Attivazione linfociti T PDF

Title Attivazione linfociti T
Author mariagiovanna borrelli
Course Patologia generale
Institution Università di Pisa
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20/04/2020 Prof.ssa Mangano

Oggi parleremo dell’attivazione dei linfociti T negli organi linfoidi secondari. Parleremo di come i linfociti T migrano negli organi linfoidi secondari, qui incontrano l’antigene e l’incontro con l’antigene insieme ad altri segnali, porta alla modificazione nell’espressione genica dei linfociti T, alla loro sopravvivenza, proliferazione e differenziamento dei linfociti T effettori, che migreranno dagli organi linfoidi secondari in periferia per rispondere ai patogeni.

FOTO1

La FOTO1 mostra come il linfocita T naive migra dal timo al linfonodo. Qui incontra una cellula dendritica che presenta l’antigene (un peptide di origine microbica complessato con l’MHC di classe II). In seguito a questo incontro il linfocita si attiva e prolifera; si ha lo sviluppo di un clone di linfociti con la stessa specificità di quello che ha incontrato l’antigene ed è stato attivato. Questi linfociti T si attivano, proliferano e differenziano in effettori. Solo successivamente potranno fuoriuscire dal linfonodo e migrare nel tessuto infetto. In questo caso quando incontrano il patogeno, oppure una cellula presentate l’antigene come un macrofago si attivano per eradicare il microbo. Quindi esistono due tipi di attivazione: 1. l’attivazione dei linfociti T naive nei linfonodi, e questo determina lo sviluppo dei linfociti effettori 2. in periferia abbiamo l’attivazione degli stessi linfociti T effettori per eradicare il microbo (nel sito dell’infezione) FOTO 2 Partiamo negli organi linfoidi dall’incontro tra linfociti T naive, che possono essere CD4+ o CD8+, con la cellula dendritica che presenta l’antigene. Avviene l’attivazione. Il linfocita T attivato prolifera, abbiamo quindi un’espansione clonale. Questa proliferazione è dovuta principalmente al segnale proveniente dall’Interleuchina 2. I linfociti differenziano poi in effettori: i linfociti CD4+ differenzieranno in linfociti T helper, mentre i linfociti CD8+ differenzieranno in linfociti T

citotossici, con funzioni effettrici differenti. I linfociti T helper nei tessuti periferici attivano i macrofagi per la distruzione dei microbi fagocitati, ed attivano i linfociti B per la produzione di anticorpi. La funzione dei linfociti T citotossici è invece quella di riconoscere ed uccidere le cellule bersaglio infette, ma anche le cellule tumorali. Oltre ai linfociti T effettori, in seguito all’attivazione, negli organi linfoidi secondari differenziano anche i linfociti T della memoria, sia CD4+ che CD8+.

FOTO2

I linfociti T maturi naive devono lasciare il timo e circolano nell’organismo in uno stato di quiescenza. Nei linfonodi, i linfociti una volta fatto il loro ingresso si muovono continuamente, seguendo un network reticolare di fibroblasti e possono interagire in modo casuale con molte diverse cellule dendritiche. Si fermeranno quando avverrà un’interazione specifica, quando i linfociti T riconosceranno il peptide complessato con l’MHC presentato da una cellula dendritica.

FOTO3

Nella FOTO 3 abbiamo che il linfonodo è il luogo di incontro tra le cellule dendritiche presentati l’antigene che migrano dai tessuti periferici e siti d’infezione, e i linfociti naive sia B che T che migrano dagli organi linfoidi primari. Nei linfonodi troviamo diverse strutture: le aree colorate in azzurro sono le aree ricche di linfociti T e che chiamiamo aree T, quelle in giallo chiaro sono le aree ricche di linfociti B che chiamiamo aree B, e poi abbiamo i follicoli che sono generati dall’attivazione reciproca dei linfociti B e T nel corso della risposta. Vedere i video 9.1 e 9.2.

FOTO4

Il video mostra inizialmente la migrazione dei linfociti T dal timo e dei linfociti B dal midollo osseo e dalla periferia per quanto riguarda le cellule dendritiche. Tutte queste cellule arrivano nel linfonodo. Questo dipende, come si vede dalla FOTO4, dipende dalla chemochina CCL 21. Questa chemochina viene prodotta sia da cellule stromali del timo, sia delle cellule degli endoteli venosi del timo stesso. La chemochina richiama le cellule dendritiche che giunte nel timo iniziano ad esprimere una seconda chemochina, CCL 19 che attrae nel linfonodo i linfociti T. Successivamente anche i linfociti B sono attratti nel linfonodo da queste stesse chemochine. Il recettore sia per CCL21 che per CCL19 è comune, ed è il recettore CCR7, che lo possiedono sia le cellule dendritiche che i linfociti T e B. A questo punto le cellule dendritiche follicolari, quelle cellule dendritiche specifiche che troviamo nei follicoli del linfonodo, iniziano a produrre una seconda chemochina la CXCL13 che attrarrà ancora più linfociti B. Questo per dire come la concentrazione nel linfonodo di tutte le cellule protagoniste della creazione che avviene nel linfonodo vengono richiamate da chemochine in un modo concertato. Per quanto riguardo i linfociti T giungono nel linfonodo per mezzo delle venule endoteliali e possono avere diversi destini: possono non essere attivate da cellule dendritiche presentanti l’antigene e quindi in questo caso passeranno il linfonodo e fuoriusciranno di nuovo attraverso le venule endoteliali. I linfociti T che invece vengono attivati si arrestano nel timo, vengono sequestrati all’interno del timo. Questo permetto ai linfociti T di essere attivati in maniera completa. Permangono nel timo e in seguito all’attivazione possono proliferare. Soltanto una volta che questa attivazione è completa, che il linfocita T ha proliferato, quindi ci è stata espansione clonale e che tutte le cellule del clone sono andate incontro a

differenziamento in cellule T effettrici, a quel punto possono uscire dal linfonodo. Quindi c’è una diversa capacità dei linfociti T che incontrano l’antigene per cui sono specifici di soffermarsi nel linfonodo più a lungo per poter essere attivati, per poter proliferare, per poter differenziare in cellule T effettrici. Solo allora usciranno dal linfonodo.

FIGURA 5

Nella FIGURA 5 è illustrato questo meccanismo appena spiegato. Vediamo come sull’asse delle ascisse abbiamo il tempo in seguito all’infezione (i numeri sono i giorni post infezione). Sulle ordinate abbiamo il numero dei linfociti T specifici nella linfa efferente il linfonodo. Succede che inizialmente ci sono tanti linfociti che fuoriescono dal linfonodo. Successivamente questo numero di linfociti decresce perché questi linfociti specifici vengono sequestrati nel linfonodo, e per tutto questo tempo in cui il numero dei linfociti efferenti è così basso, quasi pari a 0, avviene l’attivazione di questi linfociti. Dopo circa 5 giorni ricomincia ad aumentare il numero dei linfociti efferenti che saranno i linfociti T effettori. Quindi per alcuni giorni i linfociti T specifici per il virus che ha infettato l’organismo rimangono sequestrati nel linfonodo e lo vediamo perché non fuoriescono dal linfonodo della linfa perché stanno andando incontro ad un processo di attivazione. Questi linfociti T entrano nel linfonodo attraverso diversi passaggi (FOTO 6) che dipendono da diverse interazioni molecolari. Questi diversi passaggi li possiamo riassumere: 1. 2. 3. 4.

In una fase di Rolling, in cui il linfocita T si muove lungo l’endotelio venoso; Una fase in cui si sofferma su una particolare cellula Una fase in cui le aderisce Una fase in cui passa attraverso lo strato cellulare.

FOTO6

Tutte queste diverse fasi sono mediate da interazioni molecolari tra il linfocita T e la cellula endoteliale differenti. Nella fase di Rolling abbiamo un’interazione tra Selectine e Addressine, principalmente la molecola dell’endotelio coinvolta è il GlyCam-1, mentre invece per quanto riguarda l’adesione abbiamo l’interazione tra le integrine del linfocita T e le molecole di adesione delle cellule endoteliali.

FIGURA 7

Nella FIGURA 7 sono descritti i diversi passaggi visti in dinamica nel video. Inizialmente avviene l’interazione della selectina L del linfocita T con il GlyCam-1 o CD34 della cellula endoteliale. Queste interazioni sono di una forza piuttosto bassa, quindi il linfocita T può sganciarsi e riagganciarsi perciò si parla di Rolling, perché il linfocita T si muove lungo l’endotelio. Quando invece il linfocita T attraverso il recettore per la chemochina CCL21 che è il CCR7, avviene questo riconoscimento, quindi non soltanto l’adesione tra Selectine e addressine ma avviene anche un riconoscimento tra chemochina e recettore per la chemochina, a questo punto viene attivato il

recettore LFA-1. Quest’ultimo lega le molecole di adesione dell’endotelio, ICAM 1 in particolare, e quindi si viene a creare un’interazione molto più forte che si chiama adesione, e quindi il linfocita si ferma su quella determinata cellula e per diapedesi può attraversare l’endotelio. Abbiamo quindi una interazione iniziale tra selectina e addressine, poi tra chemochine e recettore infine tra integrine e molecole di adesione. Una volta entrato nel linfonodo il linfocita T può incontrare le cellule dendritiche presentanti l’antigene. Ci soffermiamo in questo momento su questa interazione. Per quanto riguarda i linfociti T effettori nei tessuti periferici, il linfocita T potrà incontrare anche macrofagi, linfociti B come cellule presentati l’antigene, o cellule bersaglio infette.

FOTO8

FOTO 8 Come può entrare l’antigene nelle cellule dendritiche? Possiamo avere una fagocitosi mediata da recettore oppure una macropinocitosi. In entrambi questi casi vediamo come l’antigene si viene a creare all’interno di vescicole e la processazione dell’antigene porterà alla complessazione di questo con molecole di MHC di classe II e quindi alla presentazione ai linfociti T CD4+. Poi abbiamo invece un’altra modalità di ingresso che è l’infezione da parte del patogeno, e questo avviene in particolare per i virus. In questo caso l’antigene sarà presente al livello del citosol e la processazione porterà alla sua complessazione con molecole di MHC di classe I per la presentazione ai linfociti T CD8+. Un altro fenomeno è quello della cross-presentazione e cioè abbiamo la fagocitosi o la pinocitosi da parte delle cellule dendritiche di cellule infette per cui abbiamo la presenza di virus all’interno di vescicole, ma abbiamo poi un trasferimento degli antigeni, per meccanismi che non conosciamo perfettamente, dalle vescicole al citosol. Anche in questo caso, e cioè di virus che non infettano le cellule dendritiche, ma altre cellule che però le cellule dendritiche sono in grado di fagocitare, gli antigeni virali saranno complessati a molecole di MHC di classe I per la presentazione ai linfociti T CD8+. Abbiamo poi un altro meccanismo, e cioè le cellule dendritiche sembrerebbero essere in grado di trasferire l’antigene virale da una cellula dendritica all’altra. Questi antigeni verranno complessati a molecole di MHC di classe I e presentati a linfociti T CD8+. Una cellula dendritica trasferisce quindi antigeni virali ad un’altra cellula, questi antigeni si troveranno nel citosol e seguiranno la via citosolica. Quindi la cellula dendritica può internalizzare o essere infetta da antigeni di diversa natura, questo porterà attraverso le molecole di MHC di classe I o II alla presentazione rispettivamente ai linfociti T CD8+ e CD4+. Nella FIGURA 9 vediamo un esempio di cellule dendritiche della cute (cellule di Langherans), che fagocitano e processano l’antigene derivato da un’infezione causata da una lesione nella cute, migrano attraversano il derma e fuoriescono dalla cute, fino a raggiungere i vasi

linfatici e raggiungono quindi il linfonodo. Qui trasferiscono l’antigene alle cellule residenti del linfonodo. Quindi le cellule dendritiche che provengono dai tessuti periferici possono trasferire l’antigene a cellule dendritiche residente nel linfonodo e saranno sia le une che le altre a poter attivare i linfociti T naive presenti nel linfonodo.

FOTO9

Un aspetto da sottolineare è che le cellule dendritiche quando incontrano i patogeni e riconoscono i PAMP attraverso i recettori per i PAMP ,detti PRR, succede che queste cellule dendritiche si attivano ed iniziano ad esprimere il recettore per chemochine CCR7 che gli consentirà di migrare al linfonodo. Inoltre aumenta l’espressione di tutte quelle molecole che sono coinvolte nella processazione dell’antigene. A questo punto la cellula dendritica può migrare nel linfonodo attraverso l’interazione tra CCR7 e la chemochina CCL21. Inoltre, nella cellula dendritica attivata dal patogeno, aumenta la processazione dell’antigene, viene espresso il recettore che consente la migrazione guidata da chemochine e poi aumenta l’espressione delle molecole B7 che avranno un ruolo fondamentale nell’attivazione del linfocita T naive. La molecola B7 è una molecola co-stimolatoria, proprio perché fornisce un secondo segnale (il primo è quello fornito dal complesso MHC- peptide) necessario per l’attivazione dei linfociti T. Questo ci fa intuire che non può avvenire l’attivazione del linfocita T naive se non c’è l’espressione di molecole co-stimolatorie da parte delle cellule dendritiche e queste molecole co-stimolatorie sono presenti solo se la cellula dendritica ha incontrato il patogeno. Questo è appunto un meccanismo di controllo della risposta per cui viene limitata la possibilità di insorgenza di risposte auto reattive da parte dei linfociti. La cellula dendritica attivata, quindi, che esprime la molecola co stimolatoria e che esprime il recettore necessario alla migrazione, migra nel linfonodo e può attivare il linfocita T. Qui avviene l’interazione tra l’MHC- peptide e TCR, nonché co-recettore, ma avviene anche l’interazione tra la molecola B7 ed il suo ligando che è CD28. Oltre a queste due interazioni avvengono anche altre interazioni molecolari che hanno il compito di mantenere l’adesione tra le due cellule. Queste sono LFA-1 sulla membrana del linfocita T, e ICAM 1sulla membrana della cellula dendritica. LFA-1 può interagire anche con una seconda molecola di adesione che è ICAM 2 e poi abbiamo CD2 che lega CD58. Le interazione molecolari tra linfocita T e cellule dendritiche nel linfonodo sono multiple ed hanno funzioni differenti.

Quindi riprendiamo dall’interazione tra linfocita T e antigene. Quindi il linfocita T naive ha fatto il rolling, ha fatto l’adesione sull’endotelio, ha fatto la diapedesi, è entrato nel linfonodo e può o meno interagire con le cellule dendritiche. Quindi inizialmente può venire un incontro di tipo aspecifico tra integrine e molecole di adesione (LFA 1 e ICAM 1). Se non c’è poi possibilità di legame tra TCR e MHC di classe II, questo legame si scioglierà ed il linfocita T può proseguire nel suo percorso attraverso il linfonodo e poi fuoriuscirne. Se invece avviene questo riconoscimento a quel punto avviene una trasduzione del segnale per cui l’LFA1 subisce una modificazione conformazionale tale per cui questa interazione diventa più forte e stabilizza il contatto tra le due cellule. A questo punto c’è un contatto specifico tra queste due cellule, una adesione forte e può effettivamente avvenire l’attivazione. L’attivazione abbiamo detto che richiede un segnale dato dal riconoscimento del complesso MHC- peptide, un segnale co- stimolatorio dato dal legame tra le molecole B7 e CD28, e poi abbiamo un terzo segnale da citochine espresse e secrete dalla cellula dendritica che vengono riconosciute grazie a recettori specifici dai linfociti T. Questi tre segnali hanno dei ruoli diversi: mentre il segnale fornito dal complesso MHC- peptide dà innesco alla reazione di attivazione che può completarsi solo quando abbiamo un segnale co- stimolatorio, e quindi poi abbiamo la proliferazione del clone antigene specifico, le citochine invece avranno un ruolo nel differenziamento in linfociti T effettori ed in linfociti T della memoria. Quindi abbiamo visto che l’attivazione si compone di una sopravvivenza del linfocita perché appunto si possono compiere tutti i passaggi e questo richiede del tempo, la permanenza in linfonodo e anche questa permette l’attivazione che richiede del tempo, la proliferazione e poi il differenziamento. Quindi sono appunto le citochine espresse dalle cellule dendritiche che hanno un ruolo in quest’ultima fase.

FOTO 10

Abbiamo visto quante interazioni molecolari con ruoli diversi avvengono tra le due cellule. Parliamo quindi di sinapsi immunologia (FOTO 10). La sinapsi immunologia è una zona di stretto contatto tra le due cellule in cui avvengono tutte le interazioni molecolari; l’interazione, quindi, non avviene su tutta la superficie della cellula ma c’è una zona di contatto in cui si concentrano tutte le molecole coinvolte nell’interazione. Come si evince dalla foto possiamo definire due aree

della sinapsi immunologica, una centrale ( cSMAC), ed una periferica (pSMAC). In quella centrale abbiamo le interazioni specifiche, quindi le interazione tra MHC-peptide, e quella tra TCR e corecettore. Inoltre in questa stessa regione abbiamo la secrezione di citochine in maniera direzionata. Quindi le citochine che vengono espresse dalla cellula dendritica o viceversa, quindi dal linfocita T che risponde anche lui con la produzione di citochine, non vengono rilasciate dalla membrana a tutti i livelli, ma solo nella zona di contatto con la cellula dendritica in maniera direzionata (questo è molto diverso da quello che avviene quando le citochine vengono rilasciate in reazioni dell’immunità innata). Nella porzione più periferica avvengono invece i contatti aspecifici, quindi quelli in cui sono coinvolte integrine, addressine e molecole di adesione. Nella FIGURA 11 vediamo la cellula dendritica, la cellula T e vediamo la zona di contatto e notiamo come nella parte periferica abbiamo l’interazione tra l’LFA1 e ICAM-1, mentre nella parte centrale abbiamo l’interazione tra il TCR ed il recettore ed tra il complesso MHC-peptide.

FIGURA 11

A questo punto vediamo i video 3, 4 e 5 che parlano della sinapsi immunologica. Il primo è una visualizzazione che mostra l’interazione tra linfociti T specifici e non per antigeni presentati dalle cellule dendritiche, i primi formavano contatti stretti…???(microfono muto della professoressa), il secondo fa vedere tutte le interazioni molecolari tra il linfocita T e APC, mentre il terzo è un video sulla sinapsi immunologica. Parliamo ora dell’interazione tra il linfocita T e la cellula dendritica e dell’importanza della costimolazione fornita dall’interazione con la molecola B7 presente sulla cellula dendritica e la molecola CD28 presente sul linfocita T. Queste molecole co-stimolatorie, B7, vengono espresse dalle cellule dendritiche quando sono attivate da PAMP, riconosciute da PRR. Le molecole sono due:  

B7-1, espressa solo in seguito ad attivazione; B7-2, aumenta la sua espressione in seguito ad attivazione

Queste due molecole sono glicoproteine integrali di membrana con due domini immunoglobulinici extracellulari, e vengono riconosciuti da CD28 sulla superficie dei linfociti T. Quindi nella FIGURA 12 vediamo come una cellula dendritica a riposo, priva di molecole stimolatorie perché non è stata attivata da patogeni, quando incontra un linfocita T naive, sebbene possa avvenire il riconoscimento tra il complesso MHC- peptide e il TCR, questa interazione cellulare non dà luogo a risposte da parte dei linfociti T. Quando invece c’è stata un’attivazione delle cellule dendritiche da parte dei patogeni, quindi una risposta immunitaria innata, ed una espressione delle molecole B7, nell’interazione tra cellula dendritica e linfociti T, può avvenire l’attivazione di questi, proliferazione e differenziamento e quindi risposte poi effettrici in periferia. Questi segnali costimolatori, insieme al riconoscimento del complesso MHC- peptide, danno inizio alla trasduzione del segnale che porterà all’attivazione nelle sue diverse componenti. Nei linfociti T, quando riceve questo doppio segnale si ha una trasduzione del segnale che porta principalmente all’espressione di proteine anti apoptotiche. Questo fa si che il linfocita T possa sopravvivere il tempo necessario a proseguire e completare l’attivazione. Poi avviene l’espressione di IL-2 e del suo recettore, e l’espressione di cic...


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