Tesina sulla comunicazione non verbale PDF

Title Tesina sulla comunicazione non verbale
Author Ali ssa
Course Progettazione, Valutazione e gestione dei servizi sociali
Institution Sapienza - Università di Roma
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Summary

nel presente elaborato è stata sintetizzata la tematica relativa alla CNV, Con la speranza che possa essere di aiuto....


Description

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE, COMUNICAZIONE E SOCIOLOGIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE “PROGETTAZIONE, GESTIONE E VALUTAZIONE DEI SERVIZI SOCIALI” (LM-87)

LA COMUNICAZIONE NON VERBALE: •

Canale VOCALE



Canale CINESICO



Canale PROSSEMICO



Canale APTICO



Riconoscimento DELLA MENZOGNA



Riconoscimento DELLE EMOZIONI

Corso: Analisi dello sviluppo del disagio psico-sociale

Docente: Alessandro Toni

Studentesse: Laura Cappelletti Alissa Grispigni Alessia Romano Daniela Vicari Venditti Sofia Celli Desirèe Montalbotti

A.A 2020-2021

Indice Premessa PRIMA PARTE- Canale vocale a cura di Alessia Romano SECONDA PARTE- Canale Cinesico a cura di Daniela Vicari Venditti TERZA PARTE- Canale Prossemico a cura di Sofia Celli QUARTA PARTE- Canale Aptico a cura di Desirèe Montalbotti QUINTA PARTE- Riconoscimento della menzogna a cura di Alissa Grispigni SESTA PARTE- Riconoscimento delle emozioni a cura di Laura Cappelletti Bibliografia

Premessa La tesina si concentra sul tema della comunicazione non verbale che noi studentesse appartenenti al gruppo 5, abbiamo scelto di approfondire nella parte laboratoriale del corso di “Analisi dello sviluppo del disagio psicosociale” andando ad approfondire ognuna di noi un sistema comunicativo specifico. L’elaborato, infatti, si suddivide in sei parti: canale vocale, canale cinesico, canale prossemico, canale aptico, riconoscimento della menzogna e il riconoscimento delle emozioni. Per iniziare bisogna ricordare che la comunicazione non verbale rappresenta una modalità altra di comunicare rispetto la comunicazione verbale. Negli anni è stata svalutata e ci si è focalizzati sul linguaggio, come caratteristica distintiva dell'uomo rispetto alle altre specie animali. Le altre specie comunicano tra loro con segnali non verbali, cioè attraverso segnali visivi, vocali, olfattivi, acustici o tattili, che cambiano da specie a specie. Tuttavia alcuni sistemi di segnalazione e significazione sono comuni alla comunicazione umana e a quella animale. Perciò nell’evoluzione filogenetica il linguaggio non ha sostituito il comportamento e la comunicazione mediante segnali non verbali, ma si è aggiunto a questa come ulteriore possibilità di comunicare. In quest'ottica, come ci dice Toni (2012), la comunicazione non verbale rappresenta una forma di espressione extralinguistica che può accompagnare o sostituire il parlato, avvalorare o smentire ciò che viene detto, ma soprattutto che esprime la componente intima, relazionale ed emotiva. È chiaro che la comunicazione non verbale svolge diverse funzioni che contribuiscono durante le interazioni comunicative alla costruzione e all’elaborazione del significato che i singoli atti linguistici racchiudono. In questo elaborato approfondisco la sfera emotiva della comunicazione non verbale, considerando che nel caso dell'espressione delle emozioni per quanto si cerchi di contenerle, reprimerle e/o nasconderle queste traspaiono attraverso i segnali non verbali che sfuggono da un controllo consapevole a differenza delle parole che possono essere misurate.

PRIMA PARTE

Canale Vocale A cura di: ALESSIA ROMANO

1. Teoria Durante ogni conversazione ognuno di noi, oltre a usare il linguaggio verbale, utilizza una serie di elementi non linguistici che sono in parte indipendenti dalle parole pronunciate. Chiunque riuscirebbe ad occhi chiusi a riconoscere la voce di una persona familiare, se si tratta di un uomo, di una donna, di un bambino o di un adulto. Ciò accade perché appunto ci sono caratteristiche della voce umana che, oltre alle parole, trasmettono informazioni sonore, ossia elementi comunicativi che si aggiungono e separano al significato delle parole. Gli elementi comunicativi di cui stiamo parlando, definiti anche segnali vocali o paralinguistici, sono: il tono, l’intensità, il ritmo, il volume, le esitazioni e i silenzi. Nell’insieme questi aspetti vanno ad arricchire il significato di ciò che si dice, veicolando anche gli stati d’animo e atteggiamenti dell’interlocutore. Il primo a coniare il termine “paralinguistico” è stato Trager (1958). Egli individuò al suo interno due categorie principali: qualità della voce e vocalizzazioni. - Alla qualità della voce appartengono le caratteristiche fisiologiche individuali (aspetti legati al sesso, all’età, alla provenienza) e relative all’intonazione (controllo delle labbra, della glottide, del tono della voce, della risonanza, dell’articolazione dei fonemi). - Le vocalizzazioni sono invece suddivise in altre tre sottocategorie: caratterizzatori vocali, i segregati vocali e i qualificatori vocali. I primi esprimo le emozioni (riso, pianto, sospiri); i secondi includono i suoni interposti tra le parole (grugniti, intercalari sonori come “uhm”, “ah”); infine i qualificatori vocali identificano le variazioni enfatiche come la variazione del timbro o dell’intensità. Argyle (1992) propone una suddivisione tra segnali vocali connessi al discorso e quelli indipendenti dal discorso che esprimono atteggiamenti ed emozioni. Secondo l’autore le vocalizzazioni connesse al discorso accompagnano la pronuncia delle parole e vengono modificate a seconda del contesto comunicativo o del significato semantico che si vuole trasmettere all’interlocutore. Le vocalizzazioni indipendenti dal discorso, invece corrispondono alle vocalizzazioni già descritte da Trager (1958). Facendo riferimento ad Argyle, Anolli (2002) propone una distinzione: i segnali vocali connessi al discorso li chiama segnali vocali “verbali” mentre quelli indipendenti dal discorso li definisce segnali vocali “non verbali”. I segnali vocali verbali, detti anche paralinguistici, riguardano le proprietà transitorie che accompagnano la pronuncia dell’enunciato linguistico. Essi tendono a modificarsi a seconda del contesto comunicativo. Stiamo parlando del tono , intensità e velocità. I segnali vocali non verbali, ossia i segnali extralinguistici, riguardano la qualità della voce della persona, la quale costituisce la cosiddetta “l’impronta vocalica” (Anolli, 2002).

I segnali extralinguistici I segnali extralinguistici determinano la qualità della voce di una persona e ne costituiscono l’impronta vocalica. Questi segnali ci permettono di riconoscere con facilità una voce familiare anche attraverso l’ascolto di poche parole. I segnali extralinguistici interessano diverse tipologie di fattori. Tra questi abbiamo: fattori biologici come sesso ed età; ❖ fattori sociali quali cultura, origini e classe sociale; ❖ fattori di personalità connessi ai tratti psicologici della persona (ad esempio l’umore); ❖ fattori psicologici transitori che riguardano aspetti legati a stati d’animo situazionali o a esperienze emotive. ❖

Gli elementi extralinguistici sono stati anche definiti “effetti dell’esecuzione vocale a lungo termine” in quanto non si manifestano attraverso un singolo suono, ma implicano una successione sufficientemente lunga di suoni.

I segnali paralinguistici I segnali paralinguistici, invece, sono fondamentali per l’esposizione linguistica. Tra questi abbiamo: il tono, generato dalla tensione delle corde vocali, determina il profilo d’intonazione della voce; ❖ l’intensità, prodotta dalla pressione ipolaringea e dalla forza fono respiratoria, si riferisce al volume della voce con il quale si pronunciano le frasi ponendo l’accento su specifiche porzioni del discorso; ❖ il tempo, si riferisce alla velocità e alla durata di un discorso, fa riferimento alla successione delle singole sillabe e alla presenza di pause piene e/o vuote. ❖

La modulazione e combinazione di questi tre fattori, come abbiamo detto all’inizio, trasmettono anche le emozioni e gli atteggiamenti del parlante. Attraverso gli studi di Scherer (1974, 1981) si è giunti alla conclusione che le emozioni producono alcuni effetti stabili sulla voce e sul parlato. La voce è uno dei canali non verbali in cui il controllo che si esercita è bassissimo e rappresenta un elemento fondamentale per la comunicazione delle emozioni. Certamente riconoscere le emozioni in colui che sta parlano non è semplice, ma sono presenti alcune caratteristiche principali che ci potrebbero aiutare ad individuare il tipo di emozione che l’altro sta provando. Ad esempio se la persona con cui stiamo parlando presenta un tono e una frequenza della voce alta, con annesse pause brevi o del tutto assenti, sicuramente potremmo affermare che l’emozione provata sarà la collera. Se invece nell’eloquio con la stessa persona l’articolazione è lenta, vi sono numerose pause e il tono ed intensità della sua voce è bassa, potremmo pensare che in quel momento l’emozione che probabilmente sta esprimendo è la tristezza. Ancora, se si verifica un aumento della frequenza media della voce, con un intensità forte ed un tono acuto, si esprime l’incapacità di far fronte ad una minaccia e pertanto l’emozione è la paura. Altra emozione che potrebbe emergere analizzando gli elementi para verbali sicuramente è il disgusto, il quale presenta caratteristiche tipiche come la segmentazione delle sillabe che porta ad un articolazione dell’eloquio lenta e un prolungamento della frase. Il tono del disprezzo è grave con un intensità piena. Infine ultima emozione di base è la gioia la quale presenta una elevata attivazione fisica con toni della voce acuti ed un aumento dell’intensità. Il tempo e la velocità di articolazione si presenta in maniera superiore alla media. Per concludere le ricerche di Scherer hanno dimostrato che a differenza delle emozioni positive, quelle negative riescono ad essere decodificate più facilmente.

Le pause Durante una conversazione, insieme alle qualità vocali, non bisogna dimenticarsi delle pause, le quali all’interno della comunicazione para verbale, assumono una valenza di tipo strategico e il cui significato varia in base alle situazioni, relazioni e cultura di riferimento. Le pause sono costituite da un periodo di silenzio o di sospensione del discorso, che, spesso, offre più informazioni delle parole.

I primi ad ipotizzare un importante ruolo delle pause in relazione soprattutto alla pianificazione di un discorso sono stati Goldman e Eisler (1968). I loro studi hanno messo in evidenza che le pause all’interno di un discorso rappresentano un comportamento utile al parlante per organizzare e regolare la conversione del flusso dei pensieri nell’articolazione del discorso. Le pause, durante un eloquio, possono essere molto frequenti ed assumono una lunghezza diversa in base alla funzione che assumono all’interno dell’enunciato. Le pause brevi, cioè inferiori ad un quinto di secondo, sono usate per dare enfasi al discorso; le pause lunghe segnalano congiunzioni grammaticali come la fine della frase (Argyke, 1978). Un’ulteriore classificazione delle pause è stata fatta Burgoon, Buller e Woodall (1996), secondo gli autori le pause posso essere classificate in pause piene e vuote (il silenzio). Le pause piene, chiamate anche non silenti, rappresentato un interruzione del flusso linguistico mediante l’emissione di quei vocalizzi di esitazione che sono funzionali al parlante per organizzare in tempo reale il proprio discorso senza cedere il turno di parola. In situazione di esitazione i fonemi a cui più spesso si ricorre sono “eh”, “uhm” ed è proprio attraverso queste pause che l’interlocutore mantiene il proprio turno di parola prendendo del tempo per poi esprimere al meglio il proprio pensiero. o Le pause vuote, dette anche silenti o silenzio, sono legate ad un’assenza totale dell’attività vocale. Il parlante interpone le pause vuote tra una parola e l’altra, creando degli intervalli di silenzio di durata variabile. Il silenzio rappresenta quindi un potente mezzo di comunicazione ed è uno degli aspetti non verbali più difficili da interpretare data la sua ambiguità. Infine alle pause possono assumere molteplici significati ed essere usate (Bruneau, 1973): o

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per imprimere maggiore forza alle parole che seguono senza alzare la voce e dare enfasi al discorso; per creare un momento riflessivo all’interno dell’eloquio in seguito ad una difficoltà di tipo cognitivo; per far sì che il nostro interlocutore possa esprimersi e intervenire nel discorso; come risposta ai segnali corporei che l’interlocutore invia per segnalare l’intenzione di parlare; quando, a causa della scarsa attenzione al discorso, qualcosa ci soggiunge alla mente; per far sì che l’altro dica qualcosa quando l’imbarazzo supera la nostra capacità di iniziare o continuare il discorso.

Altri autori che si sono interessati dello studio delle pause sono Sacks, Schegloff e Jefferson (1974). Secondo questi studiosi ci sono tre tipologie di pause: ➔ il GAP, corrisponde al momento in cui il parlante interrompe la pausa per riprendere la parola

oppure quando l’ascoltatore prende parola diventando egli stesso il parlante; ➔ il LAPSE, corrisponde all’intervallo di tempo prima che qualcuno inizi a parlare; ➔ la PAUSE, corrisponde alla pausa che il parlante compie o durante il proprio turno di parola o prima di rispondere ad una domanda.

Il silenzio Colui che ha contribuito a dare una prima caratterizzazione del silenzio è stato Bruneau. Egli ha sottolineato l’importanza del silenzio all’interno della comunicazione non verbale ed ha individuato tre differenti forme di silenzio: silenzio psicolinguistico, silenzio interattivo e silenzio socioculturale. ▪

Il silenzio psicolinguistico si caratterizza per un rallentamento volontario e per una discontinuità della sequenza del discorso imposto dal parlante.



Il silenzio interattivo si lega alla natura del processo di condivisione dei messaggi e alle situazioni. A differenza del precedente, questo ha una lunghezza maggiore ed è suddiviso da Bruneau in sei sottotipi: 1. il silenzio durante il processo decisionale e riflessivo nella fase di avvio o di chiusa di un discorso impegnativo; 2. il silenzio che sottolinea il tempo impiegato per l’elaborazione e la decodifica del messaggio da parte dell’ascoltatore; 3. il silenzio come mezzo per esercitare il controllo sull’ascoltatore (o la platea); 4. il silenzio come strumento per reagire a diversi tipi di diversità percepita dal parlante nell’interlocutore, come quella fisica, verbale; 5. il silenzio come reazione a un livello elevato di intensità emotiva, sperimentata nella discussione, legata a stati d’animo emozionanti o inaspettati; 6. il silenzio come strumento per mantenere un determinato spazio interpersonale tra gli interlocutori. ▪ Il silenzio socioculturale secondo Bruneau è legato al modo in cui un determinato complesso di norme sociali e culturali impongono di astenersi dal discorso. Questi silenzi possono regolare i cosiddetti rapporti di autorità e subordinazione (Toni, 2011). Il silenzio assume differenti interpretazioni anche alla base della cultura che si ha come riferimento. Ad esempio se parliamo di culture occidentali e quindi individualistiche, in questo caso il silenzio può rappresentare una minaccia o una mancanza di cooperazione per la gestione della conversazione che avrà una rapida successione di toni e tempi di pausa ridotti; nelle culture orientali invece, che si definiscono collettiviste, le pause di silenzio rappresentano un segnale di riflessione pertanto il significato che il silenzio assume è quello di indicatore di fiducia ed armonia. In conclusione il canale vocale rappresenta uno dei canali della comunicazione non verbale che permette di cogliere tutti gli elementi del parlato che vanno oltre il significato delle parole e che difficilmente si riescono a controllore.

2. Esperienza personale Fermarsi a pensare ad alcune delle proprie esperienze per poi soffermarsi ad analizzarne i contenuti, non è di certo la cosa più semplice da fare. I nostri comportamenti e le nostre reazioni spesso si presentano in maniera così automatica che non noti nemmeno cosa ti sta accadendo in quel momento. Grazie a questo lavoro mi sono trovata ad analizzare un aspetto della vita a cui precedentemente, probabilmente, non avrei dato peso. Da premettere che mi definisco una chiacchierona che ama comunicare tutto ciò che le passa per testa e che spesso mi ritrovo dicendo cose che probabilmente avrei potuto evitare. Sono una ragazza avida di parole, che delle volte ha così tante cose da dire che passa da un argomento all’altro senza nemmeno capire se l’altro sta riuscendo a seguirmi oppure no. Per quanto riguarda il mio canale vocale e gli elementi paralinguistici utilizzati senza ombra di dubbio, il tono della mia voce è molto acuto. L’intensità e velocità con cui parlo è estremamente elevata e spesso difficilmente prendo delle pause o resto in silenzio per razionalizzare ciò che sto pensando. Mi ritengo molto espressiva e chiarificatrice con il mio linguaggio anche se a volte non posso negare di essermi confusa da sola con la mia stessa voce. Come emerso dallo studio della parte teorica, l’insieme degli aspetti paralinguistici, la loro modulazione e combinazione, permette di percepire le emozioni e gli atteggiamenti di colui che in quel momento sta parlando. Partendo da qui, ho deciso di analizzare tutti gli elementi paralinguistici della mia voce. Cercherò

di soffermarmi sulla mia voce nella vita quotidiana e in particolare in alcuni colloqui fatti durante il mio percorso terapeutico. Inizio con il raccontare qualche aspetto emerso nei miei colloqui in terapia. Sicuramente è importante chiarire che la terapia l’ho incominciata in un momento molto particolare della mia vita, in cui ero sopraffatta dai pensieri e dal voler fare mille cose senza riuscire a cominciarne neanche una. Principalmente il malessere che provavo era dovuto all’ambiente tossico in cui vivevo: la mia casa familiare. Molte volte venivo trascinata in alcune dinamiche travolgenti che in realtà non dovevano riguardarmi e visto che col tempo queste dinamiche sembravano farsi sempre più grandi di me, dopo aver ricevuto un consiglio da uno psichiatra, decisi che era arrivato il momento di avviare un percorso psico-terapeutico. Ricordo che attendevo con ansia il primo colloquio, ero ansiosa di esprimere tutte le emozioni e i sentimenti che provavo in quel periodo. La mia ansia ed agitazione inevitabilmente vennero espresse dal mio canale vocale. Analizzando i segnali paralinguistici del primo incontro, sottolineo in primis l’attivazione fisiologica che, in quel momento ed anche in alcuni successivi era molto elevata. Anche il tono era molto alto, tendevo a mantenere un tono acuto data la situazione di “liberazione” che stavo provando. Certamente anche l’intensità era forte e per quanto riguarda il tempo, l’eloquio era spedito privo di momenti di pausa. Tutto ciò che dicevo era buttato fuori di getto e non avevo bisogno di fermarmi per riorganizzare il discorso che sembrava fuoriuscire da sé. Ad oggi posso affermare che in quel momento era la collera che parlava per me. L’andamento del primo colloquio si differenzia totalmente da quelli che poi sono stati gli incontri successivi: pian piano che proseguivo con gli incontri, modulavo gli elementi para verbali in base alle emozioni che vivevo. In un certo senso erano le stesse emozioni che avevano il comando sul mio sistema vocale. Ci sono stati colloqui in qui l’emozione predominante era la tristezza. In quei momenti il dialogo era ricco di pause, soprattutto pause piene, che utilizzavo per aiutarmi nell’elaborare al meglio il concetto da esprimere. Spesso le cose da dire erano talmente tante che necessitavo delle pause rielaborative prima di ricominciare a parlare. Altri aspetti che caratterizzavano il discorso nei momenti in cui ero triste erano un tono grave e un’intensità bassa. Inoltre, data la presenza di diverse pause, il ritmo dell’eloquio era lento. Ad oggi penso che la maggior parte dei colloqui fatti erano prettamente basati sulla collera che provavo, l’ansia che vivevo e delle volte anche la rabbia. Forse la caratteristica che più mi contraddistingue è il mio essere logorroica e il raro utilizzo di pause. Spesso era la stessa dottoressa che mi incitava a fermarmi, respirare e poi ri...


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