre esperienze vissute hanno fatto depositare nel fondamento duraturo del nostro essere, esso cede però, contemporaneamente alle mutevoli situazioni del momento. […] + Emotività) [Esso] Si presenta perciò sempre nella colorazione particolare di uno stato d’animo, di qualcosa che lo riempie, dell’impulsività del momento da cui proviene. Quanto c’è di stabile e di fluente nella nostra anima è assolutamente contemporano sul viso (G. Simmel 1998). Partendo da questa bellissima definizione di Simmel, proviamo a scomporre il volto in tre aree dalla diversa capacità espressiva. L’area frontale o superiore, che comprende la fronte fino alle sopracciglia; l’area mediana, che comprende gli occhi e il naso, e l’area inferiore, che comprende bocca e mento.

a) LA FRONTE Corrugare la fronte, aggrottare le sopracciglia sono segni di tensione, di preoccupazione e di scetticismo. Infatti, la ruga profonda che tende a formarsi tra le sopracciglia, divenendo permanente con il tempo, sedimenta un atteggiamento di preoccupazione e di tensione, come le rughe orizzontali che si formano attraverso la fronte. b) GLI OCCHI Sono espressivi in sé stessi, attraverso una vasta gamma di loro possibili movimenti (possono essere socchiusi, spalancati, ridenti, malinconici, possono piangere o ammiccare ecc), ma anche e soprattutto per la loro capacità di stabilire un primo livello pre-verbale di contatto intersoggettivo, oltre che un prezioso canale di feedback comunicativo. Anche in questo caso Simmel ci offre una descrizione perfetta delle potenzialità dello sguardo: La reciprocità più perfetta nell’ambito delle relazioni umane) tra i singoli organi di senso l’occhio è fatto per offrire una prestazione sociologica assolutamente unica: la connessione e l’azione reciproca tra individui, che consiste nel guardarsi l’un l’altro. Forse questa è la relazione reciproca più immediata e più pura che esista in generale […] e questo legame è così forte e fine che viene sorretto soltanto dalla linea più breve, la linea retta tra gli occhi e la minima deviazione da questa, il più leggero guardare di fianco, distrugge del tutto l’elemento caratteristico di tale legame […]. Tutti i rapporti tra gli uomini, il loro comprendersi e il loro respingersi, la loro intimità e la loro freddezza sarebbero mutati in maniera incalcolabile se non esistesse il guardarsi negli occhi che, a differenza del semplice vedere e osservare l’altro soggetto , significa una relazione completamente e incomparabile tra loro […] Non si può prendere con l’occhio senza dare contemporaneamente: qui si produce la reciprocità più perfetta nell’ambito delle sciente umane. (Simmel, Excursus sulla sociologia dei sensi, 1955). Da un punto di vista fisiologico il contatto oculare aumenta l’attivazione nervosa sia in situazioni appaganti, che in situazioni di pericolo. Quindi può significare a seconda dei casi minaccia, sfida seduzione, forte intimità: pensiamo a come ci siamo sentiti l’ultima volta che abbiamo ricevuto uno sguardo intenso da parte di una persona che consideriamo attraente. O viceversa, quando siamo stati noi a guardare intensamente negli occhi. Lo sguardo persistente viene considerato un segnale che vogliamo iniziare un’interazione o una conversazione. (in linea generale il contatto oculare è un indicatore fedele dell’intensità relazionale: persone che hanno un legame più stretto, tendono a guardarsi di più tra di loro, a scambiarsi messaggi oculari di approvazione e disapprovazione, a ribadire attraverso questo legame la relazione reciproca). È lo stesso motivo per cui quando ci troviamo a percorrere a piedi un quartiere malfamato teniamo gli occhi bassi. Simmel dice: “Chi non guarda l’altro si sottrae realmente, in una certa misura, alla possibilità di essere guardato”. Questo è il motivo profondo che ci spinge ad abbassare lo sguardo: togliere all’altro qualcosa delle possibilità di guardarmi. Pensate anche a semplici situazioni di anomalia prossemica come l’affollamento in ascensore o in metropolitana. Distogliamo lo sguardo per sottrarci alla relazione altrimenti oppressiva. Si mantiene invece a lungo lo sguardo con persone che reputiamo potenziali concorrenti in senso di minaccia o di sfida. Dal punto di vista interculturale, se la reciprocità dello sguardo è tendenzialmente apprezzabile nella cultura occidentale, essendo letto come un indice di schiettezza, trasparenza, affidabilità dell’interlocutore; in altro contesto può essere considerato offensivo, non rispettoso delle eventuali differenze di status, età, genere, essendo interpretato come arrogante o peggio ancora volutamente provocante. c) IL NASO

Arricciare o storcere il naso sono segnali eloquenti di fastidio, disappunto, disprezzo. d) LA BOCCA La bocca è estremamente esplicita nella sua capacità di esprimere una vasta gamma di emozioni, dallo stupore, all’ira, dalla felicità alla tristezza. Non è un caso che nel linguaggio degli emoticons, le faccine che rappresentano quelle espressioni preconfezionate che ci vengono messe a disposizione nella comunicazione mediata dal telefono cellulare o dal computer, si utilizzino variazioni degli occhi, ma soprattutto della bocca, che sono stilizzate attraverso i segni di interpunzione per veicolare i diversi stati d’animo. Il sorriso è dunque un comportamento fortemente espressivo che segnala sentimenti positivi come felicità, piacere tenerezza, nonché è un atteggiamento di disponibilità relazionale, di vicinanza interpersonale, di volontà di affiliazione. Come primo significato il sorriso è un’espressione più o meno intensa di gioia e di felicità. Tuttavia, esso non ha solo un legame con le emozioni, bensì è strettamente interconnesso alle interazioni sociali. Le persone sorridono spesso per promuovere una affinità relazionale, in quanto il sorriso è inteso come un indicatore di simpatia e di empatia, di rassicurazione e di riappacificazione. Insomma è un forte strumento per stabilire e mantenere relazioni amichevole con gli altri. Parimenti, in condizioni di normalità, il sorriso è una componente regolare dei saluti, mentre è uno strumento, in casi eccezionali, per farsi scusare (sempre in linea con lo scopo dell’ottenimento di un atteggiamento di benevolenza dall’altro). (Sul volto si possono introdurre le affordance) e) LA MIMICA FACCIALE In alcuni casi le espressioni del nostro viso sono completamente al di fuori del nostro controllo (come quando arrossiamo o diventiamo improvvisamente pallidi), in altri casi sono invece completamente volontari (come quando ad esempio esibiamo il famoso sorriso di circostanza). Di solito però il nostro viso segue una mimica di cui siamo almeno in parte consapevoli e che possiamo orientare a nostro piacimento, ma nondimeno conserva alcuni tratti di involontarietà. Alcuni studiosi hanno cercato di studiare la ricchezza del viso umano stilando una specie di inventario delle espressioni umane e arrivando a classificare 44 “Unità d’azione”. Tra queste sono compresi ad esempio gesti come sollevare le sopracciglia, aggrottare la fronte, le palpebre, le guance, il naso e così via. Tutte le combinazioni di queste unità elementari danno vita ad un numero quasi infinito di possibilità espressive del viso . Di fatto però il numero di espressioni che riconosciamo nella quotidianità è relativamente basso. Un problema ricorrente è quello di misurare l’univocità semantica di tali espressioni, ovvero il grado in cui persone diverse interpretano la stessa configurazione facciale nello stesso modo. Non c’è univocità semantica in tali espressioni, ovvero persone diverse interpretano la stessa configurazione facciale in diverso modo, specie se inserita in una prospettiva interculturale. Dagli esperimenti in cui figure o fotografie riproducenti le espressioni facciali più comuni – riso, sorriso, pianto, dolore, rabbia, gioia, tristezza – sono state mostrate a persone di gruppi di culture diverse, i risultati sembrano dimostrare che le percentuali di riconoscimento corretto sono superiori al caso, ma non sono così alte come ci si sarebbe potuto aspettare. Le differenze maggiori si riscontrano proprio tra i gruppi di occidentali altamente scolarizzati e i non occidentali non letterati). (In altre parole, se chiediamo ad un attore americano di assumere una faccia malinconica possiamo aspettarci che questa sia riconosciuta più di frequente da un americano che da un indiano o da un cinese).

Ad esempio, la risata sommessa degli orientali risulta sempre difficile da decifrare per un occidentale (che tende a leggerla come inappropriata o come irritante) ma nella loro cultura è un modo condiviso per esprimere l’imbarazzo o talvolta per l’ira. D’altra parte la mimica facciale è sempre immersa in un contesto sociale e spesso anche in una storia di interazioni comunicative passate e personali, che la rendono comunque molto ambigua agli occhi di un osservatore esterno. Ad esempio le lacrime di un atleta che possono essere interpretate diversamente dal pubblico e chi ne conosce la storia personale. Sintetizzando, possiamo dire che dal punto di vista delle espressioni facciali e della loro correlazione con gli stati d’animo, la maggior parte degli studiosi riconosce la presenza di “ Universali transculturali”, ma dal punto di vista dell’ampiezza delle espressioni e delle loro pertinenza con le varie situazioni, le variazioni tra le culture sono considerevoli. La cultura, in particolare, determina quando è appropriato mostrare o comunicare diversi pensieri, sentimenti e stati d’animo, questo è particolarmente evidente nelle esternazioni delle emozioni. Soprattutto per la mimica facciale si pone il problema della divergenza o convergenza dei sistemi comunicativi. La comunicazione verbale e quella non verbale non rappresentano due canali di comunicazione separati, ma si integrano dando luogo ad un flusso di informazioni che si avvale di più codici e di più canali. È interessante notare che la relazione tra le due forme di comunicazione (verbale e non verbale) può assumente diverse forme: si realizza una convergenza quando tra le due modalità c’è sintonia e reciproco sostegno (es. pronunciare frasi di apprezzamento e sorridere con gli occhi e la bocca); c’è divergenza quando una delle due forme di comunicazione contraddice l’altra dando luogo ad effetti di menzogna o di spiazzamento (es. quando si arrossisce affermando o negando qualcosa. Ciò ci suggerisce che quanto si enuncia a parole non è vero. In questi casi la comunicazione non verbale è genericamente ritenuta molto affidabile). Si ha una metacomunicazione quando una delle due forme di comunicazione svolge la funzione di consentire l’interpretazione dell’altra (es. si pronunciano parole affettuose mentre si simula una “scazzottata” o si “strizza l’occhio”, suggerendo di interpretare ironicamente quanto si dice). f)

I GESTI Il sistema cinesico comprende naturalmente i gesti che nella comunicazione umana riguardano in primo luogo le mani, ma anche quelli del capo, del busto, degli arti superiori e inferiori. La gestualità viene spesso utilizzata per sottolineare o enfatizzare quanto si dice con le parole, ma in alcuni casi costituisce anche l’unico codice comunicativo. Si pensi solo a tutte le volte che rispondiamo annuendo. Sistema comunicativo fortemente codificato) Il movimento del corpo può essere studiato come sistema tipicizzato che deve essere appreso da ogni individuo che debba far pienamente parte di una società. La sua interiorizzazione, complessa e ordinata, è parte integrante del processo acculturazione e della socializzazione. Appreso in gran parte inconsciamente, il suo modellamento è probabilmente coercitivo in ogni suo elemento come lo è quello della lingua. (Birdwhistell 1970). Sono state tentate varie descrizioni tassonomiche dei segni cinesici al fine di verificarne la validità transculturale. Si pensi alle tipologie di gesti di saluto, ai gesti che sottolineano il discorso verbale spesso per enfatizzarli, ai gesti per indicare gli oggetti ecc. ma anche all’ok alla T di tempo nella pallacanestro, al saluto militare, Spesso accede che tutta la comunicazione non verbale sia lasciata alle forme e ai modi alla spontaneità degli interlocutori. In generale si tratta però di un terreno tanto importante quanto delicato: un tocco in più o uno in meno può farci passare, nel migliore dai casi da persone rede a persone

invadenti. Quando sono utilizzati insieme al discorso verbale , i gesti devono essere considerati come parte integrante della comunicazione e non semplicemente come un accessorio o una forma di ridondanza eliminabile. Anche nel caso dei gesti assume quindi ancora maggiore importanza il problema della difformità interpretativa del sistema comunicativo gestuale rispetto a quello verbale: un gesto sbagliato o interpretato in modo imprevisto può scatenare conseguenze che vanno da un generico imbarazzo fino a complesse tensioni internazionali. Ad esempio, accavallare le gambe mostrando le scarpe all’interlocutore, come molti occidentali che adottano un comportamento informale fanno, è considerato un insulto nel mondo arabo. Parimenti, riporre distrattamente e frettolosamente un biglietto da visita ricevuto da un giapponese è considerato un gesto di estrema scortesia, perché lo scambio dei biglietti da visita è un rituale importante nella presentazione del sé. La comunicazione va intesa come un flusso integrato di codici dove un sorriso, una parola, un gesto, si influenzano a vicenda e prendono significato in modo sinergico, venendo interpretati da tutt...


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